L’ELEGANZA DEL RICCIO, libro che tutti dovremmo leggere

pubblicato da: admin - 22 Gennaio, 2010 @ 4:18 pm

Perchè tutti  noi dovremmo leggere il romanzo di Muriel Barbery? Intendo con noi, i rappresentanti dell’Occidente consumistico, dell’immagine, della fretta. Perchè la storia raccontata è¨ particolare, come particolari ne sono i tre protagonisti principali  che vivono in un’elegante palazzina di Parigi: Renéé, la portinaia di mezz’età ,a Paloma, una dodicenne che abita là con la famiglia e monsieur Ozu, un ricco giappponese da poco trasferitosi all’ultimo piano.

Renèè e Paloma all’inizio del racconto non si conoscono, ma  vivono entrambe una vita doppia, quella loro interiore e quella esteriore conforme agli stereotipi che la società (la nostra società?), ci impone.

Da una portinaia ci si aspetta la sciatteria, la teledipendenza, l’ignoranza, perchè ciò non turba l’establishment, i ruoli sociali.  Renèè, allora, si mostra come gli altri la vogliono, perchè non intende dare battaglia per farsi “vedere” o conoscere per quello che veramente è, sa che sarebbe inutile e faticoso. E per starsene più tranquilla si avvolge in un mantello di “aculei”, di quasi scortesia verso gli altri. Per non sentirsi ferita preferisce nascondersi. E il suo nascondiglio, come si accorgerà Paloma nella sua indagine sulle persone vicine, è la cultura, l’amore per l’arte e la bellezza, il lento dorato piacere di leggere e insieme bere una tazza di tè.

Paloma è una dodicenne geniale,  speciale, sensibilissima  che vive in una famiglia non peggiore delle altre, ma disattenta, arida, nevrotica. Anche Paloma  mostra ciò che ci si aspetta da lei: la superficialità dell’adolescente, ma  essa in realtà è una lucida e severa osservatrice della mediocrità dell’esistenza che la sua famiglia le mostra. Scrive un diario giornaliero a tal proposito (nel film sarà una telecamera a spiare la banalità, la tristezza e la difficoltà del vivere della mamma, del padre, degli amici di famiglia ); sente di trovarsi prigioniera come un pesce nella sua boccia di vetro, anzi per lei  è tutta l’umanità che  vive in una sorta di innaturale campana di vetro dove tutto appare senza senso e senza via di fuga. E’ per questa assenza di alternative  alla sua esigenza esistenziale, che la ragazzina decide che si suiciderà  il giorno del suo tredicesimo compleanno. Se la vità è così a lei non interessa continuare. Intanto però continua ad osservare, annotare,  riflettere.

Paloma si accorge di Renèè e  in lei  trova qualcosa che la incuriosisce, la intriga. Parlano un po’, si “riconoscono”.

Monsieur Ozu, appena arrivato, sarà infine il  catalizzatore che riuscirà a riequilibrare in una dimensione più serena la vita delle due protagoniste.

E’ emozionante il “riconoscimento” letterario, e quindi di consonanze, fra Ozu e Renéé quando citano  insieme la famosa frase  dell’incipit di Anna Karenina:

  Tutte le famiglie felici si assomigliano; ogni famiglia infelice è invece disgraziata a modo suo.

Pur tra la diffidenza iniziale di Renèè, la conoscenza reciproca si allarga grazie all’atteggiamento di Ozu che guarda le persone con sguardo trasparente,lungimirante,  andando oltre le apparenze e i pregiudizi , ma cercando nell’altro la Qualità, la sua Essenza. E qui si inserisce anche Paloma che, grazie ad entrambi, capirà la ricchezza che c’è nella vita  in ogni caso,  e che sarebbe assurdo sprecarla. Ci pensa già il destino a farlo per noi.

A questo proposito mi piacerebbe conoscere opinioni sulla fine del romanzo. Serviva proprio che terminasse così? Perchè? Noi non saremmo stati  in grado di accettare un’alternativa inconsueta?

Nel film Il riccio di Mona Achache, che io ho visto con  grande piacere, gustando la bravura eccezionale degli attori, mancano però molte riflessioni, le ricche citazioni letterarie, il brivido, così ben descritto dalla Barbery, delle scoperta delle affinità, dell’emozione di riconoscersi in qualcun altro, manca , per esigenze di genere, quella lentezza Zen che Monsieur Ozu  assapora  nel suo stare al mondo.

Mi permetto di soffermarmi proprio sulla lentezza del vivere che noi abbiamo perso, tesi a  consumare  il tempo con ingordigia e fretta per arrivare chissà dove, quasi si avesse paura di stare un po’ dentro di noi o di “guardare  attentamente” gli altri.  Il tempo è una grande ricchezza e occorre spenderlo bene.

Ne sanno qualcosa anche i miei cari amici,  i soci della Banca del Tempo di Trento. Ma di questo parleremo un’altra volta.

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PIANOFORTE VENDESI

pubblicato da: admin - 21 Gennaio, 2010 @ 8:23 pm

Parole che si potrebbero leggere in bella mostra nella vetrina del negozio di mio genero Marco a Chiavari.

Invece PIANOFORTE VENDESI  è¨ il titolo del nuovo libro di Andrea Vitali, autore di romanzi esilaranti quasi tutti ambientati sulle rive del lago di Como nel periodo del Ventennio fascista.  Primo fra tutti “Olive comprese”, che io avevo immaginato come quelle  servite col Martini dry…ma  che invece di ben altre…olive si trattava. Libro scritto benissimo, veramente divertente, soprattutto per i maschietti.

Anche questa storia è ambientata a Bellano, sul lago di Como, durante la notte dell’Epifania del 1966, ritenuta dal paese la festa dei morti. Tutti gli abitanti festeggiano con grandi mangiate e bevute; fra questi c’è soprattutto il calzolaio, custode del pianoforte, quello che vivrà  una notte particolare e di colossale sbronza per poter dialogare, come ogni anno,con tutti i defunti, di famiglia e non.

Già l’atmosfera invernale, di pioggia, di oscurità e bagliori, ci danno una sensazione di obnubilamento, di irrealtà e magia, di contraddizioni “tra lecito ed illecito”, tra il bianco e il nero, ma soprattutto ci fanno percepire una coesa continuità tra passato e presente.

E’ un romanzo breve scritto in una prosa chiara, corretta e godibilissima. L’ho letto stamattina quando, dopo la mia ginnastica posturale, sono andata dalla dottoressa per una visita. (alla nostra età è d’uopo far controllare la pressione e i vari acciacchi, nel mio caso un ginocchio un po’ dolorante). Ho aspettato quasi un’oretta per poi sentirmi dire che la pressione va abbastanza bene, che il ginocchio forse migliorerà e che tutto rientra “nel quadro”… Pazienza, intanto però mi ero letta una storia bella, diversa da quelle scritte finora dal Vitali, una storia che mi ha fatto ricordare e riflettere.

Insomma, si parla di un ladro soprannominato Il pianista per via delle sue mani lunghe e affusolate. Qui dovrei mettere però un inciso perchè¨, secondo molti pianisti, le mani più adatte per suonare una tastiera dovrebbero essere larghe e forti come quelle di un carpentiere.

Il nostro ladro, approfittando della gente che festeggia, s’imbatte in un cartello Pianoforte vendesi e pensa che, con  nessuno in giro, potrà arraffare qualcosa. La casa in questione è aperta e lui può salire indisturbato.

E’ emozionante l’incontro- scontro  con il pianoforte: davanti a lui nell’oscurità un oggetto poco conosciuto e soprattutto difficile da rubare. Ma la sua lunga mano da pianista e da ladro sa¬ che

 Il medio cade su un tasto, ne nasce un DO profondo che occupa il silenzio.”

Improvvisamente dall’altra stanza esce la vecchia proprietaria dello strumento, una gentilissima pianista che lo farà sedere e, dopo una surreale conversazione,  lo farà suonare. E’ come se la vecchia signora gli avesse prestato le sue mani perchè lui suonerà un valzer che poi ripeterà, sbalordito egli stesso, al maresciallo e al brigadiere che indagano sul suo conto.

La signora , si scopre, è¨ morta  però da parecchio tempo.

Mi sono venute subito in mente le storie di fantasmi raccontate da mia nonna e quelle sentite da chi crede nel paranormale. Ne hanno scritto, fra i tanti, Henry James e persino G. Jung, assai intrigati da queste esperienze tramandate da tante generazioni .

Chi ci crede?  Quali racconti ricordate? Potrebbe esserci qualcosa di inspiegabile anche per noi i figli della scienza e della tecnologia?

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PICCOLE DONNE ovvero un romanzo di formazione

pubblicato da: admin - 20 Gennaio, 2010 @ 3:32 pm
E’ proprio vero: un libro tira l’altro come le ciliegie. Nel libro  della Rasy, letto ieri ,viene nominata anche  la scrittrice statunitense Louise Mary Alcott e subito un’immensa nostalgia del suo romanzo “Piccole Donne” (1868) mi ha assalito.
 Stamattina per consolarmi della partenza di mia figlia sono andata a cercarlo in un vecchio armadio e l’ho trovato un po’ spiegazzato con un odore di antichi libri di scuola. Mi sono preparata la mia calda tazza di tè e ho cominciato a sfogliarlo. Ci sono anche le illustrazioni, ( un po’ “decorate” da mia figlia, da me costretta a suo tempo a leggerlo).
Ho cominciato a ripercorrere alcune pagine: certo,  sono datate per noi lettori esigenti e un po’ scettici, ma vi ho ritrovato quei fili conduttori che fan sì che esso rimanga sempre uno dei libri più amati da molte generazioni femminili, come il caldo affetto familiare, l’onestà, la generosità di quasi tutti i personaggi e quegli aspetti della vita americana che a noi ragazzine degli anni ’50 piacevano moltissimo. Le frittelline e le salsicce per colazione, i canti di Natale al pianoforte, le ghirlande sulle porte, e gli stessi nomi dei protagonisti, Meg, Jo, Amy, Beth e Laurie.
 
 
Tutte noi lettrici volevamo essere Jo, il “maschiaccio”, una ragazza anticonvenzionale, modernissima per l’epoca in cui si svolge la storia. Siamo negli anni della Guerra di Secessione, il padre è al fronte, la madre si prodiga per non far mancare nulla alla famiglia e  per aiutare quelli ancora più poveri ; le quattro sorelle vivono con complicità ma non senza sacrifici i loro piccoli accadimenti quotidiani. E’ un mondo che appare remoto alle giovani di oggi. Molte di loro, come la mia nuova amica Jessica, non l’hanno letto; credo che lo trovino troppo sdolcinato. Un po’ concordo.  Ma oltre alle descrizioni di disavventure per guanti sporchi di limonata o di riccioli bruciati, o di amori non contraccambiati,  la famiglia March ci  dà messaggi importanti  come il  coraggio  nell’affrontare ogni situazione della vita e la necessità di raggiungere  la  consapevolezza di ciò che si è  e che si vuole diventare.
Un episodio saliente della storia, che sottolinea la modernità della Alcott, è quello in cui Jo si fa tagliare i capelli  e li vende per aiutare la famiglia.
“Venticinque dollari! Dove li hai presi? Che cosa hai fatto?”
Senza rispondere, Jo si tolse la cuffietta scoprendo la testa rasata.
“I tuoi capelli! La tua sola bellezza! Povera e cara Jo…non sembri più tu…
 
I capelli lunghi sono il simbolo della femminilità, condiviso da tutta la società ottocentesca, e Jo osa intaccarlo. Più trasgressiva di così!  Non so se quando lo lessi  la prima volta, nel 1953, colsi questo importante significato; ogni libro, si sa , ha più livelli di lettura e comprensione. Per questo molti romanzi devono essere letti più volte per essere compresi nella loro totalità.  
Ricordo che qualche anno fa feci vedere il film a scuola, quello interpretato da Winona Ryder, a una  mia seconda media . ( Io invece avevo visto quello con June Allyson e Liz Taylor nella parte di Amy). Le mie alunne erano in estasi e se lo sono gustato ridacchiando e commentando spesso, soprattutto la storia d’amore di Jo con Laurie; i poveri maschietti , invece, tra uno sbadiglio e  l’altro mi chiedevano di uscire ogni 10 minuti  e quando li controllavo perchè non ritornavano in aula , li vedevo lungo il corridoio a parlare con la bidella o a gironzolare annoiati.
E’ questo romanzo un libro per sole donne?  E perchè?
Probabilmente l’identificazione immediata con le ragazze lascia poco spazio all’immaginario maschile, gli uomini sono, a parte Laurie, in secondo piano. Il padre stesso è lontano e poco importante nell’economia del racconto, anzi è importante proprio la sua assenza. Sappiamo che questo è in parte autobiografico: il padre della Alcott era abbastanza inconsistente sia come figura paterna che come lavoratore e la stessa scrittrice si era data da fare per aiutare concretamente la famiglia.
E’ comunque un romanzo di formazione, le piccole donne cresceranno e sceglieranno con consapevolezza la loro strada. Meg vorrà una famiglia tradizionale, Amy, più ambiziosa, cercherà la ricchezza e il prestigio sociale, Beth, la più sfortunata vorrebbe solo amore incondizionato e armonia, e Jo, la mia preferita, vuole realizzarsi, vuole fare la scrittrice.
 Ed è  l’unica, e qui sta ancora  la modernità del romanzo, che raggiunge il suo happy end senza l’aiuto di nessuno, nè dell’innamorato, nè dei soldi, ma soltanto grazie alle sue capacità e alla sua forza. Jo diventerà scrittrice e aprirà una scuola per studenti poveri insieme a un marito, un maturo insegnante tedesco, che non rientra nell’immaginario del  principe azzurro tipico dei romanzi per sole giovinette.
 
Mi piacerebbe tanto sapere se alcune lettrici si sono identificate in una delle altre sorelle che non sia Jo.
                                                             
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In tarda mattinata mi sono presa una pausa: oggi 2o gennaio è una giornata splendida, algida e soleggiata. Ho incontrato un’ amica, Enza, in un bar di piazza Duomo. E’ così piacevole incontrare una cara persona e davanti a un caffè conversare di cose piacevoli. Le ho parlato del mio blog e prendendo lo spunto del libro ritrovato abbiamo iniziato un dibattito sull’importanza degli oggetti. Quali conservare? Tutti ? Mi pare che Borges in una celebre poesia parli degli oggetti come di cose vive…Enza ed io ci troviamo invece d’accordo nel conservare il meno possibile,  tenere solo gli oggetti significativi e i libri, naturalmente. I libri, più che oggetti, sono pezzi di vita dell’umanità. Quindi siamo noi stessi.
Ad una certa età è meglio, credo, non soffermarsi troppo sulle cose vecchie, ma rimanere aperti al nuovo, al ricambio, al futuro, respirare aria nuova.
 
Ah, insieme abbiamo anche visitato la mostra  “Le radici della montagna”a Palazzo Trentini: gradevole, con quadri belli di  Garbari, Moggioli, ecc.  Davanti ad alcuni ci siamo soffermate a lungo.
Perchè scrivo questo? Perchè il sottotitolo del mio blog è:  La vita oltre i 60…quindi  voglio dire ai miei coetanei che di cose belle da fare ce ne sono.
 
Mi sono accorta che scrivendo ho sentito meno la lacerazione del distacco da mia figlia che ora sta dirigendosi verso Chiavari e suo marito, ma intravvedo anche sul tavolino il libro che lei avrebbe dovuto portare con sè. E’ infatti un regalo  che io ho fatto a mio genero Marco, scritto, sembra, apposta per lui. Si tratta di ” Pianoforte vendesi” e chi meglio di Marco, musicista, accordatore, restauratore e vendidore di pianoforti potrebbe  leggerlo? Che Stefania l’abbia lasciato apposta affinchè la sua mamma abbia già il materiale per domani?
Stefania è una figlia molto attenta e amorevole, sa che mi piace leggere e scrivere e questo blog è stato un suo grande dono.
 
Ma ora devo chiudere. E si sa che, parafasando Rossella O’Hara :
                                                                                                 domani è …un altro libro.
 
                                                                                           
 
 

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