EPITAFFIO PER UNA SPIA, di Eric Ambler

pubblicato da: admin - 11 Febbraio, 2010 @ 7:59 pm

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Stamattina ho fatto le prove per la scenetta di carnevale con la mia cara amica Maria Teresa ( – per ora non svelo da chi ci travestiremo, sappiate solo che dobbiamo agire all’unisono! – ) la quale mi ha lasciato una spy-story di Eric Ambler, autore che già conosco e apprezzo.

L’ho iniziata dopo pranzo, ma desidero ugualmente parlarne anche se la lettura è in corso.

Posso dire che è una lettura facile, la prosa di Ambler è chiara e corretta, la trama ha un ritmo incalzante e avvincente.

Siamo sulla Costa Azzurra nell’estate 1938 e Vadassy, un giovane  insegnante di origine ungherese e incerta cittadinanza, viene coinvolto in una storia complicatissima che si svolge perlopiù in un albergo vicino al mare. I villeggianti provengono da ogni angolo d’Europa e agli occhi del protagonista appaiono tutti sospetti, sia che sostino al bar o  sulla terrazza, o mentre prendono il sole sulla spiaggia accaldata.

Tutto si dipana nell’arco di tre giorni durante i quali Vadassy, suo malgrado, è costretto dalla polizia francese , al mestiere di spia.

Ma altro non dico, devo finirlo; avrò la soluzione del mistero stasera, a letto.

Eric Ambler, inglese, nasce nel 1909 e muore nel 1998; è considerato un maestro del moderno romanzo di spionaggio. E’ stato anche sceneggiatore di molti film famosi, fra cui Topkapi; ha collaborato con Alfred Hitchcock nel film Rebecca, ed è un autore che non delude.

                                                                                                                                                                    * * * * *

Sono contenta di presentare anche oggi uno scrittore.

Riflettevo poc’anzi che tutto sommato io e molte altre donne, leggiamo soprattutto letteratura femminile, credo che  per noi donne sia  più piacevole e facile immedesimarci nelle protagoniste femminili.

Che ne pensate?

Ci sono degli uomini che leggono libri squisitamente femminili come “Piccole donne”, “Jane Eyre,” “Cime tempestose”?  Sarebbe interessante scoprirlo. 

Molti uomini hanno scritto di donne, di eroine che sono diventate famosissime, ricordo “Anna Karenina”, “Madame Bovary”, Nora di “Casa di bambole”,  Isabel Archer di “Ritratto di signora e così via. E’ la loro parte femminile venuta allo scoperto che ha fatto sì che potessero immedesimarsi totalmente con la protagonista?

“Madame Bovary c’est moi “diceva appunto Flaubert.

Ma  le donne scrittrici riescono a comprendere appieno l’anima maschile? Non ci sono tanti personaggi famosi inventati da donne. 

Penso e ripenso…mi vengono in mente Edith Warthon con il suo “Ethan Frome,” Elsa Morante con “L’isola di Arturo”..

Chi altre ricordate?

“Un uomo” di Oriana Fallaci è soltanto la biografia di Panagoulis o un’identificazione completa ?

Quanti interrogativi letterari . Speriamo di avere risposte a proposito.

Sono molto contenta del riscontro che ha questo blog; la “tavola rotonda” sulla lettura si amplia sempre di più con consigli, suggestioni, persino da oltre oceano Gary ci  parla dell’importanza per la sua formazione dei fratelli Karamazov. Da rileggere assolutamente. Prendo nota naturalmente di tutti i titoli di libri consigliati sia da Enza che da Luigi…

Emanuela ha lasciato nel suo commento a “La mente colorata” l’indirizzo di un sito sulla lettura che propone una straordinaria iniziativa per il 26 marzo: quello di donare un libro a uno sconosciuto. 

Leggere, leggere, leggere!!!

 

 

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LA MENTE COLORATA, di Pietro Citati

pubblicato da: admin - 10 Febbraio, 2010 @ 6:05 pm

scansione0013scansione0013E’ Ulisse  l’ uomo  dalla mente dai mille colori, multiforme, variegata, caleidoscopica che Citati, in questo saggio, ci ripropone con entusiasmo contagioso.

L’archetipo di Ulisse è Ermes, perchè Ulisse come il dio messaggero è curioso, ama il viaggio, la fuga, la magia, i rapporti umani, la recitazione, l’inganno. E contrariamente ad Achille che appartiene al mondo dei semidei, è un uomo effimero, che ama la sua terra, sua moglie, suo figlio, ma accoglie qualsiasi cosa esiste, vuole conoscere ad ogni costo pur se deve affrontare mille pericoli.

Dice di lui Atena, la sua dea protettrice:

“Ostinato, dalla mente variegata, mai sazio di inganni…Tu superi tutti i mortali per consiglio e parola…”

 E’ un artigiano e come tale  ha “un’intelligenza sottile e piena di risorse, la sapienza delle mani, la capacità di sfruttare ciò che è imprevedibile, casuale, l’istante che passa e non ritorna.”

Ricordiamo che Ermes, tra i giochi, preferiva quello di inventare, come un artigiano; da  neonato inventò la lira dalle sette corde.

 Ulisse è anche un narratore. Non è un poeta ispirato dalle muse, egli racconta ciò che nasce dall’esperienza diretta. Così alla corte dei Feaci, davanti al re Alcinoo che gli chiede finalmente di rivelare il suo nome, fa nascere la narrazione autobiografica e il suo racconto colorato si distende, si nasconde, si amplia in storie che si intersecano: la voce di Proteo si ascolta da quella di Menelao, la voce di Circe è in quella di Ulisse, secondo il principio delle scatole cinesi che piaceva agli autori delle Mille e una notte o a Potocki , autore del Manoscritto di Saragozza.

Sono Odisseo, figlio di Laerte, noto agli uomini

per tutte le astuzie, la mia fama va fino al cielo:

Abito ad Itaca chiara nel sole…

Anche se Ulisse verrà messo nell’Inferno da Dante, egli rimarrà nel nostro immaginario collettivo il primo eroe moderno. Mi sembra di conoscerlo da sempre, come un caro amico, un parente.

Per una letttrice accanita come me questo saggio è prezioso, ampio, da gustare lentamente. Sentiamo ripercorrendo questo pagine “ lo stesso piacere di camminare a piedi nudi sulla sabbia dell’Odissea”, entriamo ancora una volta nel mondo degli dei greci, origine della nostra civiltà occidentale.

Un mio coetaneo pensionato, che vive a Padova, si è messo studiare ex novo il greco antico per poter assaporare  interamente i classici.

Pietro Citati ci consiglia di rileggere i classici, anche tradotti ovviamente, poi di rileggerli fino a quando siamo completamente dentro di essi.

“Un autore diventa classico quando ti possiede completamente, quando ti impone il suo mondo come mondo assoluto”.

Quali sono i vostri classici più amati?

Questo libro è un mondo ampio in cui  ci si può avvicinare ai compagni di Ulisse, come il pelide Achille, Menelao, le ninfe tentatrici, gli dei…è una vacanza colorata per la nostra mente.

 Citati è un autore eccezionale, io ho moltissimi suoi libri, soprattutto biografie di scrittori di cui parlerò senz’altro più avanti.

Non solo scrittrici dunque nella mia carrellata di libri letti, ma anche uno scrittore,  che ci conduce per mano dentro i nostri ricordi primordiali, dentro noi stessi.

Si dovrebbe vivere 1000 anni, ( o forse di più?,) per leggere tutto ciò che è stato scritto.

 

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CHOCOLAT, o la dolcezza della vita

pubblicato da: admin - 9 Febbraio, 2010 @ 6:09 pm

chocolatscansione0012“Siamo arrivate con il vento di carnevale. Un vento tiepido per febbraio, carico degli odori caldi delle frittelle sfrigolanti…”

Così comincia il libro di Joanne Harris, nel quale la protagonista, Vianne Rocher, racconta in prima persona del suo arrivo a Lansquenet, un paesino della Normandia. Ha con sè la figlioletta Anouk ed entrambe hanno vestiti dai colori vivaci che immediatamente suscitano tra gli abitanti una reazione di diffidenza.

“Nessuno ci guarda…i nostri vestiti rivelano che siamo straniere”. Ma in realtà non  sono solo straniere  perchè vengono da lontano, ma perchè il loro modo di pensare  è estraneo alla piccola comunità dominata da un retrogrado e severo parroco pieno di livore e complessi.

Affittano una vecchia panetteria ed aprono una Chocolaterie chiamata La Céleste Praline in cui Vianne preparerà la cioccolata secondo le antiche ricette maya e atzeche. In questo luogo pieno di profumi del cioccolato, delle spezie, del peperoncino lentamente giungeranno attratti , come per magia, gli abitanti più soli e infelici. Ognuno di essi riceverà il cioccolatino più adatto alla sua persona e alla sua vita, come se questo  fosse un talismano della felicità.  E in effeti ciò che  Vianne fa e dona ha il potere di diffondere gioia, conforto.

Cioccolata, densa, morbida,  croccante, dolce o piccante, qui diventa la metafora della morbidezza del grembo materno, della femminilità contrapposta al mondo maschile che impone regole dettate dalla ragione. Un’arte che si trasmette di madre in figlia; la piccola Anouk, vuole farsi spesso ripetere dalla mamma la storia della nonna girovaga e un po’ strega. Mi piace leggere della forza dei legami  femminili  e di quella magia un po’ stregonesca, che io sento anche nella mia linea matrilineare  che partendo da mia nonna Bianca, attraverso mia madre  e me,  giunge fino a mia figlia.

Spaventato da questo ampliarsi di sorrisi a Lansquenet, il  curato diventa l’Uomo nero; colui che si contrappone al sapore  gioioso e sensuale della libertà perchè teme di perdere il controllo sia sui fedeli, ma soprattutto su se stesso,  egli teme di cedere al piacere della vita.

Di nuovo uno scontro tra il perbenismo, i pregiudizi delle menti chiuse e aride e la libertà di azione e pensiero.

Vianne  incontra l’amore, non a caso un girovago come lei; vincerà la sua battaglia contro l’Uomo nero nel tripudio festoso del giorno di Pasqua, ma se ne andrà ancora in cerca di un altro luogo, perchè la sua natura è seguire il vento.  Per essere liberi bisogna avere coraggio.

Il film  interpretato da Juliette Binoche è altrettanto bello, da gustare però con cioccolatini appresso. 

In fondo al libro ricette su ricette golose, frizzanti, paradisiache. 

 Quasi quasi  mi viene voglia di una bella tazza di cioccolata calda, che Linneo nel ‘700 definì appunto  Theobroma (“bevanda degli dei”).

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GATTI, ovvero Ode a Mimilla

pubblicato da: admin - 8 Febbraio, 2010 @ 7:27 pm

scansione0011carte mimmi 001In questi giorni non faccio altro che incontrare o sentire telefonicamente persone che hanno gatti. Come non parlarne?

Ho visto la mostra egizia al Castello del Buonconsiglio dove ho ammirato  la mummietta di gatto, andrò a vedere presto il musical “Cats” al Sociale, insomma cats for ever. Nella mia infanzia e  nella prima giovinezza ho avuto sempre un gatto in casa, quindi li conosco bene e li amo.  Inutile ripetere che nell’antico Egitto erano ritenuti delle divinità,  nel medioevo che erano associati alle streghe; oggi essi mostrano inalterati il loro mistero e le loro facoltà magiche. L’altro giorno la mia gattina Mimilla, nome scelto perchè vagamente onomatopeico,dormiva saporitamente. Io ero sul divano e un pensiero triste mi ha attraversato la mente per un attimo. Lei ha aperto gli occhi di scatto,…mi ha guardato…mi è venuta accanto e …mi ha “accarezzato” il viso con la zampina!!!

Nel manuale che presento oggi ci sono descritte dettagliatamente tutte le razze perciò so con sicurezza che Mimilla è della razza Bombay. E’ minuta, mangia poco, adora stare in casa, è molto affettuosa e non ama restare sola. Qualche volta quando vede che sto per uscire mi si attacca alla gamba, come le attrici del cinema muto  facevano con i tendaggi. Non sopporta i rumori forti, quindi occorre essere molto soft con lei. Ama però “parlare” tanto tanto, anche adesso lo fa perchè la mia attenzione non è rivolta a lei…

Non è bellissima;  quando la mia amica di Aquileia me la portò circa due anni fa  rimasi sconcertata. D’accordo che usciva da un’infanzia travagliata come quella di Cosette dei Miserabili,  abbandonata nella umida campagna friulana, ammalatasi gravemente, ecc. ecc., ma mi sembrava un pipistrello. Così diversa da Bartolomeo, certosino grigio di Laura e da Dorian dagli occhi azzurri, di Maria Teresa. Mi sforzavo di parlarle dolcemente  per ore mentre stava rannicchiata sotto il mobile del bagno, pensando tra me e me che forse la scintilla dell’attrazione non sarebbe mai scoccata. Invece…la mia pazienza risvegliarono in lei il desiderio di affetto mai avuto…e la voglia di vivere. Cominciò ad ambientarsi,  imparammo a conoscerci e …ad amarci appassionatamente!

Ho letto attentamente questo libro per imparare tutto ciò che può far star bene la mia gattina: dall’alimentazione, all’educazione (credo di esser stata però troppo permissiva come mi rimprovera mia figlia Stefania che, secondo me, è però solo gelosa).
Mi sono informata bene sulle eventuali malattie, ma non ho potuto far nulla quando l’estate scorsa…è precipitata dal quarto piano…incrinandosi  fortunatamente soltanto una zampina, presto guarita.
Il problema è quando devo andare fuori città, ma ho due cat sitters già collaudate e molte altre  pronte ad aiutarmi: sono le socie della Banca del Tempo, fantastica associazione che permette di scambiare reciprocamente le proprie abilità e il proprio tempo.  Fra i soci, come dicevo, tanti richiedono aiuto per badare ai cagnolini o ai gatti durante le assenze.
bancadeltempo.trento@gmail.com
 
Il mondo di chi ama i gatti o i cani è particolare, ci si capisce al volo; quando vado a comperare i croccantini o la sabbietta, incrocio serissimi professionisti che valutano se una tal pallina è congeniale al gatto o al cane, o se una certa spazzola è giusta per il loro pelo.
 
C’ è molta lettaratura sui gatti:  romanzi, canzoni (“C’era una volta una gatta…”), poesie, tra queste una di Eliot che parla dei nomi da dare al gatto e un’altra, che trascrivo, di Apollinaire:
 
Io mi auguro di avere in casa mia:
una donna provvista di prudenza,
un gatto a passeggio fra i libri,
e in tutte le stagioni amici
di cui non posso far senza.
 
Questo è un libro da consultare spesso, ma ciò che è più importante, oltre a leggerlo,  è contraccambiare l’amore che queste piccole creature ti donano, incondizionatamente.
 
Chi ha un gatto in casa? Come si chiama?

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CONSIGLI PER VIVEVERE FELICI, Seneca insegna

pubblicato da: admin - 7 Febbraio, 2010 @ 7:12 pm

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Una bella e cara amica ieri mattina, dopo un gustoso aperitivo a base di tartine al salmone e prosecco, mi ha detto che è inutile vivere male in un presente certo e abbastanza  gradevole per la preoccupazione di un futuro incerto. Questo dopo una piacevole conversazione sulla vita in generale, su decisioni da prendere e su ciò che siamo ora e  su ciò che possiamo  fare per vivere bene.

Insomma mi ha ricondotto al carpe diem e soprattutto al buon senso di cercare di vivere nel miglior modo possibile.

Riprendiamo in mano allora i consigli di Seneca, sempre attuali e di grande aiuto. Consigli per vivere felici tratti dalle lettere scritte al suo amico Lucilio:

“Se sarai padrone del presente, sarai meno schiavo del futuro”.

Temere il futuro spesso non ci fa godere delle piccole cose che ci possono allietare nel presente. Proprio ieri sera durante una gradevole e ottima cena in casa di amici, si parlava di cani e gatti e della gioia che donano ai loro padroni. Io ho una deliziosa gattina nera che mi ama, mi fa compagnia e mi diverte. Un’amica, ad un certo punto ha detto  che le piacerebbe avere un cagnolino, ma il pensiero del dolore che proverebbe al momento della sua morte non le permette di prenderlo. E’ vero, quando muore un animaletto domestico che abbiamo imparato ad amare si soffre, ne so qualcosa con tutti i gatti che ho avuto! Ma quanta gioia e allegria mi sarei negata se avessi pensato all’inevitabile dopo.

Credo che in queste considerazioni si palesi la propria Weltanschauung: dobbiamo vivere male perchè prima o poi dovremo morire? O conviene cogliere giorno dopo giorno le cose belle che la vita ci offre?

Mi ritorna alla mente un quadro di Andrea Pozzo, ammirato stamattina al Museo Diocesano Tridentino, che raffigura Eraclito e Democrito, uno con il volto oscuro e disperato, l’altro, già vecchio, con un grande sorriso. Rappresentano i due atteggiamenti con i quali rivolgersi alla vita?

Certo la vita non è semplice, nè facile, anzi  a volte molto dolorosa, ma un po’ di spazio per la speranza ci deve essere.

Ottimo consiglio è quello di non agitarsi (io ci sto provando!) e  cercare di stare tranquilli in compagnia di se stessi proseguendo il proprio  percorso esistenziale, e ne abbiamo da fare!  Scrive Seneca:

“Perchè non dovrei avere più niente da mettere in ordine, da limare, da migliorare? Vedere i difetti che prima non si vedevano è segno di progresso…”.  

Il nostro primo amico migliore siamo dunque noi stessi, conoscerci a fondo ci può far vivere meglio e non in solitudine.

“Riposo in me stessa” scriveva anche Etty Hillesum, cioè “riposare” dentro di noi  per attingere l’energia che ci potrà condurre all’equilibrio interiore.

Nelle varie lettere di Seneca a Lucilio ce n’è una particolarmente preziosa , quella che dice: “…innanzitutto, impara a godere”. Consigli sempre validi, che ognuno però dopo 2000 anni, deve interpretare a modo suo.

Anche Lorenzo il Magnifico declamava ” …chi vuol essere lieto sia, del doman non v’è certezza…”

Chiediamoci  anche noi se riusciamo a gustare la vita, almeno in alcuni momenti del giorno.

Un incontro con un amica, i merli che cominciano a cantare come presagio della fine dell’inverno,  una cena con amici, una mostra di pittura, una telefonata della figlia, le prove divertenti per una scenetta di Carnevale,  le coccole ala gattina, l’attesa dell’imbrunire come fa la mia amica Cristina…

“Sfruttiamo ogni ora e siamo contenti di noi stessi”  è il filo conduttore di questo libretto azzurro.

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JANE EYRE, e il diritto al bovarismo

pubblicato da: admin - 6 Febbraio, 2010 @ 7:03 pm

scansione0009scansione0008 Permettetemi in un pomeriggio invernale, in cui si desidera un angolo comodo e conosciuto, sia sul divano che nella mente,  di riprendere in mano un vecchio libro di Charlotte Brontè, che come vedete nell’immagine è piuttosto consumato. Lo acquistai nel 1961 in un negozio di oggetti usati.  Non so dire quante volte l’ho riletto e quanto ogni volta sono rimasta intrappolata nella sua atmosfera. L’identificazione totale, tipica del bovarismo di cui scrive Pennac, mi ha sempre emozionata.

 La  storia di Jane Eyre è diventata quasi parte del mio DNA, è come se la mia vita si fosse dilatata comprendendo anche la sua.

Leggere espande la propria esistenza, la duplica, la triplica, perchè partecipiamo in prima persona ad altre avventure umane.

Siete d’accordo?

Questo romanzo, pubblicato nell’era vittoriana, mi affascina, non solo per i luoghi in cui si svolge, la campagna inglese, o per i temi gotici che troviamo nel pauroso segreto custodito da Grace Poole, ma soprattutto per la protagonista, Jane Eyre, che si può definire un’antesignana del femminismo.

Ricordo il film di Zeffirelli con Wulliam Hurt e Charlotte Gainsbourgh che ha ricreato benissimo le atmosfere cupe e romantiche del libro. E ricordo anche lo sceneggiato televisivo di tantissimi anni fa in cui recitavano Raf Vallone e Ilaria Occhini.

E’ autobiografico in molte parti. Sappiamo che Charlotte Brontè venne mandata con le sorelle in una scuola per figlie di ecclesiastici dove il vitto scarso, la mancanza d’igiene, il freddo causarono la morte delle sue sorelle maggiori e debilitarono per sempre il fisico a lei e a Emily.Questo spaventoso collegio sarà rievocato proprio nella prima parte della storia, quando  Jane vi ci viene mandata da una zia cattiva.

 Il riscatto della nostra eroina ottocentesca, anzi anti-eroina perchè Jane è povera, poco avvenente, razionale, di buon senso, giunge quando diventerà l’istitutrice della pupilla del signor Rochester.

Inedito per l’epoca, è il modo in cui Jane e il signor Rochester si innamorano, cioè grazie alla conoscenza profonda e alla stima.  Intriganti  e moderni i loro dialoghi .

Nella torre del castello vive la moglie pazza di Rochester, e quando Jane lo scopre fuggirà, perchè la sua moralità e la sua onestà  non le  permettono di rimanere accanto ad un uomo sposato.

Solo quando saprà che lui non solo è libero da vincoli matrimoniali, ma è diventato cieco e povero, e cioè di pari condizioni, ritornerà a Thornfiled. 

 Jane Eyre diventa così il simbolo della self made woman, della  donna che si è fatta da sè grazie alla sua forza, al suo coraggio e al buon senso.

E’ questo, uno dei libri più letti dalle ragazze come lo è anche  Cime Tempestose  scritto dalla sorella di Charlotte, Emily . Queste sorelle  Brontè, rimaste orfane di madre molto presto, sono vissute nella brughiera dello Yorkshire con il padre pastore protestante , il fratello Patrick e la sorella più piccola Ann, autrice anch’essa di un romanzo. Da ragazzi sembra inventassero storie e giochi letterari.

Charlotte Brontè si sposò tardi e morì nel 1855, in attesa di un figlio, a soli 39 anni.

                                                                                                                            *               *               *                *                

 

E voi, in quale personaggio letterario  vi riconoscete o  vi identificate? O semplicemente amate?

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COME UN ROMANZO di Daniel Pennac

pubblicato da: admin - 5 Febbraio, 2010 @ 4:30 pm

scansione0005200px-Daniel_PennacStamattina ho riportato in Biblioteca i due libri che avevo preso in prestito alcune settimane fa, l’autobiografia di Jung e un altro, un romanzo di uno scrittore austriaco che una mia cara amica, appassionata lettrice, mi aveva consigliato, ma che io non sono riuscita a finire. Mentre camminavo nell’aria gelida mi chiedevo che cosa mi aveva spinto a interrompere la lettura. Forse non era il momento giusto per leggere una storia ambientata nel 1800 tra le Alpi austriache, nonostante il freddo comune. Non sono riuscita ad entrare in sintonia con il ragazzo sfortunato, un genio musicale, dagli occhi gialli. Certi avvenimenti e personaggi mi hanno fatto sentire a disagio. Insomma, mi sono appellata al III emendamento di Daniel Pennac, cioè al diritto di non finire il libro.

Io sono una di quelle lettrici che deve identificarsi  o partecipare totalmente; ho diritto al bovarismo, che come descrive Pennac è:

“la soddisfazione immediata ed esclusiva delle nostre sensazioni: l’immaginazione che si dilata, i nervi che vibrano, il cuore che si accende, l’adrenalina che sprizza , l’identificazione che diventa totale …”

Da ragazzina lo praticavo intensamente: dopo la lettura agivo e parlavo come i protagonisti del libro, sotto lo sguardo di compatimento di mia nonna Bianca. Ora in tono minore, lo pratico ancora.

Non sempre si mette in atto il bovarismo, lo si fa soprattutto quando ci sono personaggi a noi simili, ai quali vorremmo assomigliare o verso i quali abbiamo una totale empatia.

Che altro ci suggerisce Pennac, il cui vero nome è Daniele Pennacchioni, classe 1944, in questo saggio?

Innanzitutto di leggere, leggere,leggere.

                                                 “La lettura è una compagnia che non prende il posto di nessun’altra, ma che nessun’altra potrebbe sostituire”

Pennac ha insegnato lettere in un Liceo parigino dove ha compreso la disaffezione alla lettura da parte degli adolescenti. Affronta quindi anche il problema di come si possa stimolare i giovani non tanto alla lettura in sé e per sé, quanto al piacere di essa.

Come ex insegnante di lettere ricordo le ore dedicate a parlare di libri con i ragazzi e i risultati che spesso ottenevo.

Ripenso a Luigi, bravissimo studente ormai pronto per la maturità classica, (che ogni tanto partecipa al blog)  ora appassionato di documenti e reperti della I guerra mondiale, che si offrì coraggiosamente di leggere “Cime Tempestose”, mentre le ragazzine si erano rifiutate. Gli piacque molto.

Anche il luogo in cui si legge può influire sul modo di assaporare un libro: in estate sotto un albero frondoso è magnifico, sul divano di una caldo soggiorno con una tazza di tè accanto, a letto la sera, o in un luogo affollato per crearsi una sorta di nicchia. Ognuno ha il suo luogo privilegiato…

Qual è il vostro?

Ecco in calce i diritti imprescrittibili di Pennac. Siete d’accordo, con tutti, con alcuni?

I diritti imprescrittibili del lettore

I.  Il diritto di non leggere

II. Il diritto di saltare le pagine

III.Il diritto di non finire il libro

    IV. Il diritto di rileggere

V. Il diritto di leggere qualsiasi cosa

VI. Il diritto al bovarismo (malattia testualmente contagiosa)

VII. Il diritto di leggere ovunque

VIII. Il diritto di spizzicare

IX .Il diritto di leggere a voce alta

X.  Il diritto di tacere

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RICORDI SOGNI RIFLESSIONI di C.G.Jung

pubblicato da: admin - 4 Febbraio, 2010 @ 7:42 pm

scansione0003jungDa sempre sono stata intrigata dalla lettura di testi di psicoanalisi, da profana s’intende, per avere chiarimenti e spiegazioni del nostro comportamento umano. Ho capito  con stupore la causa di certi atteggiamenti miei e degli altri, riesco a interpretare i miei sogni, soprattutto sto meglio se esploro a fondo il motivo di certi malesseri. Misteriosa e affascinante  è la nostra psiche!

 Ho letto molti testi di Freud, qualcuno di Jung e altri. Quando ho saputo dell’autobiografia di Jung, edita nel 1965, sono andata a cercarlo di corsa nella nostra bella biblioteca di Via Roma, al secondo piano. Un po’ malandato, ma c’era. Cosa  c’è di meglio che  scoprire  i pensieri e i sogni di un grande scienziato che ha scandagliato la psiche umana? La sua autobiografia è un’ autoanalisi che aiuta anche noi  a capire quanto importante, per vivere meglio, conoscere a fondo se stessi.Â

E’ stata la sua segretaria  Aniela Jaffè a spingerlo a scrivere di sè, Jung nicchiava un po’. Tanto che esordisce dicendo che la vera soria di una persona, spesso è quella delle esperienze interiori, delle scoperte. Le circostanze esterne a volte non lasciano il segno e non caratterizzano una vita tanto quanto le vicende del cuore e della mente. Poi diligentemente inizia a raccontare dividendo la sua vita in capitoli.

Nasce nel 1875 nel Cantone di Turgovia, da un pastore protestante.  Dice che ha dei  ricordi del primo anno di vita, disteso in un beato stato di benessere  in carrozzina sotto un albero frondoso e poi sul seggiolone.

Anche qualcuno di voi ha ricordi così lontani nel tempo?

 E’ un bambino solitario, assorto in meditazioni, fa sogni molto particolari, che in seguito, ricordandoli, gli daranno lo spunto per la sua tesi dell’inconscio collettivo e degli archetipi. Ricorda di aver subito notato una parte di sè, la n.2, come la chiama, e che aveva anche la madre, più vicina alla natura e a certi fenomeni paranormali. A scuola soffre di malattie psicosomatiche gravi, che spariranno dopo un’attenta anlisi personale e un grande sforzo di volontà.

Studia medicina e si specializza in psichiatria. Vuole conoscere i profondi segreti delle malattie mentali, ma anche quelli della psiche in generale della quale, con Freud,  si è finalmente iniziato a parlare.

  Dice “A me il destino donò, come ad Ulisse una “nekuia”, un compito, quello di scendere nel buio dell’Ade”.

Si dissocia da Freud per quanto riguarda la libido. Per Freud solo le pulsioni sessuali sono la causa delle psicosi, per Jung invece ci sono altri aspetti oltre alla sessualità che concorrono a far nascere le malattie mentali. Per Freud l’inconscio è vuoto dalla nascita e poi si riempie delle cose dannose che la coscienza (l’Io) non sopporta. Jung invece dice che l’inconscio è autonomo e ha già, a priori, un serbatorio di immagini primordiali condivise. L’inconscio collettivo è comune a tutti, come è comune il simbolismo degli archetipi, dei miti . Nei nostri sogni, continua Jung, esprimiamo la nostra vita in maniera primitiva, ma se li capiamo individuiamo meglio il cammino per il raggiungimento armonico del nostro Sè, della nostra personalità.

Jung si sposa, ha 5 figlii e lavora, scrive, analizza. Si sofferma parecchio sull’alchimia, sul paranormale, crede nei “fantasmi,” ne ha avuto prove egli stesso. A 50 anni costruisce una Torre, di forma circolare, a Bollingen dove andrà per sei mesi all’anno a eleborare le sue teorie. Senza acqua corrente, senza elettricità , Jung vuole vivere allo stato pià naturale possibile, per concentarsi sul lavoro. La Torre che diventerà il simbolo del suo progresso nella conoscenza di sè, si alzerà in muratura anno dopo anno.

E’ veramente interessante : i suoi pensieri, le sue intuizioni, i suoi sogni verranno infine rappresentati anche graficamente. Farà spesso dei mandala esplicativi della sua vita psichica.

Jung muore nel 1961, dopo una vita intensa e proficua. Ha scritto più di duecento opere!

Nella mia biblioteca casalinga ho  “L’uomo e i suoi simboli”, che avevo letto con grande passione. Quante cose misteriore abbiamo in noi! Â

Chi di voi è appassionato di psicologia o psicoanalisi ?

Chi invece la rifiuta? Un mio vecchio amico era solito brontolare: “Ha fatto più danni Freud che una guerra…!”

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ODE AL VINO di Pablo Neruda

pubblicato da: admin - 3 Febbraio, 2010 @ 6:37 pm

Pablo_Neruda_(1966)“Ode al vino e altre odi elementari”, è una parte della raccolta “Odas elementales ” composta da Neruda a partire dal 1954  e scansione0002che io vorrei presentarvi oggi come trait d’union al libro “Il pane di ieri” di Enzo Bianchi. In queste poesie vengono  cantate le cose più semplici e fondamentali della nostra vita. Si privilegia la materialità: i cibi innanzitutto, i sapori, gli odori, i fenomeni naturali, gli animali, le piante, le parti del corpo. Neruda usa parole semplici per farsi comprendere da tutti e sfida i lettori  a trovare la poesia proprio nella quotidianità solitamente e storicamente ritenuta banale e prosaica.  

Pane, / con farina  / acqua  / e fuoco / lieviti.   / Spesso e leggero, / coricato e rotondo, / ripeti / il ventre / della madre,/ equinoziale / germinazione  /terrestre. Pane, / che facile / e che profondo sei! /

(Pan, con harina, / agua / y fuego/ te levantas.)    …………………………..

…il pane, il pane / per tutti i popoli, / e con esso ciò che ha / forma e sapore di pane/ divideremo: / la terra, / la bellezza, / l’amore / tutto questo / ha sapore di pane, /forma di pane, / germinazione di farina, / tutto / nacque per essere diviso, / per essere consegnato, / per essere moltiplicato……

Sappiamo che Pablo Neruda oltre a bellissime poesie d’amore scrive le sue opere con intenti sociali per denunciare l’ingiustzia, la dittatura, l’imperialismo statunitense. Si impegna in una lotta politica contro la sofferenza. Secondo lui l’intellettuale è moralmente obbligato a porsi al servizio della causa civile nel processo etico-formativo della società. Un poeta-vate dunque.

 Pablo Neruda, pseudonimo riconosciuto legalmente di Neftalì Reyes Basoalto, nasce in Cile il 12 luglio 1904.

 Nella sua formazione, importantissime  sono la letteratura e la scrittura. Abbandona l’idea di diventare insegnante per dedicarsi principalmente alla poesia. Ricopre incarichi diplomatici e politici nel Sud-est asiatico, in Argentina, in Spagna. E ‘console a Madrid dove conosce  Garcia Lorca.  Dopo il divorzio dalla prima moglie, conosce Delia del Carril, più anziana di lui di 20 anni, fautrice del comunismo, che lo indirizzerà verso l’ideale marxista. Dopo l’uccisione di  Garcia Lorca da parte dei franchisti, Neruda appoggerà totalmente il fronte popolare.  Scrive “Espana en el corazon”.

Nel 1945 è senatore in Cile. Quando però egli accuserà con il suo famoso “Yo acuso” il presidente Videla della violenta repressione contro i minatori in sciopero, è costretto ad esiliare. Si rifugia in Argentina, poi grazie anche a Picasso, raggiunge Parigi. Nel 1952 è a Capri in una villa messagli a disposizione da un amico importante. Questo periodo è immortalato per sempre nel bellissimo film “Il postino”.  Quando in Cile viene eletto il socialista Salvator Allende, Neruda torna in patria.

Gli viene assegnato il Nobel per la letteratura nel 1971.

Muore nel 1973, poco dopo il colpo di stato di Pinochet.

Ci sarebbe tanto da raccontare sulla sua vita intensa e appassionata e tanto da leggere, soprattutto in spagnolo, questa bellissima lingua che gli spagnoli hanno definito “es (o esta) l’idioma por ablar con Dios” ( chiedo aiuto a Raffaella  per l’eventuale correzione) !

Deliziamoci  ora con le sue succose odi, questi canti distesi, solari che emozionano.

ODE ALL’OLIO      

Accanto al frusciare / del cereale , tra le onde / del vento sull’avena, //   l’ulivo / dal volume argentato….

(Cerca del rumoroso / cereal, de la olas /del viento en las avenas,  // el olivo…”

Io amo / le patrie dell’olio, / gli uliveti / di Chacabuco, in Cile, /al mattino / le piume di platino / forestali / contro la rugosa / cordigliera, /ad Anacapri, là su/ nella luce tirrena, /la disperazione degli ulivi, / e nella carta d’Europa, / la Spagna,/ cesta nera di olive /sploverata di fiori d’arancio /come da una ventata marina….

Ed ancora odi  al carciofo, al cocomero, alla lattuga, all’ape, al pomodoro, persino alle patate fritte, tutte in un tripudio di versi pieni di amore e gioia  sensuale per la vita, senza mai dimenticare l’invito alla solidarietà, alla condivisione, alla giustizia,  come nell’Ode al Pane o in quella al Mais, alimento primordiale e mitico dell’America.

 “America, da un grano / di mais t’elevasti/ fino a riempire / di terre spaziose / lo spumoso /oceano. /Fu un grano di mais la tua geografia/ …….

Morderti ,/ pannocchia di mais, vicino all’oceano / dalla cantata remota e dal valzer profondo./ Bollirti / perchè il tuo aroma / s’effonda / sulle azzurre montagne./ Ma dov’è / che non giunge il tuo tesoro? / Sulle terre costiere / e calcaree, / pelate, sulle rocce / del litorale cileno, alla misera tavola / del minatore…”

ODE ALLA MELA

Te, mela,/ voglio/ celebrare /riempendomi/ la bocca /,col tuo nome / mangiandoti…

( A ti, manzana / quiero/ celebrarte / llenàndome / con tu nombre / la boca,/comiéndote….”

Io voglio/ un’abbondanza/ totale, la moltiplicazione/ della tua famiglia / voglio/ una città, una repubblica,/ un fiume Mississipi/ di mele,/ e sulle sue sponde / voglio vedere/ tutta/la popolazione/ del mondo/ unita,riunita, /nell’atto più semplice che ci sia: / a mordere una mela.

ODE AL LIMONE

Da quei fiori/ sciolti/ dalla luce della luna,/ da quell’/odore d’amore/ esasperato,/ immerso nella fragranza, / sorse /dall’albero del limone il giallo, / dal suo planetraio |discesero i limoni sulla terra…

E per concludere questa lettura,  da fare ad alta voce, mi raccomando, ricopio la prima Ode, quella al vino

Vino color de dia , vino colr de noche

Vino color del giorno,

vino color della notte,

vino con piedi di porpora

o sangue di topazio,

vino,

stellato figlio

della terra,

vino,liscio

come una spada d oro,

morbido

come un disordinato velluto,

vino inchiocciolato

e sospeso,

amoroso,

marino,non sei mai presente in una sola coppa,

in un canto, in un uomo,

sei corale, gregario,

e,quanto meno, scambievole……

Amo sulla tavola,

quando si conversa,

la luce di una bottiglia

di intelligente vino.

Lo bevano

ricordino, in ogni

goccia d-oro

o coppa di topazio

o cucchiaio di porpora

che l-autunno lavora;

fino a riempire di vino le anfore,

e impari l-uomo oscuro,

nel cerimoniale del suo lavoro,

a ricordare la terra e i suoi doveri,

\a diffondere il cantico del frutto.

 

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IL PANE DI IERI, e il sapore della vita

pubblicato da: admin - 2 Febbraio, 2010 @ 8:19 pm

scansione0001Il pane non è solo il cibo fondamentale per non morire di fame, è anche da sempre il simbolo del  nostro nutrimento spirituale.

 Enzo Bianchi, fondatore e priore della Comunità Monastica di Bose, prende lo spunto da un detto piemontese “el pan ed séira, l’è bon admàn” per riflettere sul cibo e per ricordare il suo passato.

 Nato nel 1943, egli ci racconta della sua infanzia povera nel Monferrato del dopoguerra, dove la vita era sentita  più come un dovere che come un piacere. L’Italia allora era un paese prevalentemente agricolo, ma il lavoro del contadino era molto duro. Rari e preziosi i momenti di gioia e di calore. Evitando il pericolo di rendere mitico e idilliaco il passato, Enzo Bianchi ci conduce in un mondo di piccole cose che molti di noi, anche se in modo un po’ diverso, hanno condiviso.

I ricordi si aprono come in un caleidoscopio e si agganciano alla memoria collettiva. Il suono delle campane del paese, che scandivano le ore, i racconti dei vecchi nelle lunghe sere d’inverno, le voci dei venditori di acciughe che arrivavano dalla Liguria, acciughe che sarebbero servite per la “bogna cauda” di cui viene riportata la precisa ricetta.

Si intrecciano, mentre leggo, i suoi ricordi ai miei; in Emilia, al mattino presto, in una certa stagione, in bicicletta i venditori di rane urlavano: “rane frésche…rane fresché…”.

Torniamo al pane, cibo prezioso, da rispettare: mai appoggiare sulla tavola a rovescio, raccoglierlo  persino se ne cadeva un pezzetto. Mia nonna Bianca era categorica su questie regole; persino oggi se mi accade di vedere un panino rovesciato devo metterlo diritto.

Io abitavo in una cittadina vicino alla campagna e la nonna Bianca, in giugno, mi portava nei campi di grano maturo a raccogliere papaveri e fiordalisi , spesso mi esortava ad assaggiare i chicchi di grano delle spighe. Un ricordo intenso, di cui sento letteralmente il sapore, che Enzo Bianchi mi ha donato scrivendone.

Insieme al pane, necessità per la nostra vita, c’è il vino al quale vengono dedicati i capitoli centrali. Il vino è il dono, il simbolo della festa, della consolazione, della gioia. Ricordiamo il miracolo di Gesù a Cana! Vino, non per ottenebrarci, ma per sollecitare in noi la letizia, l’apertura verso gli altri.

Stamattina, mentre felice camminavo lungo il Fersina sotto il sole, ripensavo ad ieri sera quando, nella casa colorata e luminosa di una carissima amica bionda che apre il suo salotto a incontri musicali, culturali e ludici,  abbiamo brindato per festeggiare il compleanno di un mio coetaneo. Il vino sembrava oro nei nostri calici e i nostri sorrisi erano aperti al convivio e all’amicizia.

Piantare una vigna, ci spiega il priore che vive tra i filari del Monferrato, è celebrare un matrimonio con la terra. Occorrono tempo e cura per far maturare l’uva. Noè, appena sceso dall’arca dopo il diluvio, pianta una vigna. Nel Cantico dei Cantici il vino è la gioia condivisa.

(So già di che libro parlerò domani, qualche mia amica che conosce la mia biblioteca forse indovinerà!)

Si legge che un tempo cibi e bevande erano usati con buon senso e attenzione; l’alimentazione, e quindi anche lo stile di vita, era più equibrato, pur nella povertà.

             “Sì, c’era una sapienza dei sapori, una conoscenza di limiti e virtù di se stessi e di quanto si mangiava e beveva, che garantiva un’autentica qualità della vita”

Davanti alla sua cella del Monastero, Enzo Bianchi ha un piccolo orto nel quale coltiva erbe aromatiche, orto che non solo dà gusto ai cibi, ma gli insaporisce l’anima.

Il libro si conclude con le riflessioni sulla vecchiaia, la stagione della vendemmia. “Ognuno ha la vecchiaia che si merita” diceva Erasmo da Rotterdam. Si intende ovviamente della propria vita interiore che, se abbiamo coltivato amorevolmente come una vigna, ci darà grappoli d’uva maturi e succosi.

Mi piace l’immagine delle vigne in autunno: le foglie colorate, rosso fuoco, dorate e piene di sfumature calde sono talvolta più attraenti dei fiori a primavera.

 

 

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