MINUETTO , una novella di Guy de Maupassant

pubblicato da: admin - 13 Marzo, 2010 @ 8:39 am

filarmonica 2010 004scansione0014Domenica scorsa mia figlia Stefania e la sua amica violinista Francesca Vicari hanno suonato  pezzi di Mozart nella Sala della Filarmonica di Trento, in occasione dei Concerti della Domenica.

Alla fine della Sonata in mi minore K 304  e dopo il  “Tempo di Minuetto”, il signor Riccardo Gadotti ci ha deliziato con la lettura di una bellissima novella di Guy de Maupassant, intitolata appunto “Minuetto”. E’ il racconto di un cinquantenne che ha vissuto molto, visto tante disgrazie e la brutalità della guerra, ma che nel suo cuore, più commovente di tutti,  è rimasto un ricordo intensissimo  risalente alla sua gioventù. Da ragazzo infatti, racconta, era solito passeggiare nel vivaio dei giardini del Luxembourg, un piccolo spazio pieno di siepi, dai viali calmi e stretti, tra aiuole fiorite, rosai, e alberi da frutta, “un giardino grazioso come un dolce sorriso di vecchia”

Una mattina incontra uno strano vecchietto abbigliato come nel Settecento: calzoni al ginocchio, scarpini con fibbia d’argento, merletti. Magrissimo, contorto, sorridente tiene in mano un bastone col pomo d’oro. Lo “spia” con curiosità anche nelle mattinate a venire ed ecco che un giorno egli comincia a saltellare, fare una riverenza, insomma danzare e poi inchinarsi nuovamente e mandare baci a un pubblico immaginario. Ogni giorno la stessa cosa fin quando il nostro protagonista non si mette a chiacchierare con lui. Che gioia per quel vecchietto poter  raccontare di sè: egli era stato maestro di ballo all’Opera ai tempi di Luigi XV e poi aveva sposato nientemeno che la Castris, la grande ballerina amata da principi e persino dal re.

Un pomeriggio di maggio il narratore incontra anche la famosa Castris “il suo vestito nero sembrava intriso di chiarore“. Chiede al vecchio ballerino che cos’è un minuetto e questi , trasalendo, risponde: “Il minuetto, signore, è la regina delle danze, è la danza delle regine..” Poco dopo, con un inchino galante, invita sua moglie a danzarlo. Quello che il protagonista vede sarà indimenticabile, la cosa più commovente e dolce mai vissuta. I due vecchietti si dondolano, fanno inchini, vanno avanti e indietro sorridendo e facendo smorfiette infantili, come bamboline un po’ logore mosse da un meccanismo arrugginito. La malinconia provata, mista a pietà ,dentro di sè  lo fa ridere e piangere.  Anche i due ballerini , finito il loro minuetto, si abbracciano e piangono.

Il signor Riccardo Gadotti ha letto benissimo queste righe di Maupassant lasciando nei nostri cuori lo stesso interrogativo che si pone il narratore. Perchè questo ricordo tormenta, assilla, come una ferita? Perchè la giovinezza con tutto il suo splendore finisce? Perchè la vita stessa finisce?

Fortunatamente,  Stefania e Francesca  subito dopo hanno ripreso a suonare e la musica ci ha riconciliato con l’essenza lieta della vita.

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OLIVE KITTERIDGE, una donna qualunque

pubblicato da: admin - 12 Marzo, 2010 @ 4:42 pm

scansione0013200px-Olive-kitteridge_l[1]Vincitore del premioPulitzer 2009, questo romanzo di Elizabeth Strout si fa leggere rapidamente e con piacere. La protagonista, Olive, è un’insegnante in pensione di mezza età (come me e come molte mie care amiche) che vive in una cittadina del Maine, affacciata sull’Atlantico.

Si tratta in realtà di una raccolta di 13 racconti, tenuti insieme dal filo conduttore della presenza di Olive in ognuno di essi. Talvolta lei ne è la principale protagonista, altre volte appare fugacemente o viene soltanto ricordata. 

 Olive Kitteridge influenza la vita dei suoi concittadini. E’ un tipo asciutto, talvolta irascibile, oppressiva con il marito e il figlio, ma il suo sguardo severo, da ex insegnante, è molto attento su ciò che accade. I suoi consigli lapidari e di buon senso  aiutano più di una volta ex-studenti, donne abbandonate, aspiranti suicidi.

La sua sembra un’esistenza banale, trascorsa fra casa e scuola, anche un po’ malinconica proprio nel lento e inesorabile invecchiare, con l’abbandono dei figli, le persone care che muoiono, ma tutto è  illuminato dalla consapevolezza che si “cammina” insieme e che ogni persona  è importante, così com’è, e per una piccola comunità, e per la famiglia.

E’ un libro non retorico, si parla divita verosimile, con le sue luci e le sue ombre: insoddisfazioni, rancori, amore, attenzione, malinconia, amicizia,  solitudine. Una vita come la nostra, come quella di tutti noi, ma sempre degna di essere vissuta.

Elizabeth Strout riesce a far “vedere” nitidamente in  immagini gli squarci di vita narrati, sembra  far sua la luce dipinta da  Edward Hopper, quella  che entra dall’esterno a illuminare un attimo fermo dell’esistenza di qualcuno.

E proprionell’ultimo racconto Olive, ormai settantenne, si ritrova in una stanza piena di sole a pensare “che il mondo la confondeva. Non voleva ancora lasciarlo.”

 

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HARRY, RIVISTO – E la possibilità del cambiamento

pubblicato da: admin - 11 Marzo, 2010 @ 8:27 pm

scansione0012Stiamo proseguendo sulla strada che ci eravamo prefissati? Siamo diventate le persone che volevamo essere? Forse sì, forse no, forse soltanto un po’.

Capita talvolta che un evento improvviso e traumatico, capovolga e rivoluzioni tutto il nostro modo d’essere. E’ ciò che capita ad Harry Rent, un radiologo californiano quarantenne, appena rimasto vedovo. La sua storia raccontata da Mark Sarvas coinvolge e diverte perchè anche nel dolore e nello smarrimento che Harry sta vivendo per la perdita della moglie Anna, ci sono momenti di grottesco umorismo ed eventi inaspettati. Chi si aspetterebbe che appena rimasto vedovo  egli si “innamori” di Molly la cameriera del Cafè-Rétro? Ma tutto ha un senso e un percorso “obbligato” per quest’uomo medio, “senza qualità“, ingenuo, sensibile e  un po’ incosciente. Mentre osserva la bellezza sensuale di Molly sente al posto della memoria un pozzo vuoto. Mangia per far piacere alla procace cameriera un “Montecristo”, un aborrito dolce fritto, che però diventerà il trait-d’union fra lui e la ragazza, ma non solo, fra lui e lo stesso Conte di Montecristo, Edmond Dantès. Si chiede, in questa specie di vita sospesa che si ritrova a vivere, come si sarebbe comportato proprio Dantès. Liberi pensieri, associazioni, fantasticherie assurde, ma anche improvvise azioni generose, come un consistente aiuto economico ad una grassa collega diMolly.

Lentamente si renderà consapevole di ciò che era e di ciò che vorrebbe diventare. In rapidi  flash Harry rivedrà e ricorderà con più chiarezza  e sensi di colpa gli anni dimatrimonio passati con Anna, rivivrà anche la sua inadeguatezza nei confronti di lei.

“…e infine scorge la moglie seduta sul balcone a leggere Madame Bovary. Harry si ferma un momento e la guarda..i capelli neri raccolti a coda di cavallo, la linea forte del collo. Anna ha sempre avuto fattezze regali – mento vigoroso, zigomi marcati, una faccia con un pedigree, un pedigree che a volte fa sentire Harry sminuito.”.

Harry ricorda quando Anna gli ha relegato tutti i suoi oggetti preferiti nel seminterrato, ma anche quando  lei decide di rifarsi il seno per piacere a lui che la tradisce con ragazze più giovani.

Matrimonio di incomprensioni e di cose non dette, ma anche di amore, questo è il punto di partenza da cui cercare con rabbia e nostalgia il bandolo della matassa per districare vecchi rancori e profonde emozioni. Ricominciare. Un cammino doloroso, faticoso che porterà  Harry a una rinascita consapevole e onesta. 

Si può “aggiustare il tiro” della propria vita anche senza eventi drammatici? Che cosa ci può sollecitare a cambiare e ad avere nuovi punti di vista?

Siamo le persone che volevamo essere? O almeno ci proviamo? Possiamo “rivedere” noi stessi qualche volta, come accade in Harry, rivisto?  (Harry, Revised)

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CERCANDO EMILY DICKINSON; e qualcosa di noi

pubblicato da: admin - 10 Marzo, 2010 @ 8:03 pm

La curiosità è una delle malattie più interessanti ed estenuanti da cui un lettore possa essere contagiato” scrive una critica letteraria.  E’ così anche per me. Appena ho visto in biblioteca un ennesimo scritto su una delle  mie poetesse preferite ho dovuto prenderlo e portarlo a casa.  Alessandra Cenni scava a fondo nella vita della poetessa americana, analizzando le migliaia di poesie scritte e le innumerevoli lettere destinate a varie persone. Il quadro del suo pensiero si estende in pennellate profonde e incisive. Di questa donna, fattasi volontariamente “prigioniera” nella sua stanza di Homestead ad Amherst scopriamo una verità insospettata che riguarda il suo rapporto con la madre. E’ strano che una riflessione madre-figlia si possa analizzare non dai saggi psicoanalitici che ho in casa come “Di madre in figlia”, “Mia madre, me stessa”, ma dagli scritti di questa  ragazza  dell’Ottocento, la più grande poetessa americana, quella che ha ispirato i poeti a venire, non ultimo il nostro Eugenio Montale.

Che cosa sapevamo di lei? Che il  padre autoritario, severo le dettava le regole comportamentali, sappiamo anche che  egli spesso veniva bonariamente preso in giro proprio da questa figlia dal “cervello come un diamante”. Ciononostante Emily ammirava suo padre, ne cercava la sicurezza e la protezione proiettando queste esigenze anche su altri uomini.

Ma la madre?  Emily scrive di lei “Mia madre non sa cosa significhi “pensiero”…non ho mai avuto una madre”Credo che madre significhi una persona da cui si va quando si ha bisogno”.

Mrs. Emily  Norcross Dickinson, sua madre, è senz’altro “la persona più sfuggente” della famiglia,  viene definita solo da ciò che le manca.  Ma proprio perchè sfuggente, inafferrabile è la più desiderata. Emily brama una figura femminile valida in cui identificarsi e che non sia soltanto la vestale dei lavori domestici.

La ricerca di una madre si estrinsecherà nelle poesie dedicate alla cognata Susan Gilbert e all’amica Kate Scott, dove scopriamo metafore e simbologie erotiche legate  al desiderio di cibo o alla privazione alimentare. Cibo= amore è l’esperienza psichica primaria.

Ma il vuoto affettivo che la madre “banale” le crea intorno è la spinta per la crescita della sua poesia.

Che cosa vogliamo da una madre? Che cosa diamo come madri?  Sono certa che questo sia il rapporto più importante nella vita di ciascuno di noi , soprattutto per le donne per le quali l’identificazione gioca un ruolo basilare. “Mia madre, me stessa” citavo poc’anzi.

Sulla mia pelle sento mia madre, non solo perchè mi sembra invecchiando di  assomigliarle sempre più (-mi guardo allo specchio e vedo lei -) , ma perchè la sento respirare in me, la sento veramente “ impastata” nella mia visione della vita, pur ricordando le nostre differenze.

Non sarà così per tutte? Dipenderà dalle tante circostanze della vita?

Per Emily Dickinson, dal “cuore puro e terribile “la madre è associata quasi al Terrore “Corro sempre a Casa per il Terrore, come un bambino, se mi accade qualcosa. E’ stato come una Madre tremenda , che più di tutto amavo.”

Se l’originario rapporto simbiotico  che si instaura tra madre e figlio alla nascita è appagante e rassicurante, molto più difficile è separarsene, affermare la propria individualità, “come impone di necessità la vita adulta” conclude Alessandra Cenni in questo intenso scritto “Cercando Emily Dickinson”, che come ogni buon libro, ci aiuta a cercare anche noi stessi.

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FOTO-STORIE di ordinaria immigrazione, di Enrico Fuochi

pubblicato da: admin - 9 Marzo, 2010 @ 6:46 pm

Immag0045scansione0009Ieri sera mi trovavo con gli amici dell’Accademia delle Muse, di cui anche Enrico Fuochi fa parte, a Palazzo Thun, per la sua bellissima mostra fotografica, sulla realtà degli immigrati in Trentino.

E’ straordinario quanto uno sguardo attento ed empatico possa carpire le vite degli altri: la malinconia, la letizia, la disperazione, la speranza. Ogni immagine in bianco e nero, rigorosamente quadrata, è un mondo-pensiero e un “altro da noi” che ci sono stati  donati grazie alla sensibile  macchina fotografica di Enrico.

Ogni foto una storia, un passato, un racconto, più o meno  breve, ma sempre intenso. Ho ritrovato volti noti come la signora cinese proprietaria di un noto ristorante in città, frequentato spesso da me e la mia famiglia per gli ottimi involtini primavera, altri che conosco di vista; ma soprattutto ho ritrovato con emozione il volto sorridente di  Alban un ex-alunno mio e di Marina , moglie di Enrico. Quanti anni sono passati da quando timido e piccolo come uno scricciolo cercava di integrarsi nella nostra scuola e nella nostra comunità? Ora è un gommista e la esemplare foto di Enrico Fuochi ce lo mostra giunto a una sua centratura esistenziale, proprio racchiuso dentro al cerchio di uno pneumatico. E’ rilassato, con un lieve sorriso e lo sguardo fermo. Come sua ex-insegnante e come persona sono molto fiera e commossa di avere la prova del suo “approdo” fra noi. E tutti questi altri visi? Che storie ci raccontano? 

Alcune  immagini  inquietanti ci devono scuotere: il viso imprigionato nella scatola di sardine appoggiata tra i quotidiani, una selva di matite bianche con in mezzo un’unica  nera, un po’ sbilenca. Certamente di tutta la ricchezza simbolica e psicologica che emerge da questi volti si parlerà giovedì 11 marzo, alle ore 17.30, alla presentazione del libro nella Sala degli Affreschi della Biblioteca.

A me è arrivato al cuore un afflato di corrispondenze emozionali;  mi ricordo tutto il lavoro nei miei anni di scuola per aiutare tanti bambini sperduti e sempre un po’ “stranieri” a trovare appigli per un po’ di gioia e fiducia. Come non ricordare Shanti  o Yousuf che attraverso le poesie che facevo loro scrivere rivelavano un vissuto di distacco forzato, di abbandono e cocente nostalgia per le “distese di riso che ondeggiavano come il mare”? E come non sentire il cuore aprirsi come un fiore quando questi bambini venivano accettati con naturalezza dai nostri ragazzi trentini? Non è stato sempre facile, le resistenze c’erano, ci sono e ci saranno, i pregiudizi sono forti da debellare, spesso si fa di tutta l’erba un fascio.

Distinguiamo persona e persona, ascoltiamoli, sorridiamoci. Scopriamo mondi che ci possano arricchire, colorati di pensieri affettuosi, usanze particolari, cibi nuovi. Ricordo il pane arabo cucinato da Sakina…che buono! E il regalo che mi portò tornando dal Marocco, soltanto perchè io le avevo donato un libriccino! Questi ragazzi sono assetati della nostra comprensione, del nostro rispetto, del nostro amore e sono pronti a regalarci i loro sorrisi.

E ne abbiamo visti parecchi nelle foto di Enrico Fuochi.

Insomma, ieri sera è stato un momento magico. Mi trovavo con i cari amici dell’Accademia delle Muse : Cristina la presidentessa, Riccardo il segretario che mi ha scattato la foto sopra, sua moglie Maria Teresa (K.), Marina e tanti altri. Abbiamo ascoltato la presentazione di Enrico, di Chistè e di Lucia Maestri; abbiamo brindato fra noi e con tutte le persone fotografate intorno a noi.

Storie di ordinaria quotidianità fra storie di ordinaria immigrazione.

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VINDICATION, o i diritti delle donne

pubblicato da: admin - 8 Marzo, 2010 @ 3:31 pm

180px-MaryWollstonecraftE’ entrato nel nostro costume festeggiare la donna con un giorno speciale, l’ 8 marzo, per ricordare le 129 operaie morte in un laboratorio tessile  negli Stati Uniti nel 19o8.  Volevano scioperare ma il “padrone” non lo permise e le chiuse a chiave non lasciando loro scansione0008 così via di fuga all’incendio scoppiato poco dopo.

Quanta strada ha fatta la donna per raggiungere pari diritti degli uomini! Forse finalmente,  almeno nel mondo occidentale, sembrano raggiunti.  Mi pare  perciò obbligatorio parlare di un’antesignana del “femminismo”, meglio dire di una giustizia necessaria, quale fu Mary Wollstonecraft la cui vita viene raccontata mirabilmente, in forma romanzata, da  Frances Sherwood.

In questo appassionante romanzo, intitolato appunto “Vindication”, si legge della vita e del pensiero di questa straordinaria donna nata nel 1759 e morta di parto a soli 38 anni.

Nasce in una famiglia povera e numerosa, il padre cambia spesso lavoro, gioca, beve ed è brutale con la moglie. Mary non sopporta queste palesi ingiustizie e difende la madre cominciando a chiedersi del perchè di queste situazioni accettate supinamente.

Frances Sherwood le fa dire a proposito degli uomini : “Odiarli? Non odio gli uomini. Odio la violenza. Odio, chi , essendo più forte, vessa chi è più debole. Le donne sopportano troppe cose per amore del matrimonio”

Sono considerazioni valide purtroppo anche oggi. Quante donne sopportano violenze fisiche e psicologiche soltanto per sentirsi sicure nel legittimato contratto matrimoniale, quando oggi, finalmente, potrebbero armarsi di coraggio e vivere indipendenti?

Un’amica infelice di Mary le confesserà ” Non sono coraggiosa come te, Mary. Io non so vivere tutta da sola al mondo, senza un uomo che mi protegga:”

Invece la  Woolstonecraft ce la fa, grazie soprattutto alla cultura che conquista da autodidatta. Legge molto e riesce a frequentare, grazie ad un’amica,  circoli intellettuali dove conosce persone importanti e le nuove idee dell’Illuminismo.  Finalmente riesce ad abbandonare la casa paterna e trovare lavoro come dama di compagnia da una signora di Bath dove impara anche le norme comportamentali degli ambienti della “buona società“.

Continua a leggere e a studiare acquisendo una buona conoscenza della storia, della politica e della cultura del tempo.  Dice : ” Chi ha mai detto che sia l’uomo il giudice unico della genialità, se la donna gode non meno di lui del dono della ragione?” Dopo un fallito tentativo di aprire una scuola, si mette a scrivere pensieri e riflessioni sull’educazione generale delle femmine, abbozzo del suo più famoso e importante libro “Vindication of the right of woman”,pubblicato dopo il 1792,  che è una critica all’educazione riservata alle donne rese incapaci dalla società del tempo di affrontare i problemi importanti della vita, perchè relegate in un ruolo “ridicolo e dannoso”, quasi di minorate psichiche.

Legge Rousseau, scrive un romanzo autobiografico dove sottolinea, come una vera romantica, l’importanza della fantasia, del sentimento religioso, del viaggio come metafora della crescita personale.

Cambia occupazioni, le vengono pubblicati alcuni scritti, frequenta  ancora salotti culturali dove conosce Blake, Fuessli e il filosofo William Godwin. Lavora quindi in una casa editrice dove traduce articoli degli illuministi francese, critica Rousseau che nell’ “Emile” scrive che le donne “dovevano piacere agli uomini , essere loro utili, …render loro piacevole la vita.” (ORRORE). Le vuole trasformare in “schiave civettuole per essere l’oggetto del desiderio dell’uomo che con lei si può svagare”.  Ma sono cambiate le cose oggidì?

Intanto scoppia la Rivoluzione francese e vengono stilate “Le Rivendicazioni dei diritti dell’uomo”. Pronta la Woolstonecraft risponde con il suo libro.

La sua vita sentimentale è abbastanza libera, ha una relazione con Fuessli, sebbene questi sia già sposato. Ha una figlia da un avventuriero che la farà soffrire tanto da portarla a una grave depressione. Ma il lavoro la aiuta a risollevarsi e finalmente ritrova William Godwin . Si innamorano, lei rimane incinta. Decidono di sposarsi anche se entrambi considerano il matrimonio un’inutile formalità.  Vivono in due case separate per conservare la propria indipendenza.

Purtoppo questa donna impavida, eccezionale per l’epoca, libera, onesta, muore il 30 agosto 1797 dando alla luce la sua seconda figlia Mary (come lei). Affranto dal dolore il marito scriverà: “Credo che non esistesse una donna uguale a lei nel mondo”.

Ma sapete chi era sua figlia? Mary Godwin Shelley, la creatrice di Frankstein!

Anche in questa speciale giornata di fredda primavera, colorata dal giallo delle mimose, noi donne siamo soddisfatte di ciò che abbiamo raggiunto? Io direi di sì, abbiamo pari diritti legali, di opportunità, di giustizia. Ma noi siamo pronte ad essere veramente libere?

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SOLSTIZIO D'INVERNO,quando la vita può ricominciare

pubblicato da: admin - 7 Marzo, 2010 @ 7:34 pm

DSCF0165scansione0007Ogni tanto occorre inframmezzare le letture con un dolce e piacevole romanzo di Rosamunde Pilcher. Il libro scorre veloce  tra le mani suscitando sentimenti positivi, suggerendo forza d’animo e speranza.

  I protagonisti  di Solstizio d’inverno sono due ultrasessantenni: Elfrida che appena rimasta vedova lascia Londra e si trasferisce in un villaggio dello Hampshire e Oscar, un musicista,  che perderà tragicamente la famiglia,  poco dopo.

Le due solitudini che combattono il dolore della scomparsa dei loro cari cercano di consolarsi a vicenda, ma si nota più coraggio in Elfrida che riesce a trovare serenità grazie al nuovo ambiente ed a una rete di amicizie positive.

Le donne si sa affrontano meglio il dolore quando si trovano improvvisamente senza il compagno di una vita. Forse siamo più coraggiose? O abituate a soffrire di più perchè portate per nostra indole a sopportare?

Uniti dal lutto da superare, presto però Elfrida ed Oscar riusciranno entrambi a ricominciare una vita insieme. Si trasferiranno in Scozia, incontreranno altre persone e altre storie.

Le ambientazioni sono sempre suggestive, dalla campagna inglese, ai pubs fioriti di petunie, dai salotti confortevoli con il caminetto acceso, alla Scozia prenatalizia. Insomma passione, delicate emozioni,  descrizioni piacevolissime, felicità che riappare.

Rosamunde Pilcher è nata nel 1924  in Cornovaglia, scenario di quasi tutti i suoi racconti, ma vive ora in Scozia. Ha scritto moltissimo e nel 2002 la Regina Elisabetta le ha conferito il riconoscimento OBE, Officer of the Order of British Empire. Dai suoi romanzi la televisione tedesca ha tratto gustosi telefilms che ogni tanto riusciamo a vedere anche noi. La bellezza sta proprio nei paesaggi stupendi della Cornovaglia o di altri parti della Gran Bretagna.

Il messaggio di questo Solstizio d’inverno è dunque che non si è mai troppo vecchi per ricominciare. Talvolta si può incontrare un altro partner con il quale condividere affetto, affinità, consonanze; ma non è sempre necessario per dare una svolta alla propria vita. Oppure?

Ci sono sessantenni che si sono rifatte una vita sentimentale appagante, altre che riescono a condurre una vita in dolce solitudine, ma colma di interessi, amicizie e un altro genere d’amore.

Talvolta è meglio essere soli, che sentirsi soli vicino a qualcuno che non ti capisce.

Che ne pensate?

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LESSICO DELLA GIOIA, o la luce dentro di noi

pubblicato da: admin - 6 Marzo, 2010 @ 7:16 pm

Questo è uno dei primi libri di cui volevo parlare, ma non lo trovavo perchè mescolato ai volumi di poesia. Finalmente ieri mi è tornato tra le mani. Avrei potuto parlarne anche senza sfogliarlo, ma mi piace ricopiarne esattamente le citazioni  che io ritengo illuminanti. L’autore è Lorenzo Gobbi, le edizioni sono Qiqajon della Comunità di Bose.

Io credo che, nonostante le giornate di malinconia, di nostalgia, di sofferenza, dentro di noi esista in nuce la gioia, altrimenti non riusciremmo a proseguire la vita. “La gioia sembra in attesa di un varco, di una ragione anche solo apparente per irrompere intatta nel mondo”. La gioia paragonata alla luce che si accende e ci illumina. Ci “illumina di immenso?” Ci regala “i momenti d’essere”?

La gioia  è un’intima coesione con ogni cosa del creato che sembra voler dialogare con noi. Nella linfa della natura riconosciamo “il fluire del nostro sangue trasformato in ritmo di danza“; la stessa terminologia data a ciò che ci circonda è un dono amorevole di gioia. “Esprimendole, plasmiamo le cose“. L’oro non è  solo metallo, ma un prezioso pegno d’amore, il frumento e la vite danno i frutti che consumiamo insieme, le foglie impersonano il nostro destino. E che dire del filosofo tedesco (non ricordo quale) che consiglia di lasciarci crescere come un giglio nel campo sotto il sole? Questa è un’immagine che spesso ripercorro per trarne coraggio e speranza. E mentre lo penso mi sento parte della terra e mi affido ad essa con più fiducia.

Per spiegare la gioia, non c’è che il lessico della luce che, per Marsilio Ficino, richiama la natura del bene. “si diffonde all’istante…senza nuocere si diffonde su tutto e penetra in tutto…e forse la luce è la stessa vita dell’anima celeste.”

La gioia è amore per la natura, per gli altri, è anche una capacità fulminea di comprendere e leggere  il mondo con attenzione e libertà.

Quali sono le immagini della gioia che vi ritornano alla mente? Reali o sognate? Io ricordo i miei sogni, anche quelli passati; anni fa ne facevo di bellissimi e pieni di gioia, come quello colorato dove una leggera pioggerella primaverile bagnava un folto cespuglio di glicine di cui percepivo il profumo o quello in cui volavo con guanti rossi su un’isola verde. E i momenti reali ? Gli abbracci alla mia tenera bambina, il meriggiare estivo nel nostro giardinetto ligure,  l’ultimo viaggio in una Provenza viola di lavanda con mio marito.

Chi contempla e riconosce immediatamente la gioia non chiede nulla, si limita ad osservarla e viverla. In tedesco Freude si riferisce all’antico Froh, forse “svelto, veloce”, quindi la caratteristica della gioia è appunto l’abitudine a illuminare brevemente le nostre vite, ma come il sole, sappiamo che ritornerà.

Poco fa mi sono affacciata alla finestra del mio condominio-nave. Mi vedevo riflessa nei vetri degli uffici vuoti della Provincia , da lontano sembravo ancora una ragazza, sentivo Stefania suonare Mozart per il concerto di domani, il sole mi scaldava il viso, il cielo azzurro cobalto sembrava illuminarsi man mano che lo osservavo, ho provato un attimo intenso di gioia. Esultanza, desiderio di ringraziare la divinità.

Lorenzo Gobbi in questa “raccolta di scintille” che ci vogliono regalare letizia e gioia, non solo ci parla dell’ etimologia della parola stessa nelle varie lingue, ma  ci racconta  di musicisti, di poeti, di scrittori che riescono a trasmetterci un godimento dell’animo, impressioni di bellezza, grazia e perfezione.

Tutto era buono, tutto era giusto“, scrive Katherine Mansfield;  davanti alla bellezza, ai momenti “perfetti”, “il nostro corpo esulta, incontrollabile: cantiamo.” La Mansfield , di cui parlerò a lungo più avanti, era affamata di gioia come si può essere a 23 anni.

Lo si può essere a qualsiasi età? Perchè no? Se doniamo letizia, allegria, ne saremo certamente  contraccambiati. Ho amiche solari, sorridenti, liete, che illuminano i momenti vissuti insieme. Ho la mia sorridente figlia con la quale condivido risate, riflessioni e buoni propositi per superare gli attimi di sconforto.

E si ritorna a Seneca De vita beata  e ai suoi esercizi esistenziali: essere consapevoli per essere liberi.

Una ricerca per smascherare il senso della vita,  calarsi in noi stessi per scoprire la nostra identità  e il proprio posto nel mondo , per condurre tutto a un’unità. E questo ce lo raccomanda Marcel Proust.

Per felicità e gioia si deve soprattutto parlare di condivisione d’amore. Gesù ci dichiara ” Questo vi ho detto perchè la mia gioia sia in voi e la vostra  gioia sia piena“.

Ma per concludere non si poteva non parlare di San Francesco, (un mio eroe), artefice della propria letizia, un miracolo alto e affascinante che si può sentire vivo ancor oggi, solo ripercorrendo la dolce terra d’Assisi. La  sua intima gioia e la sua esultanza per la vita non si sono disperse, rimangono sotto il cielo umbro, tra gli ulivi, negli uccellini , nei tramonti rosati, nel suo pensiero che travalica confini.

Questo, io, cattolica poco osservante e talvolta miscredente, ho provato l’estate scorsa ad Assisi. Una gioia palpabile, uno sbocciare di sentimenti pieni d’amore per il tutto, un desiderio di ringraziare.

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NOVECENTO, il pianista sull'oceano

pubblicato da: admin - 5 Marzo, 2010 @ 6:47 pm

scansione0005scansione0004Eccomi puntualmente da ormai 45 giorni davanti al Pc con un libro accanto. Libro che ogni giorno scelgo di presentare secondo pensieri, emozioni, ricordi che vanno e vengono come onde nella mia mente. Libri che ritrovo negli scaffali oppure che vedo per la prima volta  in biblioteca o che mi vengono prestati o regalati. Molti vengono letti ma non mi sollecitano la scrittura quotidiana, altri invece mi spingerebbero a scrivere di essi per più volte. Il libro di Baricco occhieggiava con la sua copertina azzurra-nera nella parte dello scaffale ad altezza occhi. E ciò che riporta al mio cuore è dolce.

Tutti conoscerete il monologo teatrale scritto da Alessandro Baricconel 1994 e il film  che  Tornatore ne ha tratto quattro anni dopo con il titolo “La leggenda del pianista sull’oceano.”

La storia è quella di un neonato abbandonato a bordo del transatlantico Virginian e trovato da un marinaio di colore Danny Boodmann. Il bambino accudito con amore dapprima da Boodmann sarà in seguito “adottato” da tutto lo staff del piroscafo. Verrà chiamato Novecento perchè dice Goodmann :” L’ho trovato nel primo anno di questo nuovo, fottutisimo secolo, no?… Andrà lontano con un nome così.”

A otto anni Novecento strabilierà marinai e passeggeri con una eccezionale performance al pianoforte che evidentemente aveva imparato a suonare da solo. Ha un grandissimo talento, una tecnica straordinaria che lo rende  capace di suonare “musica mai sentita prima.” Nasce così la sua leggenda unita al fatto che egli non scenderà mai a terra, ma vivrà la sua vita sul Virginian, microcosmo galleggiante che fa ininterrottamente la spola tra Europa ed America.

Le pagine di “Novecento”sono molto poche e si leggono in un’oretta o due; naturalmente si rimane colpiti dal personaggio particolare che si realizza nella musica, sospeso tra pianoforte e mare, con il timore  di crearsi radici sulla terra ferma che vede come un altrove a lui estraneo. Per lui sembra non esistano compromessi o scelte, la sua esistenza ha ragione d’essere in quella piccola città che naviga sull’abisso e il suo respiro vitale sembra adattarsi al dondolio delle onde che lo hanno accompagnato sin dai suoi primi vagiti.

Una volta, da adulto,  cerca di scendere a terra, a New York.  Recita:  “Tutta quella città…non se ne vedeva la fine…Su quella maledettissima scaletta…era molto bello, tutto…e io ero grande con quel cappotto, facevo il mio figurone, e non avevo dubbi, era garantito che sarei sceso, non c’era problema/ Col mio cappello blu/ Primo gradino, secondo gradino, terzo gradino/… Non è quello che vidi che mi fermò/ E’ quel che non vidi…cercai ma non c’era, in tutta quella sterminata città c’era tutto tranne…/ c’era tutto./ Ma non c’era una fine.”

Ora tu pensa: un pianoforte. I tasti iniziano. I tasti finiscono. Tu sai che sono 88…non sono infiniti, loro. Tu, sei infinito, e dentro  quei tasti, infinita è la musica che puoi fare. Loro sono 88. Tu sei infinito…Questo a me piace” spiega Novecento.

E quando c’è mare grosso la nave balla e il pianoforte nelle sale di prima classe scivolano avanti e indietro “come un enorme sapone nero“.

Ricordo anch’io una notte di mare a forza 8 mentre navigavamo su una nave da crociera  attraverso il Golfo del Leone. Mi trovavo in una cabina posta ai ponti inferiori, una di quelle  destinate  allo staff, il dondolio era terrbile, in più ero reduce da una brutta influenza, perciò stavo abbastamza male; ma venni “salvata” e accompagnata sul ponte A, quello di prima classe , dal pianista che poi divenne mio marito. Ci sedemmo su un divanetto che insieme al pianoforte comincio a scivolare avanti e indietro,avanti e indietro. Non avevo paura anche se sentivo ruggire il mare, perchè accanto a me c’era Piero che mi teneva la mano. C’era il mio pianista sull’oceano.

E naturalmente nostra figlia Stefania è una pianista.

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LA TREDICESIMA STORIA, e il "ritorno" nello Yorkshire

pubblicato da: admin - 4 Marzo, 2010 @ 8:09 pm

DSCF0149la-tredicesima-storiaCon questo appassionante romanzo di Diane Setterfiled, (titolo originale “The Thirteenth Tale”) si torna nella patria dei mie personaggi preferiti:  Jane Eyre,  Rochester, Catherine e Heathcliff, insomma nelle brughiere delle sorelle Brontè. E si ritrovano le stesse emozioni, anche se la storia si svolge ai gioni nostri: misteri, intrighi, atmosfera gotica, colpi di scena. Inoltre, e questo mi piace tanto, è un libro che parla di libri.

La protagonista, Margaret, lavora infatti nella libreria antiquaria del padre, lavoro che ama. La vediamo mentre accarezza il dorso di vecchi testi, mentre ne aspira l’odore. La sua vita tranquilla , ma con un fondo di  malinconica solitudine, viene completamente cambiata da una famosa scrittrice, Vida Winter, che la invita nella sua casa nello Yorkshire per farle  scrivere la propria biografia.

Ed ecco  che l’arrivo nella magione misteriosa della carismatica e sfuggente vecchia scrittrice sarà l’inizio di scoperte sconcertanti e affascinanti. Tutto il loro rapporto si concentrerà sull’arte del narrare e sulla necessità finale della verità. Due generazioni a confronto: la timida Margaret e la spigolosa Vida dagli occhi di un verde insostenibile, entrambe accomunate dal ricordo di una sorella gemella morta. Un rapporto che lentamente diventerà importante e intenso.

Sarà Margaret a dipanare l’aggrovigliata matassa.

I gemelli è un tema che intriga tutti perchè esso evidenzia il duplice aspetto di ognuno di noi e  le domande su chi siamo o chi potremmo essere. Se ci guardiamo allo specchio chi vediamo, noi o qualcuno di simile a noi? Insomma  il doppio dell’essere umano, le domande sulla realtà e la possibilità sono ingredienti  della nostra vita.

L’autrice è una studiosa di letteratura francese e vive nello Yorkshire dove sono stata qualche estate fa  e dove mi piacerebbe tornare. La campagna inglese amata dapprima attraverso le mie letture preferite è diventata, dopo il mio anno in Inghiterra e alcune visite fatte poi, una mia grande passione. Di essa mi piace la dolcezza dei prati e delle colline, la romantica asprezza delle brughiere rosa, i villaggi  tranquilli e fermi nel tempo , le sale da tè  che hanno nomi come The Almond Tree,  Pink roses, The quiet corner.

Mi piacerebbe avere un cottage nella campagna inglese, con un giardinetto pieno di rose color crema, un gatto e tanti tanti libri. E amici con cui parlarne.

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