A RINASCERE SI IMPARA, di Marcello Farina
pubblicato da: admin - 23 Marzo, 2010 @ 6:57 pm
Dopo l’interessante lezione-conferenza sul Romanticismo tenuta da  don Marcello Farina all”Università della Terza età , sono corsa a riprendere in mano il suo libro che porta il sottotitolo Filosofia per tutti. Si tratta dei suoi contributi pubblicati settimanalmente sul quotidiano “L’Adige”, in cui egli “traduce” per il lettore comune e frettoloso i ragionamenti e il pensiero dei grandi filosofi. Don Farina ci spiega con parole chiare, lucide, essenziali  i molteplici aspetti della nostra esperienza umana, dalla gioia al dolore, dal peccato al perdono, dall’amore, al dubbio, alla morte. Le sue personali riflessioni critiche del quotidiano, riflessioni illuminate, tolleranti, affascinanti sono intrecciate ai pensieri di filosofi, teologi, scrittori, soprattutto del Novecento, il secolo appena trascorso e che da molti è stato definito “il secolo dell’ansia”.
Diventa necessario perciò in quest’epoca frettolosa, di individualismo e di malessere latente, decifrare ancora e sempre noi stessi e il mondo che ci circonda. La ricerca della verità  è un nostro dovere, diceva Platone, anzi è il nostro fine ultimo. E Kant prosegue, secoli dopo, dicendo che essendo la nostra Ragione limitata dobbiamo sempre cercare, non avere il timore di conoscere. Cercare la felicità attraverso la Morale, saper cogliere la bellezza del mondo attraverso il sentimento del Bello.
Marcello Farina scrive “Assomigliamo a dei cristalli, belli ma fragilissimi: basta pochissimo perchè tutto possa andare in pezzi“. Pensavo proprio ieri come noi umani siamo dei funamboli, camminiamo sempre in bilico, basta poco a farci precipitare: relazioni umane insoddisfacenti, malattie improvvise, solitudine, precarietà . Viviamo in tempi in cui ci sente “inscatolati” in ruoli e immagini preconfezionati dai quali però dobbiamo avere il coraggio di uscire, pena un’omologazione coatta e un irrisolto male di vivere. Riacquistiamo dunque la libertà dell’essere con la nostra forza del pensiero.
“Pensare è certo faticoso, imprudente e azzardato. Ma solo pensando si riacquista dignità e si può procedere a testa alta dentro le sfide di oggi.” ci consiglia don Farina.
In “A rinascere si impara“si sottolineano i nostri dilemmi esistenziali, si trova una guida per il nostro percorso di crescita, si ritrovano le inquetudini del giovane Holden e  gli immaturi cronici come Peter Pan che rifiutano di crescere per non affrontare la realtà .
Ma soprattutto si parla di etica e di rispetto per gli altri. “La mia libertà inizia proprio dove comincia la tua”, anche se Kafka scriveva ” La via verso il prossimo è per me lunghissima.” Ma sempre Etty Hillesum nel suo Diario ci dimostra la virtù della semplicità e una lezione ineguagliabile:quella di chiarire il mistero del senso e dell’insensatezza del nostro umano dolore risolvendoli in amore.
Possiamo leggere di politica, laicità e religione e di speranza nelle  pagine chiare di questo sacerdote e filosofo che tutta la città di Trento ama e ammira. E soprattutto dell’incoraggiamento a crescere per rinascere ogni giorno, come i fiori di primavera.
P.S. Questa volta è certo che la foto è stata scattata da Enza.
BEAUTIFUL TOSCANA, una lettera d'amore
pubblicato da: admin - 22 Marzo, 2010 @ 7:34 pm
Tutti amiamo la Toscana. E’ il suo fascino dolce di terra nel cuore dell’Italia, di culla del nostro Rinascimento e della nostra lingua che ci ammalia. Ma ancor di più sembra essere amata dagli inglesi e dagli americani  che hanno comperato case e casali nelle sue valli ridenti di girasoli, ulivi e vigneti. Questo libro di Frances Mayes è la continuazione del suo primo romanzo  “Sotto il sole della Toscana“, dove lei racconta in modo minuzioso ed appassionato l’acquisto di una casa e la sua ristrutturazione nelle val di Chiana aretina, vicino a Cortona. “Bramasole” è il nome dato alla casa, che dopo mesi e mesi di lavori, fatta crescere come un bambino amato, diventa il centro della nuova vita di Frances e di suo marito.
Pur continuando a tornare a San Francisco per lavoro, è nella sua casa  in Toscana che la scrittrice si sente preda della felicità del vivere quotidiano. E’ una dolce vita, come scrive, proprio perchè scoperta, amata e conquistata, da assaporare come vino prezioso.
“Quale felicità che le ombre dei cipressi segnino di larghe strisce scure la strada inondata di sole; quale felicità nel mio primo giorno di ritorno a Cortona…” così inizia “Beautiful Toscana “che è una dichiarazione d’amore non solo per questa regione, ma per tutta l’Italia. Da “Bramasole” infatti Frances e il marito partiranno per conoscere a fondo l’animo, i paesaggi, la cucina italiani. Ne risultano pagine piacevolissime dedicate anche al Veneto e  alla Sicilia per le quali oltre alla curiosità e all’interesse culturale, emerge un desiderio di abbandono quasi sensuale alle emozioni che esse  suscitano.
L’Italia per Frances Mayes è il luogo della vacanza dell’anima, delle scoperte esteriori ed interiori, il famoso “altrove” che noi ricerchiamo e che forse abbiamo a portata di mano.
“L’Italia è il giardino d’Europa” ci  ripeteva la maestra alle elementari. Ogni interrogazione di geografia iniziava con questa proposizione enunciativa. Io ne ero fierissima: quando mi trovai in Inghilterra e in Germania continuavo a ripetere orgogliosamente “Noi siamo i figli di una civiltà millenaria, di una civiltà superiore…” Non so se possiamo continuare a ripeterlo, ma io mi sento molto italiana ed anche toscana. Mio padre era della provincia di Pistoia. Il mio sangue è mezzo toscano e mezzo emiliano, come l’Appennino.
In casa c’era una sorta di “guerra fredda” fra la pratica e lavoratrice mamma emiliana e il papà sognatore, “discendente” di Dante, Leonardo, ecc. Lui si sentiva intellettualmente superiore solo per l’aria respirata alla nascita e durante la sua giovinezza. Abitavamo a Carpi, ma lui tornava spessissimo in Toscana per comperare il pane, l’olio, i fagioli di Sorana, la finocchiona (mia madre brontolava, brontolava…), ma lui diceva che appena passata la Porrettana gli passava il mal di testa!
Toscana, grande amore a Primavera soprattutto, quando si andava a visitare i nonni e gli zii. Le scampagnate di Pasquetta sulle colline, San Giminiano dalle cento torri, i cipressi di Bolgheri …
E Cortona. La Mayes nei suoi libri parla di un negozietto del centro  dove c’è un merlo parlante. ” …per via passo accanto a Caruso, il merlo che vive in una gabbia davanti a una bottega di antiquariato…” Che emozione quando leggendo queste righe ho ricordato che mio marito Piero intrattenne una “conversazione” proprio con il succitato merlo quando una decina di anni fa ci trovavamo in quella deliziosa cittadina perchè Stefania doveva suonare nella Sala Consigliare.
Ma come detto prima in questo libro si parla anche del Veneto e delle sua acque, di Venezia soprattutto, della sua magia :”Venere a Venezia. Noi a Venezia.” La Mayes legge della passione  di Byron per alcune dame veneziane, cerca di vedere attraverso i suoi occhi i palazzi rosati dall’aurora.
E poi la Sicilia: ancora in cerca della primavera. Palermo : “aria profumata, palme, e il mare di un intenso azzurro…Le palme svettano ovunque. Amo le palme perchè ricordo  ciò che disse W. Stevens – La palma all’estremo limite della mente“. Le palme sono dovute agli arabi venuti nel IX secolo, ma anche le fontane, le spezie, il gelato, le cupole.
“Le palme, le cupole – rosse dorate, verde acqua o grigio verde – sono il simbolo di Palermo.” Chiedo ad Enza se è d’accordo.
Ed infine un menu siciliano: caponata, zucchine alla menta, olive piccanti, spigola di mare in crosta di sale, torta al limone con mandorle tostate. Mancano i cannoli e la cassata, ma Enza mi ha detto che si possono gustare anche a Trento.
A proposito di Enza: sua è la foto di destra. Grazie!
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MERINI, la presenza di Orfeo
pubblicato da: admin - 21 Marzo, 2010 @ 6:42 pm
E’ la giornata mondiale della Poesia. Obbligatorio parlarne ed  io lo faccio come se volassi , tanto la poesia volteggia intorno a me. E come non parlare di Alda Merini, nata il ventuno di marzo?
 Da poco scomparsa, ora, di lei sappiamo quasi tutto. Ce n’è voluto del tempo prima che tornasse alla ribalta. Il suo primo libro di versi fu proprio questo: “La presenza di Orfeo” pubblicato nel 1953.
“Non avete veduto le farfalle / con che leggera grazia / sfiorano le corolle in primavera? “scriveva allora.
In giovinezza la poesia è proprio una farfalla che ci trascina in voli densi di profumi misteriosi ed Orfeo, con il suo canto, è desiderato e necessario.
“Orfeo novello amico dell’assenza, / modulerai di nuovo dalla cetra / la figura nascente di me stessa.
Nata a Milano nel 1931, apprezzata da Pasolini, Giorgio Manganelli, Luciano Erba (il mio docente di letteratura francese!), Davide Turoldo, entra presto nell’oscurità editoriale per la sua malattia mentale. Proprio con il 1965 inizia il terribile  periodo di internamento in manicomio che durerà fino al 1972, con parziali rientri in famiglia dal marito e la prima figlia Emanuela. Durante queste pause nascono incredibilmente altre tre figlie, tra cui l’amatissima Barbara.
Nella sua poesia fantasmi che ritornano dai luoghi frequentati dalla follia, ma anche lucidità speciale e poetica. Quando scrive può vincere i suoi terrori e la sua diversità . L’ultima raccolta, prima dei vent’anni di silenzio, è intitolato “Tu sei Pietro” in cui si fondono gli impulsi religiosi con quelli cristiani e pagani.
Morto il primo marito si risposa con un poeta tarantino e si trasferisce al sud. Anche qui le ombre della mente non le danno tregua, è ricoverata in un ospedale psichiatrico. Poi nel 1986 ritorna al nord dove inizia una cura con la psichiatra Marcella Rizzo alla quale vengono dedicate molte liriche:
Tu, anima / a volte mi sospingi in avanti / ancora perchè io cammini da sola, / come un bimbo che esiti a partire, / e io cigolo come l’onda…
E finalmente la notorietà , anche se non remunerativa,  degli anni Novanta. Abitava a Milano, in via Porta Ticinese 53. Conosco l’indirizzo perchè Stefania, incantata dai suoi versi, voleva andarla a trovare ed aveva trascritto l’indirizzo sull’agenda di casa.
“Sono nata il ventuno a primavera / ma non sapevo che nascere folle, / aprire le zolle / potesse scatenare la tempesta…” scrive nel 1982
La poesia ti scava nel profondo, se ti inabissi in essa puoi trovare pericoli e mostri, ma essa ti può trascinare ad altezze sconosciute.
Scrivere poesie è spesso doloroso, ma la conoscenza passa attraverso siepi spinose e baratri.
“Se qualcuno cercasse di capire il tuo sguardo/ Poeta difenditi con ferocia / il tuo sguardo sono cento sguardi che ahimè ti hanno / guardato tremando.” Sono i primi versi di “Vuoto d’amore” di Alda Merini
 Emily Dickinson ,   di cui ho letto  una ennesima splendida biografia (che piacere entrare nel suo mondo !) sa lucidamente che “maneggiare” la poesia è come tenere una bomba in mano. Essa può deflagrare e ferirti, ma ti dà anche un grande potere. Insomma essere Poeti è un dono o una sofferenza?
Per Emily (ormai siamo amiche! )  è stato un riscatto da una condizione che non poteva accettare, ma soprattutto un dono “regale” che se dapprima la emargina nella “differenza” le permetterà , un giorno, un eterno riconoscimento:
“Mi fu dato dagli dei/ quand’ero bambina…/ Lo tenni nella mano – / senza posarlo mai/ non osavo mangiare – o dormire – / per paura che sparisse.
“Ricchi” sentivo dire / correndo verso scuola / da labbra agli angoli di strade / e lottavo con il sorriso. /
Ricchi! Ricca – ero io – / ad assumere il nome dell’ oro – / a possedere l’oro –in solidi lingotti / la differenza – mi rendeva audace. “
QUATTRINI IN BANCA di P.G.Wodehouse
pubblicato da: admin - 20 Marzo, 2010 @ 6:33 pm
Ogni volta che mi affaccio alla finestra e vedo quelle dirimpetto aperte,  ripenso all’inizio di un esilarante romanzo di Wodehouse, quando Jeff, il personaggio principale, non sapendo dove nascondere alcuni disgustosi dolcetti appena portatigli dalla governante, decide di liberarsene. Ma come? Di fronte a lui, allo stesso piano ci sono alcuni uffici. E uno è  vuoto: ne può vedere l’interno. Evidentemente Chimp Twist,  l’investigatore privato che lo occupa, è  stato chiamato altrove. Jeff è uno scrittore e  perciò è abituato a valutare e risolvere circostanze scomode. Pensa che Twist  al ritorno potrà  trovare, quasi con gratitudine, una discreta provvista di pasticcini croccanti. “Con una precisione di tiro che faceva fede del suo occhio sicuro e della fermezza della sua mano, egli principiò a traferire il contenuto del piatto al di là del cortile.”
Naturalmente la storia prosegue in un crescendo di situazioni comiche e di malintesi irresistibili. Intanto l’investigatore, un ambiguo personaggio, è chinato sotto la scrivania per cercare qualcosa e quando si sente arrivare addosso proiettili, anche se dolci, (uno persino in mezzo agli occhi) si nasconde repentinamente nell’armadio. Jeff lo scorge, perciò decide di andarsi a scusare, ma ovviamente non trova nessuno nella stanza. E proprio in quel momento arriva la bellissima Anna per assumere l’ investigatore privato … e Jeff, innamoratosene all’istante, decide di prendere il posto di Chimp Twist.  La segue quindi nella bellissima magione di campagna dove dovrà cercare i gioielli nascosti da qualche parte dallo smemorato zio  di Anna, Lord Uffenham il quale, per mantenersi , ha dovuto affittare la sua casa e lavorarvi come maggiordomo.
“Se sei saggio ridi” è stampato sui libri di Wodehouse un po’ più recenti di questo. Soltanto ricordare e sfogliare questo libretto ormai a pezzi mi fa sorridere e mi toglie la malinconia.
Mi sembra di vedere la campagna inglese nel suo massimo fulgore di prima estate e questi personaggi che agiscono in una buffa commedia dei malintesi senza drammatizzare nulla. L’amena caccia al tesoro comincia dal finto investigatore, da quello vero nel frattempo ingaggiato da una coppia di ladruncoli, mentre per la magione si aggira l’ inquilina , l’autoritaria  signora Cork, che dirige  una bizzarra colonia di seguaci delle dotttrine Ugubu, praticanti il vegetarianesimo  e le danze tribali.
Un’altra scena che mi torna spesso in mente riguarda il  nipote della signora Cork, che pur avendo il divieto assoluto di mangiare carne, passeggia canticchiando per i sentieri della country per arrivare nel pub del villaggio e divorare un gustosissimo pork-pie. Oltre a sorridere mi sento anche l’acquolina in bocca al pensiero di un saporito pasticcio di maiale.
Naturalmente tutto finirà bene.
Chissà se questo romanzo è ancora rintracciabile. (Titolo originale “Money in the bank” ). Vi assicuro che è irresistibile.
Naturalmente, da lettrice onnivora quale sono, ho letto anche tutti gli altri romanzi di questo straordinario autore. Fra l’altro fanno bene alla salute: i medici consigliano di ridere almeno 12 minuti  al giorno. Riusciamo a farlo?
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NOSTALGIA DI PRIMAVERA, di Mirna Moretti
pubblicato da: admin - 19 Marzo, 2010 @ 6:12 pm
Oggi sono autoreferenziale perchè presento il mio primo libretto di poesie, stampato nel 1963 da una Casa editrice di Carpi. Costava 400 Lire! Le liriche contenute sono tipiche di un’adolescente un po’ solitaria, già protesa a cogliere i “momenti d’essere”, ma anche a riconoscere e prevedere le ferite che la vita può infliggere. E la nostalgia è il sentimento predominante e prefigurato. Più tardi scriverò ricordando una sera sul balcone con mia madre:
Quando a sera si acquietano i merli/ e il vento tace, dimentico del sole/
i miei occhi si azzurrano di stelle / e di ricordi che volano nel cuore…………..
…….Una felicità che già sapevo persa /s’intrecciava col tenero languore / di un sonno ormai prossimo e sicuro.
Il titolo al mio libretto venne scelto dall’editore proprio per la poesia centrale :
Di nostalgia si muore
Un’immensa nostalgia / di cose perdute/ mi avvince/ insieme a questo /Â vento d’aprile.
Un profumo di sogni / spezzati e smarriti / mi entra nel cuore / con l’odore dei fiori / di tiglio. / E di nostalgia si muore.
Parlo di nostalgia oggi perchè la partenza di mia figlia, che non vedrò per quasi tre mesi, mi ha immalinconito. Mi potranno comprendere madri e figlie che hanno un rapporto basato non solo sull’amore, ma sulle consonanze del cuore e del pensiero.Â
Se nell’adolescenza  percepivo già la perdita del momento vissuto intriso di profumo di tiglio, profumo che ancor oggi  mi “riporta ” giovinetta lungo i viali emiliani  in primavera, ora so, per le ferite del mio cuore,che sono le persone care assenti che mi “fanno morire di nostalgia”. Mentre non è lacerante  per me la nostalgia della giovinezza con i  suoi brividi e i suoi incantamenti; sempre posso farli rivivere col ricordo o la scrittura; i luoghi perduti si possono ritrovare ancor più rotondi e reali,  l’ho provato proprio qualche giorno fa a Carpi. Nostalgia sublimata.
L’immaginazione, la lettura, il pensare possono riempire lo spazio e il tempo perduti, perchè questi sembrano sempre esistere in una armonica circolarità .
“Parto dalla mia stanza silenziosa/ verso il mio futuro-passato, /lungo sentieri di sole secco e leggero.
Passi gioiosi sulle strade/ della mia America irraggiungibile./
Come vorrei musica/negli occhi e bel cuore. /Come vorrei cantare!
Ora che ho scritto – che valore terapeutico favoloso è la scrittura – sto meglio. So che Stefania dopo il concerto a Varese, sarà con Marco  nella loro  bella casa di Chiavari, poi ripartirà per la sua America…raggiungibile forse , più avanti, anche da me.
Questo blog, che mi prende un’ora o due di tempo al giorno, è una  ricerca preziosa  di “intermittenze del cuore”, mie e vostre. Aspetto le vostre parole, dunque.
Scrivere e raccontarsi come medicina dell’anima.
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LETTERA DI UNA SCONOSCIUTA, di Stefan Zweig
pubblicato da: admin - 18 Marzo, 2010 @ 8:09 pm
Continuo con questo piccolo libro azzurro, prestatomi da Raffaella,  a parlare di un’altra donna  appassionata, eccessiva, come Sylvia Plath. E’ curioso come questa recentissima lettura possa agganciarsi anche al commento di Enrica “sulla fragilità e sensibilità che sono due facce della stessa medaglia e sembrano andare sempre insieme”.
Perchè “Lettera di una sconosciuta“? Perchè chi scrive questa lunga lettera d’amore è sempre rimasta sconosciuta al destinatario, un romanziere viennese. In alto, a mo’ di apostrofe un’ enigmatica frase ” A te, che mai mi hai conosciuta.”
L’uomo, che proprio quel giorno compie quarant’anni rimane incuriosito e sgomento e inizia a scorrere le venti pagine .
“Ieri il mio bambino è morto” esordisce la signora misteriosa “adesso mi sei rimasto solo tu al mondo, solo tu che di me nulla sai.” Anche noi lettori leggiamo con curiosità ed empatia le pagine scritte. E ripercorriamo piano piano la vita di questa donna che sembra ormai non avere più la forza di vivere e proprio per questo, come ultimo atto disperato, riesce a confessare il suo amore eterno a un uomo conosciuto tanti anni prima, quando lei era appena un’adolescente. Prima di incontrarlo conduceva una vita opaca e malinconica insieme alla madre vedova. L’arrivo nel suo caseggiato di questo affascinanate scrittore, ricco di mobili eleganti,  oggetti esotici e soprattutto di tanti tanti libri anima, come una sirena ammaliatrice, la sua vita di ragazzina solitaria, amante della lettura. “Una sorta di reverenza sovrannaturale si unì in me all’idea di quella moltitudine di libri”
Presto la giovinetta si renderà conto del fascino intrigante dello scrittore dalla doppia vita: dedito al gioco e alle avventure galanti, ma anche serio e introverso artista. E quando per la prima volta egli poserà per un attimo lo sguardo su di lei , questa cadrà perdutamente innamorata. “Questo fu tutto, amore mio; ma da quell’istante, da quando avvertii su di me quello sguardo morbido e affettuoso io fui interamente tua”
Questo amore diviene l’unica sua ricchezza; su di lui proietta tutta la sua anima di sensibile e fragile fanciulla in fiore. Questo amore assoluto diviene l’unico scopo della sua vita, quasi avesse trasfuso su di lui il suo élan vitale.
Ma si può parlare di fragilità o di forza leggendo di questo incrollabile amore? Tutti gli anni a venire saranno dedicati a lui, tutte le sue scelte avranno il fine di poterlo amare anche da lontano, appagata soltanto da qualche fugace incontro. Il suo amore sembra rimasto quello di una bambina esaltata, un amore unico, idealizzato, volto all’ardente  desiderio di  essere riconosciuta.
Stefan Zweig è maestro nel descrivere queste passioni romantiche e travolgenti. Quando il romanzo uscì nel 1922 ebbe uno strepitoso successo.
Perchè?
 Abbiamo bisogno di letture immaginifiche, piene di amori quasi inverosimili? Che cosa cerchiamo nei libri?Â
Certo io non potrei mai identificarmi in una donna come la “sconosciuta,” (forse da ragazzina sì…) ma ho letto la “sua lettera”avidamente intuendo che certe passioni possano travolgere l’animo delle persone. Esempi ne potremmo sempre trovare…
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SYLVIA E TED, quando l'amore non basta
pubblicato da: admin - 17 Marzo, 2010 @ 7:01 pm
Il discorso su Sylvia Plath esige varie puntate. La sua breve vita conclusasi volontariamente a 30 anni suscita interesse ed empatia. Interesse per le sue poesie così forti, originali, piene di rabbia, ed empatia per il male di vivere sempre presente in lei. La mattina dell’11 febbraio 1963 Sylvia apre il rubinetto del gas nella cucina della sua casa londinese in cui abitava con i due piccoli figli. Si era da poco separata da Ted che aveva iniziato una relazione con Assia Wevill.
Siamo negli anni dell’imperante femminismo contro la tirannia maschile e da subito la curiosità dei media si accende e accusa Ted di essere il colpevole morale del suicidio di Sylvia.
In questo ricco saggio di Erica Wagner viene spiegata più ampiamente la straordinaria relazione amorosa dei due grandi poeti, grazie a poesie, pagine di diari e soprattutto alle “Lettere di compleanno” scritte e  date alle stampe  da Ted Hughes due mesi prima della sua morte avvenuta nel 1998.
Per trentacinque anni Hughes aveva continuato a scrivere, senza pubblicare,  di e per Sylvia manifestandole il suo eterno affetto. Uomo di temperamento molto riservato non aveva mai cercato di difendersi  dalle accuse di marito ingrato, donnaiolo, maschilista non rivelando mai nulla che potesse nuocere ai loro due figli.
Finalmente anche Hughes parlerà di sè e del loro intenso innamoramento, del fallimento della loro unione e della difficoltà di vivere con una donna così eccessiva come Sylvia.Â
Sylvia Plath è una donna decisa “ad avere tutto”, vuole realizzarsi come poeta, ma vuole anche allo stesso tempo essere una moglie e madre perfetta. Conquistare Hughes, intelletualmente suo pari, e per alcuni aspetti superiore è già una conquista. Appena dopo averlo conosciuto a Cambridge scrive:
“…voglio averlo per questa primavera inglese. Per favore, per favore…dammi il fegato e la forza di farmi rispettare, di farlo interessare a me; e non saltargli addosso come un’isterica. …Oh, sono affamata, affamata di grande amore, che sbocci esplosivo, creativo…” Non ha solo fame di Hughes; vuole un amore come vuole lei, senza nemmeno conoscere ancora la natura di lui.
Nelle Lettere di compleanno Ted ricorda:
Nè sapevo che stavo sostenendo l’audizione
per il ruolo di primo attore nel tuo dramma,
mimando i primi facili movimenti
come a occhi chiusi, cercando a tentoni il personaggio”
 Durante il loro matrimonio però essi lavoraroro fianco a fianco, spesso scrivendo poesie sullo stesso foglio, una facciata per lui, una per lei. Ted , a volte le consiglia delle tematiche e lei si lascia per un po’ guidare, fino a quando non diventa insofferente. Scriverà poi  alla madre Aurelia “Vivere separata da Ted è magnifico -non sono più nella sua ombra – ed è bello esere apprezzata per me stessa, e sapere quello che voglio.”
Raffaella, nel suo commento di ieri, mi ha ricordato che anche Assia Wevill la donna per la quale Ted lascia  Sylvia, si suiciderà  insieme alla figlioletta nel 1969, in un modo simile a quello di Sylvia . Assia , anch’essa poetessa, era ossessionata dalla Plath, tanto da imitarne gesti o usare stessi oggetti a lei appartenuti.
Che dire? “Fragilità il tuo nome è donna?” come citava Shakespeare? O estrema sensibilità ?
Ted Hughes rimane folgorato quando  vede Sylvia per la prima volta ” Mi colpirono i tuoi capelli lunghi, le onde morbide – la ciocca alla Veronica Lake. Non quello che nascondeva. Sembravano biondi. E il tuo sorriso, il tuo esagerato sorriso americano…” E ricorda anche la fascia azzurra che lui le prese al loro primo incontro. Ma Sylvia la ricorda rossa, come ” il rosso del suo cuore”.
Ted conclude le Lettere di compleanno :
Nell’abisso del rosso
ti nascondesti per sfuggire al bianco della clinica d’ossa.
Ma la gemma che perdesti era azzurra.
“Non dipendeva da lui tenere la gemma della felicità di lei. Dipendeva da lei farlo, e lei non lo fece, o non potè.”
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VITA DI SYLVIA PLATH, e il suo male di vivere
pubblicato da: admin - 16 Marzo, 2010 @ 3:14 pmHo scoperto Sylvia Plath qualche anno fa e da allora il mio interesse per questa poetessa dalla vita infelice è cresciuto. Intanto anche l’editoria ha creato intorno a lei quasi una leggenda alimentata soprattutto dal suicidio avvenuto nel 1963, quando era appena trentenne.
La sua più famosa raccolta di poesie Ariel, uscita postuma, la fa diventare portavoce, in buona misura inconsapevole, delle generazioni arrabbiate e disilluse degli anni’60 e ’70.
“Accusando†del suo suicidio il marito Ted Hughes, essa diventa anche l’emblema della donna vittima della crudeltà maschile, la moglie tradita e abbandonata col fardello dei figli.
Ma è stato proprio così? O forse Sylvia aveva già in sé il seme dell’autodistruzione? In questa esaustiva biografia, Anne Stevenson, traccia il ritratto di una ragazza fragile e ambiziosa, esibizionista e disadattata, intelligente e arrabbiata. Una scrittrice dal talento originalissimo, ma sempre in lotta con la sua creatività .
Sylvia nasce vicino a Boston nel 1932 da padre tedesco e madre austriaca. Dopo una primissima infanzia felice in cui si sente il centro dell’universo, tutto muterà . Dapprima l’arrivo del fratellino poi più tardi la morte de padre.
Subito emergono i tratti caratteristici della sua psicologia tormentata e divisa: ricerca quasi patologica del consenso, desiderio dell’attenzione di tutti, ansia di essere sempre la più bella e la più brava.
Fisicamente è la classica ragazza tedesca, alta e bionda, ma lei si schiarirà i capelli in biondo platino, metterà sempre il rossetto rosso fuoco, curerà attentamente i suo abbigliamento. Vuole sedurre anche con la bravura nello studio e attraverso la scrittura. Otterrà successi scolastici, qualche pubblicazione di poesie.
Entra nell’esclusivo Smith College nel Massachusetts dove trova conferma al suo valore.
Verso i 20 anni cominciano le forti depressioni e due tentativi di suicidio, cui seguono ricoveri in cliniche psichiatriche e elettroshock. Guarita grazie anche alle cure di una psicologa, vince una cospicua borsa di studio, si laurea con una tesi su Dostoevskij, viene ammessa a Cambridge con copertura di tutte le spese.
Qui conoscerà Ted Hughes, un giovane e brillante poeta dello Yorkshire. Del loro amore e del loro matrimonio parlerò un’altra volta.
Da dire c’è soltanto che il sogno di una coppia di poeti che lavorano insieme mietendo successi è incrinata, nonostante la nascita di due figli, dalla gelosia e dall’invidia di Sylvia verso il marito, gelosia per le sue sempre più frequenti assenze e invidia per il suo più consolidato successo.
Sylvia scrive, scrive, per diventare famosa, ma in vita riesce a pubblicare soltanto “The colossus e altre poesie†e il travagliato romanzo autobiografico “La campana di vetro.â€
E’ talmente avida di consensi che la sua scrittura talvolta risente di una programmazione razionale:scrive con dizionari sulle ginocchia, consultando i sinonimi per trovare uno stile personale che possa piacere agli editori e ai lettori. Piacere a tutti, alle aspettative degli altri, prima fra tutti, la madre Aurelia (Ma anche di questo parlerò un’altra volta).
Le sue più belle poesie saranno invece quelle scritte dopo l’abbandono di Ted, quando in preda al dolore e all’angoscia darà libero sfogo alla sua disperazione, quando scriverà per sé, per urlare il suo male di vivere.
Ed allora Ariel la farà diventare famosa, come tanto desiderava.
Mi chiedo come possa l’ambizione essere così potente da cancellare qualsiasi altra voce interna. Lei stessa scrive:
“Oh, se solo mi lasciassero a me stessa,
che poeta riuscirei a tirare fuoriâ€
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IL TEMPO RITROVATO, e le isole della memoria
pubblicato da: admin - 15 Marzo, 2010 @ 6:59 pm
 Marcel Proust è ormai il maestro delle “intermittenze del cuore”, quelle intense sensazioni che proviamo nel ritrovare il nostro  tempo perduto. Sappiamo tutto della Recherche, opera divisa in  sette romanzi , che ha l’intento di scoprire l’essenza degli eventi ricollocandoli nel “tempo dell’anima” e cioè in quel preciso istante in cui manifestano il loro “valore”, quando la realtà sembra formarsi soltanto inseime con la memoria. E un avvenimento è completo, comprensibile quando evocato in un tempo di coesistenza di presente e passato. Il famoso episodio della madeleine, citato nel primo romanzo La strada di Swann, risveglia un intero microcosmo di sensazioni, emozioni, ricordi e tutto riappare più completo. Ma è proprio nell’ultimo, Il tempo ritrovato che il cerchio dei ricordi, del passato, si chiude in un momento di autocoscienza.
Mi è venuto spontaneo parlare di Proust dopo il recente tuffo nel mio passato emiliano. La cittadina di Carpi, dove ho vissuto la mia prima giovinezza e rivisitata grazie alla”tournée” con Stefania e Maria Letizia, è sempre stata presente nel mio ricordo come un sogno dai colori caldi. Ero pronta a confrontarmi con il mio tempo perduto e ad affrontare eventuali delusioni.
Il paragone tra la vita parigina aristocratica di Marcel Proust e la mia giovinezza a Carpi è un paragone insostenibile. A Carpi non c’erano nè Swann, nè i Guermantes; c’era una laboriosa comunità tesa a un benessere tranquillo e calmo come la campagna circostante. Persone care e preziose, pur senza il salotto di Madame Verdurin o Bergotte.
Ogni luogo ha il suo fascino se parte fondamentale del proprio vissuto.
Ho cercato con mia figlia le vie della mia infanzia e  adolescenza, non certo les Champs Elysées, ma antiche strade dai soprannomi rurali come Cantarana. E qui la memoria volontaria nel voler ripensare alla mia vecchia casa , alle mie amiche, si è intrecciata a quella spontanea: ecco il muro color ocra che dava sul cortile dell’amichetta e improvvisamente mi sembrava di udire  i nostri bisbigli e le nostre risate complici quando vedevamo il ragazzino della porta accanto. Ecco la nonna sulla porta verde dal battacchio di ferro… e oltre la frescura dell’ingresso adorno di aspidistre.
Scrive Proust che le sollecitazioni del presente mescolate a ciò che è sepolto nel passato portano all’essenza preziosa della vita. Si ritrova in una circolarità extratemporale una propria identità che ci fa sentire completi.
Dopo il concerto nel Castello rinascimentale di Carpi mi sono soffermata con i miei amici e alcuni spettatori a parlare delle due straordinarie musiciste, della mia lettura dei sonetti di Petrarca (che sembra spingeranno alcuni a riprendere in mano Il Canzoniere!!!). La notte era algida, stellata, ancora qualche mucchio di neve intorno alla chiesetta Romanica e al giardino. Mi sembrava di essere in un sogno, ma forse era una realtà rotonda in cui confluivano il presente e il passato in modo armonico e finalmente conclusi.
IL CANZONIERE, di Francesco Petrarca
pubblicato da: admin - 15 Marzo, 2010 @ 12:29 am
Che cosa meglio di un’occasione poetico-musicale che parlare di Petrarca? Ieri  nel castello rinascimentale di Carpi, e oggi pomeriggio all’Istituo Liszt di Bologna il soprano Maria Letizia Grosselli e la pianista Stefania Neonato hanno presentato, con la loro solita  bravura e un consolidato affiatamento, un programma intenso ed entusiasmante. Le Soirées Musicales di Rossini e Tre Sonetti di Petrarca, musicati da Liszt.
Sono stata coinvolta anch’io per leggere i tre sonetti al pubblico, prima dell’esecuzione musicale  per far capire meglio le parole di Petrarca. Appena saputo del mio “ingaggio” ero  partita  alla ricerca del Canzoniere nel mio grande scaffale.
Sappiamo tutti che il grande trecentista, padre della lingua italiana, insieme a Dante e a Boccaccio, nacque in Toscana nel 1304 e che scrisse tantissimo in latino e in italiano volgare. In questo post mi soffermo soltano sui tre sonetti musicati, che insieme a canzoni, madrigali, ballate e sestine ed altri sonetti fanno parte del Canzoniere. Quasi tutti i 366 componimenti sono dedicati a Laura, donna reale per la quale Petrarca provò un amore autentico. Non esistono documenti a tal proposito, dobbiamo credere all’infinità di versi profondi e sofferti da lui composti.
Ricordiamo esattamente dove e quando Petrarca vide Laura per la prima volta: chiesa di S.Chiara ad Avignone, il 6 aprile 1327. Di questo momento memorabile leggiamo il sonetto
 “Benedetto sia ‘l giorno”
Benedetto sia ‘l giorno, e ‘l mese, e ‘l’anno
e la stagione , e ‘l tempo, e l’ora, e ‘l punto
e ‘l bel paese e ‘l loco, ov’io fui giunto
da’ duo begli occhi che legato ,’Ã nno….
Il Canzoniere, oltre alle struggenti rime in vita e morte di Laura, parla in forma  poetica della vita interiore del poeta, vita piena di conflitti, dubbi, incertezze, tanto da poterla accumunare a quella di un uomo moderno. Lasciata la sicurezza teologica di Dante, in Petrarca troviamo un nuovo uomo, quello dell’Umanesimo, un uomo che comincia a scrutare dentro se stesso. Il suo più sofferto  conflitto interiore nasce dal desiderio di amore carnale verso Laura e il rispetto della morale cristiana. La famosa scalata verso il Monte Ventoso in Provenza acquista un valore simbolico di ciò che è  la sua vita e il suo sentire, primo uomo moderno dilaniato da insicurezze e dubbi. In questa allegorica ascesa al Mont Ventoux si ritrova la vita stessa del poeta, ardua e faticosa..
Nel secondo sonetto  cantato da Maria Letizia, “Pace non trovo” c’è una teoria di termini in antitesi, testimonianza della lacerata e conflittuale situazione interiore a causa dell’amore non ricambiato.
Pace non trovo, e no ho da far guerra,
e temo, e spero, ed ardo, e son ghiaccio:
e volo sopra ‘l cielo, e giaccio in terra;
e nulla stringo, e tutto ‘l mondo abbraccio.
…
Pascomi di dolor; piangendo rido;
egualmente mi spiace morte e vita.
In questo stato son, Donna, per Voi.
Ascoltare questi bellissimi versi accompagnati dalle note di Liszt è stata un puro piacere. L’arte, la poesia e la musica sono doni di cui possiamo godere.


















