DIARIO, per sempre

pubblicato da: admin - 12 Aprile, 2010 @ 8:00 pm

Mimmi sul tappetoscansione0017Non è facile per me scrivere con leggerezza il 12 aprile. I Diari miei e di altri mi aiutano a ricomporre la mia piccola vita, altri sospiri che possono mescolarsi ai miei. Il 12 aprile del 2005 scrivevo : “Un anno. E’ come fosse passato un giorno, un’ora. Il dolore è appuntito e mi seziona in filamenti…Ricordi che tengo imbavagliati e che non sbiadiscono. Io, sola, che inizio la mia vecchiaia.; un tempo che immaginavo sereno, senza tumulti, senza sforzi, mi si presenta arduo e arido. Chiudo questo quaderno nero e cerco piccole luci in questa grande oscurità che è il mio futuro. Leggo. Timore: riuscirò da sola? Amiche: confortanti. I caffè. Qualche film. TV. Libri e libri.”…”Le mie piante crescono e l’orchidea bianca è bellissima.”

Sto facendo una grande confusione oggi per scrivere il post quotidiano, ho aperto i diari delle mie scrittrici preferite, ma sono un po’ “in bilico”, non per niente mi è caduta nuovamente sul polpaccio la sedia pieghevole della cucina. Già l’ecchimosi fiorisce sulla pelle. Inoltre la gatta-principessa mi vede distratta , allora miagola miagola facendo la patetica per avere la mia attenzione. Non trovo i libri di cui voglio parlare: prima ne ho aperti un po’ nell’ingresso, nello studio, sui divani…che caos!

Credo che in copertina metterò il diario di Katherine Mansfield, visto che ho parlato di lei pochi giorni fa. E’ il 12 aprile del 192o e lei scrive: “Ho visitato il Museo oceanografico di Monaco. Ricordo le bolle che affioravano sull’acqua quando l’uomo immergeva la canna nei serbatoi. La giovinetta…com’era graziosa! Ho l’impressione di avere quarant’anni quando vedo delle ragazzine…La donna coi suoi tre bambini a Montecarlo…” E’ un quadro che noi lettori possederemo per sempre. In un altro precedente aprile annotava “Questa sera il cielo si è rassenerato al tramonto. Credevo il giorno chiuso e sigillato, quando avvenne un improvviso irrompere di petali, divinamente luminosi…”

Questo suo diario ci regala una visione unitaria sia dal lato umano che artistico, come lo definisce John Middleton Murry, il critico e letterato che fu compagno della Mansfield dal 1911 alla morte. In molte pagine ci sono infatti appunti per i suoi racconti, le attente osservazioni sulle persone che incontra,  le riflessioni sul suo lavoro di scritttrice.

Mi viene in mente il diario che  mia figlia Stefania scrive sui pezzi musicali che suona o che dovrà suonare nei suoi  concerti in giro per il mondo. Dice che le è utilissimo perchè annota le scoperte, ciò che le piace o che vuole modificare; è un aiuto validissimo per la sua carriera di pianista e fortepianista. ( A proposito, se volete conoscerla  cliccate sul suo sito www.stefanianeonato.com )

Diario for ever. Scrivere per ricordare, per capirsi, per esorcizzare. Ero molto in dubbio se rivelare qualcosa di così intimo, so che molte amiche o conoscenti non lo farebbero mai. Io ho pensato che volevo “regalare” anche un momento della mia sofferenza per aiutare e forse confortare altre persone. Una mia nuova “amica di penna” mi ha scritto che teneva un diario sui cambiamenti della natura, un po’ come “La signora inglese di fine Ottocento”. Mi piace pensarlo e immaginarlo. Ricordo anche un mio collega, trentino doc, che invece annotava, anno dopo anno, le nevicate in regione. Mi sapeva dire quanti millimetri erano caduti nel tal anno, che tipo era la neve…le previsioni, insomma scritti  pratici, ma confortanti e utili.

Naturalmente non potevo esimermi dal nominare  Virginia Woolf. Che poteva mai pensare il 12 aprile del 1919? Naturalmente parla di lettura ” Rubo  questi minuti a “Moll Flanders” che non finii ieri, secondo il mio  orario scritto, avendo ceduto al desiderio di interrompere la lettura e andarmene a Londra. Ma vidi Londra…con gli occhi di Defoe…grande scrittore per imporsi a me anche dopo 200 anni… Forster  mi salutò dalla biblioteca, mentre mi avvicinavo. Ci stringemmo cordialmente la mano; pure lo sento sempre sottrarsi a me, sensitivamente, come da una donna intelligente, una donna moderna…”

Avrei da aprire anche i diari di Cesare Pavese, Sylvia Plath, Arthur Schnitzler ecc. ma non sarebbe bello leggere qualcosa di nostro?

 

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VI MOSTRERO' LA PAURA, di Nikolaj Frobenius

pubblicato da: admin - 11 Aprile, 2010 @ 8:00 pm

200px-Edgar_Allan_Poe_1848[1]scansione0016Ho notato in questi ultimi tempi un aumentato interesse da parte di scrittori e registi per la paura, il brivido, il soprannaturale.  Films su vampiri, telefilm su medium e menti criminali, libri su fantasmi o storie inquietanti. E’ un bisogno di catarsi per sfuggire alla paura? O siamo entrati nel secolo della paura? Abbiamo lasciato quello dell’ansia, secondo  sociologi e psicologi, ed  ora abbiamo poche difese di fronte al terrorismo, catastrofi naturali, imprevidibilità dell’essere umano?  Fortunatamente ci sono sempre l’energia positiva, l’ottimismo di tante persone, l’entusiasmo. Stamattina  con le care amiche , mentre bevevamo il caffè al bar del Lungo Fersina, analizzavamo l’attuale epoca così individualistica e chiusa. Pur sentendoci noi tre  abbastanza soddisfatte  del nostro percorso esistenziale e   sufficientemente sagge per valutare  i nostri tempi, percepiamo talvolta  tra le nuove generazioni  un po’ di insicurezza, mancanza di puntelli …quasi  “paura della paura” . E’ per questo che tanti ne scrivono?

Non ultimo  questo ancor giovane scrittore norvegese Nikolaj Frobenius che si cimenta in una biografia del padre dei racconti dell’horror e dei thriller: il visionario Edgar Allan Poe. E’ un racconto a tre voci, quella di Poe, quella del critico letterario Rufus Griswold e  quella di un personaggio immaginario, Samuel, che altri non è che il “doppio” di Poe.

 Ripercorriamo la vita di questo scrittore statunitense sin dalla perdita traumatica della madre di cui sentirà per sempre la mancanza. E’ ancora piccolo e presto perde  anche il padre. Adottato da un ricco negoziante, il signor Allen, ne assume il cognome.  Sensibilissimo, bello, dallo sguardo carismatico, Edgar  può vivere negli agi e studiare, ma non riesce a terminare gli studi universitari per colpa dell’alcool e dei debiti di gioco. Inizia un degrado continuo intervallato da momenti di lucidità durante i quali scrive dei suoi incubi, delle sue visioni. “Cosa viene prima, la letteratura o la realtà? Cosa viene prima la paura o la parola?” si chiede Nikolaj Frobenius.

 Poe sposa una sua cugina di appena 14 anni che, ammalata di tisi  muore dopo una decina d’anni dal matrimonio ; egli  l’ama moltissimo e il dolore per la sua perdita lo fa precipitare nell’annichilimento  assoluto. Muore di delirio tremens , a soli 40 anni, nel 1849.

La sua vita sembra un’ubriacatura esistenziale, la sua lettura del mondo è quella del sotterraneo, dell’inconscio di cui scopre i segreti più inquietanti. Prima di Freud e di Jung fa emergere nei suoi scritti l’inconscio collettivo saturo di simbologie paurose  e magiche.  Il lettore che entra nei suoi racconti in prima persona viene risucchiato e sprofondato nelle sue visioni. Il lettore diventa Poe. Egli ci descrive il mondo che vede: pauroso e distruttivo. “I confini tra l’onirismo e  la dimensione ordinaria si confondono sempre più.”

In questo libro l’antagonista, Rufus Griswold prova attrazione e repulsione verso Poe . Pensa che  “…quello che scriveva Poe non era degno di persone rispettabili. Scriveva godendo della paura, si crogiolava nel dolore e nella decadenza, senza Dio, senza morale…doveva combatterlo, eliminarlo e ridicolizzare“.

Edgar Allan Poe diventerà invece un maestro per Baudelaire che lo traduce ; di Conan Doyle e le sue avvincenti storie misteriose; di Jules Verne; verrà preso come simbolo da tantissimi gruppi musicali, da registi vari; il famoso film “Il corvo” è ispirato  alla sua  omonima celeberrima poesia. Nel libro che io ho  letto pochi giorni fa “Un’Inquietante simmetria” che parlava di fantasmi, ricordo che gli spettri dal cimitero di Highgate facevano spesso voli liberatori  sul dorso  di corvi…

In questa biografia romanzata si parla però delle reali sofferenze di povertà, malattie e delusioni di Poe e della giovane moglie Virginia Eliza. Si raccontano i pochi anni buoni vissuti a New York e a Richmond, si racconta di omicidi che copiano i suoi racconti dell’orrore. Primo fra tutti  “I delitti della Rue Morgue”   (ricordo ancora quando mia mamma lo lesse e entusiasta me lo passò…l’aveva trovato bello ed originalissimo! beh…si parla dell’orangutango che uccide barbaramente due donne… ! )

Il personaggio di Samuel è invece inventato: un servetto nero albino, nè bianco, nè nero, che adora Edgar e che di nascosto lo segue per farlo diventare famoso…è lui che copierà fedelmente gli assassinii misteriosi  e cruenti dei suoi racconti. Ed è  lui che rappresenta il “doppio” dell’animo turbato dello scrittore. Questa paura della propria dualità, una delle quali imprevedibile ed oscura,  viene raccontata magistralmente nel  suo racconto “William Wilson” che termina con l’altro se stesso che gli bisbiglia: “…tu esisti in me, e con la mia morte; guarda con questa immagine che è la tua, come hai definitivamente ucciso te stesso”. 

Ma di Poe e della sua opera, difficilmente classificabile in un genere, si dovrebbe parlare a lungo.

Ognuno di noi ha paura di qualcosa, basta capirlo per esorcizzarla…ai miei alunni facevo scrivere un “Quadernetto dei pensieri”,e alle classi prime assegnavo sempre un titolo “Le mie  paure”. Molti scrivevano: paura del buio,  dei serpenti, dei topi, dei ragni, dell’abbandono dei genitori , ma uno  una volta scrisse …paura della paura.

La domanda d’obbligo è: quali le nostre paure? Amaimo i racconti horror e inquietanti?

 

 

 

 

 

 

 

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I TRE MOSCHETTIERI, e il brivido dell'avventura

pubblicato da: admin - 10 Aprile, 2010 @ 7:01 pm

scaffale nero 002240px-Dartagnan-musketeers[1]Non solo “Piccole donne” o “Jane Eyre” fra le mie letture adolescenziali, ma anche tanti romanzi d’avventura, fra questi uno dei miei preferiti : “I tre moschettieri” di Alessandro Dumas padre.  “Andare” nella Francia del 1625, alla corte di Luigi XIII e seguire le azioni rocambolesche di D’Artagnan, il Guascone che diventa  il quarto moschettiere al fianco di Athos, Porthos  e Aramis, mi entusiasmò immediatamente. Già da piccola con gli amichetti facevo i duelli con gli attaccapanni di legno urlando “In guardia, fellone”, ma quando lessi il primo volume della trilogia di Dumas rimasi affascinata dai quattro eroi fedeli al Re e alla Regina. Amavo particolarmente Aramis perchè era il più colto, aveva sempre pronta una citazione latina e  componeva poesie.

Ricordo ancora l’edizione  che acquistai nel solito negozio di oggetti antichi,  aveva un copertina lucida sul verde scuro, ma ne ho perso le tracce da parecchi anni. Prima che esso sparisse ho fatto però in tempo a rileggerlo più volte. Una cosa curiosa è che mio zio Alfredo (un carissimo zio di cui era la nipote preferita), prima di morire, oltre a donarmi due bei mobili, mi regalò l’intera sua collezione di libri di narrativa della UTET, tenendosene  uno solo…e sapete quale ? Proprio ” I tre moschettieri“!  mi disse che  lo amava troppo per separarsene.

In questo romanzo si parla di alcuni puntali di diamanti  regalati dal Re alla Regina, ma che quest’ultima  ha donato al duca di Buckingham. L’ambiguo e losco cardinale Richelieu lo sa e per creare zizzania propone a Luigi XIII di organizzare un ballo di corte insistendo affinchè la moglie per l’occasione  esibisca i puntali.  Gli intrepidi moschettieri accorrono in aiuto della Regina  recuperando i preziosi, ovviamente  dopo mille peripezie e duelli.

E’ questo anche un romanzo storico perchè molti personaggi sono esistiti veramente, come i regnanti,  il cardinale e il corpo dei Moschettieri, e persino un D’Artagnan  che ha scritto “Memorie di D’Artagnan, capitano della prima compagnia dei Moschettieri del Re.” Ma nasce come romanzo d’appendice  perchè  pubblicato a puntate sul giornale “Le Siècle”.  Viene infine  dato alle stampe come volume nel 1844.

Naturalmente ho visto tutte le edizioni cinematografiche ed ogni volta  ho partecipato commossa all’: “Uno per tutti! Tutti per uno

Credo che sia rilassante, di estrema evasione leggere i libri di avventura. Nel mio primo scaffale di ragazzina c’erano anche “I viaggi di Gulliver”,  “L’isola del tesoro”, “Robinson Crusoe,” “ Il Conte di Montecristo”…ma di questi possiamo scrivere un’altra volta.

Chissà quale moschettiere preferite e perchè; se amate questo genere; quali  libri d’avvenura  vi sono rimasti in mente…

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RACCONTI, di Katherine Mansfield

pubblicato da: admin - 9 Aprile, 2010 @ 6:57 pm

u15279254[1]scansione0014Katherine Mansfield amava la vita appassionatamente, ma il destino la fece morire di tubercolosi a soli 34 anni, nonostante tutte le cure  per guarire, fra cui soggiorni sulla Costa Azzurra e un ultimo tentativo in un’alternativa colonia salutista diretta da un russo.

  Nata in Nuova Zelanda nel 1888, giovanissima si trasferisce in Inghilterra dove comincia a scrivere storie comuni di persone comuni. Fa emergere subito il senso di precarietà della vita, ma proprio per questo ne consegue la percezione immaginifica di intensi attimi sia di gioia che di sgomento. E di felicità improvvisa, come uno squillante fiorire di esotici fiori.

I suoi racconti hanno come titolo “Felicità“, “Preludio”, “Garden Party”, “Miss Brill”…quest’ultimo racconta in poche pagine la vita semplicissima di un’insegnante di inglese a Parigi che si accontenta di domeniche ai Jardins Publiques  perchè può indossare la sua pelliccetta,  di sedersi in solitaria osservazione del mondo circostante  su una panchina “speciale”, di gratificarsi, tornando a casa , acquistando una fetta di torta al miele esultando se vi trova una mandorla. “Se c’era le sembrava di portarsi a casa un minuscolo regalo – una sorpresa -qualcosa che avrebbe potuto benissimo non esserci”.  Ma la malinconia emerge nella solitudine di Miss Brill che non ha acquistato la sua fetta di torta abituale e si ritrova , senza nulla per cui gioire, nella sua minuscola stanzetta buia .

Katherine Mansfield adora entrare nella vita degli altri, ascolta tutti,  come se non sentisse, ma incamera ogni frase, ogni dettaglio.. Osserva in silenzio e un po’ in disparte assorbita dalle sue fantasie colorate che entrano in sintonia con il sentire degli altri.  Partecipa senza però concedersi.

Lei è una creatura ardente, è come un giardino di fiori selvaggi, quei fiori carnosi e vermigli della sua nativa terra e che sembra continuino a fiorire nel suo cuore.Se si potesse paragonare a quadri lei sarebbe quelli di Van Gogh. Vuole emozioni, è avida di sensazioni. Le giornate banali la deprimono “i giorni che non valgono la pena di essere vissuti” quelli in cui non accade nulla che ti accenda.

Percepisco anch’io delle giornate grigie, io le chiamo le “flinghe” come le carte che a briscola non valgono niente. Ma qui ci sarebbe tanto da discutere…non valgono niente perchè non arriva nulla dall’esterno? o perchè c’è il momento di stasi dentro di noi?…a volte una giornata solitaria può dare, grazie al lavorìo della mente e del cuore, entusiasmo e gioia, altre, piene di novità, possono invece rattristare.

Di Katherine Mansfield ho tanti libri, i suoi poemetti, i suoi diari, uno splendido saggio sulla sua vita e la sua arte, ma ne parlerò un’altra volta. Ora cito un altro bellissimo racconto di questa raccolta, “Preludio”, ambientato in Nuova Zelanda. La protagonistra  è Linda Burnell nella quale si incarna l’adorata e lontana madre ma che rivela anche una parte della scrittrice che scopre,  scrivendone, la sua identità. Capisce  che anche in lei, come nella madre, esiste lo stesso occhio lontano, impartecipe, quasi come quello delle piante, dell’aloe …

Si parla di un trasloco, di matrimonio, di momenti particolari. Vi sono descrizioni coloratissime ” …un pezzo di sapone giallo e granuloso in un angolo del davanzale e un cencio di flanella macchiato di blu…” “…Stelle  luminose screziavano il cielo e la luna stava sospesa sul porto spruzzando d’oro le onde.”

Nei pensieri serali di Linda nel suo letto  emerge la fame di vita della stessa Mansfiled, un desiderio insaziabile “Sì, tutto era diventato vivo fino alla più piccola particella, e lei non sentiva il suo letto, fluttuava sospesa nell’aria. Ma sembrava che stesse in ascolto con gli occhi splancati e vigili, che aspettasse qualcuno che non veniva, qualcosa che non accadeva.”

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SOGNI A OCCHI APERTI, e il potere della fantasia

pubblicato da: admin - 8 Aprile, 2010 @ 7:18 pm

scansione0010scansione0009Chiudere gli occhi  come Alice, affacciarsi alla finestra, prendere un pizzico di immaginazione e abbandonarsi al fluire della vita. Tracciare nuovi pensieri nella nuova giornata che può essere sempre una pagina bianca. E sognare, anche ad occhi aperti, come suggerisce la piscoanalista  Ethel S.Person autrice di questo libro la cui  lettura mi ha consolato e  ha finalmente legittimato il mio “ mondo parallelo”. Da piccola mi sentivo in colpa quando mi chiamavano e …non “c’ero”, persa com’ero  nei miei castelli in aria. Mia nonna Bianca mi prendeva in giro da pratica massaia emiliana com’era! L’immaginazione è stata una fedele compagna in molte occasioni, nei momenti di noia,  prima di addormentarmi, persino quando lavavo i piatti ; la fantasia correva e mi trasportava in altri luoghi e altri tempi.

Lasciarsi trasportare dalla fantasia è un bene, rassicura l’autrice  “Le fantasie – sogni ad occhi aperti, castelli in aria, scenari mentali di ogni tipo – sono un potente filtro per la nostra esperienza del mondo esterno ed interno…la fantasia è essenziale quanto l’aria” .

Ethel S.Person scrive che seguire il filo delle proprie fantasie è basilare per plasmare la nostra personalità e il nostro percorso esistenziale. Gli scrittori hanno sempre attribuito all’immaginazione un ruolo primario ( ricordiamo le rovinose fantasie di Madame Bovary o l’autocreatività del Grande Gasby), mentre spesso la psicoanalisi ha dato  più importanza all’inconscio.  Sembra proprio che fantasticare ad “occhi aperti”, immaginare situazioni belle o risolutrici di conflitti, liberi dall’angoscia e ci protegga da azioni precipitose. “La fantasia è un teatro nel quale assistiamo ai possibili scenari della nostra vita a venire”.

Non un’inutile distrazione o un rimpiazzo della realtà, ma la fantasia è la capacità mentale  di pensare a possibilità, a contemplare alternative, quindi è creatività!  L’immaginazione è spesso considerata la dote umana per eccellenza. Evviva quindi i sognatori !

Nella sua precisa analisi Ethel S. Person ci spiega quali possono essere i principali sogni delle donne: senz’altro sognare del Principe Azzurro, di una futura famiglia , di riscattare qualcuno di sfortunato. Ricordiamo Jane Eyre e la sua dedizione al signor Rochester diventato cieco. Una mia fantasia di questo genere era quella di “salvare” la piccola fiammifferaia, portarla a casa al caldo, nutrirla e farla stare con noi.

In queste pagine vengono spiegati anche casi clinici in cui le fantasie sono lo strumento per comprendere il malessere psicologico. Un libro interessantissimo dunque per capire i misteri della nostra mente.

Un altro capitolo parla di idoli e identificazioni come schemi di partenza per i sogni ad occhi aperti. Ecco Batman, Wonder Woman, ma anche Rossella O’Hara. E personaggi reali come Jacqueline Onassis e Sylvia Plath. “Tramite l’identificazione, ciascuna razionalizza la propria tristezza, nobilitandola in qualcosa di romantico…”

Quali i vostri sogni ad occhi aperti?

Vorrei comunicare ai miei lettori che la mia video intervista si può vedere al seguente URL:

http://www.trentoblog.it/?page_id=28165

Si parla ovviamente di LETTURA!

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ALICE NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE, di Lewis Carroll

pubblicato da: admin - 7 Aprile, 2010 @ 7:47 pm

mimilo 017scansione0006Oggi mi sento un po’ come lo Stregatto del mondo meraviglioso di Alice, mi sembra di apparire e poi di scomparire. Non sono centrata, tutta tesa per le mille cose da fare, non ultima la video intervista  per  Trentino Cult. O forse è questa giornata di frusciante primavera che mi fa ondeggiare dal presente reale  a quello immaginario.  Inoltre guardo l’orologio e mi vedo in ritardo , allora corro  come il Bianconiglio… a cambiarmi.   

                                                                     *                                                                                                               

Sono contenta dell’intervista che la gentile Jessica mi ha fatto. Abbiamo parlato di Maurizio Costanzo e del blog e naturalmente di lettura e ciò che essa rappresenta per me. Domani probalmente si potrà già vedere.

Ora però sono con un grosso libro di fiabe che comprende appunto “Alice nel paese delle meraviglie.”  Ho voglia di sfogliarlo, un po’ sull’onda del film che stanno proiettando a Trento  –  esaurite le frotte di bambini entusiasti, spero di poterlo vedere anch’io – e un po’ perchè il mondo che esiste oltre “lo specchio” o  una certa soglia, ha un fascino intrigante. Alice può oltrepassare quel limite spinta dalla sua curiosità, dalla  sua vivida fantasia e un po’ di buon senso.

Quando si vede crescere  a dismisura parla con i suoi piedi “Poveri piedini miei! Vorrei sapere chi vi infilerà le scarpe e le calze, adesso…Io sono sicura di non riuscirvi: sono troppo distante per occuparmi di voi. Dovete sbrigarvela da soli. Per premiarvi, vi comprerò un paio di stivaletti nuovi, a Natale. Non vedo altra soluzione per ora…” Nonostante il fantastico cambiamento avvenuto dopo l’assaggio del pasticcino, Alice, da  pratica ragazzina inglese, pensa già a risolvere il problema.

Ma noi sappiamo che le avventure sono appena all’inizio, che il Coniglio non l’aiuta e che lei ad un certo punto mormora “Com’è tutto strano, oggi! …Che mi abbiano cambiata con un’altra? Se non sono più io, chi sono allora?”. Interessante ogni lettura che noi diamo a questa fiaba, la ricerca dell’identità e la possibilità di un repentino cambiamento di noi stessi.
E il mondo a rovescio che trova nella cucina della Duchessa… non è forse l’eterno interrogativo di ciò che è e di ciò che può essere?

Personaggi indimenticabili per la mia generazione, anche grazie allo stupendo film di Walt Disney sono lo Stregatto , il Brucaliffo, il Cappellaio matto, la terribile regina di cuori.

Ma cosa ci vuole dire Lewis Carrol? E’ solo un raccontino scritto per la deliziosa figlia dei suoi amici o egli ci suggerisce  che esiste un mondo di possibilità e meraviglie accanto a noi,  raggiungibile  con la fantasia?

A volte io mi sento Alice per la capacità  di “evadere” dalla quotidianità e ondeggiare in un universo parallelo, non sempre solido, ma appagante e consolatorio. Voi vi sentite talvolta come lei? Potrebbe essere di aiuto “chiudere gli occhi” di tanto in tanto?

Quando Alice si sveglia e capisce che è un sogno viene mandata dalla sorella a fare merenda.

La sorella, invece, si fermò, appoggiando il capo sulla mano; guardava il sole calante e pensava alla piccola Alice e a tutte le sue meravigliose avventure…E la pace diffusa intorno a lei si animò delle strane creature del sogno della sorella. Stette un po’ ad occhi chiusi e credette di essere nel paese delle meraviglie, benchè sapesse che, non appena aperti gli occhi, tutto sarebbe tornato alla realtà…”

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MRS DALLOWAY, di Virginia Woolf

pubblicato da: admin - 6 Aprile, 2010 @ 6:18 pm

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Nel cielo azzurro chiaro di  stamattina ho visto volare un aeroplano dorato. Ho pensato subito a  Mrs. Dalloway, quando  in una soleggiata mattinata di giugno alza lo sguardo e vede un aereo con un festone pubblicitario. Siamo nel 1923 e lei sta cercando dei fiori per il ricevimento che darà la sera.  Un romanzo eccezionale in cui c’è la rottura del concetto tradizionale  del tempo. Tutto si svolge in un’unica giornata dilatata all’infinito con riferimenti al passato, al presente e al futuro.

E’ quello che, credo, ognuno di noi sente in ogni attimo della propria vita, quegli attimi densi della nostra storia. Se ci soffermiamo a riflettere  possiamo percepire che ogni pensiero è correlato a ricordi, sogni, aspettative.

Virginia Woolf ha 43 anni quando scrive questo libro; sono gli anni artisticamente più fecondi e il suo senso della vita verrà concentrato e “psicologizzato” nell’animo di una signora dell’alta borghesia londinese.Virginia si immerge nella signora Dalloway, assegnandole i suoi turbamenti e  i suoi interrogativi  fino a riuscire a riordinarli proprio scrivendone.

 Quando apre la porta di casa per uscire, Mrs Dalloway rivive l’analoga sensazione di quando, ragazza,  apriva la finestra affacciata sul prato di casa sua. Ogni gesto, ogni incontro produce in lei una reazione impregnata da altre esperienze. E’ un monologo interiore che fluisce ininterrottamente nei suoi pensieri. Dagli attimi e pensieri leggeri come l’incontro con un conoscente al quale dice di amare passeggiare per le vie di Londra , “I love walking in London”, a domande sull’amore e sulla solitudine. Si chiede se i ricevimenti uniscano veramente le persone o le facciano sentire ancora più sole.

Clarissa Dalloway ha 50 anni, ha un marito gentile che assomiglia a Leonard Woolf, una figlia impegnata nel sociale. Tutta la sua vita viene raccontata mentre si organizza  questo ricevimento al quale sarà invitato anche un suo vecchio spasimante.

Parallelamente si snoda la vicenda di Septimus Warren Smith il cui legame con Mrs. Dalloway è il medico che lo ha in cura. Quest’ultimo, invitato al party, racconterà del suicidio di Warren Smith.

C’è un conflitto tra la vita e la morte. Clarissa, chiara, aperta, gaia e Warren Smith (war:guerra; smitten: colpire) l’oscurità della pazzia, l’odio per il tragico passato di guerra.

Vincerà la vita, il ricevimento si farà e lo spazio della casa di Clarissa diventerà, come lei vuole, “il luogo dove essere”.

Il tempo e la memoria sono il centro del romanzo. La memoria è la somma di tutti i sensi, è un agente di continuità. Septimus, il deuteragonista, odia il passato perciò non riesce ad integrarsi nel presente e tantomeno pensare al futuro: per Clarissa invece la memoria è la somma di tutti i sensi, è un agente di continuità, è un insieme di emozioni da rivivere in tranquillità. In una scena finale Mrs Dalloway si affaccerà alla finestra per riflettere e ricordare.

La finestra è un occhio sul mondo esterno ma diventa anche un canale di introspezione proprio in questo andare e venire del dentro al  fuori. Attraverso la finestra in un altro celeberrimo romanzo della Woolf  si vede il faro…

 Per me, qui a Trento, è proprio l’affacciarmi alla finestra il momento della pausa, del pensiero vagolante, del punto della situazione…ho sempre un rettangolo di cielo da guardare…e altre finestre.

 Qual è il vosto punto di “raccolta”in voi stessi?

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LE MADRI E LE FIGLIE, un filo solidissimo

pubblicato da: admin - 5 Aprile, 2010 @ 7:32 pm

lemadrielefiglieSono appena tornata da due giorni rilassanti trascorsi alle Teme di Montegrotto. Piscina termale, vasche con idromassaggio, sauna e pasti luculliani. Piacevolezze della vita, ancor più gradevoli perchè condivise con persone amiche. Fra queste una carissima signora ottuagenaria, le sue figlie e le sue nipoti. Un filo conduttore forte e prezioso che mi ha ricordato  il forte legame che io avevo con mia madre e mia nonna e che ora continuo ad avere con mia figlia …e naturalmente un libro, un romanzo di Patricia GaffneyLe madri e le figlie” (titolo originale “Circle of Three”).

 Non sempre, come si può leggere nelle pagine della vita e della letteratura  i rapporti madri e figlie sono positivi. Scrive la Gaffney: “Secondo me la famiglia, ogni famiglia, è un po’ come il cilindro di un prestigiatore, sempre pieno di sorprese…”. In questo suo romanzo troviamo una quarantenne, Carrie, appena rimasta vedova che cade in una profonda depressione dalla quale riuscirà a salvarsi anche grazie alla figlia adolescente e alla madre un po’ invadente. Si racconta quindi di una risalita per la serenità;  dei sogni e delle difficoltà di Ruth, la figlia quindicenne, ansiosa di affermare la propria identità; delle inquietudini dell’invecchiamento di Dana che ha appena compiuto settant’anni. Vengono esplorati con sensibilità ed ironia i delicati equilibri fra generazioni  femminili.

Ripenso alla mia care amiche delle terme: la nonna che diceva di amare la vita “Non è bella la vita?” esclamava a tavola davanti alla torta millefoglie o nella piscina dell’acqua calda. Le sue figlie (le mie care Penelopi ) attente e  pazienti nei suoi confronti; la bellissima nipotina, studentessa di architettura a Venezia che le chiedeva di cucinarle  una torta speciale. Io assaporavo con nostalgia questo legame ripensando alla complicità femminile della mia famiglia d’origine in cui esisteva un nostro lessico indimenticabile, nostri riti e una capacità di comprensione immediata.

Mi sono ritemprata dunque, non solo per un ozio piacevole tra acque calde e vapori profumati di essenza, ma anche per un tuffo in un vitale e solido arazzo familiare.

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DUE MESI DOPO, di Agatha Christie

pubblicato da: admin - 4 Aprile, 2010 @ 2:34 pm

mouse trapAgatha Mary Clarissa Miller,  conosciuta come Agatha Christie, la più famosa autrice di gialli al mondo –  milioni e milioni di copie dei suoi romanzi vendute ovunque – era una signora borghese, timida e alquanto convenzionale. Nata nel Devonshire nel 1890 non andò mai a scuola, ma  venne educata dalla madre e dalle governanti;  spesso inventava giochi elaborati tipici dei bambini solitari. Forse già da allora la sua mente cominciò  a tessere le trame complesse dei futuri romanzi.

Dopo alcuni flirt sposò Archie Christie,(dal quale divorziò anni dopo), lavorò in un ospedale come assistente in un dispensario. E’ lì che concepì l’idea di scrivere un giallo. Il suo primo romanzo che vede per la prima volta  Hercule Poirot indagare a “Styles Court” uscì nel 1915. Da allora  pubblicò tantissimi altri romanzi  nei quali, oltre a Poirot, troviamo la deliziosa, ma decisa  zitella di mezza età, Miss Marple, un’ acuta osservatrice che riesce a risolvere, tra un lavoro a  maglia e una tazza di tè, i casi  polizieschi più complicati.

Chi non conosce Agatha Christie? Io ho cominciato a vedere i suoi libri da bambina, sul comodino della mamma. Lei riusciva a prendere sonno solo leggendo i gialli! Naturalmente ho cominciato a leggerli anch’io entrando nel mondo inglese della prima metà del Novecento.  Mi piacciono entrambi, Poirot e Miss Marple, ma la seconda ha per me un fascino particolare: mi piace leggere della tranquilla vita di villaggio, del suo cottage, delle persone che ascolta con attenzione  e della sua mente particolare che riesce alla fine a sistemare il puzzle più complicato. Quando arrivai a Londra nel 1967 per il mio anno di ragazza alla pari, come prima cosa andai a teatro a vedere la sua “Trappola per topi”, il lavoro teatrale che ha tenuto cartellone più a lungo nella storia . Dal 1952 va ininterrottamente in scena, tanto da diventare un’attrazione turistica.

Due mesi dopo”, scritto nel 1937, è un romanzo di piacevolissima lettura perchè riflette più di altri alcuni interessi della scrittrice: i cani, le case di campagna e lo spiritismo, a proposito del quale era scettica, ma non del tutto incredula. Gli inglesi sono molto fieri dei loro fantasmi! Una mia amica, ora trasferitasi a Parigi, abitava in una casa vittoriana infestata dal fantasma di una signora che veniva sentita soprattutto … dal suo gatto!

Nel romanzo “Due mesi dopo“, Poirot ed il suo inseparabile Hastings indagano nella ristretta cerchia della famiglia Arundell e nella loro residenza di campagna, Littlegreen House. Che piacere avere sempre a portata di mano l’elenco dei personaggi! Il linguaggio è scorrevole, il lessico abbastanza facile, molti  i dialoghi , tanto che chi “mastica” un po’ l’inglese potrebbe leggerlo in lingua originale.”Dumb witness”.

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AMATA SCRITTURA, per "sgomitolarci"

pubblicato da: admin - 3 Aprile, 2010 @ 8:25 am

scansione0008Ho ricevuto questo saggio di Dacia Maraini da una cara amica, 10 anni fa, quando tentavamo di formare un Circolo di scrittura. L’obiettivo doveva essere  quello di scrivere paginette autobiografiche, riflessioni, poesie e di confrontarle per chiarire la nostra vita, raccogliere pezzetti esistenziali, cercare delle coordinate comuni per proseguire il nostro percorso. L’iniziativa non ebbe molto successo, molte persone non riuscivano a raccontarsi sulla carta, preferivano il dialogo a tu per tu, o ancora non amavano svelarsi troppo. Rimanemmo in pochissime per cui il Circolo si sciolse.

Ogni persona è diversa, per fortuna, l’importante è sapere che cosa ci fa sentire meglio, “centrate” come dice mia figlia Stefania. Per me, ovviamente,  l'”amata scrittura” mi ha aiutato e mi aiuta tanto.

Con le  riflessioni di Dacia Maraini  concordo appieno circa il  valore terapeutico delle parole scritte che medicano le ferite e le “zone ingorgate della memoria“ .  La Maraini sottolinea la necessità per molti di costruire “una mappa del rapporto con se stessi.” Chi legge tanto  sente la necessità di scrivere perchè il mondo parallelo della letteratura apre e scandaglia il proprio mondo interiore risvegliando misteri e sentieri della propria vita. Diventa quasi una necessità fisica puntellare le proprie epifanie,  confidare chiaramente e sinceramente il proprio dolore, codificare un sentimento confuso con  le parole della nostra lingua.

Scrive  Juan Ramòn Jiménez: “Intelligenza, dammi / il nome esatto delle cose!! /La mia parola sia /la cosa stessa / creata nuovamente dalla mia anima.

Verba volant, scripta manent. Se mettiamo sulla carta ciò che è dentro di noi questo uscirà dall’ombra. Forse ne abbiamo paura? Meglio le parole che scorrono aeree,e che possiamo accantonare?

Non solo scrittura come intreccio con le letture, che è il filo conduttore del mio blog, ma scrivere per curiosità intensa della vita, golosità per le mille sfaccettature dell’esistenza, svelarsi per porgere la mano agli altri.  E’ talmente variegata la vita di un essere umano che un momento, un attimo è  paragonabile a una tessera di mosaico che  contiene tutto il suo passato ed insieme le aspettative del futuro. Se scrivo questo mio pensiero l’ho catturato per sempre, come una farfalla imprendibile.

Che cosa meglio che scrivere in poesia i “momenti d’essere?”

Per tornare alle pagine di Dacia Mariaini, riporto un pezzetto di una intervista da lei fatta a Marco Lodoli (romanziere e poeta).

Chiede la Maraini :”Che cosa le dà di diverso la poesia da un racconto?”

Lodoli risponde:” E’ il tempo che è diverso nella poesia, è proprio la combustione del tempo per cui le parole ardono in un modo così immediato, come accendere uno zolfanello in una grotta.”

Ieri notte alla fine dell’intervista che mi ha fatto Maurizio Costanzo, sulla mia vita e sul blog, abbiamo parlato di poesia. Costanzo consiglia a  tutti di leggere poesia, egli stesso tiene sempre un libro di poesie sul comodino e incita a scriverne. Gli ho detto che ne scrivo anch’io. Ne vuole alcune.

Credo che gli invierò queste due:

L’attimo eterno

Non una, ma due, tre volte voglio vivere lo stesso istante

chè l’impeto del tempo in piena

si frantumi in mille schegge su di me

e mi sveli le infinite forme dell’esistere.

Voglio partorire versi su versi

per incatenare al mio sentire

i cerchi concentrici della possibilità,

non un sorso voglio tralasciare della mia eternità.

 

Se il buio

I giorni a venire saranno come vele in un porto,

come passeri che a sera si tuffano nel cuore del cipresso

in cerca del nido e del sonno.

Cammineremo accanto ai nostri sogni,

quasi sentendoli veri,

e se il buio ci sobbalzerà nel cuore

ci stringeremo forte e lo attraverseremo.

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