LA COSCIENZA DI ZENO, e l'uomo di poca qualità

pubblicato da: admin - 22 Aprile, 2010 @ 6:56 pm

scansione0028Ci sono anche personaggi imperfetti che affascinano , è il caso del simpatico Zeno Cosini ( una cosuccia da zero?) diventato il rappresentante di un’epoca di incertezze, timori e profondi cambiamenti.  Tutti abbiamo letto “La coscienza di Zeno“, quasi certamente a scuola, poi forse riletto per  nostro piacere. Italo Svevo con questo capolavoro ha segnato l’inizio della letteratura moderna italiana, quella introspettiva che inizia a interessarsi delle teorie psicoanalitiche.

Sappiamo che Italo Svevo è lo pseudonimo  di Ettore Schmitz,  nome scelto  per ribadire la propria formazione letteraria italo-tedesca.  Svevo nasce infatti nella  Trieste  asburgica, nel 1861, da padre tedesco e madre italiana. Scrive  importanti romanzi come “Una vita”, “Senilità“, ecc. i quali  non sono accolti positivamente. C’è  infatti chi dice che Svevo “scrive male”,  in un italiano “dove si avvertono le cadenze triestine  e le tracce della sintassi tedesca”.

Invece Joyce, che Svevo incontra nel 1906,  giudica “Senilità“  un testo di valore. Joyce si trova a Trieste come insegnante di inglese alla Berlitz School e Svevo , già inserito nel lavoro commerciale familiare, vuole imparare l’inglese. Nasce un’amicizia e una complicità fra scrittori intensa e particolare. Svevo legge pagine di “Gente di Dublino” e  assiste alla stesura dell'”Ulisse”, Joyce da parte sua capisce che Svevo è un grande narratore e lo farà conoscere a livello internazionale.

Intanto Svevo, pur lavorando nella ditta di famiglia, legge  anche tutte le opere di Sigmund Freud, in tedesco ovviamente. La conoscenza delle teorie psicoanalitiche fa da struttura a questo romanzo che ha forma di confessione autobiografica. Zeno Cosini, per consiglio del medico psicoanalitista che intende liberarlo dalle manie che lo affliggono, non ultimo il vizio del fumo, deve scrivere di sè: gli eventi più importanti della sua vita, episodi irrilevanti e tutto ciò che gli passa per la testa.

Emerge il ritratto di un uomo “inetto”, insoddisfatto, vittima di malattie psicosomatiche, insomma il borghese nevrotico che non guarisce alla fine, ma che verifica la sua “pochezza” col lume della ragione. Consapevolezza dunque di essere un uomo di poca qualità.

Ho scelto di accennare a Svevo perchè mi sono accorta che scrivo soprattutto di autrici donne. Ma Italo Svevo con questo romanzo eccezionale, ha aiutato tantissimi lettori a entrare nell’oscurità della propria psiche. Il suo viaggio nella memoria, descritto talvolta in modo leggero e ironico, è esemplare.  Si parla di scrittura autogenerativa attraverso la quale si può diventare anche più tolleranti verso i nostri difetti. Chi non ricorda le pagine dedicate al vizio del fumo? All’ultima sigaretta, che non sarà mai l’ultima? O alla scelta come moglie  della sorella sbagliata?

Occorrono anche questi personaggi “mediocri”, normali per poterci sentire un po’ meglio nelle nostre piccole vite intrise di contraddizioni, dubbi, domande.

Si torna quindi sempre alla scrittura di sè “Scriva! Scriva! Vedrà come arriverà a vedersi intero“.  lo incita lo psicoanalista. E’ quello che io faccio da una vita ed è quello che, sto notando, molte di voi fanno o stanno iniziando a fare

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MIA SORELLA, MIA SPOSA, la vita di Lou Andreas Salomè

pubblicato da: admin - 21 Aprile, 2010 @ 10:16 pm

salomèOggi parlo di un libro, o meglio della vita di un personaggio, che ha rappresentato un ulteriore mattone nella mia crescita di lettrice e di persona.   Lou Andreas Salomè, una donna eccezionalscansione0026e conosciuta grazie a H.P.Peters. Credo di aver “divorato”questo libro, parola per parola. Non solo per la biografia documentata di Lou, diminutivo di Louise, ma per “l’incontro” con l’intellighenzia di un’ epoca speciale, quella di  Nieztsche,  Rée, Freud, Rilke… Quando la mia amica di Aquileia mi regalò il libro nel 1979, io avevo appena ripreso gli studi  per cui la mia golosità di sapere era grande, e una donna così ricca intellettualmente, libera, anticonformista,  divenne da subito un altro mio idolo. Il primo era Goethe, o meglio la sua olimpica serenità che tento ancora, e invano,  di raggiungere.

Non facevo altro che parlare di Lou Salomè negli incontri che organizzavo a casa mia per discutere di libri. Tutto mi piaceva di lei:  la forza, l’ ottimismo, la libertà, la sete di conoscenza.

Nasce a  San Pietroburgo nel 1861 da un generale russo Gustav von Salomè, ultima nata dopo ben cinque maschi. Naturalmente coccolata e sollecitata nella sua crescita intellettuale, Lou diventa ben presto una donna moderna, emancipata e ribelle, che rifiuta i ruoli prestabiliti di moglie e  di madre. Scrive tanto, diari, appunti, riflessioni, saggi,  e legge filosofia, teologia, matematica, letteratura francese e tedesca.

La sua vita è intensa e H.P.Peters, grazie ai documenti recuperati dopo venticinque anni dal sequestro effettuato dalla Gestapo, riesce a farne un ritratto esaustivo e affascinante.

Leggiamo dei suoi innumerevoli viaggi, della conoscenza con Nieztsche e Paul Rée e della loro vita a tre. Platonica s’intende. Pur libera e anticonformista, Lou avrà il suo primo rapporto sessuale a trent’ anni. In questo strano ménage a trois ( del quale ci parla il film della Cavani “Al di là del bene e del male”) i due  intellettuali si innamorano perdutamente di lei che rifiuta però  le loro proposte di matrimonio . Nieztsche depresso per questo amore non corrisposto scriverà i primi due capitoli di “Così parlò Zarathustra.”

Lou comprende benissimo la psicologia di chi incontra, traccia un esatto  profilo della personalità  di Niezstche. Per istinto, comprende l’animo umano. Segue comunque, sferruzzando, le lezioni di Freud che non le dicevano nulla di nuovo, ma legittimavamo la sua capacità innata di psicoanalista. Nel 1931 pubblica un ringraziamento al padre della psicoanalisi “Mein Dank an Freud”in cui dice “Quello di cui, finalmente, prendevo coscienza seguendo il vostro insegnamento, si rivelò come il senso e il valore delle mie aspirazioni incoscienti“.La psicoanalisi è la conferma sceintifica  delle sue intuizioni e del suo modo di vivere.

Intanto appare un altro uomo al suo orizzonte Friedrich Carl Andreas, che diventerà suo marito. La prima impressione che Lou ne riceve è quella di”…una persona più tranquilla che impietosa, con il contegno serio dello studioso e l’aspetto fisico di un monaco.” Si sposano nel 1887, il matrimonio dura fino al 1930, anno in cui Andreas muore. E’ interessante leggere nelle pagine di Peters  sia della vita di Andreas che degli anni del matrimonio.

Lou Salomè a 36 anni, fa innamorare  Rainer Maria Rilke, anzi per un certo tempo vivranno anche insieme. E’ lui che, prendendo spunto dal Cantico dei cantici, le scrive: “Tu mi hai preso il cuore, mia sorella, mia sposa…” Lou con la sua gioiosa meraviglia verso la vita, con il suo coraggio cerca di infondere in Rilke la consapevolezza del proprio valore. Diventa una maestra di vita per lui ; la loro corrispondenza è stupenda. Ma di questo parlerò in un futuro post.

E’ interessante riflettere sulle persone che sono state o che sono importanti per noi, i “maestri”. Oltre a grandi scrittori, pensatori ci sono anche le persone vicine alla nostra vita, quelle persone che sanno “leggere” il nostro cuore. Anche senza essere famose.  Per me dunque Goethe, Lou Salomè, mia madre…e tanti altri… Per voi?

*    *    *

Il post “Diario, per sempre“, si è arricchito di due altri preziosi commenti che consiglio di leggere.

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L'ALBERO DELLE LATTINE, piccole grandi vite

pubblicato da: admin - 20 Aprile, 2010 @ 7:06 pm

tulipani 001scansione0025Anche l’ultimo romanzo di Anne Tyler racconta di piccole vite, questa volta alla prese con l’evento più destabilizzante: la morte di una bambina, Janie Rose, nel cui giardino rimane tintinnante un alberello pieno di lattine vuote.  E’ stata l’ultima idea estrosa di Janie Rose, sei anni appena, prima di morire per una caduta da un trattore. Era un alberello dedicato a Dio, pieno di pop corn e  di lattine.

Tutto sembra cambiare:  i genitori attoniti non riescono più a fare nulla ,  il fratellino  Simon di 10 anni  si sente inutile e trascurato, la cugina Joan,  che vive con loro,  si sente sospesa, e gli altri abitanti della grande casa ,  che si staglia accanto ai campi di tabacco, sono coinvolti in vari modi.

I personaggi di Anne Tyler, come tutti quelli dei suoi romanzi (da me letti dal primo all’ultimo, compreso “Turista per caso”) sono particolari, non ovvii, comuni ma non banali.

 Troviamo Ansel , ipocondriaco, che sembra fatto al contrario, ” Quando si sentiva particolarmente in forma, chiedeva che gli portassero i pasti su un vassoio, mentre quando stava veramente male era capace di mettersi a tappezzare la camera”.   Vive con il fratello James, pratico, protettivo che ha una relazione sentimentale con Joan. La troppa attenzione per Ansel porterà Joan, una docile ragazza che si sente sempre ospite sia a casa dei genitori che degli zii, a un tentativo di fuga.

Per tutti i personaggi comunque ci sono i tentativi di fuga dal dolore, ognuno a modo suo. Sarà il più piccolo, Simon, con la sua determinazione e slancio vitale a scuotere gli adulti e ricordare loro che l’aspetto più coraggioso degli uomini è continuare ad amare, a stare vicini, anche dopo un lutto.

Ciò che mi piace di Anne Tyler, oltre alla sua prosa che conquista, è l’attenzione minuziosa ai piccoli particolari della vita di tutti i giorni. Come un ranuncolo impigliato nei raggi della ruota della bicicletta: “…lo vide nel cortile, mentre raccoglieva la bicicletta che non usava da giorni…il ranuncolo era ancora impigliato tra i raggi, il fiore giallo penzolava ubriaco dalla ruota interiore, e le foglie avvizzite presero a svolazzare come bandierine quando Simon si avviò lentamente.”

Il suo è un occhio attento, sensibile,fotografico,  dà una speciale importanza agli accadimenti più insignificanti di una giornata. Può essere la descrizione del cambiamento della luce nel tardo pomeriggio, o il fruscio del lenzuolo tirato sulla testa prima di dormire.

Mi incanta assaporare fino in fondo, ogni aspetto della realtà. Credo che con questa strategia anche le giornate vuote, quelle che io definisco “flinghe”, ossia  senza valore, acquistino più sapore e colore.

Ora sono presa dalla scrittura, ma posso provare a guardarmi intorno come farebbe  Anne Tyler…il ronzio del computer potrebbe sembrare uno sciame lontano di api, la luce che si riflette dalle finestre di fronte dà al mio appartamento una luce d’acquario… il graffio che Mimilla mi ha fatto  senza volere  sulla mano sinistra, sembra la linea purpurea disegnata su una mappa… e i tre tulipani nel vaso verde sembrano danzare a braccia aperte…”Parlano tra loro i tuli, tuli, tulipan…”

Provate anche voi…

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L'ARMONIA DEL MONDO, di Pietro Citati

pubblicato da: admin - 19 Aprile, 2010 @ 6:36 pm

mimilla 002scansione0024Giunta al mio 90° libro, come ha ricordato Stefania, è d’uopo riflettere un po’ su questo appuntamento quotidiano che mi regala qualche ora di immersione  – e nella letteratura  -e nel mio profondo. Questo “lavoro” mi fa ricordare attimi ed emozioni dimenticate. Poco fa, mentre pensavo al libro da presentare, mi è tornata alla mente un’antica fonte romana che si vede soltanto percorrendo un sentierino vicino a Cavedine. La scoprii anni fa quando, supplente nella  locale scuola media,  riempivo le ore “buche” passeggiando nei dintorni. Ho precisa l’immagine della scoperta di questa fonte nascosta in cui l’acqua algida e  pura mi  ha, da subito, rappresentato  la Verità  che dobbiamo trovare…  (Chissà se Cinzia mi legge ancora e si ricorda le nostre passeggiate…) E il libro di Pietro Citati, come sempre, ricerca la Verità su di noi, sul nostro  procedere nel mondo in  divenire, riuscendo col suo  giudizio critico ed equilibrato a darci spunti di positività e ottimismo.

Ne “L’Armonia del mondo” si esaminano vari temi, dai gatti e bambini, all’arte della conversazione, dalla nostra italianità  alla politica, ecc.

Mi soffermo, in questo mio  post di riflessione, su un sottocapitolo “La Maturità“  (eh, la lingua batte dove il dente duole, diceva mia nonna) in cui Pietro Citati dice che essa  è”… – la lunga e fugacissima età di mezzo, alla quale dovremmo affidare la parte migliore di noi -  ma che continua a rimanerci incomprensibile.” Come arriviamo a questa sponda? Con coraggio,  con timore o riusciamo a scivolarci dentro con naturalezza? La maturità si può raggiungere anche in un’età anagrafica giovane come  Pamina e Tamino nel Flauto Magico che hanno attraversato “l’ardore delle fiamme e lo strepito dell’acque”. Don Chisciotte , continua Citati, diventa maturo soltanto un attimo prima di morire, quando consapevole della verità, abbandona le sue illusioni che lo hanno fatto vivere. Invece Wilhelm Meister e Lucien de Rubemprè, personaggi chiave di Goethe e di Balzac, non varcheranno mai la soglia. La maturità è quindi una conquista di verità, consapevolezza, ma è anche una perdita delle illusioni, delle incertezze. Il pericolo dell’età matura è  talvolta quello di costruire troppe difese che possono diventare quasi mura carcerarie.

E’ un’età inquieta, ma che può diventare prolifica –  nonostante gli acciacchi e il vuoto che si allarga intorno a noi – progettando, sorridendo, considerando ogni giorno  come un regalo e uno spiraglio aperto a mille possiblità. 

Il consiglio di Pietro Citati è anche quello  di crearci ogni tanto degli spazi vuoti “Abbiamo bisogno di tempo vuoto, dove avanzare senza fretta, bracciata dopo bracciata; attraversiamo un lungo spazio di mare.” Condivido l’elogio della lentezza e “dell’acqua” alla quale abbandonarci per ritemprarci.

Di questo saggio stupendo dovrei scrivere tantissimo; credo sia meglio  consigliare di leggerlo.

Voglio concludere con alcune sue  considerazioni sui gatti – il libro inzia proprio parlando di loro -. “Il gatto si annoia” “non si lamenta” “dorme e contempla”. “E se c’è un momento che mi affascina nella sua vita è quando sta davanti alla finestra. …Come vorrei scorgere quello che vede!…il suo sguardo sembra riflettere e dissolvere in sè tutto ciò che avviene nel mondo”

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JANE E LA DISGRAZIA DI LADY SCARGRAVE, omicidio al castello

pubblicato da: admin - 18 Aprile, 2010 @ 6:59 pm

scansione0023Janedisgrazialadyg[1]Stamattina ho visitato il bellissimo Castel Thun aperto al pubblico da ieri, dopo  rigorosi e “filologici” lavori di restauro. Ero insieme a Gianna, cara compagna di un corso d’inglese  (con  stupendo viaggio conclusivo in England.) Giornata fredda e uggiosa, ma le nuvole basse davano al castello  una suggestiva atmosfera di mistero. Salire e scendere le scale antiche, visitare le  molte stanze arredate con mobili di diverse epoche, mi ha trasportato immediatamente in una piacevole storia “gialla”, letta pochi mesi fa,  nella quale la detective è nientemeno che Jane Austen.

Come è possibile?  La statunitense Stephanie Barron, scrittrice di gialli con lo pseudonimo di Francine Mathews, amante appassionata di Jane Austen ha deciso ,nel 1996,  (e prima di tutti i films tratti dai romanzi della scrittrice)  di far rivivere  la sua autrice preferita immaginando per lei situazioni  che avessero un  mistero da risolvere.

  La Barron ha adottato con successo  uno stile narrativo austeniano: posato, chiaro, caustico, divertente riuscendo a rendere plausibile ogni storia raccontata.

Sono racconti leggeri, intriganti, all'”acqua di rose”, che si leggono con piacere. Siamo trasportati in un ambiente storico accurato, il personaggio  della Austen è delineato con precisione (si percepisce  l’attentissima  conoscenza  da parte della Barron di tutti i  suoi romanzi,  delle lettere alla sorella Cassandra, della bibliografia .)

Chissà se Valentina L. vorrà leggere questi racconti gialli…non vorrei che rimanesse delusa…ma posso dire che della sua amata scrittrice inglese  viene sempre sottolineata la  capacità di  osservazione e comprensione degli accadimenti  del suo piccolo mondo. E’ sempre lei, insomma,  che riesce  alla fine a rimettere l’ordine in un ambiente caotico.

In “Jane e la disgrazia di Lady Scargrave” siamo appunto in un castello dove Jane è ospite dell’amica Isobel, la neo Lady Scargrave. Ma proprio durante la notte Lord Scargrave verrà assassinato. ( L'”arma” del delitto è alquanto singolare!) Isobel verrà ingiustamente accusata d’omicidio e trasportata nelle prigioni di Newgate.
Ma Jane  riuscirà a trovare il vero colpevole  dimostrando il suo coraggio, il suo buon senso e quella deliziosa arguzia tipica di tutti i suoi personaggi.

 Questo ricordavo stamattina  aggirandomi  per il maniero di Thun.

  Ah, andar per castelli…che magia e che incentivo per l’immaginazione!

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NUVOLOSITA' VARIABILE, e i fili dell'amicizia

pubblicato da: admin - 17 Aprile, 2010 @ 7:21 pm

DSC00264scansione0022Amiche per sempre, ritrovate, nuove o amiche che  lentamente si perdono in altri percorsi. Riflettevo stamattina dopo il caffè con le care Terry ed Enza, come si allarga o si sfalda l’arazzo amicale. Grazie al blog  poi sono entrata  in contatto con altre persone con le quali sento consonanze ed affinità.

Come con Miki che oggi compie 31 anni! Auguri!  E’ giovane come  Raffaella e  Maria Letizia .

Nel romanzo della spagnola Carmen Martìn Gaite si parla di  un’amicizia al femminile, nata sui banchi di scuola, alimentata dalle stesse passioni dell’adolescenza e  ritrovata dopo quasi trent’anni di lontananza.  Mariana Leon, una brillante psicoanalista e Sofia Montalvo, moglie di un ambizioso uomo d’affari e madre di tre figli ormai grandi,  si reincontrano, con profonda emozione, a un vernissage. Sdrammatizzato il motivo per cui si erano allontanate (un ragazzo che piaceva a entrambe), comprendono che quello è il momento giusto per confrontarsi, aiutarsi reciprocamente dato che la loro vita si trova in un momento critico. La loro antica intesa viene rinnovata con il patto di scriversi e riaprire lentamente il loro dialogo .

“Nuvolosità variabile” è un racconto scritto a due voci, un po’ diario, un po’ epistolario. Una scrive lettere e le invia, l’altra scrive ma non è ancora pronta  a spedirle all’amica. Di che cosa scrivono? Di sè, della vita, dei rimpianti, delusioni, speranze: una sincera autoanalisi e revisione critica della propria esistenza.

Sofia  ritrova la sua innata creatività e riesce a trasformare  in materia narrativa anche gli episodi più banali della sue giornate di moglie-madre  stanca di un marito disattento e  di una figlia contestatrice. Mariana è più metodica, razionale, riesce a confidare il fallimento sentimentale, amaro risvolto della sua brillante carriera .

Conosciamo completamente, anche grazie a flash back, la vita di queste due donne che alla fine si daranno un appuntamento al mare, vicino a Cadice finalmente consapevoli di ciò che sono e di che cosa vogliono. “Eppure le due donne sedute una di fronte all’altra, rivolte verso il mare, vicino all’estremità della balaustra, non sembravano accorgersi dell’imminente arrivo della pioggia nè della notte…Se una delle due se ne stava silenziosa a guardare il mare con un’aria meditabonda, ben presto l’altra spezzava il suo silenzio gesticolando espressivamente…Avevano le guance arrossate e ciascuna di loro brandiva nella mano destra una penna stilografica…”

 Attraverso la scrittura  destinata a  chi può capire, la “nuvolosità variabile” dei sentimenti viene raccolta in un insieme più comprensibile e accettabile. I vari frammenti  sono resi omogenei nel loro sincero  raccontarsi .  La figlia di Sofia, Encarna, si preoccupa di non poter ordinare nella mente i vari frammenti della realtà : “Tutti pezzettini! Sono tutti pezzettini! ” Quando non si comprendono nel loro insieme le cose sembrano avvolte da una nuvola.

E qui devo citare mia figlia Stefania che talvolta, da ragazzina , diceva che “aveva la nube”…

Insomma un altro libro di esplorazione dell’anima, un altro invito alla scrittura, e un grande piacere di leggere storie di donne come noi. Autoritratti delineati in spazi vitali che noi possiamo conoscere attraverso la  descrizione della casa, come rifugio,  come specchio di sentimenti e pensieri. Penso quindi alla mia nuova amica di Varese,  che sta curando le sue orchidee (non so ancora se posso scrivere il suo nome) e che descrive in modo poetico  le sue giornate di nuvolosità variabile.

E naturalmente penso a Renata che nel 1999 mi consigliò questo libro. Amica che mi legge quotidianamente, ma che non riesce a scrivere con il PC  (è tecnologicamente “arretrata”, come lo ero io tempo fa! ), ma che legge tanto e mi dà consigli preziosi. Lei e tante altre sono le amiche per sempre, adesso ne scopro di nuove e  importanti, alcune  invece si stanno perdendo come petali leggeri di primavera, per usare una figura retorica!

La riflessione del mio 89 esimo giorno di blog è d’uopo: amiche eterne, nuove, che si perdono…

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TUTTI I RACCONTI DEL MISTERO…di Edgar Allan Poe

pubblicato da: admin - 16 Aprile, 2010 @ 8:08 pm

Continuo con i racconti di Poe per completare il  post di qualche giorno fa sulla paura e il genere letterario horror. Lo spunto mi è¨ stato dato sia dal pomeriggio un po’ grigio che mi ha spinto a rileggere un  suo racconto,  sia dall’ultima Âfoto scattata a Mimilla… che ha “spaventato” persino Stefania.

Parlo de “Il gatto nero”, inquietante, terribile, con il finale da brivido.

“Non c’è¨ racconto degno di questo nome se dalla prima parola non suscita l’interesse del lettore, che deve giungere all’ultimo rigo per comprendere la soluzione finale.” scriveva Baudelaire.

In effetti tutti i racconti di questa raccolta sono un labirinto in cui il lettore è¨ costretto a proseguire fino alla liberazione finale.  Sappiamo della vita difficile di Edgar Allan Poe, del trauma indimenticabile di essere lasciato fuori dalla porta della camera dove la giovane mamma stava morendo. E conosciamo i suoi tormenti, i suoi incubi, le sue visioni procurate anche  dall’uso eccessivo di alcool . E  conosciamo il suo terrore del Male di cui è¨ costretto a parlare per esorcizzarlo. Il Male gratuito, quello che sembra far parte dell’essere umano , senza via di scampo.

A tal proposito proprio pochi giorni fa ho sentito, con raccapriccio, che un pluriomicida americano ha rilasciato in un intervista televisiva. Con estrema freddezza dice che il Male è¨ dentro ogni uomo e che prima o poi esce. Il Male, il contrario del Bene, del Buono, ¨ ciò che mi spaventa di più. Non credo a ciò che dicono i pazzi criminali, ma Poe evidentemente era affascinato dall’oscurità  della nostra mente. “…questa forma di malvagità  perversa è¨ uno degli impulsi primordiali del cuore umano – una di quelle inscindibili facoltà  primarie, o sentimenti che governano il carattere dell’Uomo”  fa  infatti dire a un suo personaggio.

“Il gatto nero” ha un inizio tranquillizzante in cui il protagonista-narratore parla del suo amore per gli animali domestici, del suo matrimonio e della decisione di prendere in casa un cane, una scimmietta, pesci rossi ed un gatto nero, molto bello e intelligente. La moglie  fa allusioni all’antica credenza popolare che vede i gatti neri come delle streghe travestite, ma entrambi ne ridono. Il gatto, chiamato Plutone, instaura subito col padrone un rapporto di amore e di fiducia.

Ma ecco che progressivamente la storia incalza, varia, si deforma e ci travolge. Un cambiamento radicale investe il narratore che , per l’abuso di alcool, diventa violento, sia verso la moglie che verso i suoi animali, soprattutto verso Plutone. Una notte, tornato a casa ubriaco, gli sembra che il gatto lo eviti, si lascia prendere da una furia demoniaca e lo acceca in un occhio. Ma non è¨ finita la discesa agli inferi della malvagità, perchè¨ poco tempo dopo lo impiccherà .

Nelle bettole che poi frequenta sempre più¹ assiduamente nota per caso  un  gatto per molto aspetti simile a Plutone,  (il cui corpo non era stato più ritrovato)…

Intanto pazientemente  la moglie subisce il suo brutale comportamento, ma un giorno per difendere il cane dall’ascia omicida del marito, viene uccisa, fatta a pezzi e nascosta nel muro della cantina, prima divelto poi ricostruito.

Credo che tutti l’abbiate letto, ma la fine è¨ eccezionale. I poliziotti indagano e non scoprono nulla. Viene visitata la cantina per l’ennesima volta e il protagonista, ebbro della sua furbizia batte col bastone il muro dove ha nascosto il cadavere della moglie esclamando con spavalderia “…signori…queste pareti sono costruite solidamente.”

Ma improvvisamente una voce lamentosa,un pianto che si trasforma in urlo sconvolgente, un ululato”per metà di orrore, per metà di trionfo” risponde  al suo colpo.

Quando gli inquirenti, demolito il muro, scoprono i poveri resti della donna, vedono il gatto stravolto  con la rossa bocca spalancata …

 Spero che Michela, Enza , mia figlia e tutti  gli amanti del brivido abbiano gradito questo post.

Io devo chiedere perdono alla mia Mimilla-principessa perchè¨ le faccio fare la parte del gatto-mostro. Lei è¨ una dolcissima creatura affettuosa. Ma è¨ venuta così¬ male in questa foto…che può recitare la parte di Plutone.

 

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MARINO MORETTI, omonimo di mio padre

pubblicato da: admin - 15 Aprile, 2010 @ 7:55 pm

scansione0020cm_mm00[1]Il 15 aprile  1912  è la data di nascita di mio padre, Marino  Moretti. Nacque proprio la notte in cui  il Titatnic affondò ( ci teneva a ricordarlo)  –  e qualcosa di tempestoso ed eccessivo nel suo carattere  lo ha sempre avuto – ! Oggi avrebbe quindi quasi 100 anni,  sarebbe potuto  essere! La nonna di mio genero è una deliziosa centenne che vive da sola.

Il poeta Marino Moretti nasce invece nel 1885 a Cesenatico e si inserisce nella corrente del Crepuscolarismo. Ama recuperare nel ricordo le “buone cose di pessimo gusto” come Gozzano nella  celebre “L’amica di Nonna Speranza”. Le sue raccolte hanno titoli semplici “Poesie di tutti i giorni””Il giardino dei frutti”, “Poesie scritte col lapis”. …

Parla spesso di scuola, di alunni, quaderni e lapis rosso e blu. Mi ricordo di una volta che, ammalata, mi sentivo dentro una sua poesia.

Pensavo alla mia classe, al posto vuoto / al registro all’appello (oh, il nome, il nome / mio nel silenzio! ) e mi sentivo /  come proteso nell’abisso dell’ignoto…

…E fra me ripetevo qualche brano / di storia (Berengario, Carlo Magno / Rosmunda) ed era la mia voce un lagno…/ ritmico, un suono quasi non umano/…Ma l’ore…l’ore non passavan mai.”

Il suo linguaggio  è semplice, comprensibile, velato talvolta da ironia.  Scrive anche romanzi.

Ma sfogliando la mia antologia scopro una poesia deliziosa dedicata a  “Carolina Invernizio”,una scrittrice di storie un po’ rosa, un po’ horror, un po’ gotiche, dai titoli “Sepolta viva”, “Il bacio di una morta” “La vendetta di una pazza”… che Marino Moretti aveva letto da ragazzo (le ho  lette anch’io… su suggerimento della mia  bionda e adorata mamma!!!).

“…Qual bacio infame, qual delitto, quale / segreto, quale terribile sorte / quale peccato, qual genio del male? /…Gli altri parlavan di navigatori,/ di arcipelaghi in fiamme, di villaggi / aerei, di corsari e minatori…/ io li guardavo i miei compagni, attento, / dubbioso ancor della Sepolta viva, io li guardava con la faccia smorta, /con la mia smania di pervertimento, / dubbioso ancor del Bacio di una morta./ Ma oggi dolce il tuo pensier mi lega / a’ tuoi fantasmi e a te mi ravvicina, / oggi ch’io sono quasi un tuo collega, / oggi che taci e muori, Carolina.”

Come lui a suo tempo, leggendo questi racconti, mi sentivo in imbarazzo soprattutto nei confronti di una amica più intellettuale che leggeva i Lirici greci e saggi politici.  Ma per me  i romanzi della Invernizio, della Delly, di Liala erano  un’evasione totale, inoltre mi piaceva tanto leggere questa autrice perchè  era il soprannome di mia zia Luciana, melodrammatica, esagerata e catastrofica come le sue storie.  Mia madre, sua sorella, la chiamava così e  spesso la sentivo commentare le sue lamentele con ” Ma va’ là, Carolina Invernizio!”

Poesia crepuscolare, poesia dei ricordi familiari, di un tempo che sembra lontanissimo, ma non è. Avvolti nella tecnologia, nella fretta estrema del vivere consumistico, consumiamo il tempo, le cose, il respiro e  non ci rendiamo conto degli agganci con il passato così importante per la nostra storia.

Quand’ero bambina, negli anni ’50, c’era il Rusinin una ex-mondina, piccola e secca, che viveva in una stanzetta sopra il nostro appartamento, a Carpi. Ebbene lei non aveva la luce elettrica. Non so il perchè: forse non aveva soldi? forse non voleva cedere alla modernità? Ma quando lei mi chiamava per farmi assaggiare la grappa con la ruta ( forse non adatta a una bambina, ma le mondine…) io rimanevo incantata dalla sua lampada ad olio e volevo sempre provare ad accenderla. L’Ottocento era vicino, quindi.

Ed ora?

La nostra memoria, serbatoio importante e basilare per farci proseguire deve sempre essere attizzata come un fuoco per produrre la sua energia.

Mio padre, Marino Moretti, toscano Doc, persona affascinante, talvolta un po’ difficile e forse incompreso, è sempre nei miei pensieri.

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MANGIA, PREGA, AMA, e il coraggio della verità

pubblicato da: admin - 14 Aprile, 2010 @ 8:24 pm

scansione0018LGwebsite2_05[1]2458927695[1]Ho ripensato a questo libro, letto alcuni mesi fa, per la capacità della primavera di far sbocciare la voglia di cambiare, di rinascere. Non semplici cambiamenti nell’arredamento, negli abiti o negli itinerari di passeggiate, ma i grandi cambiamenti. Questi dovrebbero avvenire con coraggio e sincerità quando ci si sente stretti, soffocati da una vita che non sentiamo più nostra. Non è naturalmente il caso delle persone fondamentalmente soddisfatte, che “aggiustano il tiro” con accettabili compromessi e che hanno affetti importanti.

Ma quando una persona si sente precipitare in un tunnel profondo perchè la sua vita non è più la “sua”, e se ne rende conto,e per una notte intera piange ininterrottamente sul pavimento del bagno, vuol dire che occorre reagire, fare qualcosa. E’ quello che Elizabeth Gilbert fa e poi racconta in: “Mangia, prega, ama“.

Ha 34 anni, giornalista , sposata senza figli, vive a New York. Sembrerebbe una situazione invidiabile. Non lo è, perchè Elizabeth – Liz – , sente che il suo matrimonio è finito, e la sua vita privilegiata non le dà tutto ciò che lei desidera. Vuole cambiare, cercare la sua essenza,  ha bisogno di conoscenze nuove, di meravigliarsi della vita, che come un dono, deve essere sfogliata interamente come un libro o come un fiore.

Ci vuole coraggio per lasciare un marito, un lavoro, una città, ma secondo me il coraggio vero è quello di sapere chi siamo e che cosa vogliamo per vivere in modo lieto. L’onestà della verità, credo, sia un obbligo verso se stessi e … verso la vita in sè.

Naturalmente ( per chi se lo può permettere)  il viaggio è la medicina migliore e in questa ricerca spirituale e psicologica attraverso  anche la materialità Liz troverà se stessa, la voglia di vivere ed amare. Quando non si può partire fisicamente, allora rimane il “viaggio” interiore, lo scandagliamento del nostro io, e qualche soluzione per stare meglio, e di conseguenza far star meglio anche chi ci è vicino, si  può trovare.

“Ama, prega, ama” è un reportage di viaggio non solo materiale, ma soprattutto intimo. La prima tappa che Liz sceglie è proprio l’Italia, (così amata dagli americani!),  con il suo fascino del sole,  delle bellezze artistiche, della cucina…Ha desiderio del piacere sensuale del dolce far niente, della bellezza e del cibo. Prima in Sicilia dove si inebria girando per Siracusa, poi Roma, Napoli ed infine Bologna per concludere la sua curiosità gastronomica. Ingrassa più di 10 chili , ma sente che  la  strada è quella giusta. Dopo aver viziato il suo corpo va in India. Pagine belle in cui  ci racconta i corsi intensi e faticosi  di Yoga, fa meditazione riuscendo a giungere infine  ad una  profonda spiritualità, alla grazia, a Dio. Suo compagno di corso un idraulico neozelandese. Il racconto è anche spiritoso, ironico pur nel suo contenuto serio e drammatico. Emerge un gran senso dell’ umorismo ereditato da una folta schiera di zii, fratelli abituati a fare battute spiritose a raffica.

Ed infine a Bali, in Indonesia, Liz ritrova la serenità e l’equilibrio.  Il viaggio dentro di sè , dopo la notte di “parto” e di pianto, ha concluso  il suo cerchio, come il rosario indiano dalle 108 perline, lo japa male. E 108 sono i capitoletti in cui possiamo seguire questa giovane e coraggiosa giornalista nella sua rinascita.

Conosco alcune persone che sono riuscite a dare una svolta significativa alla propria vita, proprio dopo pochi giorni di intensa riflessione e lacrime, o dopo un’inattesa inaccettabile situazione.  Per quanto mi riguarda so che la spinta a  “fuggire” in Inghilterra, quando avevo 22 anni, è nata in un pomeriggio domenicale di fine inverno in un ambiente di totale noia  e squallore in cui avevo capito  che sempre e tutto sarebbe stato uguale. Sensazione di soffocamento, depressione istantanea,…spinta alla fuga.  Dopo alcuni mesi ero sull’overcraft e attraversavo la Manica. Vedendo le bianche scogliere di Dover, ricordo, che respirai profondamente, sorrisi, mi feci fare foto da sconosciuti e mi dissi “Finalmente. Ora mi sento io”.

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I BROWNING, quando la poesia è amore

pubblicato da: admin - 13 Aprile, 2010 @ 8:39 pm

Correzione Correzione imagep134[1]240px-410px-Elizabeth-Barrett-Browning,_Poetical_Works_engraving_flipped[1]Siamo nell’Inghilterra vittoriana ed Elizabeth Barrett nel 1844 è un’acclamata poetessa.  Ha  38 anni  e vive a Londra con il padre e i fratelli, ha una malattia polmonare che l’ha resa seminvalida, ma continua a scrivere rappresentando in pieno la propria epoca. La sua è una poesia emotiva, intima, espressa in un linguaggio talvolta retorico.

“Mi lasci. Eppure io sento che sarò / sempre nella tua ombra”…”Apri il tuo vasto cuore e in esso accogli / le ali bagnate della tua colomba”…”Lucciole e usignoli, / palpitavano insieme, fiamma e canto “

 E tuttavia la Barrett ha una personalità poetica tutta sua, ammirata anche da altri poeti . Edgar Allan Poe  prende ispirazione da  un suo poema “Lady Geraldine’s Courtship”, imita la  sua metrica per “Il corvo”. Anche Emily Dickinson l’ammira sia come poetessa che come donna di forti ideali politici e libertari.  Elizabeth  Barrett fu  infatti una fervida partigiana del Risorgimento italiano e di Napoleone III che cantò nelle sue poesie.

 Il poeta Robert Browning, legge le sue poesie ed inizia con lei una fitta corrispondenza. 

Mi è entrata dentro, divenendo parte di me, questa vostra poesia grandiosa e viva…Amo tutti i vostri versi con tutto il mio cuore, cara Miss Barrett, ed amo anche voi con tutto il cuore.”

Roberto Browing non è così popolare come Elizabeth, ma ha scritto vari poemi e soprattutto monologhi drammatici che esprimono stati d’animo vigorosi, una visione del mondo che si esplicita nei personaggi sia storici sia immaginari. Nel 1841 pubblica “Pippa passes”, e più tardi “Dramatic Lyrics”, “Men and Women”ecc. E’ un ottimista per cui si discosta dal tipico dubbioso e inquieto poeta vittoriano. Pur romantico sotto molti aspetti, con la sua poesia fa piazza pulita di molti languori e svenevolezze del suo tempo.

Robert ed Elizabeth nel 1945 si incontrano e  decidono di sposarsi di nascosto dal padre di lei che osteggia la loro unione.  Lui è più giovane di sei anni, non è ricco  e non ancora famoso. Fuggono a Firenze dove alloggeranno  a Casa Guidi, oggi museo a loro dedicato.

Elizabeth, la cui salute è migliorata, all’età di 43 anni  dà alla luce il loro unico figlio maschio, soprannominato Pen.  Compone  i celebri “ Sonetti portoghesi” in cui ,fingendo di tradurre ,canta il suo amore languido e appassionato per il marito.

Se devi amarmi, per null’altro sia / se non che per amore. / Mai non dire: / l’amo per il sorriso / per lo sguardo / la gentilezza del parlare / il modo di pensare/ così conforme al mio… / Soltanto per amore amami / e per sempre, per l’eternità.” 

Dopo la morte della moglie nel 1861, Robert Browning torna col figlio a Londra, dove la sua fama si è ormai consolidata. Ora, non  più soltanto marito della Barret, ma poeta laureato ad honorem dall’università di Oxford, vede fondare la Browning Society.

Per me Robert Browning è sempre legato ai versi di “Ricordi di casa dall’estero” che oggi disperatamente cerco nella Oxford Anthology, nel volume di Daiches, ma che non trovo. So l’incipit a memoria ( come ho già scritto in un altro post) :”Oh, to be in England /now that April’s there…” ma il seguito? So dove trovarlo!| Nel mio diario del 1968, quando mi trovavo in Inghilterra. Apro le pagine di Aprile…

And whoever wakes in England / sees some morning, unaware / that the lowest boughs and the brushwood…

“Ascolta dove il mio  pero fiorito  / sparge sul trifoglio fiori e rugiada /a capo del getto ricurvo. /Là è il saggio tordo, /ripete il suo canto due volte,/ chè tu non creda  che non sappia ricogliere /la prima sua bella e spensierata estasi”.

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