ETHAN FROME, un vinto
pubblicato da: admin - 2 Maggio, 2010 @ 5:10 pm
Chissà da quale grande empatia o profondità dell’anima scaturiscono, nei grandi scrittori, personaggi come Bartleby o Ethan Frome!  Vite inventate o incollate dall’osservazione della vita così variegata, splendida, ma anche terribile che scorre intorno a noi?
Turbata dal nichlisimo di Bartleby che non riesce a trovare dentro di sè l’élan vital di cui parla Henri Bergson, ho ripensato ad altre storie dove il destino non aiuta questa ricerca. Parlo dei Vinti. Coloro che non riescono a sottrarsi al Fato che incombe. Perchè non ce la fanno per motivi esterni da sè (penso ai Malavoglia  soggiogati da un potere dal quale non immaginano di potersi scrollare ) o perchè un interiore imperativo categorico li tiene prigioneri in una vita squallida e amara. Ed ecco Ethan Frome questo straordinario personaggio inventato ( o forse no?) da Edith Warthon, la scrittrice americana, “discepola”di Henry James, che ha perlopiù scritto della dorata alta borghesia statunitense. Qui lo sfondo non è la New York del “L’Età dell’Innocenza “, ma è una “scabra America rurale” dove vivono poveri e stanchi coltivatori alle prese con una quotidianità di sacrifici e fatiche. Non più conflitto tra individuo e gruppo sociale; qui ci troviamo nell’ambiente ruvido, aspro di un misero villaggio, Starkfield, nel Massachusetts.
Questo breve e cupo racconto inizia , come nei romanzi classici dell’Ottocento, con un’introduzione del  narratore che racconta come, tassello  dopo tassello, sia giunto alla conoscenza di una terribile storia. Arrivato nel villaggio il narratore è subito incuriosito da un personaggio notevole “Già allora era la figura che colpiva di più a Starkfield, benchè non fosse che un rudere d’uomo. Non era tanto la sua statura gigantesca a dare nell’occhio…era la sua figura assorta, possente…I suoi passi zoppicanti lo facevano apparire come uno che strattona una catena. C’era qualcosa di desolato e inavvicinabile nel suo volto… Ethan Frome era così irrigidito e  grigio che lo scambiai per un vecchio …”  La mirabile descrizione di Ethan sembra riassumere tutto il suo destino.
“Ha quell’aspetto dal tempo dello scontro e fanno ventiquattro anni il prossimo febbraio“ racconta  un abitante del villaggio che, insieme agli altri nativi, darà un quadro completo della vicenda.
Si parte allora da un triangolo amoroso. Ethan sposa per gratitudine Zeena la quale , dopo aver ha accudito per molto tempo la suocera ammalata , diventa ipocondriaca, spigolosa, acida, arcigna. Per aiutarla viene chiamata la sua giovane cugina Mattie, vitale, sorridente che sembra illuminare l’inverno esterno e interiore di Ethan, prigioniero di una solitudine e disperazione dalla quale non riesce a fuggire. Scoppia la passione, delicata, senza sentimentalismi, realistica. Uno spiraglio di possibilità , forse nella fuga? Dentro di sè, Ethan sa che non potrà mai farlo, per senso del dovere, ma  soprattutto per l’estrema povertà che non consente l’inizio di una nuova vita.
La situazione è insostenibile. Durante la memorabile corsa in slitta con la quale Ethan deve accompagnare Mattie (scacciata da Zeena) alla stazione, i due innamorati decidono di uccidersi lanciandosi in una folle corsa contro un olmo. Uno scarto da parte di Ethan… però …nel momento in cui “si parò la faccia di sua moglie, con i mostruosi lineamenti sconvolti…”non permetterà loro di morire.
Il destino beffardo, crudele non concederà loro neppure la morte insieme, bensì ferite e menomazioni. Mattie rimane invalida e Ethan zoppo. Ripiombano nella prigione della loro condizione, vinti, in un “implacabile trio con Zeena,” sotto il dominio di Zeena, che li avrà in cura e li  controllerà .
Anche la scrittura di Edith Warthon è asciutta, spoglia, raggelata come raggelati sono  i protagonisti.
Non vedo l’ora di sfogliare le pagine dell'”Età dell’innocenza”, dove il racconto si snoda fluido, consolatorio e dove l’immaginazione e l’immedesimazione possono danzare leggere nei bellissimi salotti dell’aristocrazia statunitense di fine 800. E riguardare semmai lo splendido film di Scorsese.
La lettura apre veramente un mondo infinito : bellezza, crudeltà , gioia, dolore. E il confronto con se stessi.
Mi fa piacere che il blog venga letto da tante persone, anche da molti che non lasciano commenti, ma che mi scrivono e-mail, sms o mi telefonano. Sono onorata anche del commento che Greg Dawson ha scritto dopo la presentazione del  suo libro “La pianista bambina.”
BARTLEBY, LO SCRIVANO, ovvero l'incomunicabilitÃ
pubblicato da: admin - 1 Maggio, 2010 @ 7:02 pm
Mentre scrivo sento giungere da Piazza Dante l’eco di discorsi e canzoni  per la Festa del lavoro. Mi tornano  subito  in mente le  allegre celebrazioni per il primo maggio vissute a Carpi, tanti e tanti anni fa. Al mattino nella nostra via “Cantarana”, come in tutte quello del centro, si era svegliati dall’allegra banda municipale che suonava inni e marcette su un camioncino aperto. Questo avanzava lentamente, sostava davati al bar per far rifocillare i musicisti, poi  si fermava sotto la nostra finestra…e suonava un piccolo brano soltanto per mia madre affacciata con me …perchè il capobanda, un bel giovanottone dai capelli rossi, era stato un suo antico corteggiatore.
Ma, oltre ai miei ricordi,  c’è anche  un personaggio letterario che “vuole entrare nel blog”: è Bartleby, di  cui non conosciamo il nome di battesimo, che viene assunto come copista  da un avvocato di Wall Street…
E’ uno dei racconti più belli di Herman Melville, pubblicato nel 1856.
“Bartleby, the scrivaner” per Beniamino Palcido rappresenta “…il lavoratore alienato in rivolta contro il capitale.”
Se all’inizio Bartleby sembra essere un lavoratore coscienzioso e instancabile, soltanto un po’ eccentrico, col passare del tempo si rifiuterà di svolgere altre mansioni, replicando ad ogni ordine con “Preferirei di no “, “I would prefer not to”.
Il racconto è in prima persona, il narratore è l’avvocato anziano di uno stimato studio legale di New York che ha bisogno di un altro copista, oltre i due che già lavorano per lui. In risposta alla sua inserzione si presenta un giovane che rimane immobile davanti alla porta aperta dello studio, una  “figura così sbiadita nella sua decenza, miserabile nella sua rispettabilità , così disperata nella sua solitudine”. Viene assunto proprio per il suo aspetto tranquillo. Bartleby lavora dietro un paravento. Scrive, scrive meccanicamente, “pallido e silenzioso”. Un giorno gli viene richiesto di esaminare un documento, ma egli, senza neppure uscire dal suo rifugio risponde con tono dolce e fermo “Preferirei di no“.
Perchè l’avvocato tollera questo comportamento? E’ incuriosito, intrigato, impietosito da Bartleby, dalla sua tristezza e dalla sua caparbietà . Col passare del tempo Bartleby rifiuterà anche di copiare, e rifiuta di essere licenziato. “Preferirei di no“, risponde all’ingiunzione di andarsene. L’avvocato trasloca perchè Bartleby ormai non si muove più da questo studio in Wall Street (Strada del muro)che è diventata la sua casa-prigione, la sua chiusura esistenziale. Lo incarceranno nei Tombs dove morirà . Il suo datore, dopo essersi informato sulla sua vita precedente, non potrò fare a meno di  esclamare “Oh, Bartleby! Oh, umanità “
Quante interpretazioni suggerisce un personaggio siffatto! Centinaia di saggi, in America e altrove. Un critico letterario , Gianni Celati, ci spiega che l’avvocato sembra Re Lear con accanto a sè il povero pazzo.  Bartleby è una figura senza alcuna possibilità di salvezza o questa è una storia dell’alienabilità “d’una vita quasi morte nell’America del protocapitalismo”?
Bartleby, così moderno, è antesignano certamente del malessere del vivere contemporaneo in cui ci sembra di aver perduto insieme ai valori spirituali, sociali, politici anche la capacità di comunicazione.
E’ vero ciò che disse un giorno Ezra Pound “Parlare è inutile”?Â
La resistenza passiva di Bartleby di fronte alle grigie giornate senza senso, se non per ottenere il cibo, ci indicano di quanto è importante il tipo di lavoro che possiamo svolgere.
 Eroe o antieroe? Enza parla di Bartleby come di una sorta di rivoluzionario che , contro il tran-tran quotidiano, il potere, l’allineamento ha avuto la forza di cercare la propria libertà interiore, esercitando la sua resistenza con i suoi  “Preferirei di no“. Anche a costo della vita.
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MANGIARE MEGLIO PER VIVERE PIU' A LUNGO
pubblicato da: admin - 30 Aprile, 2010 @ 5:54 pm
Dopo la lettura di un storia intensa come quella de “La Pianista bambina” ho bisogno di far decantare le emozioni provate. Devo aspettare almeno un giorno prima di scegliere un nuovo libro da leggere  o di cercarne uno già letto nel mio  scaffale. Mi è venuto in mente di parlare del Metodo Kousmine stamattina mentre con Enza, Gemma, Terry prendevo il caffè nel delizioso bar all’aperto lungo il Fersina. Si parla sempre di tante cose, di libri certamente, di viaggi, della nostra vita, di cibo ed anche dei nostri problemi di salute.
Consideravo che ad ogni età c’è un argomento predominante: a vent’anni amore, amore, amore; a trenta ancora amore, il lavoro, il marito e i figli, a quaranta i problemi dei figli, a cinquanta per noi donne si comincia con la menopausa, a sessanta ecco …la salute!!! Infatti stamattina io mi lamentavo dei doloretti allo stomaco, Enza diceva di controllare se ho i calcoli, Gemma parlava delle sue magagne…ecc..!Abbiamo concordato che l’alimentazione ha un ruolo importante, non per niente terminiamo sempre gli incontri chiedendoci che cosa mangeremo a pranzo. Evidentemente l’appetito non ci manca.
Ma dobbiamo stare attenti a che cosa mangiamo.
 La dottoressa Catherine Kousmine, forte di quarant’anni di ricerca ed esperienza terapeutica ci trasmette un metodo di prevenzione e guarigione di molte malattie, spiegando che i “danni ” dell’età non sono un destino ineluttabile. Forma fisica e salute dipendono moltissimo dall’alimentazione. I suoi due più stretti collaboratori, Alain Bondil e Marion Kaplan, si rivolgono con questo libro “ a chi desidera vivere a lungo e bene, a chi vuole conservare o ritrovare la sua potenzialità e vitalità .” Ma chi non lo vorrebbe?
Ecco allora i consigli per una mezza età serena. “Ci auguriamo che chi legge questo libro si renda conto di quanto quella che siamo soliti chiamare vecchiaia sia falsata da pregiudizi e luoghi comuni di ogni sorta, che cancellano l’originalità del destino individuale e impediscono di vedere, nel tempo che passa, un cammino.”
Io non mi sento vecchia, talvolta dimentico persino l’età che ho, ma certi acciacchi me la ricordano. Il mio medico curante dice che tutto è “nel quadro”, ma mi piacerebbe veramente stare meglio. Ecco allora che ogni tanto consulto questo libro che tengo sul comodino.
La dottoressa Kousmine analizza i tipi antropologici, ogni tipologia di disturbo e dà consigli mirati. Non è facile attenervisi perchè le sue cure dipendono da prodotti che occorre cercare con cura. Consiglia a tutti di eliminare alcool e fumo, e questo è ovvio, limitare il caffè, i cibi industriali, usare solo l’olio di oliva di prima spremitura a freddo, ma dove si trova? Ci farebbe molto bene riprendere l’olio di fegato di merluzzo, contro il colesterolo (lo prenderò – ne presi tanto da bambina -!), l’olio di girasole (comperato oggi!). Pagine e pagine interessantissime alle quali, però,  se non hai una volontà di ferro, non riesci a seguire.
Alla fine del libro  ci sono anche ricette con ingredienti assai particolari: miglio, ceci germogliati, cantal (?) dolce.., tamari (?)…fieno greco…ma dove si trovano queste cose? Diete mirate per tanti disturbi.
Ma soprattutto (e prima o poi riuscirò a farla) c’è la ricetta della sua famosa e mitica crema Budwig per una ricca e sana prima colazione. Si tratta di un miscuglio di semi oleosi (mandorle, nocciole), cereali crudi, formaggio bianco, frutta fresca di stagione… Una cara coppia di amici, miei coetanei, la mangia ogni mattina… Devo dire che sembrano due “ragazzi”.
Chissà se Miki ne ha sentito parlare.
Ma perchè, poco fa, non ho resistito al cono gelato al croccantino che mi “chiamava” dal freezer e me lo sono mangiato?
La pianista bambina, e la musica come salvezza
pubblicato da: admin - 29 Aprile, 2010 @ 6:36 pm
In questo racconto forte e commovente la musica è letteralmente la salvezza fisica per Zhanna Arsanskaija e sua sorella Frina, due ragazzine ebree. La storia di Zhanna ci viene raccontata da suo figlio, Greg Dawson, che ne argina in parte l’emozione, ma che riesce a farci partecipare alla  terribile odissea vissuta dalle due sorelle.
Generalmente io non mi accosto a queste storie perchè mi fanno star male. Non sono mai riuscita a leggere completamente “Se questo è un uomo” di Primo Levi e non leggerò neppure “Gomorra” perchè so che i sentimenti di rabbia, sgomento, disprezzo, impotenza mi agitano troppo. Persino questo di cui parlo ho dovuto leggerlo di giorno…altrimenti la mia insonnia sarebbe aumentata. Ho deciso di cercarlo in biblioteca perchè me l’ha consigliato Maria Rosa, ma soprattutto perchè si parla di una pianista. Essendo mamma di una pianista mi sono quindi impegnata a portarlo a termine perchè si parla tanto, fortunatamente, anche di musica.
Le vicissitudini di Zhanna sono sconvolgenti, come lo sono state quelle di tutti i perseguitati. Lei ha avuto la fortuna della musica, come consolazione, come ricchezza e come salvezza. La famiglia Arsanskaij vive in Ucraina, a Kharkov, e tutti i suoi componenti  amano la musica. Zhanna ha un grande talento e presto entra in contatto con musicisti famosi.  Sembra avviata, come la sorella, verso una carriera luminosa. Ma quando l’Ucraina nel 1941 viene invasa dall’esercito nazista, il suo sogno si trasforma in un incubo. Le terribile truppe Einsatzgruppen iniziano gli eccidi: in soli due giorni vicino a Kiev, a Babi Yar, vengono uccisi 34.000 ebrei. Gli ebrei di Kharkov non lo sapevano. Stalin non aveva avvisato degli stermini già compiuti. Più di un milione di ebrei ucraini saranno assassinati. Tristemente famoso è Drobitsky Yar dove migliaia di ebrei vengono condotti dai nazisti per essere uccisi. Fra questi la famiglia Arsanskaij. Zhanna ha 14 anni, sua sorella due di meno. Il padre riuscirà , corrompendo una guardia, a far fuggire dalla colonna le due figlie. Prima l’una, poi l’altra. Racconta Zhanna, ottantenne, a suo figlio Greg ” Ci hanno messi in colonna, diretti a nord. Sapevamo che ci avrebbero uccisi, perchè a nord non c’era niente. Mio padre allora mi diede la sua giacca e mi disse: – Non importa come, ma vivi. – “
Sotto i vestiti Zhanna ha con sè la cosa più preziosa: lo spartito dell’ “Improvviso fantasia” di Chopin. Le ragazze dovranno cambiare  nome, ma vengono aiutate da molte persone. Pur tra tremende sofferenze, fatiche e paure,  riusciranno sempre a incrociare un pianoforte e a dare prova della loro bravura. Grazie alla musica la loro strada lentamente arriverà a un lieto fine. Sbarcheranno negli Stati Uniti  dove saranno adottate da un simpatico americano amante della musica, Larry Dawson. Entreranno alla mitica Juilliard School con una borsa di studio.
In queste pagine tanti riferimenti a musicisti famosi, a pezzi musicali bellissimi che Stefania conosce. Le consiglierò di leggerlo.
Greg Dawson scoprirà tardi gli avvenimenti tragici vissuti dalla madre. Zhanna voleva dimenticare, era molto riluttante a rinvangare ricordi dei quali non aveva mai parlato con nessuno. Dopo le insistenze amorevoli del figlio giornalista ha ceduto, ci ha regalato così la sua  bellissima e terribile storia.
ORAZIO, il poeta della giusta misura
pubblicato da: admin - 28 Aprile, 2010 @ 6:07 pm
I nostri pensieri come quelli di duemila anni fa. Stesse riflessioni, stessi proponimenti. E sempre la ricerca della serenità , dell’equilibrio. Quinto Orazio Flacco nato nel 65 a.C. e morto nell’8 a.C., maggior poeta dell’età augustea dopo Virgilio, è senz’altro da rileggere perchè è attualissimo.
Ieri pomeriggio, nella Trento romana, ho assistito a una immaginaria intervista ad Orazio, curata da Alfonso Masi, il quale con la sua voce suadente ha illustrato l’opera e il pensiero del poeta. Coadiuvato da un altro bravissimo attore nella parte dell’intervistatore ci ha regalato frammenti degli  Epòdi, delle Satire, delle Epistole e delle  Odi. Un grande piacere ascoltare le parole del poeta latino, seduti ai bordi della strada romana. Di fronte a me, un vecchio signore con il bastone, appoggiato alla colonna che sorrideva in estasi.
Sappiamo delle umili origini di Orazio, della sua ricca vita intellettuale, ma scarsa di eventi esteriori. Conosciamo il suo amore per la semplicità , ma anche il suo amore per il bello. E soprattutto da lui ascoltiamo l’invito all’intimo raccoglimento e alla meditazione. Nella sua ricerca della saggezza e della migliore condotta di vita (e non è quello che noi cerchiamo di fare? il nostro percorso?) Orazio ci indica la giusta via, l’aurea mediocritas , quella equilibrata. Importante è la chiarificazione del proprio io attraverso una confessione intima. L’originalità delle Epistole sta nel fatto che sono il primo diario intimo della letteratura mondiale!!!
Orazio politico, polemico,satirico,  è interessante e attualissimo  per il desiderio di miglioramento e risanamento dei valori sociali.
 Ma nella sua contemplazione esistenziale sempre c’è l’invito ad affrontare con serenità il destino e la morte e a dimenticare le angosce con il canto e con il vino.
“Fa’ senno; filtra vini e tronca le speranze troppo lunghe
per così breve vita. Mentre parliamo, il tempo invido fugge.
Goditi il dì presente, e credi poco a quella che verrà “
Carpe diem, quam minimum credula postero.
Versi della sua famosissima Ode “L’ora presente“. Nel suo invito al piacere c’è un significato simbolico e un profondo contenuto esistenziale, non ci consiglia semplicemente  di godere la vita, ma di afferrare il tempo. Cercare di ritagliare dentro di noi un attimo di tempo e uno spazio interiore di cui possiamo essere padroni. La nostra ricerca continua di un rifugio interiore, di un’isola del cuore non dimentica la precarietà della vita, perciò ecco l’accettazione del nostro limite. Il tempo invido, beffardo, può essere sottomesso.
E’ straordinario come il suo pensiero sia il filo conduttore di tante nostre letture e riflessioni attuali. Che cosa sono 2000 anni nella storia dell’umanità ?
Tanto ci sarebbe da dire su Orazio (forse Luigi potrebbe aggiungere qualcosa) . Io concludo condividendo con Orazio la preminenza dei valori effettivi dell’individuo, su quelli  derivanti  dalla nascita o dalla ricchezza. E sottolineando ( e Orazio anticipa Fromm) l’importanza dell’Essere sull’Avere.
Da rileggere le sue Odi , ora che il tempo fugge veloce, e cercare serenità anche nel paesaggio oraziano, reale o simbolico: un ruscello, l’ombra, la natura. Quanto egli amò la casetta regalatagli da Mecenate!
Ed infine  la poesia: egli ci fa capire quanto essa  possa  sottrarre l’uomo al mondo ostile che lo circonda.
Sono felice che per caso io abbia potuto citare Orazio proprio per il mio CENTESIMO post.
L'ISOLA NEL CUORE, di Nuala O'Faolain
pubblicato da: admin - 27 Aprile, 2010 @ 8:41 pm
Una scrittrice irlandese oggi, dalla scrittura chiara e sincera, che indaga il profondo del suo cuore. Consonanze quindi tra la protagonista, Kathleen de Burca, e le donne che hanno ormai lasciato alle spalle la giovinezza. Sembra che i periodi di crisi siano ricorrenti in primavera  per le persone di una certa età (un po’ di depressione, la nostra immagine allo specchio che non ci piace, doloretti psicosomatici), ma anche per i giovani lo sono,  perchè questa stagione con le sue promesse di rinasciata della natura ci rimescola e ci destabilizza. Aspetta qualcosa da noi che ancora non siamo pronti a dare. Scriveva Eliot :”April is the cruellest month“, Aprile è il mese più crudele, dove tutto si confonde, desideri, antiche memorie. Si risvegliano tristi radici ,”stirring dull roots“, in questo mese trasparente e impietoso. L’energia sembra risucchiata invece di essere generata, almeno questo è ciò che sento io. “Winter kept us warm”, l’inverno ci tiene caldi e vagamente inconsapevoli, la primavera invece incita e denuda l’anima.
Il romanzo di Nuala O’ Faolain, il cui titolo originale è “My dream of you” inizia con la riflessione del tempo che fugge, con il bilancio della vita di una cinquantenne che si trova sola e non più soddisfatta come credeva di essere. Kathleen è una giornalista irlandese, vive a Londra e conduce una vita abitudinaria: lavoro, viaggi, sesso tranquillo. “Poi giunse il momento in cui cominciai a perdere il controllo dell’uniformuità e della monotonia dei miei giorni.” E’ il momento di un viaggio interiore, della necessità di un ritorno alle origini nella sua isola verde, ma anche in quella del cuore. Complice una ricerca su una storia passata, quella di una signora inglese approdata in Irlanda nella metà dell’800 e accusata di avere una relazione con un servitore. Lavoro appassionante (molti romanzi di successo hanno queste trame che mescolano storie passate con la storia del protagonista che ne studia i documenti), soprattutto perchè si tratta proprio di passione. Kathleen inizia una spietata ricerca di sè partendo dalla sua famiglia,dal suo paese, dalla sua paura di invecchiare e soprattutto da quella libertà conquistata che è diventata una muraglia contro la passione, il vero amore.
Kathleen , nella sua terra,  riuscirà  a far nascere  anche una dolcissima e duratura  storia d’amore con un sessantenne, già nonno.
Nuala O’Faolain, nata a Dublino, è mancata due anni fa. Ha lavorato per la BBC ed è stata opinionista dell'”Irish Times”. Presso “Guanda” è uscita la sua autobiografia “Sei qualcuno.?
Mi piacciono molto le autrici irlandesi. L’Irlanda è un paese che mi affascina, non per viverci, ma per tornarci spesso. Vi sono andata soltanto una volta, ma il ricordo del suo verde, del mare burrascoso, del vento, della sua gente cordiale è indimenticabile. La prima cosa che però mi incantò appena scesa dall’aereo fu il suo cielo: magico, vivo, avvolgente, profumato di mare. Solo dopo seppi che c’è la  canzone “Cielo d’Irlanda”.
CUORE, una lettura fuori dal nostro tempo
pubblicato da: admin - 26 Aprile, 2010 @ 8:23 pm
Scelta obbligata per la riflessione quotidiana. Sulla tecnologia innanzitutto. Giornata di stress, dovuto al PC che sta facendo le bizze. Si spegne improvvisamente, cancella foto di post precedenti, cambia la sistemazione delle icone…ed io ormai devo lavorarci per  più di due ore al giorno tra e-mail, telefonata Skype con Stefania, scrittura del blog. Aiuto! Per fortuna c’è Marco, il tecnico amico del Computer. Paziente, esperto, bravissimo è sempre riuscito a risolvermi i problemi. Così oggi alle 13,30, sentendomi sull’orlo di una crisi di nervi, che non fa bene ai miei disturbi di stomaco, è accorso al mio grido d’aiuto. Due orette di controlli vari, sistemazione, anche visione dei miei posts e …tutto è tornato come prima. Si percepisce l’amore e la tolleranza  che Marco ha per questo strumento.
Io invece piuttosto arrabbiata ho ripensato al “Piccolo scrivano fiorentino” del romanzo “Cuore”, almeno gli indirizzi che scriveva di notte sulle buste non andavano persi! Durante la pausa-caffè ho chiesto a Marco se si ricordava questo famoso episodio, il racconto mensile che il maestro di Enrico dava da leggere a tutta la classe. Con mia grande meraviglia Marco non l’ha letto. “Ma non hai neppure sentito nominare, “La piccola vedetta Lombarda?” “Dagli Appennini alle Ande?” “ Neppure a scuola?” gli ho chiesto. Sembra proprio di no. Marco legge un po’ di  saggistica, psicoanalisi, ma  il suo tempo e il suo interesse sono dedicati soprattutto al Computer, a questa nuova “ lingua per comunicare.” “Non umana” spiega lui ” ma di un’altra dimensione, quella del futuro“. Ormai siamo dentro l’informatizzazione e la conoscenza e la cultura si possono ampliare anche  attraverso questo strumento che ora in effetti anch’io sto usando. Spariranno i libri? Rimarranno solo ai collezionisti? Tremo al pensiero. Rifletto anche  che molti giovani non si sono imbattuti in  certi tipi di libri, come “Cuore” o “Piccole Donne,” ormai forse anacronistici e retorici.
Solo i miei coetanei avranno letto il romanzo strappalacrime di Edmondo De Amicis? Scritto nel 1886,  questo libro è particolarmente dedicato ai ragazzi tra i nove e i tredici anni e si potrebbe intitolare : Storia di un anno scolastico, scritto da un alunno di terza, d’una scuola municipale d’Italia”. Le pagine di diario di Enrico Bottini, le lettere dei suoi genitori, i racconti mensili, sono tutti insegnamenti mirati alla formazione etica e civile dei giovani cittadini dell’appena costituito Regno d’Italia. Valori lontani come il patriottismo, l’eroismo, l’obbedienza, la solidarietà , insomma la Bontà , vengono sottolineati in tutte le sue pagine. Lo stesso De Amicis aveva compreso i limiti di un romanzo un po’ troppo melenso e moralista, ma senza dubbio, ai suoi  lettori, sono rimasti  per sempre impressi nel cuore i suoi personaggi rappresentanti di certe tipologie umane, sia di alunni che  di persone adulte. Come non dimenticare il buon Garrone? O il Muratorino, o Derossi, il più bravo e vanesio alunno della classe? E  Franti, il discolo, che oggi si definirebbe  caratteriale…
Naturalmente a me , a scuola, l’avevano fatto leggere, ma il bello è che a 21 anni comprai questa edizione, e in un pomeriggio  domenicale di pioggia me lo lessi tutto. E piansi persino! La Bontà , anche se costruita artificiosamente da De Amicis, mi ha sempre commosso.
“Il piccolo scrivano fiorentino” mi tocca particolarmente:  trovo dolcissimo il suo piccolo eroismo per aiutare il papà stanco e canuto.
Chissà chi l’ha letto  tra di voi … E quali personaggi o racconti avete amato di più…
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FRIDA, ovvero Amor y dolor
pubblicato da: admin - 25 Aprile, 2010 @ 6:01 pmMi piace ripensare a Frida Kahlo, soprattutto quando non mi sento molto bene. Perchè? Perchè la sua vita è un esempio di coraggio caparbio, di avidità verso ogni emozione e passione.
Hayden Herrera, americana, critica d’arte è la massima esperta di questa pittrice messicana che comincia a diventare famosa alla fine degli anni’90, e ci presenta una biografia completa sulla sua vita e la sua arte.E’ un lavoro durato molti anni, conosciuto ormai  in tutto il mondo.
Come sono i suoi quadri? Coloratissimi, inquietanti, spesso dipinge se stessa nei momenti di maggiore sofferenza. “Pensavano che fossi una surrealista, ma non lo ero. Non ho mai dipinto sogni” dice la Khalo “Ho dipinto la mia realtà “.
Nasce nel 1907 a Coyocà n, da padre tedesco e madre messicana. A sette anni viene colpita dalla poliomelite; a 18 un terribile incidente automobilistico la condanna a uno stato di seminvalidità e a  sofferenze fisiche per tutta la vita. Durante la convalescenza comincia a dipingere, con fatica, in posizioni impossibili. In certi periodi deve indossare un busto rigidissimo di metallo. Riesce però ad esprimere con colori vividissimi i suoi incubi e il suo dolore.
Appassionata militante di sinistra sposa nel 1929 il grande muralista Diego Rivera di cui rimane innamorata per tutta la vita. “Non lasciare che patisca la sete l’albero di cui sei il sole, che fece tesoro del tuo seme. E’ Diego nome d’amore” gli scrive nel 1939, per il suo cinquantatreesimo compleanno. E’ una strana coppia, lui enorme e maturo, lei più giovane, minuta, elegante, con folte sopracciglia e peluria sul labbro, che la rendono più seducente nella sua particolarità . Si veste secondo l’antica tradizione messicana con gonne lunghe, scialli colorati, fiori nei capelli, gioielli di turchese.
Nel 1937 vive a Città del Messico e nella sua casa azzurra approderà Leon Trockij, il leader della rivoluzione russa in esilio. Ma di questo periodo parlerò in un altro post.
Per oggi voglio ripensare a Frida Kahlo come un simbolo di grande forza di volontà e  di ribellione contro le circostanze più crudeli della vita. (Così i miei doloretti di stomaco e i pensieri neri mi sembreranno più sopportabili. )
Dopo aver letto questo libro di Hayden Herrera ho approfondito la conoscenza di questa pittrice cercando foto dei suoi dipinti. Tra i suoi ricorrenti  autoritratti il più famoso è quello delle “Due Fride” dove si vede in entrambe il cuore scoperto, poi nature morte sensuali, visionarie, antropomorfiche. “La sua pittura è una bomba avvolta da un nastro di seta” dirà di lei Andé Breton.
Alla morte di Frieda, nel 1954, ricorda un’amica, il viso grasso e generalmente pieno di energia di Diego Rivera si afflosciò e ingrigì.” In poche ore diventò un vecchio, pallido e brutto.”
Frida Kahlo una donna unica, Â straordinaria.
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POESIE, DI EUGENIO MONTALE
pubblicato da: admin - 24 Aprile, 2010 @ 8:16 pm![corone[1]](http://trentoblogcommunity.com/unlibroalgiorno/files/2010/04/corone1.jpg)
Oggi… una sorsata di poesia, che è necessaria per alleggerire i nostri pensieri. Anche se è pessimistica. Ma il riconoscere i propri sentimenti nei versi di un poeta è sempre un’ illuminazione e un  conforto . Eugenio Montale, premio Nobel nel 1975, è uno dei miei poeti preferiti. Proprio l’anno scorso stavo preparando i miei alunni della Terza D per l’esame di licenza media. Ricordo le lezioni in cui spiegavo ” Meriggiare pallido e assorto” “Spesso il male di vivere ho incontrato” e la soddisfazione nel sentirle poi analizzate esaurientemente durante il colloquio finale. Poesie che molti conoscono come forse è conosciuta  la poetica di Montale: il poeta non può spiegare tutto con le sue parole (“Non chiederci la parola che squadri da ogni lato” ), l’importante è arrivare a quel quid al quale le sole parole non arrivano. Anch’egli , come Svevo con il quale intreccia  un’assidua corrispondenza, parla del privato psicologico. Per scrivere occorrono le “Occasioni ” e ai veri poeti non mancano mai, basta “leggere” la realtà esterna e ciò che avviene dentro di noi.
Eugenio Montale nasce nel 1896 in Liguria, a Monterosso,  che io nei miei pellegrinaggi letterari (come fa Camilla) ho girato in lungo e in largo. Ho trovato la sua villa e attraverso il cancello cercavo il famoso rovente muro d’orto. Mi piace anche come persona. Interrompe gli studi tecnici, si dedica al canto, poi diventa critico musicale. Si trasferisce a Firenze per lavorare al Gabinetto  Viesseux da dove viene licenziato nel 1938 perchè non iscritto al partito fascista.
Scrive molto, quindi si può parlare di diverse fasi artistiche. Dagli iniziali “Ossi di seppia” all’ultima raccolta “La bufera” dove i versi sono più aspri, meno cantabili. La sua opera “attraversa D’Annunzio per approdare a un territorio tutto suo riuscendo a far cozzare tra loro l’aulico e il prosaico,” scrive un critico.
Passeggiando, nel 1946,  per la ventosa  Edimburgo, attraverso una delle sue piazze a forma di mezzaluna,  vede riflettere il sole del tramonto sulle alte verande delle case:
Il grande ponte non portava a te . /T’avrei raggiunta anche navigando / nelle chiaviche, a un tuo comando. Ma / già le forze, col sole sui cristalli / delle verande, andavano stremandosi.
E’ la prima strofa di “Vento sulla mezzaluna”.
Delle poesie di Montale c’è tanto da spiegare, forse anche troppo, come una volta lui stesso disse meravigliandosi di ciò che i critici avevano capito dei suoi versi, significati reconditi ai  quali lui non aveva pensato.
La poesia è un’emozione immediata: la scelta di una  parola particolare per  descrizione del paesaggio o per l’ impeto del cuore deve scuotere e  far  “rabbrividire” il lettore (come diceva Emily Dickinson).
A me capita rileggendo “Arsenio” , “Falsetto“….
In “Arsenio “si rispecchia lo stesso poeta, è un monologo che descrive una passeggiata in “discesa” verso il mare, metafora dell’umano esistere destinato fatalmente all’annientamento.
“I turbini sollevano la polvere / sui tetti, a mulinelli, e sugli spiazzi /deserti, ove i cavalli incappucciati/ annusano la terra, fermi innanzi/ ai vetri luccicanti degli alberghi./ Sul corso, in faccia al mare, tu discendi/ in questo giorno / or piovorno ora acceso…
…e se un gesto ti sfiora, una parola / ti cade accanto, quello è forse, Arsenio / nell’ora che si scioglie, il cenno d’una vita strozzata per te sorta, e il vento/ la porta con la cenere degli astri.
Il mare è sempre presente in Montale. Come non citare dunque “Falsetto” dove una giovane si stende leggiadra su uno scoglio e poi si tuffa in mare.
“Esterina, i vent’anni ti minacciano / grigiorosea nube/ che a poco a poco in sè ti chiude/ …Leggiadra ti distendi /sullo scoglio lucente di sale/ e al sole bruci le membra. / Ricordi la lucertola / ferma sul masso brullo; / te insidia giovinezza…
…T’alzi e t’avanzi sul ponticello / esiguo, sopra il gorgo che stride: / il tuo profilo s’incide / contro uno sfondo di perla. /Esiti al sommo del tremulo asse, / poi ridi, e come spiccata da un vento / t’abbatti fra le braccia / del tuo divino amico che t’afferra.”
La giovane si tuffa nel mare, simbolo dell’indistinto primigenio, mentre  i poeti, più consapevoli, la guardano vivere e concludono:
“Ti guardiamo noi, della razza / di chi rimane a terra”.
Spero che la mia amica di Recco, che io talvolta chiamo Esterina, mi legga e che passeggi sugli scogli di fronte al mare.
Poesia da leggere spesso (ad alta voce!) per sentirsi meglio.
LA MIA VIENNA, e le città del cuore
pubblicato da: admin - 23 Aprile, 2010 @ 8:09 pm
Sì, anche Vienna, oltre Trieste, Londra e tanti altri luoghi,  è una città a me molto cara. Perciò quando l’altro giorno, nella mia settimanale visita alla Biblioteca, ho visto questo libro abbandonato su un divanetto , ho dovuto prenderlo e aprirlo. Mi ha catturato immediatamente. Inizia sotto forma di diario: “31 marzo 1911 – Madenskyplatz – Vienna” – E‘ per me – ho esclamato sottovoce. Poi alla bibliotecaria ho detto “La lettura è una forte dipendenza“. Al che lei ha ribattuto :” Anche certi nostri pensieri, lo sono“. Questa frase mi ha colpito molto, ma non ho capito completamente a che tipo di pensieri alludesse: tristi, ricorrenti, ansiogeni…Beh, un libro  spesso riesce a ricacciarli in un angolo e talvolta persino a farli sfumare.Â
Non conoscevo la sua autrice Eva Ibbotson, nata a Vienna in una famiglia di letterati e poi trasferitasi in Inghilterra. Ha scritto parecchi romanzi tradotti in tutto il mondo ed è apprezzata dalla critica: “Eva Ibbotson è una scrittrice così brava che i suoi romanzi varcano i limiti convenzionali della narrativa sentimentale.”.
Mi è piaciuto immergermi immediatamente nella Vienna asburgica , dove la protagonista narrante è  Susanna Weber, una brava modista di 36 anni, che vede passare nel suo atelier personaggi interessanti. Intorno a lei quindi altre storie: di amori clandestini, di bambine abbandonate (come nei migliori feuilettons), di matrimoni d’interesse, di anarchici… E’ una reale storia ottocentesca nella quale si può sentire il fruscio dei bellissimi  vestiti che Susanna crea. Ma non solo. Il contesto storico e  sociale si rivela con naturelezza, sentiamo parlare dell’inefficace imperatore Cecco Beppe, del colonnello Madensky che dà il nome alla piazza  e che era un ufficiale  morto nella battaglia di Solferino. Vengono nominati altri personaggi importanti, come l’onnipresente Diaghilev con i suoi balletti russi o Theodor Herzl che teorizza uno stato ebraico. Tutto ciò, che ci fa “sentire” e conoscere Vienna ,viene descritto tra un accadimento e l’altro.  La musica e un pianista bambino, i dolci come il Lebkuchen e  lo strudel, il Danubio che è blu solo per gli innamorati…
Lettura piacevolissima. Immersa ancora nelle sue pagine e sentendo poco fa  le campane del Duomo di  Trento, ho creduto  fossero quelle dello Stephandom. Potenza dei libri.
La prima volta che vidi Vienna fu quando ci arrivai, con le mie due storiche amiche Giuliana e Guerrina,  in autostop. Venivamo da Monaco di Baviera dove ci trovavamo per imparare il tedesco. Ricordo che pernottammo in un ostello per la gioventù, bellissimo, un castello. E poi volemmo vedere tutto…Der Donau, Schonbrunn, ecc. Sapevo anche, avendolo letto su “Grazia” dell’esistenza dell’ Hawelka Cafè, storico ritrovo di intellettuali. Lo trovammo ! Caffè che esiste tuttora e nella mia ultima visita del 2005 vi trascinai le mie colleghe Emanuela e Daria. Parlammo a lungo con un distinto signore che fumava la pipa. Visitai Vienna anche in altre occasioni, con mio marito, mia madre, mia figlia, accompagnando gruppi; in una di queste occasioni, da sola, volli andare sotto una pioggia torrenziale a casa di…Freud. Ero l’unica visitatrice! Che emozione vedere i suoi mobili, i suoi libri, il suo lettino…
Ciò che mi piace oltremodo dei libri è la loro capacità  di portarmi altrove, in luoghi immaginati o reali , visti o sognati, di modificare le mie prospettive e di aggiungere magia ai miei ricordi.
E le vostre città del cuore, quali sono?
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