CUORE, una lettura fuori dal nostro tempo

pubblicato da: admin - 26 Aprile, 2010 @ 8:23 pm

scansione0034Scelta obbligata per la riflessione quotidiana.  Sulla tecnologia innanzitutto. Giornata di stress, dovuto al PC che sta facendo le bizze. Si spegne improvvisamente, cancella foto di post precedenti, cambia la sistemazione delle icone…ed io ormai devo lavorarci per  più di due ore al giorno tra e-mail, telefonata Skype con Stefania, scrittura del blog.  Aiuto! Per fortuna c’è Marco, il tecnico amico del Computer. Paziente, esperto, bravissimo è sempre riuscito a risolvermi i problemi. Così oggi alle 13,30, sentendomi sull’orlo di una crisi di nervi, che non fa bene ai miei disturbi di stomaco, è accorso al mio grido d’aiuto. Due orette di controlli vari, sistemazione, anche visione dei miei posts e …tutto è tornato come prima. Si percepisce l’amore e la tolleranza  che Marco ha per questo strumento.

Io invece piuttosto arrabbiata ho ripensato al “Piccolo scrivano fiorentino” del romanzo “Cuore”, almeno gli indirizzi che scriveva di notte sulle buste non andavano persi! Durante la pausa-caffè ho chiesto a Marco se si ricordava questo famoso episodio, il racconto mensile che il maestro di Enrico dava da leggere a tutta la classe. Con mia grande meraviglia Marco non l’ha letto. “Ma non hai neppure sentito nominare, “La piccola vedetta Lombarda?” “Dagli Appennini alle Ande?”  “ Neppure a scuola?”  gli ho chiesto. Sembra proprio di no. Marco legge un po’ di  saggistica, psicoanalisi, ma  il suo tempo e il suo interesse sono dedicati soprattutto al Computer, a questa nuova “ lingua per comunicare.” “Non umana” spiega lui ” ma di un’altra dimensione, quella del futuro“. Ormai siamo dentro l’informatizzazione e la conoscenza e la cultura si possono ampliare anche  attraverso questo strumento che ora  in effetti anch’io sto usando.  Spariranno i libri? Rimarranno solo ai collezionisti? Tremo al pensiero. Rifletto anche  che molti giovani non si sono imbattuti in  certi tipi di libri, come “Cuore” o “Piccole Donne,” ormai forse anacronistici e retorici.

Solo i miei coetanei avranno letto il romanzo strappalacrime di Edmondo De Amicis?  Scritto nel 1886,  questo libro è particolarmente dedicato ai ragazzi tra i nove e i tredici anni e si potrebbe intitolare : Storia di un anno scolastico, scritto da un alunno di terza, d’una scuola municipale d’Italia”. Le pagine di diario di Enrico Bottini, le lettere dei suoi genitori, i racconti mensili, sono tutti insegnamenti mirati alla formazione etica e civile dei giovani cittadini dell’appena costituito Regno d’Italia. Valori lontani come il patriottismo, l’eroismo, l’obbedienza, la solidarietà , insomma la Bontà, vengono sottolineati in tutte le sue pagine. Lo stesso De Amicis aveva compreso i limiti di un romanzo un po’ troppo melenso e moralista, ma senza dubbio, ai suoi  lettori, sono rimasti  per sempre impressi nel cuore i suoi personaggi rappresentanti di certe tipologie umane,  sia di alunni che  di persone adulte. Come non dimenticare il buon Garrone? O il Muratorino,  o Derossi, il più bravo e vanesio alunno della classe? E  Franti, il discolo,  che oggi si definirebbe  caratteriale…

Naturalmente a me , a scuola, l’avevano fatto leggere, ma il bello è che a 21 anni comprai questa edizione, e in un pomeriggio  domenicale di pioggia me lo lessi tutto. E piansi persino! La Bontà, anche se costruita artificiosamente da De Amicis, mi  ha sempre commosso.

“Il piccolo scrivano fiorentino” mi  tocca particolarmente:   trovo dolcissimo il suo piccolo eroismo per aiutare il papà stanco e canuto.

Chissà chi l’ha letto  tra di voi … E quali personaggi o racconti avete amato di più…

 

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FRIDA, ovvero Amor y dolor

pubblicato da: admin - 25 Aprile, 2010 @ 6:01 pm

Mi piace ripensare a Frida Kahlo, soprattutto quando non mi sento molto bene. Perchè? Perchè la sua vita è un esempio di coraggio caparbio, di avidità verso ogni emozione e passione.

Hayden Herrera, americana, critica d’arte è la massima esperta di questa pittrice messicana che comincia a diventare famosa alla fine degli anni’90, e ci presenta una biografia completa sulla sua vita e la sua arte.E’ un lavoro durato molti anni, conosciuto ormai  in tutto il mondo.

Come sono i suoi quadri? Coloratissimi, inquietanti, spesso dipinge se stessa nei momenti di maggiore sofferenza. “Pensavano che fossi una surrealista, ma non lo ero. Non ho mai dipinto sogni” dice la Khalo “Ho dipinto la mia realtà“.

Nasce nel 1907 a Coyocàn, da padre tedesco e madre messicana.  A sette anni viene colpita dalla poliomelite; a 18 un terribile incidente automobilistico la condanna a uno stato di seminvalidità e a  sofferenze fisiche per tutta la vita.  Durante la convalescenza  comincia a dipingere, con fatica, in posizioni impossibili.  In certi periodi deve indossare un busto rigidissimo di metallo. Riesce  però ad esprimere con colori vividissimi i suoi incubi  e il suo dolore.

Appassionata militante di sinistra sposa  nel 1929 il grande muralista Diego Rivera di cui rimane innamorata per tutta la vita. “Non lasciare che patisca la sete l’albero di cui sei il sole, che fece tesoro del tuo seme. E’ Diego nome d’amore” gli scrive  nel 1939, per il suo cinquantatreesimo compleanno. E’ una strana coppia, lui enorme e maturo, lei più giovane, minuta, elegante, con folte sopracciglia e peluria sul labbro, che  la rendono più seducente nella sua particolarità. Si veste secondo l’antica tradizione messicana con gonne lunghe, scialli colorati, fiori nei capelli, gioielli di turchese.

Nel 1937 vive a Città del Messico e nella sua casa azzurra approderà Leon Trockij, il leader della rivoluzione russa in esilio. Ma di questo periodo parlerò in un altro post.

Per oggi voglio ripensare a Frida Kahlo come un simbolo di grande forza di volontà e  di ribellione contro le circostanze più crudeli della vita.  (Così i miei doloretti di stomaco e i pensieri neri mi sembreranno più sopportabili. )

Dopo aver letto questo libro di Hayden Herrera ho approfondito la conoscenza di questa pittrice cercando foto dei suoi dipinti. Tra i suoi ricorrenti  autoritratti il più famoso è quello delle “Due Fride” dove si vede in entrambe il cuore scoperto, poi nature morte sensuali, visionarie, antropomorfiche. “La sua pittura è una bomba avvolta da un nastro di seta” dirà di lei Andé Breton.

Alla morte di Frieda, nel 1954, ricorda un’amica, il viso grasso e generalmente pieno di energia di Diego Rivera si afflosciò e ingrigì.” In poche ore diventò un vecchio, pallido e brutto.”

Frida Kahlo una donna unica,  straordinaria.

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POESIE, DI EUGENIO MONTALE

pubblicato da: admin - 24 Aprile, 2010 @ 8:16 pm

corone[1]180px-Eugenio_montale[1]Oggi… una sorsata di poesia, che è necessaria per alleggerire i nostri pensieri. Anche se è pessimistica. Ma il riconoscere i propri sentimenti nei versi di un poeta è sempre un’ illuminazione e un  conforto . Eugenio Montale, premio Nobel nel 1975, è uno dei miei poeti preferiti. Proprio l’anno scorso stavo preparando i miei alunni della Terza  D per l’esame di licenza media. Ricordo le lezioni in cui spiegavo ” Meriggiare pallido e assorto” “Spesso il male di vivere ho incontrato” e la soddisfazione nel sentirle poi analizzate esaurientemente durante il colloquio finale.  Poesie che molti conoscono come forse è conosciuta  la poetica di Montale: il poeta non può spiegare tutto con le sue parole (“Non chiederci la parola che squadri da ogni lato” ), l’importante è arrivare a quel quid al quale le sole parole non arrivano. Anch’egli , come Svevo con il quale intreccia  un’assidua corrispondenza, parla del privato psicologico. Per scrivere occorrono le “Occasioni ” e ai veri poeti non mancano mai, basta “leggere” la realtà esterna e ciò che avviene dentro di noi.

Eugenio Montale nasce nel 1896 in Liguria, a Monterosso,  che io nei miei pellegrinaggi letterari (come fa Camilla) ho girato in lungo e in largo. Ho trovato la sua villa e attraverso il cancello cercavo il famoso rovente muro d’orto. Mi piace anche come persona. Interrompe gli studi tecnici, si dedica al canto, poi diventa critico musicale. Si trasferisce a Firenze per lavorare al Gabinetto  Viesseux da dove viene licenziato nel 1938 perchè non iscritto al partito fascista.

Scrive molto, quindi si può parlare di diverse fasi artistiche. Dagli iniziali “Ossi di seppia” all’ultima raccolta “La bufera” dove i versi sono più aspri, meno cantabili. La sua opera “attraversa D’Annunzio per approdare a un territorio tutto suo riuscendo a far cozzare tra loro l’aulico e il prosaico,” scrive un critico.

Passeggiando, nel 1946,  per la ventosa  Edimburgo, attraverso una delle sue piazze a forma di mezzaluna,  vede riflettere il sole del tramonto sulle alte verande delle case:

Il grande ponte non portava a te . /T’avrei raggiunta anche navigando / nelle chiaviche, a un tuo comando. Ma / già le forze, col sole sui cristalli / delle verande, andavano stremandosi.

E’ la prima strofa di “Vento sulla mezzaluna”.

Delle poesie di Montale c’è tanto da spiegare, forse anche troppo, come una volta lui stesso disse meravigliandosi di ciò che i critici avevano capito dei suoi versi, significati reconditi ai  quali lui non aveva pensato.

La poesia è un’emozione immediata: la scelta di una  parola particolare per  descrizione del paesaggio o per l’ impeto del cuore deve scuotere e  far  “rabbrividire” il lettore (come diceva Emily Dickinson).

A me capita rileggendo “Arsenio” , “Falsetto“….

In “Arsenio “si rispecchia lo stesso poeta, è un monologo che descrive  una passeggiata in “discesa” verso il mare, metafora dell’umano esistere destinato fatalmente  all’annientamento.

I turbini sollevano la polvere / sui tetti, a mulinelli, e sugli spiazzi /deserti, ove i cavalli incappucciati/ annusano la terra, fermi innanzi/ ai vetri luccicanti degli alberghi./ Sul corso, in faccia al mare, tu discendi/ in questo giorno / or piovorno ora acceso…

…e se un gesto ti sfiora, una parola / ti cade accanto, quello è forse, Arsenio / nell’ora che si scioglie, il cenno d’una vita strozzata per te sorta, e il vento/ la porta con la cenere degli astri.

Il mare è sempre presente in Montale. Come non citare dunque “Falsetto” dove una giovane si stende leggiadra su uno scoglio e poi si tuffa in mare.

“Esterina, i vent’anni ti minacciano / grigiorosea nube/ che a poco a poco in sè ti chiude/ …Leggiadra ti distendi /sullo scoglio lucente di sale/ e al sole bruci le membra. / Ricordi la lucertola / ferma sul masso brullo; / te insidia giovinezza…

…T’alzi e t’avanzi sul ponticello / esiguo, sopra il gorgo che stride: / il tuo profilo s’incide / contro uno sfondo di perla. /Esiti al sommo del tremulo asse, / poi ridi, e come spiccata da un vento / t’abbatti fra le braccia / del tuo divino amico che t’afferra.”

La giovane si tuffa nel mare, simbolo dell’indistinto primigenio, mentre  i poeti, più consapevoli, la guardano vivere e concludono:

Ti guardiamo noi, della razza / di chi rimane a terra”.

Spero che la mia amica di Recco, che io talvolta chiamo Esterina, mi legga e che passeggi sugli scogli di fronte al mare.

Poesia da leggere spesso (ad alta voce!) per sentirsi meglio.

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LA MIA VIENNA, e le città del cuore

pubblicato da: admin - 23 Aprile, 2010 @ 8:09 pm

scansione0029scansione0030Sì, anche Vienna, oltre Trieste, Londra e tanti altri luoghi,  è una città a  me molto cara. Perciò quando l’altro giorno, nella mia settimanale visita alla Biblioteca, ho visto questo libro abbandonato su un divanetto , ho dovuto prenderlo e aprirlo. Mi ha catturato immediatamente. Inizia sotto forma di diario:  “31 marzo 1911 – Madenskyplatz – Vienna”  – E per me – ho esclamato sottovoce. Poi alla bibliotecaria ho detto “La lettura è una forte dipendenza“. Al che lei ha ribattuto :” Anche certi nostri pensieri, lo sono“.  Questa frase mi ha colpito molto, ma non ho capito completamente a che tipo di pensieri alludesse: tristi, ricorrenti, ansiogeni…Beh, un libro  spesso riesce a ricacciarli in un angolo e talvolta persino a farli sfumare. 

Non conoscevo la sua autrice Eva Ibbotson, nata a Vienna in una famiglia di letterati e poi trasferitasi in Inghilterra. Ha scritto parecchi romanzi tradotti in tutto il mondo ed è apprezzata dalla critica:  “Eva Ibbotson è una scrittrice così brava che i suoi romanzi varcano i limiti convenzionali della narrativa sentimentale.”.

Mi è piaciuto immergermi immediatamente nella Vienna asburgica , dove la protagonista narrante è  Susanna Weber, una brava modista di 36 anni, che vede passare nel suo atelier personaggi interessanti. Intorno a lei quindi altre storie: di amori  clandestini, di bambine abbandonate (come nei migliori feuilettons), di matrimoni d’interesse, di anarchici… E’ una reale storia ottocentesca nella quale si può sentire il fruscio dei bellissimi  vestiti che Susanna crea. Ma non solo. Il contesto storico e  sociale si rivela con naturelezza, sentiamo parlare dell’inefficace imperatore Cecco Beppe, del colonnello Madensky che dà il nome alla piazza  e che era un ufficiale  morto nella battaglia di Solferino. Vengono nominati altri personaggi importanti, come l’onnipresente Diaghilev con i suoi balletti russi  o Theodor Herzl che teorizza uno stato ebraico. Tutto ciò, che ci fa “sentire” e conoscere Vienna ,viene descritto tra un accadimento e l’altro.  La musica e un pianista bambino, i  dolci come il Lebkuchen e  lo strudel, il Danubio che è blu solo per gli innamorati…

Lettura piacevolissima. Immersa ancora nelle sue pagine e sentendo poco fa  le campane del Duomo di  Trento,  ho creduto  fossero quelle dello Stephandom. Potenza dei libri.

La prima volta che vidi Vienna fu quando ci arrivai, con le mie due storiche amiche Giuliana e Guerrina,  in autostop. Venivamo da Monaco di Baviera dove ci trovavamo per imparare il tedesco. Ricordo che pernottammo in un ostello per la gioventù, bellissimo, un castello. E poi volemmo vedere tutto…Der Donau, Schonbrunn, ecc. Sapevo anche, avendolo letto su “Grazia” dell’esistenza dell’ Hawelka Cafè, storico ritrovo di intellettuali. Lo trovammo ! Caffè che esiste tuttora e nella mia ultima visita del 2005 vi trascinai le mie colleghe Emanuela e Daria. Parlammo a lungo con un distinto signore che fumava la pipa. Visitai Vienna anche in altre occasioni, con mio marito, mia madre, mia figlia, accompagnando gruppi; in una di queste occasioni, da sola, volli andare sotto una pioggia torrenziale a casa di…Freud.  Ero l’unica visitatrice! Che emozione vedere  i suoi mobili, i suoi libri, il suo lettino…

Ciò che mi piace oltremodo dei libri  è la loro capacità  di portarmi altrove, in luoghi immaginati o reali , visti o sognati, di modificare le mie prospettive e di aggiungere magia ai miei ricordi.

E le vostre città del cuore, quali sono?

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LA COSCIENZA DI ZENO, e l'uomo di poca qualità

pubblicato da: admin - 22 Aprile, 2010 @ 6:56 pm

scansione0028Ci sono anche personaggi imperfetti che affascinano , è il caso del simpatico Zeno Cosini ( una cosuccia da zero?) diventato il rappresentante di un’epoca di incertezze, timori e profondi cambiamenti.  Tutti abbiamo letto “La coscienza di Zeno“, quasi certamente a scuola, poi forse riletto per  nostro piacere. Italo Svevo con questo capolavoro ha segnato l’inizio della letteratura moderna italiana, quella introspettiva che inizia a interessarsi delle teorie psicoanalitiche.

Sappiamo che Italo Svevo è lo pseudonimo  di Ettore Schmitz,  nome scelto  per ribadire la propria formazione letteraria italo-tedesca.  Svevo nasce infatti nella  Trieste  asburgica, nel 1861, da padre tedesco e madre italiana. Scrive  importanti romanzi come “Una vita”, “Senilità“, ecc. i quali  non sono accolti positivamente. C’è  infatti chi dice che Svevo “scrive male”,  in un italiano “dove si avvertono le cadenze triestine  e le tracce della sintassi tedesca”.

Invece Joyce, che Svevo incontra nel 1906,  giudica “Senilità“  un testo di valore. Joyce si trova a Trieste come insegnante di inglese alla Berlitz School e Svevo , già inserito nel lavoro commerciale familiare, vuole imparare l’inglese. Nasce un’amicizia e una complicità fra scrittori intensa e particolare. Svevo legge pagine di “Gente di Dublino” e  assiste alla stesura dell'”Ulisse”, Joyce da parte sua capisce che Svevo è un grande narratore e lo farà conoscere a livello internazionale.

Intanto Svevo, pur lavorando nella ditta di famiglia, legge  anche tutte le opere di Sigmund Freud, in tedesco ovviamente. La conoscenza delle teorie psicoanalitiche fa da struttura a questo romanzo che ha forma di confessione autobiografica. Zeno Cosini, per consiglio del medico psicoanalitista che intende liberarlo dalle manie che lo affliggono, non ultimo il vizio del fumo, deve scrivere di sè: gli eventi più importanti della sua vita, episodi irrilevanti e tutto ciò che gli passa per la testa.

Emerge il ritratto di un uomo “inetto”, insoddisfatto, vittima di malattie psicosomatiche, insomma il borghese nevrotico che non guarisce alla fine, ma che verifica la sua “pochezza” col lume della ragione. Consapevolezza dunque di essere un uomo di poca qualità.

Ho scelto di accennare a Svevo perchè mi sono accorta che scrivo soprattutto di autrici donne. Ma Italo Svevo con questo romanzo eccezionale, ha aiutato tantissimi lettori a entrare nell’oscurità della propria psiche. Il suo viaggio nella memoria, descritto talvolta in modo leggero e ironico, è esemplare.  Si parla di scrittura autogenerativa attraverso la quale si può diventare anche più tolleranti verso i nostri difetti. Chi non ricorda le pagine dedicate al vizio del fumo? All’ultima sigaretta, che non sarà mai l’ultima? O alla scelta come moglie  della sorella sbagliata?

Occorrono anche questi personaggi “mediocri”, normali per poterci sentire un po’ meglio nelle nostre piccole vite intrise di contraddizioni, dubbi, domande.

Si torna quindi sempre alla scrittura di sè “Scriva! Scriva! Vedrà come arriverà a vedersi intero“.  lo incita lo psicoanalista. E’ quello che io faccio da una vita ed è quello che, sto notando, molte di voi fanno o stanno iniziando a fare

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MIA SORELLA, MIA SPOSA, la vita di Lou Andreas Salomè

pubblicato da: admin - 21 Aprile, 2010 @ 10:16 pm

salomèOggi parlo di un libro, o meglio della vita di un personaggio, che ha rappresentato un ulteriore mattone nella mia crescita di lettrice e di persona.   Lou Andreas Salomè, una donna eccezionalscansione0026e conosciuta grazie a H.P.Peters. Credo di aver “divorato”questo libro, parola per parola. Non solo per la biografia documentata di Lou, diminutivo di Louise, ma per “l’incontro” con l’intellighenzia di un’ epoca speciale, quella di  Nieztsche,  Rée, Freud, Rilke… Quando la mia amica di Aquileia mi regalò il libro nel 1979, io avevo appena ripreso gli studi  per cui la mia golosità di sapere era grande, e una donna così ricca intellettualmente, libera, anticonformista,  divenne da subito un altro mio idolo. Il primo era Goethe, o meglio la sua olimpica serenità che tento ancora, e invano,  di raggiungere.

Non facevo altro che parlare di Lou Salomè negli incontri che organizzavo a casa mia per discutere di libri. Tutto mi piaceva di lei:  la forza, l’ ottimismo, la libertà, la sete di conoscenza.

Nasce a  San Pietroburgo nel 1861 da un generale russo Gustav von Salomè, ultima nata dopo ben cinque maschi. Naturalmente coccolata e sollecitata nella sua crescita intellettuale, Lou diventa ben presto una donna moderna, emancipata e ribelle, che rifiuta i ruoli prestabiliti di moglie e  di madre. Scrive tanto, diari, appunti, riflessioni, saggi,  e legge filosofia, teologia, matematica, letteratura francese e tedesca.

La sua vita è intensa e H.P.Peters, grazie ai documenti recuperati dopo venticinque anni dal sequestro effettuato dalla Gestapo, riesce a farne un ritratto esaustivo e affascinante.

Leggiamo dei suoi innumerevoli viaggi, della conoscenza con Nieztsche e Paul Rée e della loro vita a tre. Platonica s’intende. Pur libera e anticonformista, Lou avrà il suo primo rapporto sessuale a trent’ anni. In questo strano ménage a trois ( del quale ci parla il film della Cavani “Al di là del bene e del male”) i due  intellettuali si innamorano perdutamente di lei che rifiuta però  le loro proposte di matrimonio . Nieztsche depresso per questo amore non corrisposto scriverà i primi due capitoli di “Così parlò Zarathustra.”

Lou comprende benissimo la psicologia di chi incontra, traccia un esatto  profilo della personalità  di Niezstche. Per istinto, comprende l’animo umano. Segue comunque, sferruzzando, le lezioni di Freud che non le dicevano nulla di nuovo, ma legittimavamo la sua capacità innata di psicoanalista. Nel 1931 pubblica un ringraziamento al padre della psicoanalisi “Mein Dank an Freud”in cui dice “Quello di cui, finalmente, prendevo coscienza seguendo il vostro insegnamento, si rivelò come il senso e il valore delle mie aspirazioni incoscienti“.La psicoanalisi è la conferma sceintifica  delle sue intuizioni e del suo modo di vivere.

Intanto appare un altro uomo al suo orizzonte Friedrich Carl Andreas, che diventerà suo marito. La prima impressione che Lou ne riceve è quella di”…una persona più tranquilla che impietosa, con il contegno serio dello studioso e l’aspetto fisico di un monaco.” Si sposano nel 1887, il matrimonio dura fino al 1930, anno in cui Andreas muore. E’ interessante leggere nelle pagine di Peters  sia della vita di Andreas che degli anni del matrimonio.

Lou Salomè a 36 anni, fa innamorare  Rainer Maria Rilke, anzi per un certo tempo vivranno anche insieme. E’ lui che, prendendo spunto dal Cantico dei cantici, le scrive: “Tu mi hai preso il cuore, mia sorella, mia sposa…” Lou con la sua gioiosa meraviglia verso la vita, con il suo coraggio cerca di infondere in Rilke la consapevolezza del proprio valore. Diventa una maestra di vita per lui ; la loro corrispondenza è stupenda. Ma di questo parlerò in un futuro post.

E’ interessante riflettere sulle persone che sono state o che sono importanti per noi, i “maestri”. Oltre a grandi scrittori, pensatori ci sono anche le persone vicine alla nostra vita, quelle persone che sanno “leggere” il nostro cuore. Anche senza essere famose.  Per me dunque Goethe, Lou Salomè, mia madre…e tanti altri… Per voi?

*    *    *

Il post “Diario, per sempre“, si è arricchito di due altri preziosi commenti che consiglio di leggere.

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L'ALBERO DELLE LATTINE, piccole grandi vite

pubblicato da: admin - 20 Aprile, 2010 @ 7:06 pm

tulipani 001scansione0025Anche l’ultimo romanzo di Anne Tyler racconta di piccole vite, questa volta alla prese con l’evento più destabilizzante: la morte di una bambina, Janie Rose, nel cui giardino rimane tintinnante un alberello pieno di lattine vuote.  E’ stata l’ultima idea estrosa di Janie Rose, sei anni appena, prima di morire per una caduta da un trattore. Era un alberello dedicato a Dio, pieno di pop corn e  di lattine.

Tutto sembra cambiare:  i genitori attoniti non riescono più a fare nulla ,  il fratellino  Simon di 10 anni  si sente inutile e trascurato, la cugina Joan,  che vive con loro,  si sente sospesa, e gli altri abitanti della grande casa ,  che si staglia accanto ai campi di tabacco, sono coinvolti in vari modi.

I personaggi di Anne Tyler, come tutti quelli dei suoi romanzi (da me letti dal primo all’ultimo, compreso “Turista per caso”) sono particolari, non ovvii, comuni ma non banali.

 Troviamo Ansel , ipocondriaco, che sembra fatto al contrario, ” Quando si sentiva particolarmente in forma, chiedeva che gli portassero i pasti su un vassoio, mentre quando stava veramente male era capace di mettersi a tappezzare la camera”.   Vive con il fratello James, pratico, protettivo che ha una relazione sentimentale con Joan. La troppa attenzione per Ansel porterà Joan, una docile ragazza che si sente sempre ospite sia a casa dei genitori che degli zii, a un tentativo di fuga.

Per tutti i personaggi comunque ci sono i tentativi di fuga dal dolore, ognuno a modo suo. Sarà il più piccolo, Simon, con la sua determinazione e slancio vitale a scuotere gli adulti e ricordare loro che l’aspetto più coraggioso degli uomini è continuare ad amare, a stare vicini, anche dopo un lutto.

Ciò che mi piace di Anne Tyler, oltre alla sua prosa che conquista, è l’attenzione minuziosa ai piccoli particolari della vita di tutti i giorni. Come un ranuncolo impigliato nei raggi della ruota della bicicletta: “…lo vide nel cortile, mentre raccoglieva la bicicletta che non usava da giorni…il ranuncolo era ancora impigliato tra i raggi, il fiore giallo penzolava ubriaco dalla ruota interiore, e le foglie avvizzite presero a svolazzare come bandierine quando Simon si avviò lentamente.”

Il suo è un occhio attento, sensibile,fotografico,  dà una speciale importanza agli accadimenti più insignificanti di una giornata. Può essere la descrizione del cambiamento della luce nel tardo pomeriggio, o il fruscio del lenzuolo tirato sulla testa prima di dormire.

Mi incanta assaporare fino in fondo, ogni aspetto della realtà. Credo che con questa strategia anche le giornate vuote, quelle che io definisco “flinghe”, ossia  senza valore, acquistino più sapore e colore.

Ora sono presa dalla scrittura, ma posso provare a guardarmi intorno come farebbe  Anne Tyler…il ronzio del computer potrebbe sembrare uno sciame lontano di api, la luce che si riflette dalle finestre di fronte dà al mio appartamento una luce d’acquario… il graffio che Mimilla mi ha fatto  senza volere  sulla mano sinistra, sembra la linea purpurea disegnata su una mappa… e i tre tulipani nel vaso verde sembrano danzare a braccia aperte…”Parlano tra loro i tuli, tuli, tulipan…”

Provate anche voi…

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L'ARMONIA DEL MONDO, di Pietro Citati

pubblicato da: admin - 19 Aprile, 2010 @ 6:36 pm

mimilla 002scansione0024Giunta al mio 90° libro, come ha ricordato Stefania, è d’uopo riflettere un po’ su questo appuntamento quotidiano che mi regala qualche ora di immersione  – e nella letteratura  -e nel mio profondo. Questo “lavoro” mi fa ricordare attimi ed emozioni dimenticate. Poco fa, mentre pensavo al libro da presentare, mi è tornata alla mente un’antica fonte romana che si vede soltanto percorrendo un sentierino vicino a Cavedine. La scoprii anni fa quando, supplente nella  locale scuola media,  riempivo le ore “buche” passeggiando nei dintorni. Ho precisa l’immagine della scoperta di questa fonte nascosta in cui l’acqua algida e  pura mi  ha, da subito, rappresentato  la Verità  che dobbiamo trovare…  (Chissà se Cinzia mi legge ancora e si ricorda le nostre passeggiate…) E il libro di Pietro Citati, come sempre, ricerca la Verità su di noi, sul nostro  procedere nel mondo in  divenire, riuscendo col suo  giudizio critico ed equilibrato a darci spunti di positività e ottimismo.

Ne “L’Armonia del mondo” si esaminano vari temi, dai gatti e bambini, all’arte della conversazione, dalla nostra italianità  alla politica, ecc.

Mi soffermo, in questo mio  post di riflessione, su un sottocapitolo “La Maturità“  (eh, la lingua batte dove il dente duole, diceva mia nonna) in cui Pietro Citati dice che essa  è”… – la lunga e fugacissima età di mezzo, alla quale dovremmo affidare la parte migliore di noi -  ma che continua a rimanerci incomprensibile.” Come arriviamo a questa sponda? Con coraggio,  con timore o riusciamo a scivolarci dentro con naturalezza? La maturità si può raggiungere anche in un’età anagrafica giovane come  Pamina e Tamino nel Flauto Magico che hanno attraversato “l’ardore delle fiamme e lo strepito dell’acque”. Don Chisciotte , continua Citati, diventa maturo soltanto un attimo prima di morire, quando consapevole della verità, abbandona le sue illusioni che lo hanno fatto vivere. Invece Wilhelm Meister e Lucien de Rubemprè, personaggi chiave di Goethe e di Balzac, non varcheranno mai la soglia. La maturità è quindi una conquista di verità, consapevolezza, ma è anche una perdita delle illusioni, delle incertezze. Il pericolo dell’età matura è  talvolta quello di costruire troppe difese che possono diventare quasi mura carcerarie.

E’ un’età inquieta, ma che può diventare prolifica –  nonostante gli acciacchi e il vuoto che si allarga intorno a noi – progettando, sorridendo, considerando ogni giorno  come un regalo e uno spiraglio aperto a mille possiblità. 

Il consiglio di Pietro Citati è anche quello  di crearci ogni tanto degli spazi vuoti “Abbiamo bisogno di tempo vuoto, dove avanzare senza fretta, bracciata dopo bracciata; attraversiamo un lungo spazio di mare.” Condivido l’elogio della lentezza e “dell’acqua” alla quale abbandonarci per ritemprarci.

Di questo saggio stupendo dovrei scrivere tantissimo; credo sia meglio  consigliare di leggerlo.

Voglio concludere con alcune sue  considerazioni sui gatti – il libro inzia proprio parlando di loro -. “Il gatto si annoia” “non si lamenta” “dorme e contempla”. “E se c’è un momento che mi affascina nella sua vita è quando sta davanti alla finestra. …Come vorrei scorgere quello che vede!…il suo sguardo sembra riflettere e dissolvere in sè tutto ciò che avviene nel mondo”

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JANE E LA DISGRAZIA DI LADY SCARGRAVE, omicidio al castello

pubblicato da: admin - 18 Aprile, 2010 @ 6:59 pm

scansione0023Janedisgrazialadyg[1]Stamattina ho visitato il bellissimo Castel Thun aperto al pubblico da ieri, dopo  rigorosi e “filologici” lavori di restauro. Ero insieme a Gianna, cara compagna di un corso d’inglese  (con  stupendo viaggio conclusivo in England.) Giornata fredda e uggiosa, ma le nuvole basse davano al castello  una suggestiva atmosfera di mistero. Salire e scendere le scale antiche, visitare le  molte stanze arredate con mobili di diverse epoche, mi ha trasportato immediatamente in una piacevole storia “gialla”, letta pochi mesi fa,  nella quale la detective è nientemeno che Jane Austen.

Come è possibile?  La statunitense Stephanie Barron, scrittrice di gialli con lo pseudonimo di Francine Mathews, amante appassionata di Jane Austen ha deciso ,nel 1996,  (e prima di tutti i films tratti dai romanzi della scrittrice)  di far rivivere  la sua autrice preferita immaginando per lei situazioni  che avessero un  mistero da risolvere.

  La Barron ha adottato con successo  uno stile narrativo austeniano: posato, chiaro, caustico, divertente riuscendo a rendere plausibile ogni storia raccontata.

Sono racconti leggeri, intriganti, all'”acqua di rose”, che si leggono con piacere. Siamo trasportati in un ambiente storico accurato, il personaggio  della Austen è delineato con precisione (si percepisce  l’attentissima  conoscenza  da parte della Barron di tutti i  suoi romanzi,  delle lettere alla sorella Cassandra, della bibliografia .)

Chissà se Valentina L. vorrà leggere questi racconti gialli…non vorrei che rimanesse delusa…ma posso dire che della sua amata scrittrice inglese  viene sempre sottolineata la  capacità di  osservazione e comprensione degli accadimenti  del suo piccolo mondo. E’ sempre lei, insomma,  che riesce  alla fine a rimettere l’ordine in un ambiente caotico.

In “Jane e la disgrazia di Lady Scargrave” siamo appunto in un castello dove Jane è ospite dell’amica Isobel, la neo Lady Scargrave. Ma proprio durante la notte Lord Scargrave verrà assassinato. ( L'”arma” del delitto è alquanto singolare!) Isobel verrà ingiustamente accusata d’omicidio e trasportata nelle prigioni di Newgate.
Ma Jane  riuscirà a trovare il vero colpevole  dimostrando il suo coraggio, il suo buon senso e quella deliziosa arguzia tipica di tutti i suoi personaggi.

 Questo ricordavo stamattina  aggirandomi  per il maniero di Thun.

  Ah, andar per castelli…che magia e che incentivo per l’immaginazione!

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NUVOLOSITA' VARIABILE, e i fili dell'amicizia

pubblicato da: admin - 17 Aprile, 2010 @ 7:21 pm

DSC00264scansione0022Amiche per sempre, ritrovate, nuove o amiche che  lentamente si perdono in altri percorsi. Riflettevo stamattina dopo il caffè con le care Terry ed Enza, come si allarga o si sfalda l’arazzo amicale. Grazie al blog  poi sono entrata  in contatto con altre persone con le quali sento consonanze ed affinità.

Come con Miki che oggi compie 31 anni! Auguri!  E’ giovane come  Raffaella e  Maria Letizia .

Nel romanzo della spagnola Carmen Martìn Gaite si parla di  un’amicizia al femminile, nata sui banchi di scuola, alimentata dalle stesse passioni dell’adolescenza e  ritrovata dopo quasi trent’anni di lontananza.  Mariana Leon, una brillante psicoanalista e Sofia Montalvo, moglie di un ambizioso uomo d’affari e madre di tre figli ormai grandi,  si reincontrano, con profonda emozione, a un vernissage. Sdrammatizzato il motivo per cui si erano allontanate (un ragazzo che piaceva a entrambe), comprendono che quello è il momento giusto per confrontarsi, aiutarsi reciprocamente dato che la loro vita si trova in un momento critico. La loro antica intesa viene rinnovata con il patto di scriversi e riaprire lentamente il loro dialogo .

“Nuvolosità variabile” è un racconto scritto a due voci, un po’ diario, un po’ epistolario. Una scrive lettere e le invia, l’altra scrive ma non è ancora pronta  a spedirle all’amica. Di che cosa scrivono? Di sè, della vita, dei rimpianti, delusioni, speranze: una sincera autoanalisi e revisione critica della propria esistenza.

Sofia  ritrova la sua innata creatività e riesce a trasformare  in materia narrativa anche gli episodi più banali della sue giornate di moglie-madre  stanca di un marito disattento e  di una figlia contestatrice. Mariana è più metodica, razionale, riesce a confidare il fallimento sentimentale, amaro risvolto della sua brillante carriera .

Conosciamo completamente, anche grazie a flash back, la vita di queste due donne che alla fine si daranno un appuntamento al mare, vicino a Cadice finalmente consapevoli di ciò che sono e di che cosa vogliono. “Eppure le due donne sedute una di fronte all’altra, rivolte verso il mare, vicino all’estremità della balaustra, non sembravano accorgersi dell’imminente arrivo della pioggia nè della notte…Se una delle due se ne stava silenziosa a guardare il mare con un’aria meditabonda, ben presto l’altra spezzava il suo silenzio gesticolando espressivamente…Avevano le guance arrossate e ciascuna di loro brandiva nella mano destra una penna stilografica…”

 Attraverso la scrittura  destinata a  chi può capire, la “nuvolosità variabile” dei sentimenti viene raccolta in un insieme più comprensibile e accettabile. I vari frammenti  sono resi omogenei nel loro sincero  raccontarsi .  La figlia di Sofia, Encarna, si preoccupa di non poter ordinare nella mente i vari frammenti della realtà : “Tutti pezzettini! Sono tutti pezzettini! ” Quando non si comprendono nel loro insieme le cose sembrano avvolte da una nuvola.

E qui devo citare mia figlia Stefania che talvolta, da ragazzina , diceva che “aveva la nube”…

Insomma un altro libro di esplorazione dell’anima, un altro invito alla scrittura, e un grande piacere di leggere storie di donne come noi. Autoritratti delineati in spazi vitali che noi possiamo conoscere attraverso la  descrizione della casa, come rifugio,  come specchio di sentimenti e pensieri. Penso quindi alla mia nuova amica di Varese,  che sta curando le sue orchidee (non so ancora se posso scrivere il suo nome) e che descrive in modo poetico  le sue giornate di nuvolosità variabile.

E naturalmente penso a Renata che nel 1999 mi consigliò questo libro. Amica che mi legge quotidianamente, ma che non riesce a scrivere con il PC  (è tecnologicamente “arretrata”, come lo ero io tempo fa! ), ma che legge tanto e mi dà consigli preziosi. Lei e tante altre sono le amiche per sempre, adesso ne scopro di nuove e  importanti, alcune  invece si stanno perdendo come petali leggeri di primavera, per usare una figura retorica!

La riflessione del mio 89 esimo giorno di blog è d’uopo: amiche eterne, nuove, che si perdono…

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