I DONI DELLA VITA, di Iréne Némirovsky
pubblicato da: admin - 22 Maggio, 2010 @ 5:27 pm
Un altro romanzo della Némirovsky, la scritttrice ebrea morta ad Auschwitz nel 1942. Scritto nel 1940 apparve a puntate su “Gringoire” quando già Irène non poteva più firmare con il proprio nome. Stampato finalmente nel 1947 “I doni della vita” ha un impianto classico e sembra una preparazione al celeberrimo “Suite Francese”. E’ comunque un romanzo compiuto . La vicenda si svolge nell’arco di trent’anni, i terribili trent’anni della storia eruopea che comprendono le due guerre. La sfortunata generazione che è incappata in questo periodo lo ha vissuto come un’unica guerra. Dopo il 1918 si percepiva che nulla di definitivo era stato concluso con la pace. I personaggi del romanzo vivono a Saint -Elme, a quel tempo dominata dal capostipite di una  ricca famiglia di imprenditori cartieri. Ritornano le tematiche care alla Némirovskj: la prepotenza e l’avidità dei ricchi industriali, il comportamento ipocrita delle tradizioni e della forma, i beni materiali posseduti da difendere a dispetto di tutto e tutti.
Il racconto  inizia un po’ prima della grande guerra: Pierre Hardelot, erede delle omonime cartiere, viene obbligato a fidanzarsi con la poco avvenente e ricca Simone, ma lui ama, contraccambiato, Agnès. Ciononostante viene organizzata la sontuosa festa di fidanzamento. La Némirovskj sa descrivere benissimo l’ambiente ricco di cui anch’essa fa parte. Interessante fra l’altro la descrizione dei bagni marini fatti dalle signore dell’epoca. Sistemate in una roulotte trainata da cavalli, le signore vengono condotte verso il mare e da lì, con costumi neri di lana concepiti in modo da dissimulare il più possibile le forme del corpo femminile, entrano in acqua.
Ma per tornare alla storia: Pierre rompe il fidanzamento con Simone e sposa Agnès incorrendo nell’ira del nonno patriarca  che lo disconosce. I due giovani vanno in Spagna ed hanno il primo figlio, Guy.
Poi scoppia la guerra. Pierre viene richiamato alle armi. Agnès e il bimbo tornano a Saint-Elme, ma non vengono ancora accettati dal vecchio industriale, il quale prende come socia l’ex fidanzata di Pierre. Molto toccanti le descrizioni dei sentimenti di chi “rimane a casa”, lontano dal fronte. E’ una scrittura femminile, si racconta ciò che si conosce meglio. “Tra la folla, il cuore di ogni donna spasimava per le semplici gioie perdute”. Agnès che aspetta piena di speranza il suo Pierre pensa: “…La guerra finirà , finiremo anche noi, ma questi piaceri semplici e innocenti ci saranno sempre: la freschezza, il sole, una mela rossa, il fuoco acceso in inverno, una donna, dei bambini, la vita di ogni giorno. ..Il fragore, il frastuono delle guerre si spegneranno. Il resto rimane…Per me o per qualcun altro?”
E poi finalmente la guerra finisce “La pace! Che ci lascino in pace!…Vogliamo assaporare tutti i doni della terra” gridavano i giovani che uscivano dal sepolcro avidi e affamati.”
Ma la storia ci ricorda che non è finita, che dopo appena 20 anni ritornerà l’incubo già vissuto. “Era scontato, no? “Si ricomincia. ” esclamano gli abitanti di Saint-Elme.
Intanto i protagonisti del romanzo intrecciano le loro vite: il figlio di Pierre e Agnés, Guy, sposerà Rosa la figlia di Simone, l’ex-fidanzata e socia del vecchio despota industriale, ormai morto. In un mirabile crescendo finale, in cui le pedine si sistemano, si evince il messaggio centrale di questo romanzo. I sentimenti forti, e in questo  caso appagati, sono i doni più grandi della vita.
Non posso fare a meno di pensare a mia nonna Bianca che ha vissuto le due guerre e chissà forse proprio per questo aveva maturato un carattere fatalista, allegro e grato di ogni piccolo dono che riceveva. Intanto era riconoscente e  felice di vivere con noi e non in una casa di riposo, e lo ripeteva spesso, poi apprezzava il cibo, le risate, una notturna fumata di pipa (eh, sì, fumava anche la pipa o il sigaro!) dopo un solitario. E che felicità quando la portammo per un mese a Marina di Ravenna! Viveva ogni giornata con una tale intensità da diffondere intorno a sè calore e voglia di vivere.
DOPO TANTA SOLITUDINE, e il cammino dentro di sè
pubblicato da: admin - 21 Maggio, 2010 @ 5:55 pm
Altra gloriosa mattinata di maggio ed io decido di fare una passeggiata lungo il Fersina. In solitudine. Mi avvio con le mie scarpette rosse lasciando i pensieri liberi di correre con il vento e con il sole. Dopo aver parlato ieri dell’importanza delle amicizie e degli affetti, oggi mi ritrovo a pensare alla solitudine come condizione obbligatoria per molti, ma anche come necessità per rinforzarsi. Cammino e incontro Maria Teresa, sorridente e anche lei con qualcosa di rosso addosso. Mi fermo per un caffè che mi viene offerto perchè la barista ha tardato a portarmelo. Che gentile!
Mi chiedo, osservando gli ippocastani rigogliosi di foglie, quale libro citerò  sul blog ,e subito penso a “Dopo tanta solitudine” di Nuala O’Faolain. Il titolo originale parla però di “ un viaggio in avanti di una dublinese” The Onward Journey of a Dublin Woman“. Ed è infatti un’analisi attenta degli ultimi anni della scritttrice irlandese, ormai di mezza età , e delle sue nuove prospettive. E’ diventata una giornalista ed una scritttrice affermata,  ha finalmente superato le difficoltà dell’ adolescenza e la delusione di storie sentimentali fallimentari. Riscopre e rivaluta logori legami familiari, forse ha trovato  una più sicura storia d’amore. Confronta la sua vita attuale divisa fra Stati Uniti e Irlanda con il passato, traendo da ogni ricordo, emozione,  esperienza la forza e la determinazione per  proseguire la sua strada; sottolinea le sue conquiste di donna, di scrittrice, ci parla di una raggiunta serenità  pur nella solitudine.
E’ inutile citare i versi di Quasimodo “Ognuno sta solo sul cuor della terra…”, sappiamo che siamo sempre soli di fronte alla nostra vita, anche se circondati e consolati dalla famiglia e dalle amicizie.
Nuala O’Faolain attraverso il racconto della sua vita ci racconta dell’Irlanda, ci suggerisce l’importanza dell’autoanalisi, della scrittura, per avere aiuto e conforto. Noi spesso siamo i migliori interlocutori di noi stessi. Dobbiamo ascoltarci.
Riprendo la passeggiata con la mente per “aria”, ma osservo e “catturo” le roselline rosse e quelle rosa, certi ciuffetti di fiori violetti e assaporo un dolce profumo di miele. Penso che una passeggiata “sola e pensosa”è sempre un ripercorrere la propria vita; mi viene in mente la poesia di Montale in cui “Arsenio” scendendo verso il mare sembra ripercorrere l’esistenza umana, penso a Mrs. Dalloway che passeggiando per Londra affronta ricordi, sentimenti, speranze, grandi interrogativi.
E poi…su una panchina vedo rannicchiata un’adolescente che sta scrivendo su un piccolo quaderno. E’ deliziosa, capelli corti scuri, jeans, scarpe da ginnastica, sciarpetta bianca al collo. E’ concentratissima…scriverà del suo innamorato? della sensazione primaverile sentendo lo scorrere del fiume? dei suoi progetti? O della sua malinconia?  Scrive della vita, la prende, la conquista. So che il suo momento è intenso… lo ricordo…
Ecco il parallelo con me stessa a 17 anni . Anch’io cercavo spesso la solitudine e sempre portavo  con me un taccuino su cui annotare i momenti importanti che mi accadeva di percepire. La descrizione di un luogo, un pensiero fugace, un ricordo, un’emozione…cerco una mia foto d’allora…che adolescente diversa ero, – eravamo – , da quelle di oggi. Sono vestita come una “signora”…ma erano altri tempi.
Spero non me ne vorrete, passo da Nuala O’Faolain ai miei diari…la tentazione è troppo forte. Sulla foto c’è la data ed io vado a sfogliare il diario di quel giorno ” …Domani lascerò Merano, mi addolora tanto perchè la amo. La Promenade è  piena di colombi e il Passirio che scorre ha una spuma bianca e azzurra…Undici mesi di lavoro per solo un mese di svago che passa tanto in fretta da non lasciare neppure un attimo di felicità .”
Comments Closed
IL GRUPPO, libro cult degli anni'60
pubblicato da: admin - 20 Maggio, 2010 @ 8:15 pm
Stamattina, una soleggiata e radiosa mattinata di maggio (finalmente!),ho incontrato tante donne:  amiche e conoscenti. Prima un simpatico caffè con Maria Teresa per aggiornarci, poi  una sosta ad un altro tavolino per salutare Rina e una Penelope (un bel girasole troneggiava nel mezzo), altri saluti e sorrisi per le vie dorate; ed ancora Camilla con cui si parla sempre di libri o di pittura, infine Giovanna appena tornata da New York. Era seduta con un’amica nel bar dietro S.Pietro. Dovremo incontraci presto perchè mi vuole raccontare del suo innamoramento per The big apple. Mentre tornavo a casa ho ripensato immediatamente alla “ sorellanza “delle donne, e mi è venuto in mente il famoso libro (di cui però ho perso le tracce…sarà in Liguria? l’avrò prestato?…perso?) di Mary McCarthy uscito in Italia nel 1964. Poi a casa , incredibile, trovo una cartolina virtuale di Enza in cui si parla di donne-sorelle. Un’immagine è commentata così “Un’amica non e mai così lontana da non poter essere raggiunta”.
 Era destino dunque  che oggi ripensassi a “ Il gruppo” e alle sue otto protagoniste. I nomi non li ricordo se non Dotty, Kay…tutte comunque appartenenti all’upper class statunitense. Frequentano un college prestigioso e si laureano nel 1933. Sono inseparabili e riescono a mantenere i contatti tra di loro anche negli anni a venire. Vivranno anni importanti, quelli del New Deal e profondi mutamenti della società che si scontrano con le regole della vecchia educazione. Non solo le loro storie personali piene di ombre e luci, matrimonio, ricerca del lavoro, maternità , ma lo scontro tra vecchi valori e una nuova mentalità che sta dilagando proprio nel mondo femminile. Tematiche audaci per i primi anni ’60: nuovi codici di comportamento sessuale, erotismo, controllo delle nascite, persino omosessualità …tanto che l’uscita del romanzo suscitò gran scalpore; in Inghilterra venne persino censurato.
Io lo lessi avidamente, avevo circa vent’anni, ciò che mi è rimasto dopo tanto tempo è proprio  la consapevolezza della complicità  fra donne, del loro camminare insieme, di ciò che abbiamo conquistato.
 Certo si mantengono i rapporti con le persone con le quali si hanno affinità , ma quando il gruppo-amiche è formato solidamente si ha una sensazione di sicurezza, tranquillità  che molto spesso può compensare altre lacune affettive.
Sono molto fortunata da questo lato: ho tante amiche, alcune ancora  dall’adolescenza, altre dagli anni dei viaggi, quelle del mare, quelle di  Trento, le amiche del blog…un bel gruppo insomma…
ROBINSON CRUSOE, un romanzo su cui riflettere
pubblicato da: admin - 19 Maggio, 2010 @ 5:53 pm
Il capolavoro di Daniel Defoe mi ha sempre affascinata. Talvolta fantasticavo su cosa avrei fatto se fossi naufragata su un’isola deserta come lui. “Robinson Crusoe” non è soltanto un romanzo d’avventura, supera infatti ogni catalogazione, è più un romanzo di formazione, o meglio di neo formazione di un individuo che è costretto a ripercorrere la storia dell’umanità per sopravvivere. Ma altre componenti sono presenti in questa storia avvincente: il viaggio, un luogo lontano e sconosciuto, la meditazione forzata, la lotta per la sopravvivenza in un ambiente naturale ostile. Viene esaltato il mito dell’ homo faber che ripercorre il cammino dell’uomo dallo stato selvaggio alla civiltà e che riesce a superare ogni ostacolo con il suo ingegno. Non dimentichiamo che la Gran Bretagna si avvia a creare il suo grande impero e che Robinson è il rappresentante della laboriosa e pragmatica borghesia. Il romanzo viene pubblicato nel 1719 è avrà un grande successo.
Robinson disubbidisce al padre mercante per viaggiare per mare . E’ un inquieto, desidera qualcosa di nuovo e incomprensibile persino a se stesso.
La sua nave fa naufragio nel 1659 contro un’isola sconosciuta. Soltanto Robinson riesce a salvarsi raggiungendo a nuoto la riva. Presto vede i  capi di vestiario dei suoi compagni e va avanti e indietro sulla spiaggia levando gli occhi al cielo “con tutto il suo essere assorto a considerare la propria salvezza”. Ha 27 anni e da quel momento “rinasce” come un nuovo Adamo e forse, egli pensa, come un esempio, una “tarsia della Provvidenza“. Già da queste riflessioni si capisce che non si perderà d’animo, anche perchè tra i relitti della nave trova tantissimi oggetti che gli serviranno per la sopravvivenza. Defoe ce li elenca quasi con pedanteria:vestiti, arnesi,chiodi, riso, pane, formaggio,amaca, rum…ecc.ecc. Sembra un emporio! Potrebbe quasi vivere “di rendita “! Ma l’intelligemza pratica lo spinge a risolvere qualsiasi problema ed il lavoro diventa la sua terapia e la sua religione guarendo anche la sua solitudine.
Fa un calendario per non perder la nozione del tempo, scrive un diario !!! costruisce ogni sorta di oggetti e mobiletti vari. Prova a coltivare orzo e riso, cattura e addomestica alcune caprette, esplora l’isola, modella vasi d’argilla, insomma impara tutti i mestieri della storia umana.
Un critico osserva che la vita borghese, che nei tempi di Defoe trionfava in Europa e in America, “celebra il suo supremo trionfo proprio qui, nell’isola deserta, dove non si può comprare nè vendere, commerciare, nè esportare”. Robinson è preciso, meticoloso: vuole misurare tutto, il tempo, lo spazio. Sa che l’ordine e la misurazione sono le fondamenta della civiltà occidentale.
E’ un romanzo da rileggere, non solo per le avventure con i  cannibali, con il “buon selvaggio” Venerdì , ma per tutti gli spunti interessanti su cui riflettere.
Dopo 28 anni di vita sull’isola Robinson non desidera più Londra e L’Europa, perchè è riuscito a ricreare tutto il cammino della civiltà europea e perchè ha trovato la “sua isola” dentro di sè.
Ogni tanto sarebbe bello “naufragare” su un’isola deserta per rinnovare la nostra realtà circostante e soprattutto noi stessi…
QUELLI CHE NON DORMIVANO, Diario, 1944-1946
pubblicato da: admin - 18 Maggio, 2010 @ 8:08 pm
Quando vedo un Diario non resisto, devo leggerlo. Questo di Jacqueline Mesnil-Amar, un’ ebrea francese, mi ha attirato subito sia per l’immagine di copertina che per gli anni di cui narra. Nella prefazione viene spiegato che è un libro non “ancora letto”, benchè pubblicato una prima volta nel 1957. Ma allora era troppo presto, non era il momento giusto. Erano passati soltanto dieci anni dalla fine della guerra e non si poteva dire tutto, molti non volevano ascoltare le verità dei deportati di ritorno dai campi nazisti, gli orrori, le denunce. Su tante testimonianze di guerra era calata una cappa di silenzio almeno fino agli anni Settanta quando finalmente si ebbe il coraggio di ascoltare.
Jacqueline Mesnil-Amar non è un’autrice, ha scritto solo questo diario, ma è una scrittrice, e che scrittrice! Il suo testo è imbevuto della lettura dei grandi autori e presenta non solo una rara sensibilità d’animo, ma un linguaggio preciso e nello stesso tempo poetico.
Se la seconda parte è la più difficile da leggere per i racconti terribili dei deportati e per le pagine dedicate ai bambini d’Israele che sono stati immolati, le prime pagine, più intime, scorrono veloci in un alternarsi di angoscia, speranza e gioia.
Siamo a Parigi e il diario inizia il 18 luglio 1944 quando André, suo marito,  non torna a casa.  André è membro della resistenza ebraica ed è stato catturato dai tedeschi . Sarà torturato e poi caricato sull’ultimo convoglio diretto a Buchenwald.
André e Jacqueline sono figli di ricchi francesi ebrei, ma ormai hanno perso tutto. Si nascondono, hanno documenti falsi, vivono momenti tragici come tutti gli ebrei perseguitati.
Per Jacqueline scrivere diventa un aiuto. Dopo una settimana dall’arresto del marito inizia scrivere per non affondare nella disperazione, per sentirsi viva. Fa giri e cerchi di parole per giungere all’essenza del suo sentire. Ripercorre i terribili anni dall’inizio della guerra, la fuga dalla loro casa, i vari nascondigli,  lo sbarazzarsi dei documenti dell’OJC (organizzazione ebraica di combattimento), la vana ricerca di  conoscenze per avere un po’ d’aiuto. “Venderei i miei anelli, venderei la mia anima, la mia vita, ma non credo che sia abbastanza…Tutto accresce la confusione e l’orrore, tutto è nero e oscuro, ci si scontra con un muro impenetrabile.”
Nelle notti senza sonno, e dopo aver affidato la figlioletta a Nana che le nasconde nella sua casa, Jacqueline attraversa Parigi con la sua bicicletta. Le descrizioni della capitale francese sono bellissime: ogni attraversamento di piazze, ponti, strade sembra un attraversamento di tutti gli stadi del suo dolore. Non sa nulla, non sa se André è ancora vivo. Scrive e come strategia consolatoria  ripensa ai bei viaggi fatti insieme. Ricorda Broni, l’isola verde dell’Adriatico, Venezia di notte , sotto la luna, la loro villa a Deauville quando erano felici .
“Com’è incomunicabile, impermeabile e solitaria la paura!”  Le sembra che la sua vita parallela a quella di André in carcere sia quasi un tradimento. Lei è viva, osserva l’ammirevole ed eroica attività di Nana che nasconde contrassegni, documenti, apparecchi di trasmissione;  si trucca, esce per incontrare amiche.
E finalmente il 6 agosto 1944 gli Alleati puntano su Parigi.  A mezzanotte Jacqueline prende in mano il suo diario e scrive scrive; ricorda quando nel 1940 Pétain parlò con la sua voce tremante alla radio proclamando l’armistizio con i tedeschi, le loro lacrime e tutto ciò che ebbe inizio  per i francesi e per  gli ebrei.
La speranza sta  rimescolando tutto - i brutti e i bei ricordi, il desiderio di “tornare ad essere ebrei”, di riprovare l’ebbrezza di vivere – quando viene a sapere che André è vivo e che è riuscito a fuggire dal convoglio nazista.
Il 25 agostoParigi viene liberata, i tedeschi sono in fuga, è arrivato De Gaulle, la gioia è contagiosa, tutte le campane di Parigi suonano. Le ragazze con i rossetti vivaci e le gonne a fiori esultano per le strade.
Scrivere per aiutarsi, sempre. Jacqueline scrive anche alla finestra, in casa di Nana. “Perchè? Forse solo Dio lo sa. E’ la mia forma di ricamo, un’evasione, come per mia madre?”
Mi piace questo paragone della scrittura con il ricamo, in fondo è sempre un soffermarsi sui nostri pensieri e sulla nostra vita, punto dopo punto.
DONNE INNAMORATE, di D.H.Lawrence
pubblicato da: admin - 17 Maggio, 2010 @ 7:23 pm
Continuando la riflessione sull’immedesimazione da parte di molti lettori nei personaggi dei romanzi, non potevo che ripensare a D.H.Lawrence. Le sue opere sono quasi poemi drammatici, pieni di una fantasia così appassionata, di suggestioni simboliche e di un incanto musicale che non si può non rimanere “appiccicati” all’ambiente descritto e alle sue eroine. Almeno per quanto mi riguarda, soprattutto perchè lessi quasi tutti i suoi romanzi quand’ero giovanissima.
Ricordo particolarmente il periodo lavorativo  tracorso, appena quindicenne, presso uno studio di un avvocato. Non facevo quasi niente, il mio compito era quello di ricevere telefonate o far accomodare i clienti nel grande ingresso dove io avevo il mio tavolino da lavoro. Qualche volta copiavo a macchina delle relazioni, ma per la maggior parte del tempo non avevo mansioni. Perciò …lettura a go go. Scrivevo un po’ il diario, poi mi immergevo nei libri. Quanto lessi  e come “entravo” nelle storie! Tanto che se l’avvocato mi chiamava per dettarmi una lettera io ero scocciata ed andavo nel suo studio comportandomi vagamente come il personaggio di cui stavo leggendo! Lui mi guardava perplesso, ma non diceva nulla…
Era il periodo in cui mi immedesimavo anche nei personaggi dei film. Ricordo che appena tornai a casa dopo aver visto “Il mondo di Suzie Wong” mi precipitai nella mia camera da letto, indossai un abitino nero fac-simile cinese e tentai di truccarmi come lei. Ero già bionda per cui il risultato era abbastanza dissimile, ma io convintissima tornai in soggiorno per farmi ammirare dai miei genitori i quali mi “assicurarono” che ero …identica!
Credo che anche a voi sarà capitato…In quali personaggi siete entrati? Stefania so per certo che è “entrata” in Guerre Stellari…
Ma tornando a Lawrence e al suo eccesso d’emozione presente in molti suoi scritti devo dire che, sebbene mi fosse un po’ antipatico perchè piuttosto maschilista, sono sempre stata intrigata e catturata dalle sue storie, specialmente da “Women in love”, “Donne innamorate” che è la continuazione di “Arcobaleno”, un libro di mia mamma, che io lessi appunto durante il mio impiego dall’avvocato. “Donne innamorate” parla di due coppie speculari: Birkin-Ursula, Gerald-Gudrun. Sembrano i superstiti di una civiltà ormai alla fine, quella ormai consunta dalla rivoluzione industriale che si avvia alla grande guerra. Ci si chiede se è possibile riscattare la rovina, il caos, la morte attraverso rapporti di fratellanza o di amore di coppia.
Tantissime le tematiche affrontate dunque: teosofia, socialismo, evoluzionismo, primitivismo religioso, ma fra tutte un’attenzione alla nascita di un nuovo rapporto uomo-donna, più naturale, dove però è evidente la mascolinità autoritaria (che poi si ritroverà in “L’amante di Lady Chatterley”).
 “E’ questo il vero problema dei nostri giorni: stabilire tra uomini e donne un rapporto nuovo, o un nuovo adattamento dell’antico rapporto“. Scrive Lawrence.
E’ nelle due sorelle Ursula e Gudrun Brangwen che io a suo tempo mi ero immedesimata;  ma se lo rileggessi forse lo farei ancora…Addirittura quando un inverno indossai un paio di calze verdi telefonai subito alla mia amica di Aquileia dicendole che mi sentivo Gudrun quando insieme alla sorella viene apostrofata in modo derisorio dalle mogli dei minatori :”Quanto le vendi le calze?”
E’ questo che mi piace della lettura:  i personaggi diventano amici, nemici… parte del nostro vissuto, in ogni caso.
Â
Â
SONO STATA ALICE, di Melanie Benjamin
pubblicato da: admin - 16 Maggio, 2010 @ 6:08 pm![]()
Ho finito l’avvincente romanzo di Melanie Benjamin con dispiacere. Mi sarebbe piaciuto rimanere ancora dentro il mondo di Alice Pleasance Liddell, l’ispiratrice della famosissima fiaba scritta da Lewis Carroll. Ha ragione Cinzia, molte letture ti catturano e ti fanno vivere insieme ai personaggi. Staccarsene  è sentire una perdita.
Entriamo nella Oxford vittoriana, nella famiglia del decano del Christ Church College, frequentato anche dai figli della stessa regina. Il Decanato é il centro sociale di Oxford e la numerosa famiglia Liddell è la famiglia più importante e privilegiata della contea. Una grande casa, ricchezza,  tantissima servitù, relazioni importanti. Oltre il giardino del Decanato abita Charles Lutwidge Dodgson un diacono che insegna matematica, è di gentile aspetto, balbuziente e amante della fotografia. Egli frequenta la casa dei Liddell dimostrando una spiccata simpatia per le loro figlie. E’ premuroso, le fa divertire, racconta storia e nonsense, le accompagna a fare passeggiate insieme alla severa istitutrice. Ha pubblicato poesie e brevi racconti con lo pseudonimo di Lewis Carroll.
Questa  biografia un po’ romanzata ha l’ “io narrante”della stessa Alice che ci fa seguire con interesse la sua affettuosa e  misteriosa relazione con  Mr. Dodgson. E’ divisa in tre parti: la prima inizia nel 1859 quando Alice ha solo sette anni, ma è il periodo durante il quale viene scattata la sua celeberrima fotografia vestita da zingarella. E’ un punto importante della storia in cui  viene evidenziato il rapporto particolare e un po’ ambiguo fra i due. Alice e le sorelle desiderano l’attenzione di Mr. Dodgson, tanto da diventare rivali per essere ammirate e prese in considerazione. Lui preferisce Alice con la quale ha un’intesa complice, un segreto da condividere…ci viene raccontato che la foto viene scattata dopo una piacevole e libera  corsa a piedi nudi tra l’erba. Dogson fa vestire Alice con pochi stracci e riesce a ritrarla, forse  perchè sollecitata dalla sua amorevole attenzione, con già una intensa civetteria femminile nello sguardo. Sembra che si capiscano: lui ancora bambino, lei quasi donna.
“Guardai Mr. Dodgson. Era appoggiato alla sua macchina fotografica e mi osservava con uno di quei suoi sorrisi seri e tristi sul volto. Mi disse “Vai ora, corri. Corri quanto vuoi, rotolati per terra, se vuoi..” Mi rotolai nell’erba come un animale selvaggio. Non c’era nessuno a dirmi “Alice, non ti sporcare” …C’era solo Mr. Dogson, che mi osservava, osservava sempre.”
 Tre anni dopo, durante una gita in barca sul fiume Isis, Mr Dogson inventa per  le sorelle Liddell  la famosa fiaba di “Alice nel paese delle meraviglie”. Alice ne è lusingata perchè è dedicata a lei,  e gli chiede di scriverla, “così non sarò costretta a diventare grande. ” E’ l’infanzia l’anello che li lega…Ma li legherà per sempre  anche il libro che, appena stampato e pubblicato, diventerà uno dei libri più letti al mondo; sembra fosse uno dei preferiti della Regina Vittoria. Sarà infine la vendita all’asta, nel 1928, dello stesso manoscritto a salvare dalla rovina economica Alice, ormai vedova e anziana.
Succede qualcosa subito dopo la pubblicazione del libro che farà sì che la signora Liddell allontani per sempre Mr. Dogson dalla sua famiglia…troppe attenzioni…domanda di matrimonio? …una particolare situazione imbarazzante? Non si sa con certezza. Rimane un punto oscuro che sembra abbia influenzato l’intera esistenza di Alice Liddell.
Da raccontare ci sarebbe tantissimo, ma non posso fare il riassunto del libro. Posso dire che Alice prima di sposare un gentiluomo di campagna ha una breve relazione con Leopoldo, figlio della regina Vittoria; che avrà tre figli, due dei quali saranno uccisi sul fronte occidentale.
Una vita intensa, piena di incontri importanti , fra cui anche quello con John Ruskin qui descritto come un personaggio ambiguo e irascibile.
Ma certamente ciò che ha definito la sua vita  è stato l’incontro con Lewis Carroll che ha fuso nella sua fiaba la vera Alice con  quella immaginaria, facendole oltrepassare lo specchio delle possibilità impossibili.
Comments Closed
GENOVA DI TUTTA LA VITA, città del cuore
pubblicato da: admin - 15 Maggio, 2010 @ 6:26 pm
Se Trieste azzurra e ventosa, per me, rappresenta la soglia per partire in orizzontale verso un “Pellegrinaggio in Oriente”, cioè verso un infinito sconosciuto e, come scrive Hesse, verso un’altra dimensione, Genova è il salire e lo scendere dentro di me. Più leggera Trieste in cui mi sento “zingara”e pronta ad un’altra realtà dalla mia realtà . Più faticosa e intensa Genova che è la città conosciuta insieme al mio amore. Città circoscritta ormai nella mia storia e verso la quale porgo ancora resistenza per non affondare nella nostalgia.
 Città fatta di vicoli e di salite come la mia memoria. “Con le sue salite, le sue rampe, le sue scalinate, i suoi ascensori pubblici, le sue funiculari e le sue strade disposte una sull’altra, Genova è infatti una città tutta verticale: Verticale e quindi, almeno per me, lirica, se non addirittura onirica” scrive Giorgio Caproni che seppur nato a Livorno si è sempre sentito genovese, essendosi trasferito nel capolugo ligure a 1o anni.
E genovese si sente la mia amica del mare, Renata, che mi ha regalato questo bellissimo libro con Tutte le poesie “genovesi” di Giorgio Caproni. Ogni tanto al telefono mi dice “Vedo le navi andare sul mare” oppure “Sono davanti ad un’antica chiesa sotto la luna”….ed io la invidio e le ribatto che ho sempre e solo il condominio grigio davanti a me. E penso che se fossi là scriverei tanti versi in più.
“Qui forse potrei vivere, / potrei forse anche scrivere: / potrei perfino dire: qui è gentile morire /Â
Genova mia città fina: / ardesia e ghiaia marina. / Mare e ragazze chiare / con fresche collane di vetro / (ragazze voltate indietro, / col fiasco, sul portone / prima di rincasare…/ scrive Caproni.
Ho “conosciuto” Genova quando mi imbarcai per la mia prima crociera come hostess. Subito conobbi il mio futuro marito, il pianista di bordo che una sera, rimasti soli con qualche amico dell’equipaggio, si mise al pianoforte e mi cantò “Ma se ghe pensu…alua mi vedo u maa…vedo a lanterna…”. Mi colse uno struggimento intenso e mi innamorai di lui, del mare, di Genova.
“La mia città dagli amori in salita, / Genova mia di mare tutta scale / e, sul porto, risucchi di vita / viva fino a raggiungere il crinale /di lamiera dei tetti…
E il vecchio porto divenne per me e mio marito il punto d’incontro quando navigavamo divisi… lui arrivava ed io l’attendevo sul molo, o viceversa, io a prua che lo cercavo tra la folla, con emozione, e mi sentivo come la “Donna che apre riviere“Â
Sei donna di marine, / donna che apre riviere, / L’aria delle mattine /bianca, è la tua aria / di sale – e sono vele / al vento, sono bandiere / spiegate a bordo l’ampie / vesti tue così chiare.”
Ma Genova più tardi ha significato anche gli incontri con i  cari amici, il pesce mangiato a Caricamento dopo i miei esami universitari andati bene, la visita all’Acquario con Stefania, le passeggiate ad Albà ro, dove soggiornarono Dickens e Byron. In “Tutte le poesie genovesi” di Giorgio Caproni   ne troviamo anche una intitolata “Albà ro”Â
 Se al crepuscolo, almeno, / ci fosse, dietro i vetri, il mare…/ Amore…/ Tremore /in trasparenza…/Se almeno /questo fosse il rumore / del mare…/ Non / lo sopporto più il rumore /della storia…/ Vento / afono…/Glissando…/ Sparire /come il giorno che muore / dietro i vetri…/ Il mare…/ Il mare in luogo della storia…/Oh, amore.
Mio marito quando le prime volte  mi portava in giro per Genova mi spiegava della particolarità dei suoi abitanti, delle donne forti che riuscivano a stare in piedi sui tram traballanti, dei “camalli” del porto, della focaccia che si mangiava per strada e mi faceva notare l’odore dell’aria, un misto di catrame, di jodio, di salsedine…
Scrive Caproni :”Questo odore marino / che mi rammenta tanto/ i tuoi capelli, al primo / chiareggiato mattino./ Negli occhi ho il sole fresco / del primo mattino . Il sale / del mare../ Insieme/ come fumo d’un vino, / ci inebriava, questo /Â odore marino/ Sul petto ho ancora il sale / d’ostrica del primo mattino.
Â
LA META' DI NIENTE, e sempre di amore si scrive
pubblicato da: admin - 14 Maggio, 2010 @ 6:57 pm
E’ l’amore che fa girare il mondo si sa, amore per la vita in generale, per gli altri e l’amore di coppia. E di quest’ultimo si sono scritti migliaia e migliaia di romanzi, soprattutto sul matrimonio. Catherine Dunne, dublinese, esordisce qualche anno fa proprio con questo romanzo sul matrimonio, un matrimonio finito. Raccontata sotto forma di diario e con molti flash back, questa vicenda coinvolge i lettori, diciamo lettrici per lo più, per il suo linguaggio chiaro e le descrizioni quasi fotografiche degli avvenimenti. Storia consueta: il marito, Ben,  di punto in bianco dice alla moglie Rose che non l’ama più e la lascia sola con tre figli e pochi soldi. Questa scena drammatica si svolge in cucina, luogo privilegiato della casa e luogo simbolo della donna, lare del focolare. Ma luogo anche di costrizione, relegamento, fissazione di un ruolo prestabilito e accettato per amore e consuetudine.
Dopo la disperazione, la disillusione, lo sgomento, Rose, come tante donne, trova la forza per iniziare un nuovo cammino che la porterà alla consapevolezza di sè attraverso risorse che scopre di possedere. Proprio dalla cucina-prigione nasce la nuova Rose, non più metà di niente come quando è stata lasciata, ma persona completa , libera e gioiosa.
Eppure quante donne ancora si sentono realizzate soltanto all’ombra del compagno! E se venissero abbandonate  si ritroverebbero spezzate come la teiera dell’immagine di copertina! Se nell’Ottocento le  mogli deluse dovevano sopportare in silenzio le eventuali sofferenze, i soprusi, lo sbriciolamento della propria individualità per mancanza di autonomia economica, oggigiorno ci si può liberare. Conosco donne che lo hanno fatto, a costo di sacrifici, pur di riappropriarsi della propria dignità e della propria libertà interiore. Altre invece non riescono a staccarsi dall’uomo-sicurezza e accettano di essere le mogli-stuoino soffocando ogni desiderio o anelito di esprimere se stesse.
Fortunatamente c’è anche la via di mezzo: quella dei matrimoni tranquilli, basati sull’amore, stima, rispetto, amicizia.
E’ un argomento questo che tocca tutte noi, sposate e non sposate perchè mette in discussione quanto di noi siamo disposte a “cancellare” per un uomo. A me verrebbe da dire “niente”. Si può essere tolleranti, comprensive, ma occorre essere se stesse…trovo che sia più onesto. Ma non voglio pontificare. Ognuno di noi forse sceglie il modo di vivere che risponde a una propria esigenza.
Comments Closed
L'ETA' DELL'INNOCENZA, di Edith Wharton
pubblicato da: admin - 13 Maggio, 2010 @ 9:17 pm
E poi c’è il fascino rassicurante della borghesia con le sue regole, i suoi riti, i conformismi. Se ne è schiavi, ma si ha davanti una strada già tracciata. Altri decidono per te. Per essere liberi di scegliere autonomamente occorre avere molto coraggio. Spesso nella mia giovinezza un po’ girovaga sentivo dei cedimenti e mi rifugiavo negli ambienti letterari borghesi per riposarmi da me stessa e per provare un tranquillo affidamento in consolidate regole di vita. Adoravo leggere i romanzi inglesi naturalmente dove era quasi un imperativo categorico bere il tè delle cinque, cambiarsi per la cena e seguire il codice “scritto” per  ogni classe sociale. Per appartenere all’alta borgesia , oltre al patrimonio, bisognava non cambiare nulla.
Certo oggi i tempi sono diversi, ma talvolta mi accorgo che il conformismo che io sento obsoleto esiste ancora . Ricordo tanto tempo fa quando con alcune signore si discusse del L’età dell’innocenza mi meravigliai che alcune di esse parteggiassero per May, la moglie di Newland Archer anche se lui era innamoratissimo di madame Olenska. Naturalmente io e poche altre (romantiche? anticonformiste?) ritenevamo più onesto, giusto che l’amore appassionato tra Ellen e Newland avesse buon fine. In fondo pensavamo che May sarebbe stata consolata dalla sua grande e ricca famiglia aristocratica. E che nella vita di ognuno, che sappiamo essere breve e unica, si dovessero cogliere i doni preziosi che ci vengono offerti.
Ellen Oleska mi piaceva molto di più che l’apparente remissiva May che pur sapendo della sofferenza del marito riesce a riportarlo in seno alla famiglia, ricattandolo proprio nel suo essere leale, “Non serviva a nulla cercare di emancipare una moglie che non aveva il più pallido sospetto di non essere libera…Ma con una concezione del matrimonio così scevra di complicazioni e di curiosità come quella di May, una crisi simile si sarebbe ormai potuta verificare solamente se provocata da qualcosa di veramente offensivo nella condotta del marito… Newland Archer sapeva che qualunque cosa potesse accadere, May sarebbe sempre stata leale, coraggiosa e priva di rancore, e questo lo obbligava all’esercizio delle stesse virtù”
Quella rigida  società newyorckese  non consentiva di affermare la propria personalità e individualità soprattutto alle donne, anche se volitive e libere. Madame Olenska è un’eccezione, ma in questa bellissima storia è l’uomo che è incapace di affrontare la dura realtà dell’ostracismo sociale per raggiungere la sua felicità . Il mondo dorato dell’aristocrazia di fine secolo ci viene raccontato in modo sublime da Edith Wharton che con questo romanzo, nel 1921, vinse il Premio Pulitzer. Certamente in questi racconti si sente la solitudine dorata della stessa autrice che prova a svelare “la pena della propria malinconia di donna innamorata di un amore impossibile, in una società che tace quando vuole fingere di non capire e parla inesorabilmente quando intende proibire.”
May è la rigida rappresentante di quel mondo privilegiato, ma soffocante; è l’orgogliosa portabandiera del suo ceto. “Non voglio che pensino che vestiamo come selvaggi” dice con disprezzo mentre sceglie il guardaroba. E Newland rimane colpito “dal rispetto delle donne americane, anche le meno mondane, per i privilegi sociali che derivano dall’eleganza nel vestire“. “E’ la loro armatura” pensa “la loro difesa e la loro sfida contro l’ignoto”
Però come sarebbe stato riposante vivere tranquilli e prigionieri in quel mondo! Almeno per un po’! …Prima di scappare come Madame Olenska!
 Ora ho meno velleità di fuga, sto diventando come Dorian, il bellissimo gatto di Maria Teresa, tanto che farmi muovere anche solo per un week end diventa faticoso.
Ogni cosa a suo tempo? Non saprei dire;  a volte non so neppure io cosa farò. La conoscenza di sè non è una strada chiusa…si va sempre avanti …si può pensare una cosa e poi l’esatto contrario. Insomma …un “fastello di contraddizioni” come diceva Anna Frank nel suo diario. Ma lei aveva 14 anni!
Comments Closed


















