ACCADEMIA DELLE MUSE
pubblicato da: Riccardo Lucatti - 4 Febbraio, 2020 @ 5:12 pmDetto altrimenti: serata del 3 febbraio (post 3748)

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Chi siamo? E dai … me lo chiedete ogni volta! Ma se potte trovare molti post su di noi … Comunque: circolo culturale privato che sta vivendo il suo undicesimo anno d’età. Ieri sera serata di Carnevale, anche se il 3 febbraio ricorre la strage del Cermis (quella dell’aereo USA, per capirsi). Ma bando alla tristezza. Ieri sera dunque … ah si, innanzi tutto il benvenuto a quattro nuovi associati: mamma e papà Paola e Claudio Clementel con la figlia violinista Camilla Clementel, e quindi Mara Colbacchini, giovane mamma anch’essa, figlia di un nostro noto socio, Claudio anch’esso.
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Prima parte della serata dedicata al “Perchè ridiamo” a cura di Alfonso Masi and friends (così ha chiamato lui stesso la rappresentazione). Una rassegna di passi letterari, teatrali, musicali dedicati all’allegria, ivi compreso l’esecuzione al violino del capriccio di Paganini n. 13, quello in cui lo strumento emette una serie di sonore risate: bravissima l’esecutrice! Gli altri? Giovanna a la sua voce; Maria Teresa ed Alfonso nello” Sketch Paganini”; Patrick e Luciano, chitarra, fisarmonica e voce; Sergio, voce; Umberto e la caricatura; Cristina al piano. Insomma una carrellata esilerante di nostri “Accademici”
Per ragioni di tempo abbiamo saltato l’Angolo delle Anteprime: chi vorrà segnalarle per l’inserimento nel post “Prossimi Eventi”, invii a riccardo.lucatti@hotmail.it un sintetico estratto degli stremi dell’evento e le eventuali locandine, grazie.

Intervallo eno-gastro-astronomico. Come di consueto, anzi di più. Solo che noi attori nella seconda parte della serata, abbiamo mangiato in fretta e siamo saliti nei “camerini” per indossare i costumi di scena. Infatti abbiamo rappresentato, in forma ridotta da Maria Teresa, la commedia cinquecentesca La fantesca del napoletano Giovanni Battista Della Porta. La trama? Eh no, dai che la trovate in internet. Diciamo che la sua riduzione a 50 minuti di rappresentazione è opera di Maria Teresa, delle nove prove “normali” e delle due prove generali in costume dell’epoca.
La rappresentazione è stata preceduta dalla elencazione delle nostre precedenti opere “teatrali” (tutte su iniziativa e conduzione di Maria Teresa): La riforma della commedia, con brani da “Il ventaglio” di Carlo Goldoni (2012) – “La Mandragola” di Niccolo’ Machiavelli (2015) – I “Menecmi” di Plauto (2017) – La “Lisistrata” di Aristofane (2018) – La “Locandiera” di Carlo Goldoni (2019)
La Fantesca, Personaggi (ed interpreti): Nepita (Ernesto); Fioretta d Essandro (Giovanni); Cleria (Gianfranco); Gerasto (Alfonso); Panurgo, falso Narticoforo, falso Gerasto (Mirna); Morfeo (parassita, falso Cintio, falsa Cleria); Santina (Riccardo); Narticoforo (Maria Teresa); Speziale (Giovanna); Cintio in viaggio (Giovanna). Presentatrici: Gigliola, Rina, Rosetta – Costumi: Cristina – Musica: Luciano – Regìa: Maria Teresa, Alfonso e tutti.

Fra di noi “girano”: il quadro bozzetto “originale” ad olio dipinto da Giovanni; le 100 foto scattate da Alfonso durante le prove della Fantesca e le tante scattate dagli amici durante la rappresentazione, della quale, grazie a Bruno Bruni, sarà disponibile anche un filmato integrale. Presto una replica altrove: sarete avvisati. Il grazie della serata, quindi a chi ci ha aiutato, a chi si è prestato e a chi è intervenuto. Il Grazie “maiuscolo” per la nostra Associazione alla Presidente Cristina, Super Cris ospite d’eccezione!
Prossima Accademia: Lunedì 2 marzo 2020 ore 20,30 – Omaggio alle DONNE in poesia e musica con le Accademiche Giovanna, Giacinta, Cristina – “Kamishibay”, teatrino giapponese a cura di Valentina Lucatti.
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RAZZISMO OGGI
pubblicato da: Riccardo Lucatti - 3 Febbraio, 2020 @ 3:22 pmDetto altrimenti: continua la mia “cavalcata” attraverso il Libro di Norberto Bobbio “Elogio della mitezza” Ed. Il Saggiatore. (post 3747)
Con l’auspicio che lo comperiate, questo Libro (la maiuscola non è usata a caso!)
Dalla puntata (post) precedente (“Il pregiudizio”), oggi scrivo (io) e leggete (voi) del razzismo. Bobbio (pagg. 103-114) inizia con un’osservazione di fondo: “Nel secolo scorso le migrazioni andavano verso paesi poco popolati (USA, Argentina, Australia). Oggi verso paesi già sovrappopolati: da qui più facile l’insorgere di fenomeni di razzismo”.
Il pregiudizio razzista è articolato e monotono, ovvero africani come i nostri meridionali:
- generalmente: “Hanno più difetti che pregi”;
- culturalmente: “Hanno cultura differente” (e se mai sarebbe un arricchimento! N.d.r.);
- economicamente: “Sono scansafatiche”;
- personalmente: “Sono maleducati”.
La base mentale del razzismo è l’etnocentrismo ed in ispecie l’eurocentrismo, che pretende di elevare a valori assoluti i nostri valori assolutamente relativi.
Banalizzo: esiste anche l’auto-centrismo, nel senso che quando siamo nella nostra auto(mobile) bloccati in un ingorgo cittadino, ce la prendiamo con tutti gli altri: contro di loro che generano l’ingorgo. Noi no, noi siamo le loro vittime, noi siamo smaterializzati, la nostra auto non contribuisce a creare quell’intasamento: noi abbiamo il “diritto assoluto” allo spazio libero. Noi si. Gli altri no. (Questa è tutta mia, Bobbio non c’entra, per carità, non coinvolgiamolo in queste divagazioni!)
Esiste poi una forma mitigata di eurocentrismo: i nostri valori non sono assoluti, ma ognuno si tenga i suoi (cosiddetto relativismo culturale): questa forma non produce avversione, ma solo separazione.
Gli stadi di evoluzione del razzismo si sviluppano in successione: dileggio verbale (“Terroni!”); evitamento: “Io ti evito”; discriminazione: “Tu non hai uguali diritti”; segregazione: “Devi stare nel ghetto”; aggressione: “Ti anniento”. All’inizio di tratta di razzismo spontaneo. Poi, negli ultimi stadi, il razzismo diventa ideologia: “Le razze sono tante e diverse; la mia è superiore alla tua: io posso/devo educarti e/o posso/devo dominarti”.
Il razzismo si combatte:
- Con un’educazione orientata verso valori universali (Cristianesimo; Kant; Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo);
- con la democrazia: democrazia e razzismo sono incompatibili in quanto la democrazia si ispira a principi universali ed è inclusiva perché non può rinunciare ad essere una società aperta;
- con l’azione del volontariato sociale.
(continua)
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IL PREGIUDIZIO
pubblicato da: Riccardo Lucatti - 3 Febbraio, 2020 @ 7:31 amDetto altrimenti: la sua natura secondo Norberto Bobbio (post 3746)
Ho appena finito di scrivere su “Democrazia, libertà, buon governo” ed ecco che parlando dei pregiudizi … insomma, inizio con le due conclusioni alla quale perviene Bobbio (pagg. 99 e 101) nell’ornai citata opera “Elogio della mitezza” nel capitolo “La natura del pregiudizio”, (pagg. 89-101):
- In genere il gruppo che esprime un pregiudizio” è numericamente superiore al gruppo che lo subisce, con un’unica eccezione: il pregiudizio contro il genere femminile, per cui “il movimento per l’emancipazione femminile delle donne e per la conquista della parità dei diritti e delle condizioni è la più grande se non l’unica rivoluzione del nostro tempo”.
- … ”credo che la democrazia possa servire anche a questo: la democrazia, vale a dire una società in cui le opinioni sono libere e quindi sono costrette a scontrarsi e scontrandosi a depurarsi. Per liberarsi dai pregiudizi, gli uomini hanno bisogno prima di tutto di vivere in una società libera”.
Ed ora possiamo iniziare.
Il pregiudizio è un’opinione, una somma di opinioni o una dottrina accolta passivamente , acriticamente per inerzia o per timore, creduta per vera perché corrisponde ai nostri desideri/passioni/interessi.
Pregiudizio individuale (poco dannoso): la superstizione – Pregiudizio collettivo: quello condiviso da un gruppo di persone verso un altro gruppo, quale il pregiudizio raziale, nazionale, di classe. E’ pericoloso perché genera violenza: guerra fra nazioni, popoli, razze, classi sociali.
Le disuguaglianze non naturali o sociali. Le naturali (io bianco, tu nero; io uomo tu donna) sono molto più difficili da vincere di quelle sociali (io civile, tu barbaro). I partiti di destra ritengono che la maggior parte delle disuguaglianze siano naturali e quindi come tali invincibili. Al contrario i partiti di sinistra. Rousseau: “gli uomini sono uguali. La civiltà li ha resi disuguali”. Nietzsche: ”Gli uomini sono disuguali per natura, la società tende a trasformarli in uguali”. Il pregiudizio nasce dal sovrapporre alla disuguaglianza naturale una disuguaglianza sociale senza riconoscerla come tale.
La discriminazione (differenziazione illegittima) presuppone un giudizio di valore: io superiore tu inferiore; etc. . Dalla discriminazione può derivare un effetto positivo: “Io mi sforzo di farti crescere”: così i genitori nei confronti dei figli: Purtroppo spesso deriva un effetto negativo: “Io ti schiaccio!” (v. la cosiddetta soluzione finale nazista nei confronti degli Ebrei).
Il pregiudizio si “evolve” come segue: discriminazione giuridica (leggi raziali); emarginazione (i ghetti); persecuzione (campi di sterminio). Prossimo post: “Razzismo oggi”.
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DEMOCRAZIA, LIBERTA’, BUON GOVERNO
pubblicato da: Riccardo Lucatti - 2 Febbraio, 2020 @ 7:51 pmDetto altrimenti: “Libertà vo cercando ch’è sì cara come sa chi per lei vita refiuta” (Purg. I°, vv. 70-72) (post 3745)
Chi mi segue sul blog e comunque i miei amici sanno che sono un patito della democrazia ovvero della libertà, intesa nel senso relativo e cioè di quella che non si scontra con la libertà altrui. A me piace definire tutto ciò “democrazia”. Orbene, nei millenni il termine ha assunto in successione significati ben diversi. Il primo “democrator” era il dittatore che esercitava il potere “sul” popolo.
Who opened the door for the democrator? / And how come he let in the market-conquistadors? / Why is he acting as if he has something to hide? / The privilege of the stupid is to be taken for a ride… Chi ha spalancato le porte al democrator? E perché egli si è collocato nel novero dei conquistadores? Perché si muove come se avesse qualcosa da nascondere? Il privilegio dello stupido è quello di essere preso in giro.
Successivamente il termine ha significato “strapotere del popolino” a detta delle classi nobili escluse dal potere. Oggi finalmente significa potere del popolo (a meno che non si sia regrediti allo strapotere del popolino … delle reti!). Ma facciamo un passo avanti grazie a quanto scritto da Norberto Bobbio nel libro “Elogio della mitezza” (pagg. 73-85). Chiarito chi deve avere il potere resta da definire per fare cosa. E le prime indicazioni ci derivano dalle regole morali, le quali ci inducono a diminuire le sofferenze e a proteggere beni fondamentali quali la libertà, la giustizia, la salute ed un minimo di benessere per tutti.
Le regole morali hanno una portata generale e distinguono il buono dal cattivo. Tuttavia singole categorie si sono create, ognuna, il loro metro etico professionale: nell’arte, il bello e il brutto; nella scienza, il vero e il falso; in economia, l’utile e l’inutile; nel mondo degli affari, l’efficace e l’inefficace. Tanto per fare qualche esempio. E in politica cosa è successo? Non si è adottato il criterio morale generale buono/cattivo bensì l’opportuno-inopportuno rispetto ad uno scopo: il raggiungimento/mantenimento del potere. Per fare cosa? E ci risiamo! Per un buon governo. Ma qual è il buon governo? Quello in cui politica e morale tendono a coincidere. Orbene, la democrazia è il sistema politico che permette il maggiore avvicinamento fra le esigenze della morale e quelle della politica. Perché? E’ semplice: perché 1) permette la soluzione dei conflitti sociali senza ricorrere alla violenza reciproca; 2) perché riduce lo spazio della simulazione e dell’agire segreto; 3) perché induce a decisioni prese in accordo fra le parti.
Rimarrò con Norberto Bobbio (pagg. 89 – 101 op. cit.) e nel prossimo post tratterò del pregiudizio. Successivamente (pagg. 103-125) di come dal pregiudizio si passi al razzismo.
Quanto al rapporto politica-morale, questo post prosegue concettualmente al post n. 3751 “Morale alias etica” del giorno 8 febbraio 2020.
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LA SUOCERA DI TERENZIO
pubblicato da: Riccardo Lucatti - 2 Febbraio, 2020 @ 9:24 amDetto altrimenti: no, non si tratta di un mio amico e della sua suocera … (post 3744)
Martedì 11 febbraio (anniversario dei Patti Lateranensi del 1929 ma questo è solo un caso) ci sarà la riunione del Gruppo di Lettura dei classici della prof (senza puntino) Maria Lia Guardini, presso la Sala Multilingue a piano terra della biblioteca Comunale di Trento, ad ore 10,00 entrata libera. Per allora parleremo della commedia “La suocera” di Terenzio.

Publio Terenzio Afro nasce (in Africa) nel 184 a.C. anno della morte di Plauto. Sono anni di grandi successi politici (cioè militari) di Roma contro Cartagine, la Macedonia, la Siria. Anni in cui Roma ritira i presidi militari dalla Grecia ed in Grecia si reca ben due volte Terenzio alla ricerca delle opere di Menandro, sino a morire per un naufragio durante una traversata di ritorno. Terenzio dopo Plauto. Plauto voleva solo far divertire il pubblico. Terenzio contra. La sua Suocera è forse il primo “dramma borghese” e ben poco spazio è lasciato alla comicità (“ La suocera è il primo dramma borghese della letteratura mondiale” – Ettore Paratore). I personaggi plautini durante lo spazio della rappresentazione “non maturano”. I personaggi di Terenzio invece maturano in corso d’opera e soprattutto ne escono bene le donne contro il falso perbenismo dei vecchi e degli uomini in genere; le donne che sanno soffrire in silenzio pur di -; le donne che sanno modificare se stesse, vincere se stesse pur di -. Le donne e coloro che vivono ai margini della società: sono costoro che sanno trovare la forza per un rinnovamento morale capace di modificare abitudini le più incancrenite e di indurre il lettore alla ricerca di se stesso, del proprio intimo al di là del comune pensare di chi era abituato al panem et circenses. Infatti le sue prime rappresentazioni andarono “buche” in quanto gli spettatori furono distratti da funamboli e giochi gladiatori che si tenevano nelle vicinanze. Mi riservo di tornare in argomento dopo la lectio magistralis che su La Suocera ci terrà la nostra prof senza puntino Maria Lia Guardini il giorno 11 febbraio prossimo.

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Solo mi permetto di sottoporre all’attenzione delle lettrici e dei lettori due sottolineature: 1) Terenzio contribuisce ad una sorta di rinnovamento morale inaspettato soprattutto dati i tempi delle vittorie militari (cioè della politica tradizionale che altro non era che politica di guerra), tempi che inducevano alla retorica del trionfalismo ed ai fasti della sempre maggiore ricchezza e potenza di una Roma muscolare: il che per fortuna ci lascia oggi ben sperare di fronte alla discultura di una parte della politica odierna fatta di slogan e ostentazione di muscoli gladiatori ad (alto) livello fisico e (basso) livello intellettuale. 2) la seconda è una domanda che mi pongo: questa “commedia” era forse nota a Theodore Dreiser, autore dell’opera “Una tragedia americana”, romanzo del 1925 d.C.?
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Il testo della BUR (di cui alla foto) da me utilizzato, ha introduzione, traduzione e note della Dr.ssa Prof. Marina Cavalli, ricercatrice di Lingua e Letteratura greca presso l’Università degli Studi di Milano.
Ne riparliamo dopo l’11 febbraio.
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LA MOBILITA’ IN POLITICA
pubblicato da: Riccardo Lucatti - 1 Febbraio, 2020 @ 9:24 amDetto altrimenti: essere o non essere … immutabili? (post 3743)
Il cittadino elettore può liberamente cambiare il proprio orientamento politico. I partiti politici possono modificare i propri obiettivi. Il parlamentare agisce senza vincolo di mandato. Liberi tutti, dunque? Ma se un parlamentare cambia partito, viene definito voltagabbana, traditore del mandato ricevuto dagli elettori. Come la mettiamo?
Io ero alpinista. Sono velista. Durante le tempeste o montane o marine la prima regola da seguire è “durare”. Tradotto in politica: “esserci”: da fiume impetuoso (capo politico, parlamentare, amministratore della cosa pubblica) o da semplice goccia (persona attiva, quale io mi sforzo di essere).

Mi chiedo: occorre rimanere fedeli all’etica dei principi o all’etica dei risultati? Il mio “amico” filosofo del diritto, l’austriaco Hans Kelsen che studiai oltre mezzo secolo fa (1967) all’università di Genova per l’esame di Filosofia del Diritto (Prof. Luigi Bagolini), insegna che per valutare un concetto occorre portarlo alle sue estreme conseguenze, salvo poi ritornare sul piano della realtà. Orbene, l’esasperazione dell’ etica dei principi conduce al fanatismo; l’esasperazione dell’etica dei risultati conduce al cinismo. E allora? Vogliamo dei politici fanatici o cinici o essere noi stessi tali? No di certo.
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Infatti “Nell’azione del grande politico, etica della convinzione (circa i propri principi, n.d.r.) ed etica della responsabilità (nei confronti dei risultati che si vogliono raggiungere, n.d.r.) non possono andare disgiunte l’una dell’altra” (Weber in Norberto Bobbio, “Elogio della mitezza” pag. 65). In altre parole meno filosofiche: credo in una mia pluralità di idee; non trovo nessun partito politico che le rappresenti tutte; mi inquadro in un partito che ne condivide alcune, quelle che per me sono le più importanti; voglio comunque “esserci” per contribuire a raggiungere almeno alcuni dei miei risultati prefissati.
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Se poi vedo che all’interno di quel mio partito qualcuno vuole fare del nostro simbolo una sua proprietà personale a costo di spaccare l’unità del partito; che al suo interno sono violate regole e principi democratici (contro le regole dello Statuto, si candida chi fa parte della Commissioine elettorale, per dirne una), mi trasferisco in un altro partito (in cui opera da una persona che conosco e stimo molto) e raggiungo il compromesso fra la mia etica della convinzione e la mia etica della responsabilità dei risultati. Il mio fine (il mantenimento del massimo grado di democrazia e libertà vera e morale) può giustificare i mezzi (cambio di partito) se i fini – come nel mio caso – sono moralmente giustificati (sul rapporto fra morale e democrazia scriverò un apposito post). Rispetto a tutto quanto sopra descritto, domando: chi è il voltagabbana?

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“Simboli al potere – Politica, fiducia, speranza” Ed. Giulio Einaudi. Un piccolo ma grande (great) libro di Gistavo Zagrebelsky. Il simbolo è fattore di unione, è di tutti coloro che ci si riconoscono. Tuttavia, se taluno, fosse pure il suo ideatore, ne vuola fare una sua proprietà privata
espropriandone gli altri e governandone i contenuti, ciò distrugge la fiducia reciproca e la speranza comune e il simbolo diventa segnale di guerra, fattore di divisione, strumento di trasformazione degli uomini in masse fanatizzate. Questo nuovo simbolo-diabolo è un diapason del potere totalitario. Peggio mi dice quando il capo è un demagogo: il popolo nel suo capo, il capo nel suo popolo. Il capo è il simbolo, cioè il simbolo-diabolo, cioè il diabolo.
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Il compromesso: Paolo Mieli, nel suo bel libro “I conti con la Storia” (Ed. Rizzoli, 2013) nelle pagine 38-48, al capitolo “Mosche e scarafaggi: quando i compromessi fanno la storia”, afferma che “Il compromesso è la cosa migliore che ci sia” e che Albert Einstein affermava che gli unici compromessi inammissibili sono quelli “sordidi”. Mieli cita poi il filosofo israeliano Avishai Margalit per il quale scacciare con la mano una mosca che si fosse posata sull’unguento di una vostra ferita sarebbe compromesso accettabile, anzi necessario; mangiare una minestra nella quale fosse entrato uno scarafaggio, sarebbe invece uno “sporco compromesso”, quindi da rifiutare. Seguono poi alcuni esempi di compromessi virtuosi e di altri sordidi, sporchi (cfr. ivi). Nella sostanza: il compromesso, non è ipso facto da condannare. Piuttosto inviterei a distinguere bene tra le espressioni “scendere a compromessi” e “raggiungere faticosamente un compromesso”: la prima adatta ai compromessi sordidi; la seconda a quelli virtuosi, come è virtuoso il compromesso raggiunto da chi, in politica, vuole continuare ad esserci, conciliando la propria etica della convinzione sui princìpi con la propria etica della responsabilità dei risultati.
Un commento: un amico mi dice che a parer suo esisterebbe una terza categoria “etica”: l’opportunismo. Ma a parte che il termine ha un doppio significato, positivo o negativo (“è giusto, doveroso, moralmente necessario e quindi opportuno che io faccia così” – “tu sei un opportunista!”), esso comunque non rappresenta una categoria, bensì un tramite, un ponte verso un’altra sponda, uno strumento (comunque double face) per realizzare l’uno o l’altro dei due obiettivi etici di cui sopra: restare assolutamente fedele alle proprie immutabili idee di base o raggiungere comunque certi risultati. In altri termini, l’opportunista di per sè non mi spaventa: solo, devo capire dove vuole andare a parare. E qui ci risiamo: infatti se si comporta in tal modo per diventare un integralista o un cinico, allora ecco che in entrambi i casi l’opportunismo mi spaventa.
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SALVATAGGIO E ACCOGLIENZA IMMIGRATI, e non solo
pubblicato da: Riccardo Lucatti - 1 Febbraio, 2020 @ 7:33 amDetto altrimenti: obblighi morali o derivanti dal diritto positivo? (post 3742)

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Da sempre ci governiamo con le leggi. Alcune sono di diritto naturale, altre morali, altre ancora del diritto positivo. Il diritto naturale sembra una cosa bella. Sembra, appunto, perché così non è. Infatti il più forte prevale sul più debole, la proprietà privata è un valore assoluto (asso piglia tutto e gli altri si arrangino). La morale. Taluno la confonde con la religione: agire secondo morale significherebbe seguire gli insegnamenti della nostra religione. E invece no. La nostra religione “ha” una morale, non “è” una morale. Pensate un po’ che già nel Codice di Hammurabi, 1800 anni prima di Cristo, era incisa sulla roccia una piccola grande legge: “Non fare agli altri … fai agli altri …”. La nostra religione è altra cosa: essenzialmente Creazione (Chi ci ha creati?) e Resurrezione (verso Chi andremo dopo la morte?). Ma questa è un’altra storia. Il diritto positivo, be’ quello è il più ssemplice da capire: basta aprire i Codici, leggere le varie leggi …
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Ma vediamo il rapporto fra morale, diritto positivo e politica. Taluno pone un sistema di legge al di sopra dell’altro (per Benedetto Croce prevale la morale; per Hegel il contrario). Altri si concentrano sul diritto positivo che sarebbe l’unico ad essere applicabile, salvo prevedere al suo interno deroghe per particolari situazioni (fare eccezioni alla legge – ad esempio – nei casi di stato di necessità) o per particolari categorie di persone alle quali non si applica lo ius commune bensì lo ius singulare che ad esempio è quello che sta alla base delle etiche professionali: il medico che “può mentire” e non dire tutta la verità ad un malato di una malattia incurabile. E la politica? E il “diritto della politica”… esiste? Come e dove si colloca rispetto al diritto positivo comune e alla morale? Gode anch’esso di uno speciale ius singulare? Le sue azioni sono univoche o si dividono in “azioni finali”, da valutarsi di per se stesse e in “azioni strumentali”, da valutarsi in relazione ai fini che si propongono, nel senso che “il fine giustifica i mezzi”? E ammesso e non concesso che il fine – tiut court – giustifichi i mezzi, chi e cosa giustifica i fini?

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Orbene, salvare in mare vite umane in pericolo di vita a mio avviso rappresenta comunque un adempimento morale. Inoltre, anche sul piano del diritto positivo è un’azione dovuta e quindi legittima (cioè da non condannarsi, mentre da condannarsi sono tutti i comportamenti ad essa contrari) di politica finale e strumentale, da valutarsi sia perchè compiuta in uno stato di necessità sia in quanto valutata in relazione al fine che si propone. Ma c’è di più: c’è il diritto positivo della navigazione, degli accordi internazionali, c’è il codice etico del comandante di ogni nave. Tutte leggi che impongono il dovere del salvataggio.
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Ma … salvare sì, e poi? Salvare per … trattenere i naufraghi sulle navi sine die? Che senso ha?
Accogliere poi! Chi nega il dovere dell’accoglienza si rifà in modo sostanziale al diritto naturale: io sono nato qui, io vivo qui, questo territorio è mio, l’ho segnato con precisi confini di leggi e di filo spinato e farò di tutto per respingere ogni intruso. Come i leoni della savana che segnano il loro territorio con l’urina! Ma noi, amici “… nati non fummo a viver come bruti …”! Immigrati? Risaliamo alle origini delle immigrazioni, alle cause di ieri e di oggi: ieri, colonialismo antico. Oggi multinazionali cioè colonialismo moderno. E allora, di che ci lamentiamo?

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Dice … caro blogger, belle parole le tue, ma nel breve periodo, che fare? Aiutiamoli a casa loro è pur sempre un progetto di lungo periodo, ammesso che lo si voglia e possa fare. E allora? Allora Unione Europea! La risposta deve essere dell’UE non dei singoli paesi dell’Unione. Ecchè? Devo fare tutto io?
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MILES GLORIOSUS
pubblicato da: Riccardo Lucatti - 28 Gennaio, 2020 @ 2:42 pmDetto altrimenti: una commedia di Plauto (post 3741)
La commedia italiana ha preso molto dalla commedia latina che ha preso molto dalla commedia greca: Graecia capta ferum victorem cepit! Ma veniamo a noi. Plauto, chi era costui? Direbbe il manzoniano Don Abbondio, così come si chiese di quel tal Carneade. Plauto (Sarsina circa 250 a.C.- forse Roma 184 a.C.) nato come attore di successo, alieno della politica, ma non insensibile agli avvenimenti del tempo (la sua produzione si svolse, del resto, praticamente durante la seconda guerra punica, quella contro tale Annibale), visse interamente della sua arte, praticata con instancabile fervore creativo: egli, insomma, scriveva per vivere e per divertire il pubblico.

Oggi, con la nostra prof (senza puntino) Maria Lia Guardini (con il puntino sarebbe prof. , n.d.r.), nella Sala Multilingue al piano terra della Biblioteca Comunale di Trento, abbiamo discusso sulla sua commedia Miles gloriosus, il Soldato fanfarone, spaccone. Plauto e i suoi “nomi parlanti” greci latinizzati, per cui il soldato fanfarone è “colui che distrugge mura e città”, lo scroccone è “colui che rode il pane” etc.. E già qui si vede l’influenza greca. Il soldato fanfarone che si vanta oltre ogni limite e non si accorge di essere preso in giro quando un adulatore gli attribuisce incredibili imprese da super eroe dei giorni nostri (a fumetti) dotato di super poteri. In altre parole, contro chi nega a Plauto ogni intento moralistico e politico, questa è la rivincita del popolino che prende per i fondelli un potente. Di un popolino della provincia romana che parla “in dialetto”. Quindi se nelle sue commedie proprio non vogliamo parlare di “moralità”, nemmeno si può parlare di “amoralità”, cioè di mancanza di un un qualcosa che ci possa essere insegnato dalla muzos, quella della o muzos deloi oti, la favola ci insegna che … che anche oggi possiamo e dobbiamo analizzare e criticare attentamente qualsiasi miles glosiosus (della odierna politica) il quale, anche se non ha i super poteri, quanto meno anelerebbe ad avere i “pieni poteri”. Ma non facciamo nomi … questa è un’altra storia!

Gli intrecci di Plauto sono prevedibili e conducono alla ricostituzione del come “deve essere”: cioè, si parte da una situazione di disordine per arrivare all’ordine. Il tutto secondo uno schema arcaico: il giovane contro il vecchio … un genitore … un potente … per la conquista del denaro o di una donna. I suoi personaggi non maturano, psicologicamente sono interamente uguali a loro stessi alla fine come all’inizio della commedia: Plauto ce li presenta “fisicamente” e attraverso li loro agire. Nella commedia una particolarità: il servo intelligente imbastisce una commedia nella commedia (e qui mi piace citare la cinquecentesca “La fantesca” di Giovanni Battista Dalla Porta che la nostra Compagnia dei Guitti sta allestendo a Trento in un Circolo culturale privato, in forma ridotta, nella quale si ricalcano situazioni plautine e analoghi interventi di una regia creativa). Una modernità di Plauto: egli usa le parole con molta disinvoltura, liberamente e se manca la parola che “gli serve”, ne crea una lui stesso, un po’ come fanno oggi i nostri giovani quando chattano al telefonino.
Prossimo appuntamento martedì 11 febbraio ore 10,00 stessa sala, partecipazione libera: tratteremo “La Suocera” di Terenzio: preparatevi a dovere!
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GINZBURG A BOLOGNA
pubblicato da: Riccardo Lucatti - 25 Gennaio, 2020 @ 2:37 pmDetto altrimenti: un’inaspettata fortuna per due nonni in trasferta da Trento (post 3740)
Due nonni in trasferta da Trento a Bologna accompagnano la nipotina Bianca ad una lettura per bimbi nella Biblioteca di Via Genova 19 intestata a Natalia Ginzburg. E già qui, prima sorpresa, stante l’interesse di nonna Maria Teresa per questa scrittrice. Ma vedremo dopo.

Innanzi tutto bravissima la lettrice (come si chiama? Grazie se qualcuno me lo dice) di favolette per i bimbi: la sala affollata, una storia dietro l’altra, molte sul (povero, n.d.r.) lupo che però poi alla fine se la cava per il rotto della cuffia. Ci siamo presentati, quali genitori di Valentina, una sua “collega” che a Trento svolge un’analoga azione di volontariato.

Finita la lettura, siamo stati condotti in un’altra sala dove ci attendeva il Prof. Carlo Ginzburg, storico, saggista, accademico di fama internazionale, figlio di Natalia! Per noi è stata una vera emozione … per Maria Teresa poi! Lei che della Ginzburg ha fatto rappresentare ai suoi alunni della Scuola Media di Povo (TN) una versione teatrale di “Lessico Familiare”; lei che ha letto “La Corsara – Ritratto di Natalia Ginzburg” di Sandra Petrignani; lei che custodisce gelosamente una lettera autografa indirizzatale da Natalia!

Carlo Ginzburg ha salutato i presenti, ha presentato una versione Einaudi del primo libro scritto dalla sua mamma “La strada che va in città” pubblicato sotto il nome di Alessandra Tornimparte pseudonimo obbligatorio per lei che si chiamava Levi: e ciò “grazie” alle leggi raziali (vergogna! N.d.r.)! (“Tornimparte è un paese abruzzese dove il padre di Carlo, Leone Ginzburg, fu mandato dal regime fascista nel 1940 come “internato civile di guerra”, quando l’Italia entrò in guerra al fianco della Germania nazista”).

Ma soprattutto ha ricordato come occorra la massima attenzione contro un nuovo, tristissimo rinascere del razzismo e dell’antisemitismo. A seguire, l’ Assessore Comunale Matteo Lepore ha sottolineato come la migliore arma contro questa barbarie – che fra l’altro ha costretto la Senatrice Liliana Segre ad essere accompagnata dalla scorta (vergogna! N.d.r.) – sia la crescita culturale della popolazione (e il “mantenimento” dei diritti civili e la “riaffermazione” dei diritti sociali, n.d.r. (1)), preannunciando l’assunzione di ben quaranta ulteriori bibliotecari.

Maria Teresa ed io ci siamo presentati al Professore Ginzburg ed alla sua Gentile Signora, ci siamo impegnati a spedirgli – appena rientrati a Trento domani sera – una scannerizzazione della preziosa citata lettera e ci siamo offerti a fare tutto ciò che sta in noi per essere presenti quando il Professore verrà – come ci ha preannunciato – a Trento. In quella occasione infatti attiveremo tutti i nostri circoli culturali e letterari e personalmente vedrò di assicurarmi la presenza di un nostro carissimo amico, storico della storia e della filosofia, Marcello Farina, per noi Marcello, per molti Don Marcello Farina.
Libri da leggere
(Oltre quelli sopra citati e a quelli di Carlo Ginzburg che trovate elencati in internet): “Laicità grazie a Dio” di Stefano Levi Della Torre (Einaudi Ed.); “Simboli al potere” di Gustavo Zagrebelsky, (G. Einaudi Ed.); “Il fascismo eterno” di Umberto Eco (La Nave di Teseo Ed.); Norberto Bobbio, “Destra e sinistra”, Ed. Saggine; Gaetano Salvemini, “Le origini del fascismo in Italia – Lezioni di Harvard”, Feltrinelli Ed.; L. Canfora – G. Zagrebeksky, “La maschera democratica dell’oligarchia”, Ed. Laterza.; Norberto Bobbio, “Elogio della mitezza e altri scritti morali“, Ed. Il Saggiatore. Per chi volesse capire le cause di migrazioni e immigrazioni: D.R. Headrick, “Il predominio dell’Occidente”, Ed. il Mulino – David Van Reybrouck, “Congo”, Ed. Feltrinelli. Dopo ne discutiamo.
(1) pensierimo personale: lo spazio trascurato dalla sinistra è stato occupato da un’offerta politica opposta di una sorta di nuovi “diritti sociali” quali: “Ti darò io il lavoro che ti hanno sottratto gli immigrati“. Una guerra (strumentale) fra poveri.
Buone letture, ottimi diritti civili e sociali a tutte e a tutti!
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SALVINI AL CITOFONO
pubblicato da: Riccardo Lucatti - 24 Gennaio, 2020 @ 8:50 amDetto altrimenti: no, così non si fa! (post 3739)

Questa immagine rievoca la caccia casa per casa al “comunista” … quasi una nostalgica riedizione delle squadre di azione alla Italo Balbo. E dire che Umberto Eco nel suo libro capolavoro “Il fascismo eterno” ci ha messo in guardia contro i segnali subliminali di un ritorno del fascismo!

Quella mano sul citofono poi … da moderno untorello manzoniano, a indicare come si fa: “Staniamoli uno ad uno a casa loro, questi spacciatori, facciamoci giustizia, una buona volta, ripuliamo la città”. Non dico che queste frasi siano state realmente pronunciate, sia chiaro: in ogni caso non le attribuisco in particolare a nessuno.

Tuttavia molto probabilmente quel modo di agire induce pensieri analoghi nella mente di una certa parte dell’elettorato (la più debole, la meno riflessiva e quindi la più aggredibile elettoralmente) suggestionabile da quel particolare comportamento citofonico. Certo è che si è trattato di un cattivo esempio per tutti da parte di chi ha ricoperto, ricopre ed anela a ricoprire ruoli istituzionali. Il problema infatti non è se quel ragazzo, quella famiglia fossero spacciatori o meno. Il problema è che se veniamo a conoscenza di un (presunto) fatto delittuoso del genere, è nostro dovere informare tempestivamente le forze dell’ordine. Infatti, se il presunto spacciatore è solo tale, cioè è solo “presunto”, la nostra citofonata turba ingiustamente ed offende gravemente un innocente. Se invece quel tale fosse realmente colpevole, lo si metterebbe sull’avviso e gli si consentirebbe di nascondere le prove (la droga) della sua attività criminosa. Quindi quel gesto è tre volte non condivisibile, in quanto: 1) rischia di offendere un innocente; 2) è un pessimo esempio per i cittadini; 3) ostacola un’eventuale azione di prevenzione e repressione da parte delle Forze dell’Ordine (bene ha fatto il capo della Polizia Gabrielli a censurare questo comportamento).
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