LA MORTE DI CHAVEZ (con riferimenti a Grillo)

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 12 Marzo, 2013 @ 4:52 pm

Detto altrimenti: open blog ospita un post altrui (http://narcolessico.wordpress.com) – (le evideniture di alcune parti con il grassetto corsivo sottolinato sono una mia scelta)

Inizia:

La “distanza” di Chavez e la sua elaborazione

Le simpatie prescindono dai contesti. Questa è la loro forza e, al tempo stesso, il loro limite. Per Chavez, ad esempio, non ho mai nutrito una particolare simpatia. Il suo modello di democrazia “Participativa y Protagónica”, strutturalmente vicino alla sostanza politica di un’autocrazia ratificata dall’ovazione (in questo senso, si veda ad esempio l’istituto del Referendum Revocatorio introdotto dalla Costituzione Bolivariana del 1999), confligge con la maggior parte dei miei convincimenti politici, per lo più liberali.

Il fatto che Chavez non mi stia simpatico, tuttavia, conta veramente poco. Ho trovato anzi piuttosto curiose, per non dire ridicole, le condanne e gli scetticismi piovuti a chiosa della vicenda, politica e umana, di Chavez da parte di molti osservatori nostrani, che non hanno mancato di illustrare lo scarto fra la Repubblica Bolivariana del Venezuela e il manuale delle perfette democrazie rappresentative che possiamo evincere dalle costituzioni europee più avanzate. Mi riesce oggettivamente difficile capire quale valore aggiunto possa essere ricavato da questi discorsi. Cosa vogliamo dimostrare? Che in Sudamerica non hanno avuto la Rivoluzione Francese? Non occorre dimostrarlo. Non ce l’hanno avuta e basta.

In Europa no. La conquista borghese delle libertà politiche e la costruzione ponderata dello stato di diritto sono patrimoni tendenzialmente acquisiti e dobbiamo tutelarne l’eredità. In questo senso l’ascesa di BEPPE GRILLO, nella misura in cui assume il volto di un attacco frontale agli istituti della nostra democrazia preposti alla mediazione e alla rappresentanza, dovrebbe farci presagire l’estrema prossimità fra una democrazia radicalmente diretta e la sua implosione autoritaria, che nel modello liberale a cui sono affezionato viene disinnescata – esattamente – dagli istituti di cui sopra. La proposta politica di BEPPE GRILLO sovverte le ragioni stesse del nostro Stato di Diritto e configura pertanto una soluzione tecnicamente eversiva. Essa, insomma, volge le spalle alla nostra Costituzione ed è su queste basi, alla luce – cioè – di quanto rischia di farci perdere, che può e deve essere contestata.

Non ci si può tuttavia lamentare della mancata difesa dello Stato di Diritto là dove non c’è niente da difendere. Nel 1999, Chavez sale per la prima volta al potere succedendo al governo conservatore di Caldera (1994-1999) e a quello socialdemocratico di Pèrez (1989-1993), durante i quali la sussistenza di un dispositivo elettorale formalmente democratico si era accompagnata alla violazione di elementari diritti umani, al mancato riconoscimento di altrettanto fondamentali diritti civili e, soprattutto, al totale abbandono delle istanze provenienti dalle fasce più disagiate della popolazione. Corruzione, repressione, prigionia politica, strategie economiche prone al saccheggio delle risorse nazionali – soprattutto petrolifere – da parte delle potenze straniere, sorda subalternità al Fondo Monetario internazionale, disoccupazione, sistema sanitario fatiscente, mancato contrasto all’analfabetismo, alla povertà, alla fame e alla malnutrizione. Quando Chavez entra nei palazzi del potere di Caracas, il quadro che ha davanti è questo ed è il quadro – in fondo – di una terra di conquista, tristemente tipico in Sud America.

Benché al Comandante Chavez si possa certamente contestare un atteggiamento tutt’altro che tenero nei confronti dei dissidenti politici e una gestione costantemente plebiscitaria del consenso, sarebbe falso negare che la sua politica ha dovuto affrontare, in primo luogo, urgenze umane e sociali rispetto alle quali l’articolazione compiuta e perfetta di uno Stato di Diritto, a partire – per esempio – da una corretta separazione dei suoi poteri, finisce per perdere non dico di valore ma certamente d’attualità. Dico questo da una prospettiva autenticamente liberale, affezionata in maniera sincera al rigore istituzionale delle democrazie rappresentative occidentali, non disponibile – per essere chiari – a negoziarne i profili con un materiale politico di risulta come BEPPE GRILLO, ma abbastanza elastica – tuttavia – da riuscire a includere nel proprio campo visivo anche il caso in cui qualcosa, come ad esempio la necessità di far sopravvivere la popolazione, esibisca dignità e rilievo tali da sopravanzarla, sospenderla, differirla, congelarla.

Se non vuole collassare sullo stesso cieco idealismo che ha sorretto la follia americana dell’esportazione militare della democrazia, il pensiero liberale deve dotarsi della capacità di riconfigurare le proprie priorità in funzione del contesto. Non credo, in assoluto, che le battaglie liberali possano essere archiviate da una comunità di uomini che aspira a definirsi civile, ma credo che esistano circostanze in cui altre battaglie richiedono di essere combattute per prime. In Venezuela queste battaglie sono diventate le Missioni Bolivariane di Chavez e i risultati di queste battaglie sono dati impressionanti, che aiutano a spiegare e dimensionare – anche al di là delle cifre – il lutto di questo Paese per la scomparsa del suo Presidente.

Inoltre, ammesso e non concesso che le democrazie occidentali possano ascriversi l’esclusiva titolarità della “civiltà“, occorre considerare la misura in cui il conseguimento, il mantenimento e lo sviluppo di quest’ultima sia stato fatto pagare, in qualche modo, alle aree del Pianeta meno sviluppate, laddove cioè non vige alcuna “pruderie” civilista e possono dunque essere riversati quei processi che lo Stato di Diritto, a casa nostra, trasformerebbe in qualcosa di meno conveniente. Un’altra riflessione possibile, detto altrimenti, riguarda il Sud del Mondo come vaso di scarico dell’entropia generata dai sistemi occidentali, nei quali la difesa dei diritti della persona sembra quasi – localmente – non avere costi (che invece ha e che sono semplicemente pagati altrove). Questo aiuterebbe a spiegare la risposta politica di tipo socialista o almeno solidarista che in Sudamerica sta ormai diventando prevalente, anche se con accenti e sfumature diverse (la politica di Lula non è certamente omologabile a quella di Chavez), e aiuterebbe soprattutto a spiegare come essa si specifichi in aperto contrasto, non soltanto ideale ma anche economico, ai modelli democratici occidentali, contro i quali vengono messe in gioco strategie di politica estera mirate e coordinate. Chavez, ad esempio, ha puntato molto sul rilancio dell’OPEC e sulla promozione dell’Alba (Alternativa Bolivariana para América Latina y el Caribe) costituita in contrapposizione all’Alca (Area di Libero Commercio delle Americhe) voluta dagli USA.

Fatico invece a spiegarmi il favore con cui una certa sinistra europea guarda all’esperienza di Chavez come se fosse un modello importabile e articolabile anche qui, nell’Europa delle democrazie rappresentative, dell’equilibrio fra i poteri, del rapporto negoziale – certamente precario ma comunque vigente – fra libertà economiche e tutele sindacali, dei diritti civili e della loro faticosa e progressiva estensione. La crisi economica ha certamente acuito il problema della disoccupazione, peggiorato la situazione delle fasce meno abbienti della popolazione e divaricato la distanza della politica dalla realtà, ma credo sia molto pericoloso coltivare, qui, suggestione bolivariste, lasciandosi tentare dalla prospettiva di archiviare l’esperienza dello Stato di Diritto senza scommettere ancora sulle sue possibilità di riscatto. C’è una preoccupante irresponsabilità di fondo nell’invocazione di una piattaforma socialista che getti di fatto alle fiamme un percorso di maturazione democratica durato secoli e costato la vita a milioni di persone.

A questa sinistra, perennemente alla ricerca di casi e dimostrazioni che la confortino sulla realizzabilità dei propri ideali, Chavez piace, è normale che sia così e la cosa non mi crea alcun problema. Lo stesso sforzo di onestà intellettuale nel quale, da liberale, ho tentato di prodigarmi per evitare condanne decontestualizzate del bolivarismo venezuelano, vorrei però che si imponesse anche a coloro che ne celebrano, adesso, una sorta di culto e ne sognano – forse – una versione europea, spagnola, portoghese, greca, italiana. Sono molti i punti da cui è possibile partire per affrontare una riflessione che ha l’unico e imprescindibile obiettivo di preservare una nozione e una pratica di cittadinanza rimuovendo le quali non avremmo più ragione di definirci “liberi”. Ci si potrebbe interrogare, ad esempio, sul principio della separazione dei poteri e su come questo verrebbe rimesso in discussione, o quantomeno in tensione, nel quadro di una democrazia “Participativa y Protagónica”

Oppure, a un livello meno istituzionale, ci si potrebbe interrogare sulla natura politicamente eteroclita del fronte che in queste ore sta omaggiando il Comandante Hugo Chavez, un fronte – per intenderci – che raccoglie elementi della sinistra alternativa e internazionalista e movimenti della destra sociale, extraparlamentare e nazionalista (in Italia, ad esempio, Casa Pound). Nazionalismo e socialismo, in Chavez, si tengono assieme ma la loro armonia dipende da un’olistica delle idee prettamente sudamericana, grazie alla quale il pedigree politico del bolivarismo ha potuto integrare, per esempio, anche la fede cattolica (Chavez era un cattolico praticante) attraverso la Teologia della Liberazione. Questo genere di connessioni ideali, in Italia e – per lo più – anche in Europa, sono più difficili da tracciare, pressoché impossibili da declinare politicamente. Esse mancano, soprattutto, delle necessarie premesse antropologiche, tanto che – adesso – estrema destra ed estrema sinistra si contendono, con pezze d’appoggio parziali e – a loro modo – coerenti, la genuina titolarità del ricordo e dell’eredità di Chavez.

Finisce

Condivido, ovviamente soprattutto le parti che io mi sono permesso di evidenziare!

Fine del post

Ceterum censeo … e poi penso che non sia accettabile che parlamentari del secondo partito di maggioranza relativa del paese, violando le regole di accesso (controlli elettronici compresi, tanto per capirsi), invadano il tribunale di Milano cercando di forzare l’andamento della giustizia e interferendo nel principio costituzionale della separazione dei poteri. Inoltre, così come non approvo chi nel passato ha definito il parlamento un possibile “bivacco di manipoli”, non approvo oggi chi lo definisce “una scatola di sardine”. Prendo infine atto che oggi due persone sono purtroppo di ostacolo all’esercizio della democrazia: una, per i suoi problemi giudiziari; l’altra, per la indisponibilità a “partecipare” al governo del paese, essendo disponibile solo al “proprio” governo, benche’ in minoranza, aspirando inoltre essa – nel frattempo – non a raggiungere la maggioranza dei consensi, ma la totalità.

 

2 Comments »

VARIE ED EVENTUALI

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 12 Marzo, 2013 @ 12:31 pm

Detto altrimenti: varietas delectat … (post di “intervallo” …)

Teleriscaldamento e auto elettriche

Perché accomuno i due temi? Perché in ogni caso nulla (nemmeno l’energia) di crea e nulla si distrugge. Con il teleriscaldamento si recupera calore che andrebbe disperso, ma comunque se ne perde una parte nel trasporto del calore dalla centrale di produzione ai molti luoghi del suo utilizzo. Tuttavia il bilancio pare positivo, se non altro perché si eliminano (dal centro urbano) le centinaia di piccole caldaie (condominiali) senza garanzia di una corretta manutenzione, spostando il problema della manutenzione sull’unica grande caldaia della centrale decentrata e ben manutenzionata.
E le auto elettriche? Qualcuno inizia a dire che inquinano più delle auto a combustione interna. Infatti, afferma, da qualche parte si produrrà pur l’energia elettrica necessaria alla loro ricarica, e in quelle sedi occorre gestire l’eventuale inquinamento delle centrali. Valgono per le auto le osservazioni fatte per il teleriscaldamento. Qui, in più, si ha un disinquinamento sonoro dei centri urbani.

Il debito dello stato

Si dice: 2.000 miliardi di euro. Ma poi vi sono altri 150 miliardi di debiti delle PP.AA. verso le aziende private e altri …. miliardi di debiti diretti delle SpA pubbliche. Il totale? Non lo voglio conoscere …!

Super stipendi ai super top manager

La Svizzera calmiera i super stipendi. Daniel Vasella, super top manager della farmaceutica Novartis, che dal 1996 ad oggi ha percepito solo 324 milioni di euro, lascia la Svizzera e si trasferisce in USA. Dovunque vada, quei costi spropositati si trasferiscono sul prodotto, cioè sulle medicine, cioè sulla salute e le tasche di tutti noi. Dice … ma i 324 milioni erano al lordo delle tasse … ah, bè … se le cose stanno così … ad averlo saputo prima non avrei citato la notizia come scandalosa … scusate.

Al supermercato

Prezzemolo sfuso: €2,75/kg – Prezzemolo in vaschettina di plastica: €19,00/kg.

INPS

1997: pagati contributi in più, per errore. Fatta domanda di rimborso. Dicono: “Deve rinnovarla ogni sei mesi, altrimenti il suo diritto decade” (??, n,d,r,). Fatta domanda di rinnovo solo alla scadenza del primo semestre. Andato più volte, negli anni, a chiedere notizie. Marzo 2013: ricevuto riborso (senza interessi, ovviamente!).

 

Fine del post

Ceterum censeo … e poi penso che non sia accettabile che parlamentari del secondo partito di maggioranza relativa del paese, violando le regole di accesso (controlli elettronici compresi, tanto per capirsi), invadano il tribunale di Milano cercando di forzare l’andamento della giustizia e interferendo nel principio costituzionale della separazione dei poteri. Inoltre, così come non approvo chi nel passato ha definito il parlamento un possibile “bivacco di manipoli”, non approvo oggi chi lo definisce “una scatola di sardine”. Prendo infine atto che oggi due persone sono purtroppo di ostacolo all’esercizio della democrazia: una, per i suoi problemi giudiziari; l’altra, per la indisponibilità a “partecipare” al governo del paese, essendo disponibile solo al “proprio” governo, benche’ in minoranza, aspirando inoltre essa – nel frattempo – non a raggiungere la maggioranza dei consensi, ma la totalità.

Comments Closed

E’ LA FINE DEL RAPPORTO DI LAVORO A TEMPO INDETERMINATO?

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 12 Marzo, 2013 @ 12:12 pm

Detto altrimenti: come cercare di reagire

Sono stato promosso dirigente dall’età di trent’anni. Oggi sto vivendo il mio 70° anno d’età. Ho sempre avuto la possibilità di assumere personale. Ho sempre assunto “in prova” o con contratti a tempo determinato. Dopo sei mesi il rapporto è stato interrotto (ciò che è accaduto raramente) oppure (nella stragrande maggioranza dei casi) è stato trasformato in contratto a tempo indeterminato.

Tuttavia credo che oggi, se fossi ancora “in servizio”, nonostante la mia buona volontà, probabilmente riceverei “indicazioni”parte degli Azionisti o “vincoli precisi” da parte del Consiglio di Amministrazione di non stipulare contratti di lavoro a tempo indeterminato.

Ed allora, cosa potrei cercare di suggerire ai lavoratori e agli amministratori di società?

Premetto che l’ideale sarebbe che ognuno venisse impiegato nel lavoro al quale aspira. Oggi purtroppo accade molto spesso il contrario: si cerca e si accetta – nel migliore dei casi – un lavoro “comunque”. Ciò premesso, occorre che il “capo” rispetti, non strumentalizzi, coinvolga e motivi quanto più possibile il dipendente. Il dipendente a sua volta deve cercare di “farsi piacere” in ogni caso il lavoro che gli è assegnato. Come fare? In entrambi i casi (capo e dipendente) si deve cercare di operare sempre “al meglio” e non come “gestori abitudinari”, si deve essere attenti al continuo miglioramento di ciò che si sta facendo, come se la società nella quale si lavora fosse propria. Occorre cioè operare come certificatori continui della propria Qualità.  Occorre cioè diventare appetibili per l’azienda nella quale si opera, senza diventare però “insostituibili” per essa, in quanto ciò rappresenterebbe un vincolo per la società è non un plus sul quale fondare la sua crescita.

 

Rimozione di un capo che non motiva i dipendenti

Tutto però deve partire dall’alto, nel senso che un capo che non sa motivare i propri dipendenti deve essere rimosso, in quanto non crea o – se volete – distrugge una componente essenziale dell’avviamento societario: la “motivazione del personale”, senza la quale nessuna società può ambire a crescere. Non ricercare o distruggere la motivazione del personale, ai fini aziendali, è come sabotare il sistema informativo della società; è come gestire male gli affidamenti bancari sino al punto di ottenerne la revoca; è come trattare male i clienti; è come parlare male della propria società, screditandola agli occhi dei terzi; è come non redigere un piani di sviluppo triennale e navigare a vista; è come basarsi sull’informazione unidirezionale anzichè sulla comunicazione bidirezionale; è come operare sulla base di un organigramma gerarchico e mai su di un funzionigramma funzionale; etc. Né più, né meno.

Una volta che il capo abbia fatto la sua parte, sta al dipendente fare la sua. Viribus unitis, dall’azione di queste due forze unite, nascerà ciò che più di ogni altra cosa – oggi – possa assomigliare per entrambi (capo e dipendente) ad un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

Fine del post

Ceterum censeo … e poi penso che non sia accettabile che parlamentari del secondo partito di maggioranza relativa del paese, violando le regole di accesso (controlli elettronici compresi, tanto per capirsi), invadano il tribunale di Milano cercando di forzare l’andamento della giustizia e interferendo nel principio costituzionale della separazione dei poteri. Inoltre, così come non approvo chi nel passato ha definito il parlamento un possibile “bivacco di manipoli”, non approvo oggi chi lo definisce “una scatola di sardine”. Prendo infine atto che oggi due persone sono purtroppo di ostacolo all’esercizio della democrazia: una, per i suoi problemi giudiziari; l’altra, per la indisponibilità a “partecipare” al governo del paese, essendo disponibile solo al “proprio” governo, benche’ in minoranza, aspirando inoltre essa – nel frattempo – non a raggiungere la maggioranza dei consensi, ma la totalità.

Comments Closed

IL PARTITO DEL CAPO

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 12 Marzo, 2013 @ 7:42 am

Detto altrimenti: io, io, io, io,io ……e (dietro, molto dietro) gli altri

Trilussa. Originale televisivo “in corso” (una puntata ieri sera, una ‘sta sera). Indirizzata al Duce, Trilussa compose questa poesiola:

Nummeri

“Conterò poco, è vero”:

Carlo Alberto Salustri detto Trilussa

diceva l’Uno ar Zero

“Ma tu che vali? Gnente: propio gnente.

Sia ne l’azzione come ner pensiero

rimani un coso voto e inconcrudente.

lo, invece, se me metto a capofila

de cinque zeri tale e quale a te,

lo sai quanto divento? Centomila.”

È questione de nummeri. A un dipresso

è quello che succede ar dittatore

che cresce de potenza e de valore

più so’ li zeri che je vanno appresso.

 

E allora … chevvolete, la tentazione è stata troppo forte, ed io so resistere a tutto, tranne che alle tentazioni. Ed eccomi a voi, ad “attualizare” Trilussa. Ecco, premetto: non voglio dare del “fascista” a chi appartiene ad un “partito del capo”, per carità, ci mancherebbe altro. Solo, cerco di fare qualche riflessione sulla politica odierna.

Aggredito, sono …

 

Tutti gli aderenti ad un partito del capo sono preoccupatissimi circa le sorti del loro capo, “aggredito” dalle leggi (?): guai se venisse a mancare. Chevvordì? (dialetto romanesco, in omaggio a Trilussa). Vordì che se manca lui, tutto crolla e loro con il “tutto”. Ma allora quel partito non ha chi possa succedere al capo, non ha ideali che possano sopravvivere al capo … e il loro ideale è “continue to last”, “continuare a durare”.

 

 

 

Ste atenti che se me ne vagu mi …

 

Un altro caso: è il capo stesso del partito che minaccia/avverte: o così o così. Tertium non datur. Cioè, o si fa come dico io o io me ne vado. E tutti si allineano. Chevvordì? Vordì che se manca lui, tutto crolla e loro con il “tutto”. Ma allora quel partito non ha chi possa succedere al capo, non ha ideali che possano sopravvivere al capo … e il loro ideale è “begin to last”, “iniziare a durare”.

 

 

Fine del post

P.S.: Ciao Politica come Servizio, ciao Democrazia dell’Alternanza, del Confronto … ciao!

1 Comment »

MUSICA MUSICA!

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 12 Marzo, 2013 @ 6:32 am

Detto altrimenti: Corrado Ruzza a Riva del Garda

 

Nell’ambito della stagione di concerti organizzati dalla locale Associazione Amici della Musica, presieduta da oltre 50 anni da Ruggero Polito, Presidente emerito del Tribunale di Rovereto, sabato scorso, nella sala dell’Auditorium del Conservatorio Bonporti, Riva del Garda, abbiamo assistito alla esecuzione integrale dei nove brani che costituiscono il primo libro degli  “Anni di pellegrinaggio” di Franz Listz.  Relatore e pianista, il M° Professor Corrado Ruzza.

 

 

 

Si tratta di composizioni scritte da Franz Liszt durante la sua permanenza in Svizzera negli anni 1835-1836. Più che di permanenza, si potrebbe parlare di esilio o quantomeno di rifugio, a seguito di uno dei più clamorosi scandali che investirono Parigi in quegli anni, allorquando la contessa Marie de Flavigny, appartenente ad una delle famiglie più in vista dell’aristocrazia e moglie del colonnello di cavalleria Charles d’Agoult, abbandona il tetto coniugale ed una figlia per fuggire col ventiquattrenne compositore ungherese, travolta da una passione che rasenta il delirio mistico.

 

Franz Listz al pianoforte. Di spalle, l’amata. Di fronte, Beethoven.

I paesaggi alpestri diventano così il riparo dai commenti malevoli di una società fin troppo pronta a sancire l’obbedienza ad aride convenzioni e assai meno a perdonare chi decide di seguire il proprio cuore nonostante le conseguenze. Ma i pittoreschi paesaggi elvetici sono anche la fonte di ispirazione per il compositore che, nell’incontro con la natura, fissa nelle note i propri stati d’animo, ora gioiosi, ora tormentati, contribuendo in maniera determinante alla definizione del sentimento romantico che proprio in quegli anni si andava affermando nei vari campi dell’arte. Corrado Ruzza, avvalendosi della proiezione delle stampe incluse nella prima edizione del ciclo e del commento alle citazioni letterarie poste a fronte di ognuno dei nove brani – tratte da opere di Byron, Schiller e Senancour in cui è evidente il parallelo autobiografico con le circostanze della coppia di fuggitivi – ha magistralmente dato luogo ad un’originale rappresentazione multimediale in cui gli spettatori hanno potuto cogliere aspetti della musica altrimenti inaccessibili al solo ascolto, in una sorta di affascinante viaggio romantico.

Sala piena, uditorio letteralmente rapito. Successo a tutto campo. Grazie, M° Ruzza, per la splendida lectio magistralis!

1 Comment »

LA STORIA D’ITALIA – 2) DAL FASCINO AL FASCISMO AL FASCINO (OVVERO, STANTE LA CONCLUSIONE DEL POST, “ALLARME DEMOCRAZIA”)

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 11 Marzo, 2013 @ 8:14 pm

Detto altrimenti: seconda puntata (interrotta, vedere alla fine, grazie)

Giovanni Giolitti

Giolitti, a mio avviso fu il primo ad utilizzare metodi fascisti. Con Giolitti al nord c’era libertà di parola, di stampa, di associazione politica e sindacale, le amministrazioni locali erano elettive, le elezioni parlamentari regolari. Ma tutto questo non serviva alla democrazia, perché al sud le cose erano all’opposto e comunque in parlamento sedevano solo suoi yes men. Giolitti formalmente apparteneva alla sinistra democratica, ma in pratica era conservatore al nord e al sud … al sud “controllava” le elezioni attraverso i prefetti che avrebbero rimosso sindaci e consigli comunali dei comuni ove non si fossero votati esponenti “governativi”. Giolitti fece ricorso anche a intimidazioni e violenze, avvalendosi sia della polizia che della malavita locale. (Oggi i voti non si acquisiscono con il bastone: si comperano! N.d.r.) Con la legge del suffragio universale (1911) la quale ampliò di molto la base degli elettori, il controllo divenne sempre più difficile e soprattutto visibile, il che provocò indignazione e reazione. I conservatori vennero sconfitti mentre cresceva la pressione dei nazionalisti di destra e dei socialisti rivoluzionari di sinistra.

Benito Mussolini

Nella puntata precedente ho anticipato come scoppiò la prima guerra mondiale e come l’Italia si dichiarò neutrale. Mussolini: compagno o camerata? Neutralista o interventista? Prima socialista, poi socialista rivoluzionario, aveva imparato ad esercitare il controllo sulla emotività delle folle. Per comunicare non usava la TV, ovviamente. Utilizzava radio, piazze e giornali. La sua concezione politica e filosofica era: “violenza”. Ieri, fisica, oggi sarebbe anche mediatica, web, per intendersi. Da socialista rivoluzionario, voleva la rivoluzione interna, la lotta di classe. Che le potenze si scannassero fra di loro, noi abbiamo altro da fare. Niente guerra. Poi, piano piano cambia: “ma se venissimo aggrediti …”, sino a quando, nel 1014, diventa interventista contro l’Austria. Da socialista rivoluzionario a nazionalista. La lotta interna dell’Italia fra proletariato e caste fu sostituita dalla lotta “dell’Italia proletaria contro le plutocrazie” (tali in quanto possedevano colonie, miniere e petrolio, n.d.r.). Espulso dall’Avanti, fonda il popolo d’Italia finanziato dalla Francia che ben vedeva l’intervento dell’Italia contro l’Austria e la Germania. La sua “virata”, unita alle incertezze ed alle divisioni interne al Governo, disorientarono la popolazione , la quale letteralmente “non capiva più nulla”. Tuttavia la decisione di entrare in guerra fu la conseguenza della violenza psicologica (fatta) e fisica (temuta) di una minoranza parlamentare e di una minoranza della popolazione sulla maggioranza del parlamento e della popolazione.

Del resto, la storia si ripete. Di fronte alla violenza perpetrata dar due anni (1920-1922) dalle squadre fasciste, dalla sopravvalutata minaccia degli squadristi in marcia su Roma, l’incerto governo e l’incertissimo Re posero le basi perché una minoranza parlamentare (quella mussoliniana) si candidasse ed ottenesse una larga maggioranza nella votazione di fiducia al promo governo del Cavaliere (Benito)

Che .. grilli ha in testa?

Ecco perchè la storia ci insegna a dubitare da chi, oggi, avendo una minoranza, afferma: “Date a noi il governo” oppure “Vogliamo arrivare al 100% dei parlamentari”. La violenza … non è violenza solo quella fisica. Turba l’equilibrio e la libertà delle persone anche una informazione sbilanciata, ed ecco le regole per la “par condicio televisiva”. Ma il web? Non esiste una par condicio per il web. Chi più lo sa usare e chi più lo usa, più è forte, anzi … più “viola” l’equilibrio … “violare” … stessa radice di “violenza”. Infatti a mio avviso non c’è vera democrazia senza un equilibrato e civile confronto di idee, il che pare non possa avvenire sul web.

“Interrompiamo la trasmissione …”

 Ho appena visto il TG3 delle ore 19.00. Da cittadino, sono sconvolto e interrompo la puntata: non e’ accettabile che parlamentari del secondo partito di maggioranza relativa del paese, violando le regole di accesso (controlli elettronici compresi, tanto per capirsi), invadano il tribunale di Milano cercando di forzare l’andamento della giustizia e interferendo nel principio costituzionale della separazione dei poteri. Inoltre, così come non approvo chi nel passato ha definito il parlamento un possibile “bivacco di manipoli”, non approvo oggi chi lo definisce “una scatola di sardine”. Prendo infine atto che oggi due persone sono purtroppo di ostacolo all’esercizio della democrazia: una, per i suoi problemi giudiziari; l’altra, per la indisponibilità a “partecipare” al governo del paese, essendo disponibile solo al “proprio” governo, benche’ in minoranza, aspirando inoltre essa – nel frattempo – non a raggiungere la maggioranza dei consensi, ma la totalità.

Fine del post

Ceterum censeo familiam Riva de possessione ILVAE deiciendam esse”, e cioè ritengo che occorra espropriare l’ILVA alla famiglia Riva, per evitare di essere costretti a scegliere fra due mali: la perdita di posti di lavoro o della salute pubblica. Il prezzo potrebbe essere corrisposto in “Monti bond Serie Speciale ILVA irredimibile 2%”, al netto delle somme trattenute per il risarcimento dei danni provocati, per l’adeguamento degli impianti, per il ripristino ambientale e per pagare gli operai anche se – nel frattempo – costretti a casa

Comments Closed

CARNE DI CAVALLO …POST D’INTERVALLO

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 11 Marzo, 2013 @ 5:48 pm

Detto altrimenti: fra tanti post di storia, politica, economia e finanza …

Come controllare la carne di cavallo in entrata (illecita) nel nostro Paese? Come si fa per l’olio d’oliva.

La più pericolosa è la carne dei cavalli da corsa, per le sostanze che possono avere propinato loro

Un importatore italiano in assoluta buona fede importa olio extravergine d’oliva da un paese estero e per tale lo paga. Una volta immesso nei suoi magazzini, si scopre che l’olio è adulterato. La legge italiana prevede che l’importatore ne risponda anche penalmente. Pertanto, gli importatori si dono attrezzati e operano come segue: inviano propri rappresentanti nei porti esteri o nei magazzini esteri di carico dell’olio. Costoro prelevano di persona campioni d’olio dalle tanche della nave olearia o da quelle dei TIR, fanno sigillare i campioni con il sigillo del venditore, assistono alla partenza della merce, rientrano in Italia ed analizzano i campioni ben prima dell’arrivo della merce. Se essa risulta adulterata, denunciano il fatto all’autorità competente liberandosi in tal modo da ogni responsabilità. Se i campioni risultato in ordine, attendono l’arrivo della merce e, prima di immetterla nei propri magazzini, effettuano una seconda campionatura ed una seconda analisi. Se le seconde analisi confermano le prime, ok. In caso contrario, non ritirano la merce e sporgono denuncia alle autorità competenti.

Un meccanismo analogo potrebbe essere previsto anche per gli altri generi alimentari.

Fine del post

Ceterum censeo familiam Riva de possessione ILVAE deiciendam esse”, e cioè ritengo che occorra espropriare l’ILVA alla famiglia Riva, per evitare di essere costretti a scegliere fra due mali: la perdita di posti di lavoro o della salute pubblica. Il prezzo potrebbe essere corrisposto in “Monti bond Serie Speciale ILVA irredimibile 2%”, al netto delle somme trattenute per il risarcimento dei danni provocati, per l’adeguamento degli impianti, per il ripristino ambientale e per pagare gli operai anche se – nel frattempo – costretti a casa

Comments Closed

TRENTO: CANONICHE VUOTE? DIAMOLE AI POVERI!

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 11 Marzo, 2013 @ 11:34 am

Detto altrimenti: un “regalo” della Curia trentina al nuovo Papa? Ce lo auguriamo tutti!

Trento: la storica Piazza del Duomo

Trento. Convegno promosso dalla Caritas:  “Un futuro pieno di speranza”. Moderatore Paolo Ghezzi. Don Lauro Tisi, Vicario del Vescovo di Trento, ha detto che per venire incontro alle famiglie bisognose la diocesi potrebbe mettere a disposizione gli edifici vuoti che ha a disposizione, a partire dalle canoniche”. Marco Zeni, Direttore del settimanale Vita Trentina, che qualche settimana fa aveva fatto appello alla carità, osserva. “A fronte do 450 parrocchie ci sono 150 parroci. Da 100 a 150 canoniche sono vuote. L’apertura ai bisognosi deve avvenire non solo dalle parrocchie ma anche dalla società civile. Pensiamo ai senza tetto”. Don Tisi: “Dobbiamo tornate a fare della solidarietà il motivo dell’azione”. Paini (AltraEconomia) ha affermato: “I bocconiani ed i politici (o i  bocconiani politici? N.d.r.) ascoltino di più le associazioni”.

Una decisione simile sarebbe un esempio per tutta la Chiesa e  il miglior regalo che il Trentino potrebbe fare al nuovo Papa!

P.S.: e i locali del Seminario Maggiore a Trento? Quante decine (o centinaia) di seminaristi ospitavano? Quanti sono oggi? Dieci?  Certo, è più agevole mantenere (vuoti e) puliti i locali nella situazione attuale, assai meno impegnativo, meno costoso … – Alla TV vidi un’intervista relativa all’apertura   ai poveri di un enorme palazzo centrale, a Roma, palazzo al momento abitato da dieci suore in tutto. Si diceva: “Che volete, come si fa a gravare dieci suorine di tutto il lavoro che ne scaturirebbe, ove aprissimo il palazzo ai poveri …” –  Ho capito … (peccato che il problema non fosse quello: nessuno avrebbe avuto quella pretesa …)

Fine del post

Ceterum censeo familiam Riva de possessione ILVAE deiciendam esse”, e cioè ritengo che occorra espropriare l’ILVA alla famiglia Riva, per evitare di essere costretti a scegliere fra due mali: la perdita di posti di lavoro o della salute pubblica. Il prezzo potrebbe essere corrisposto in “Monti bond Serie Speciale ILVA irredimibile 2%”, al netto delle somme trattenute per il risarcimento dei danni provocati, per l’adeguamento degli impianti, per il ripristino ambientale e per pagare gli operai anche se – nel frattempo – costretti a casa.

Comments Closed

LA STORIA D’ITALIA – 1) DAL FASCINO AL FASCISMO AL FASCINO (No, Fassino non c’entra, no …)

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 11 Marzo, 2013 @ 11:14 am

Detto altrimenti: dall’inizio delle guerre risorgimentali al fascismo di ieri ed al “fàscino” odierno delle moderne sirene (politiche) ammalianti.

In breve, quasi per schemi, magari in più post, cioè a puntate, proverò ad esporre e commentare qualche fatto storico, cercando di costruire una catena di anelli molti dei quali ritroviamo nel tempo presente. Historia magistra vitae … diceva quell’uno. Ed allora, vediamo un po’ se la storia riesce ad insegnarci qualcosa, per aiutarci a non ripetere gli errori del passato, perchè errare humanum est, perseverare diabolicum.

1820 al 1870: cinquant’anni di guerre verso l’Unità d’Italia.
1860: quotidiano più venduto? 25.000 copie. 1914: 600.000 copie.
1860-1880: quanti elettori? 250.000 -  1881: 662.000 -  1913: 5.000.000 di votanti su 8.672.000 aventi diritto, quasi il 60% (quasi la stessa % USA, dove però si votava nel comune di residenza e non in quello di nascita come in Italia!)
1870- 1920 : cinquant’anni di conquiste economiche (ferrovie, flotta, rete elettrica, risparmio bancario, produzione e consumo delle merci, pareggio della bilancia commerciale, lotta all’analfabetismo, rete stradale, sviluppo industriale ed agricolo, ricerca scientifica, etc.).

1920 – 1943: ventennio fascista. Disconoscimento dei risultati precedenti. La rivoluzione fascista si differenziò da quella russa e da quella tedesca, in quanto negò e interruppe un processo in corso. Infatti in Russia la dittatura comunista sostituì un’altra dittatura (zarista) e in Germania la repubblica di Weimar non abolì i privilegi e le proprietà degli Hohenzoller. In Italia una dittatura sostituì un sistema economico in crescita e in corso di diventare democratico.

Negli anni anteriori alla “guerra civile” 1921-1926 l’Italia non era in condizioni di particolare arretratezza, e comunque il fascismo nacque nel “ricco” nord e non nel “povero” sud. Durante questa “guerra civile” ci fu chi cercò di opporsi: isindacati italiani resistettero a Mussolini ben più di quanto non avrebbero poi fatto i sindacati tedeschi contro Hitler.

Il “nostro” fascismo. La letteratura politica ante fascismo criticava tutto e tutti. Quella fascista elogiava qualsiasi atto, decisione, legge, etc., anche perché gli atti, le decisioni e le leggi erano sempre e solo tutte fasciste.

Il nostro “oggi”. Da parte di taluno si critica tutto e tutti della politica precedente, relativa ad un periodo nel quale, nonostante i molti aspetti negativi (scandali, furti, sprechi, etc.), si è “fatta molta democrazia”, ed in particolare ci si è dati la nostra Costituzione e i relativi organismi istituzionali. Oggi, ciò che taluno propone, viene definito “eccezionale, salvifico, monumento di saggezza, di efficacia, di buon senso”. Tutta la ragione da una parte e tutto il torto dall’altra. Con buona pace del Manzoni, che era contrario alla possibilità di un “taglio netto” fra ragione e torto.

Ecco, vedete come è utile studiare la storia e fare i collegamenti fra i singoli fatti di una stessa fase e fra fasi diverse? Cosa ne deduco? Che non dobbiamo buttare via il bambino con l’acqua sporca …

 

Piazze di ieri …

Il fascismo nacque da una crisi. Crisi non economica, ma “crisi della diplomazia (fallimento diplomatico del dopoguerra) e da una “crisi di crescita della democrazia” che era ancora retta e dominata dal parlamento degli “anziani”, cioè dalla oligarchia degli anziani, per cui la democrazia era una “democrazia paterna” nella quale, per dirla con il Salvemini, “trenta milioni di cittadini erano governati da trenta persone a favore di 300.000 famiglie”. L’azione del “parlamento formale” era “deficiente” cioè “manchevole” e lasciò spazio allea “ammalianti sirene fasciste” che pretesero di cancellare l’intero sistema politico, facendo leva anche sul“grande numero di elettori” raggiunto con il suffragio universale.

 

… piazze di oggi

Anche oggi taluno agisce approfittando della crisi. In questo caso economica. E non è disponibile a contribuire ad una sana ed immediata correzione di marcia, la quale potrebbe evitare ulteriori cadaveri, preferendo aspettare che ulteriori cadaveri passino lungo il fiume della cronaca imminente, per addossarne la colpa al passato sistema e trionfare ulteriormente alle successive elezioni. Sulle ceneri dei “cadaveri ulteriori”.

Oggi si grida: il popolo vuole questa “rivoluzione generale”. Ma se la rivoluzione generale (di ieri, fascista) fosse stata “Volksgeist”, cioè “spirito del popolo”, essa avrebbe dovuto scoppiare soprattutto negli USA e in GB … non in Italia!

Infatti, tanto per fare un po’ di storia, mentre gli Italiani nel 1183  ottennero dal Barbarossa (Trattato di Costanza) l’autogoverno per le città italiane, la GB con la sua Magna Charta del 1215 sanciva diritti e privilegi dei baroni feudali! E nel 1915-1018 in USA chi era contrario alla guerra era imprigionato per 30 anni per il reato di pacifismo; gli insegnati contrari alla guerra venivano licenziati; venne bandito dalle scuole l’insegnamento della lingua tedesca. In GB l’arruolamento forzato in marina venne abilito solo nel 1870; fino al 1872 il voto era pubblico e palese; il voto plurimo (quello dei ricchi conta di più) fu abolito solo nel 1918; nel 1914 nacque un “esercito provato, quello dell’IRA!

Oggi si grida? Si, letteralmente, si grida: il popolo vuole questa rivoluzione. Quindi si tratterebbe di una rivoluzione voluta dal Volksgeist, dallo spirito del popolo. Ma ne siamo sicuri? Ne è sicuro chi ha preso il 25% dei votanti, votanti che sono il 75% degli aventi diritto, aventi diritto che sono (circa, dato assolutamente stimato da me, n.d.r.) l’80 della popolazione? Cioè, sarebbe una rivoluzione “generale” quella voluta dal 15 % della popolazione italiana?

Anche l’entrata in guerra nella prima guerra mondiale fu decisa su pressione di una minacciosa minoranza parlamentare e di una minacciosa minoranza della popolazione (“O la guerra o la rivoluzione civile!”) benchè la maggioranza del parlamento non ne fosse convinta e benchè la maggiorana della popolazione fosse contraria. Anche la fiducia al primo Governo Mussolini, rappresentnte formale di una esigua minacciosa minoranza parlamentare e di una esigua minacciosa ed armata minoranza di cittadini, fu decisa da una maggioranza parlamentare non convinta, contro il sentimento della maggioranza della popolazione. 

Prima guerra mondiale?  Già che ci siamo sfatiamo una leggenda: che l’Italia abbia tradito Germania ed Austria. Infatti l’accordo della Tiplice Slleanza era per guerre difensive e non aggressive (tanto è vero che Berlino e Vienna non protestarono quando l’Italia firmò un patto di non aggressione con la Francia) e comunque impegnava le parti a pre-consultarsi prima di assumere iniziative internazionali. Invece l’Austria aggredì la Serbia senza pre-consultare l’Italia, la quale fece sì un errore …  che fu quello di “non protestare formalmente in via prioritaria ” ma di “dichiararsi direttamente neutrale”. Il resto lo conoscete … e comunque ne parleremo nelle prossime puntate.

Fine della prima puntata

Fine del post

Ceterum censeo familiam Riva de possessione ILVAE deiciendam esse”, e cioè ritengo che occorra espropriare l’ILVA alla famiglia Riva, per evitare di essere costretti a scegliere fra due mali: la perdita di posti di lavoro o della salute pubblica. Il prezzo potrebbe essere corrisposto in “Monti bond Serie Speciale ILVA irredimibile 2%”, al netto delle somme trattenute per il risarcimento dei danni provocati, per l’adeguamento degli impianti, per il ripristino ambientale e per pagare gli operai anche se – nel frattempo – costretti a casa

Comments Closed

LARGO AI GIOVANI (DEPUTATI, SENATORI)

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 11 Marzo, 2013 @ 8:22 am

Detto altrimenti: “Adelante Pedro, con juicio …” scriveva il Manzoni

Largo ai giovani. Con giudizio. Io stesso mi sono sempre battuto in favore dei miei ex colleghi (i giovani, appunto), in particolar modo nel mondo del lavoro, rispettandoli, non strumentalizzandoli, cercando di farli crescere professionalmente. A ultima riprova di ciò, la critica che io ho fatto al Governo Monti è stata quella di essere composto solo da “grandi” (adulti, persone mature) e ricchi. Nemmeno un giovane, nemmeno una persona “ricca in modo normale, cioè oggi – purtroppo – quasi povera”.

Un Guru (di quelli d’una volta …)

Quindi ben vengano i giovani anche in parlamento. Solo mi permetto di sottoporre all’attenzione ed al giudizio delle lettrici e dei lettori una osservazione. Per fare bene qualsiasi mestiere/professione occorre una preparazione. Ciò vale per il meccanico d’auto, per il professore, per l’amministratore di condominio, per il dentista, il notaio etc.. Sembra invece che per quanto riguarda in nostro parlamento si sia passati da un eccesso all’altro. Cioè dai “parlamentari a vita” ai “parlamentari (troppo) improvvisati”, cioè a giovani “catapultati” in Parlamento da una assoluta mancanza di esperienza gestionale e politica.

Mi spiego meglio. Come dicevo, nella mia vita lavorativa (ero dirigente all’età di 30 anni) ho sempre valorizzato e formato i giovani. Ciò non ha significato che io abbia preteso di trasformare direttamente un neoassunto in un direttore generale. Natura non facit saltus, diceva quell’uno …

Ora vediamo che per selezionare gli assistenti dei neo parlamentari (preferisco non usare il termine “portaborse”), il Movimento5Stelle ha lanciato un bando-ricerca su internet (curriculum@movimento5stelle.it), per la ricerca di “assistenti legislativi con laurea in materie giuridiche-economiche con indirizzo pubblico, una profonda conoscenza del diritto costituzionale e diritto parlamentare, dei sistemi applicativi software di scrittura, database e fogli di calcolo, di internet, dei social network e della posta elettronica” (una nota comica: vorrò vedere se  a rispondere ad un’offerta di impiego, molto allettante soprattutto dati i tempi, vi saranno anche giovani laureati bocconiani!).

Bene, benissimo, per gli assistenti. Ma per i “titolari”, quali requisiti si sono richiesti? A me pare, in molti casi, nessuno, se non quello di fare numero, di non parlare, di non parlamentare e di votare come ordina il capo gruppo, che a sua volta vota come ordina il suo guru Grillo che a sua volta “ascolta molto” il suo guru Casaleggio. Di guru un guru … insomma.

P.S. 1):  aveva detto massimo €2.500 a testa. Ora mi pare che abbia detto: a testa  €5.ooo lordi. Ma siccome sono esentasse, i lordi sono anche netti. Insomma, sono 2.500 o 5.000? Chi mi può chiarire?

P.S. 2): dalla TV (RAI, L’Arena, domenica pomeriggio 10 marzo 2013) apprendiamo che una signora (infermiera) è neo senatrice e il figlio convivente  (musicista disoccupato) è neo deputato: ma allora, non c’è conflitto di interessi? Dove va a finire il bicameralismo?

Fine del post

Ceterum censeo familiam Riva de possessione ILVAE deiciendam esse”, e cioè ritengo che occorra espropriare l’ILVA alla famiglia Riva, per evitare di essere costretti a scegliere fra due mali: la perdita di posti di lavoro o della salute pubblica. Il prezzo potrebbe essere corrisposto in “Monti bond Serie Speciale ILVA irredimibile 2%”, al netto delle somme trattenute per il risarcimento dei danni provocati, per l’adeguamento degli impianti, per il ripristino ambientale e per pagare gli operai anche se – nel frattempo – costretti a casa.

Comments Closed