1 MAGGIO – FESTA DEL LAVORO

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 1 Maggio, 2016 @ 8:30 pm

Detto altrimenti: un aspetto, il caporalato                             (post 2363)

thANB9FBN6Il lavoro c’è/non c’è, aumenta/diminuisce etc.. Mille aspetti di un problema complesso. Io, da semplice blogger, mi limito ad un singolo particolare di un singolo problema, un “particolare” del caporalato. Festa del Lavoro, accendi la TV e ti becchi un servizio su e contro il caporalato. E che ti viene in mente? La figura del “caporale” ovviamente! Il caporale qua, il caporale là … sono delinquenti, profittatori, mafiosi etc..

Concordo. Ma non basta. Le parole non bastano, nel senso che non ho sentito parlare degli “imprenditori che si avvalgono dei caporali”. Dice … si ma quelli gli imprenditori disonesti che si avvalgono dei lavoratori procurati e gestiti dai caporali … quelli sono un fenomeno che rientra nella categoria del fenomeno “caporalato” nel senso che se dici quella parola hai ricompreso tutto e tutti, anche loro.

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Prevenzione, controlli e repressione!

Ho capito ma tant’è. Tant’è cosa? Direte voi … Arrivo, arrivo! Tant’è che poichè le parole sono pietre (firmato Don Lorenzo Milani), esse vanno utilizzate con cura, tutte e solo quelle che servono. E qui occorreva utilizzare anche le parole “imprenditori disonesti conniventi profittatori delle violenze dei caporali”. E invece no. Alla TV: “i caporali … stranieri ma anche italiani …”. E ci risiamo: il nostro pensiero va a quei delinquenti d’importazione o nostrani  (i nuovi scafisti: gli scafisti di terra ferma) non immediatamente anche agli imprenditori che se ne avvalgono. Dice … ma io imprenditore pago il giusto. Eh no caro … intanto turni di lavoro di 12-14 ore al giorno non sono “giusti”. E poi, a chi dai i soldi? Cosa? Li dai ai lavoratori? Si, ho capito, ma mi devi spiegare perché li paghi parte in assegni e parte in contanti …

Ipocrisia. Dovrebbe essere rubricata come un’aggravante del reato.

 

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SIMBOLI – 3

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 1 Maggio, 2016 @ 10:53 am

Detto altrimenti: le istituzioni simbolo                                    (post 2362)

In due recenti post mi sono cimentato con la natura ed il significato dei simboli, come di un quid che catalizza il nostro “muoversi verso”, “aspirare a”, e lo accomuna a “muoversi verso” di altri che fanno riferimento allo stesso simbolo.

Per coloro che si fossero messi in ascolto in questo momento: il simbolo di uno Stato fa sì che ciascun cittadino si senta “legato” ai suoi concittadini non direttamente da una infinità di rapporti personali, ma “attraverso” la comune adesione al simbolo. Lo stesso vale per un partito politico, il cui simbolo è di tutti gli aderenti e di nessuno in modo esclusivo, nemmeno del suo fondatore, perché in tal caso questa identificazione trasformerebbe il simbolo da elemento di unione in elemento di sopraffazione e ingabbiamento delle menti degli aderenti.

La legge è una istituzione. Le istituzioni sono un simbolo. La legge è un simbolo. Ognuno di noi fa riferimento alle Istituzioni, se non altro per una sua particolare utilità. Infatti esse assicurano (in una misura accettabile) che i comportamenti degli “altri” verso di noi (e i nostri verso gli altri) siano mantenuti entro i confini della (nostra accettata) legalità. In loro assenza, queste cautele dovrebbero essere approntate da ogni cittadino verso ciascun altro suo interlocutore e sai che fatica!

Detto ciò, se un non-appartenente-alle-istituzioni viola la legge, costui si pone al di fuori del gruppo che si identifica in quel simbolo (ovvero: nella legge-istituzione-simbolo). Il danno sociale si ferma qui.

thSSLVX5JDMa se a violare la legge è un appartenente alle istituzioni (ad esempio un parlamentare), costui distrugge se stesso, ovvero distrugge il simbolo e una sua punizione non ripristina se non in parte lo status quo. Infatti, nel frattempo, l’istituzione simbolo (il parlamentare, nell’esempio) che distrugge se stesso (il simbolo che rappresenta), può indurre in cittadini-non-istituzione un pericoloso ragionamento: “Costui ha distrutto il legame-simbolo-sociale che ci unisce, quindi “liberi tutti”! Perché dovrei rispettare le norme (ad esempio fiscali, n.d.r.) se soprattutto gli appartenenti alle istituzioni le violano?” E ancora, se il parlamentare-simbolo per una qualche ragione riesce ad evitare la sanzione (1), il cittadino comune continua: “Perché dovrei subire io una sanzione, se altri la evitano?”

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(1) Il riferimento è alla immunità parlamentare, spesso invocata in modo improprio. Infatti si sente dire: “Io voto contro la concessione degli arresti perchè il parlamentare Tizio non ha commesso ciò che gli è contestato”, mentre la legge prevede che il parlamento NON sia chiamato a giudicare nel merito se costui abbia o meno commesso quel fatto, ma solo se l’accusa mossagli sia strumentale per impedirgli l’azione politica, il che è tutt’altra cosa.

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PANNI AL SOLE

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 30 Aprile, 2016 @ 9:19 am

 

Detto altrimenti: panni al sole …     (senza parole)                                          (post 2361)

 

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 … del Trentino

 

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IL DISPERATO DOLOR PER LA NOSTRA BELLA LINGUA

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 30 Aprile, 2016 @ 8:48 am

Detto altrimenti: sarà pur vero che è l’uso che fa la lingua, ma quann’è troppo è troppo!    (post 2360)

Eh no, raga, scialla, calma, quann’è troppo è troppo!”. Che sto’ a dì? Che il nostro Dante Alighieri, Padre della Lingua Italiana, scriveva (ed era all’Inferno!):

“Tu vuo’ ch’io rinovelli disperato dolor che ‘l cor mi preme …del bel paese là dove ‘l sì suona”.

th34XR4D6LScriveva … ma il Bel Paese ormai purtroppo è diventato un formaggio. E il “sì” suona sempre di meno. E tutto ciò mi “rinovella disperato dolor”. Ma veniamo al dunque e vediamole queste stonature del “suono” del nostro sì. Ne elenco alcune e invito le lettrici ed i lettori a segnalarmene ulteriori:

  • briffare: dare informazioni in funzione di istruzioni. Devo briffare quel fornitore su cosa ci serve esattamente;
  • fasare: coordinare. Usato più spesso nella forma riflessiva. Mi devo fasare con …;
  • suggestione: suggerimento. Mi permetto di sottoporvi una suggestione (in questo caso la storpiatura è ancor più grave perché il termine “suggestione” in italiano esiste ed ha tutt’altro significato);
  • basato: situato, ha sede in. Quella società è basata a Milano (anche in questo caso …. v. sopra);
  • skillato: dotato di competenze. Tizio non è skillato per questa mansione;
  • conference call: telefonata (ma che bisogno c’era?);
  • fare un drin: telefonare (v. sopra);
  • splittare: articolare, dettagliare. Mi splitti la tua idea?

 E ora coraggio lettrici e lettori, a voi la parola: quali  suggestioni potete darmi?

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SIMBOLI – 2

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 29 Aprile, 2016 @ 6:02 am

Detto altrimenti: a seguito del mio post 2351 di qualche giorno fa …     (post 2359)

Premessa

Recentemente si sono tenute riunioni di un partito che ha il suo simbolo … entro il quale – da parte del suo ideatore che ne stava perDendo il controllo assoluto – è stato creato un “sotto-simbolo” , un tentativo di “simbolo novante” …

Fine della premessa.

Le persone si riuniscono: in società, in associazioni, in partiti, in club, in nazioni, etc.. La sintesi di questi insiemi non avviene per la somma di “unioni di coppia” (Tizio con Caio; Sempronio con Martino, etc.) ma in quanto tutti gli aderenti ad uno stesso  insieme si riconoscono in uno stesso  “simbolo”, in “qual” simbolo, sia esso sportivo, del volontariato, nazionale …

… anche politico. Il simbolo riunisce ed è tale in quanto è di tutti, ovvero di nessuno in modo esclusivo e particolare. Nessuno può impadronirsene come cosa solo propria espropriando gli altri. Nemmeno il suo ideatore, in quanto ciò distruggerebbe la fiducia ed il legame “reciproco” dei tanti aderenti e il simbolo, da “speranza comune” diverrebbe “segnale di guerra”.

Quando il simbolo è stato “privatizzato”, sparisce dalla scena come tale, anzi, nell’interesse del suo accaparratore, “deve” sparire: infatti, guai se restasse lì a testimoniare l’accaparramento! Tuttavia in un caso il simbolo sopravvive anche all’accaparramento: quando il suo accaparratore lo utilizza per “gestire il presente” e non per “governare il futuro”: in tal caso tuttavia il simbolo NON è più un simbolo politico.

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Ove ciò invece purtroppo avvenisse, e cioè che il simbolo fosse accaparrato da uno solo, esso perderebbe la sua natura e da simbolo diverrebbe diabolon, ovvero una diavoleria in quanto il suo unico possessore ne governerebbe i contenuti, inculcandoli come propaganda e come pubblicità nella testa degli altri, facendone uno strumento di governo e di dominio delle coscienze: il simbolo sarebbe in tal modo diventato strumento di trasformazione delle donne e degli uomini in masse fanatizzate non pensanti in proprio capaci di mobilitazioni violente  su larga scala.

In altre parole: il simbolo politico può  catalizzare una forte spinta verso la libertà oppure una forza oppressiva della libertà.

Ma … chi tende ad appropriarsi del simbolo? Il demagogo, che opera una pericolosa identificazione: il capo nel popolo, il popolo nel capo. Nella storia ne abbiamo visti molti. Napoleone, Franco, Mussolini, Hitler, Stalin, Mao, Castro, Kim Jong, Kin Sung, etc.. E oggi, nella politica odierna? Lascio il compito di scoprire l’arcano alle mie lettrici ed ai miei lettori … Ecchè? Devo dirvi tutto io?

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GIULIO REGENI

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 28 Aprile, 2016 @ 12:58 pm

Detto altrimenti: più chiaro di cosi …                                     (post 2358)

il 25 aprile è troppo vicino perché non mi sia venuta alla mente una data: il 3 gennaio 1925 quando Benito Mussolini si assunse pubblicamente la responsabilità del delitto Matteotti.

thOR9QU5B7Oggi un altro governante si è assunta una analoga responsabilità, quella del massacro di Giulio Regeni. Come? Attraverso la scelta di farne ritrovare il cadavere martoriato: ecco il messaggio, ecco la firma: “Vvedete cosa succede a fare i cattivi”? Cui prodest, cui bono? Avrebbe detto il nostro Cicerone. Chi trae vantaggio dal ritrovamento di quel corpo martoriato? L’attuale governo egiziano no – sembrerebbe – stante i problemi che stanno insorgendo circa l’appuramento della verità. E invece si, proprio quel governo, quello che incarcera i giornalisti e lascia che una sua presentatrice TV dica: ”All’ inizio provavo pietà per Regeni, ma poi … ora si sta esagerando … come se fosse l’unico ammazzato  al mondo … non se ne può più … che vada al diavolo” (sic).

Che fare, noi Italiani?

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Le strisce! mettiamole le strisce!

Io vivo di un’utopia, ovvero di una speranza non (ancora) realizzata: quella degli Stati Uniti d’Europa. Infatti in questo caso, previo un accordo in tal senso con gli USA, si sarebbe in grado di indirizzare i comportamenti degli Stati terzi verso forme democratiche, di tolleranza, di rispetto dei diritti politici, civili, del lavoro di tutti. In attesa di ciò, che fare? Ecchè, devo dire tutto io? Abbiamo un Governo, paesi alleati, organizzazioni europee e trans europee … a meno che, nel frattempo, qualche nostra nazione “amica” non approfitti della crisi italo-egiziana per ampliare il suo rapporto commerciale e finanziario con l’Egitto a scapito nostro. Senza fare nomi … per carità!

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DAMNATIO MEMORIAE

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 28 Aprile, 2016 @ 8:49 am

Detto altrimenti: … in chiave moderna                    (post 2357)

thWAWPGUGGDa internet: “damnatio memoriae” è una locuzione in lingua latina che significa letteralmente condanna della memoria. Nel diritto romano indicava una pena consistente nella cancellazione della memoria di una persona e nella distruzione di qualsiasi traccia che potesse tramandarla ai posteri, come se non fosse mai esistita. Si trattava di una pena particolarmente aspra riservata agli hostes, ossia ai nemici di Roma e del senato, reali o presunti o divenuti tali dopo essere caduti in disgrazia del potere politico.

E oggi? Anche oggi, in ambiti e scale diverse, ma anche oggi … Alcuni esempi? Vabbè, ma senza fare nomi intesi?

Una Associazione di volontariato retta per tanti anni da una stessa presidenza, molto attiva, molto operativa, ricca di conoscenza e di conoscenze e di risultati. Alla scadenza dell’ultimo mandato la nuova presidenza si trova di fronte ad un bivio: continuare l’opera della precedente gestione, arricchendola, il che comporterebbe il farsi carico di una grande mole di lavoro e di responsabilità ed il confronto con il passato, oppure. Oppure cosa, direte voi?! Oppure – magari con la scusa di cambiarne l’indirizzo della sede legale – cercare di rifondare formalmente e/o sostanzialmente l’Associazione e ripartire da zero o quasi, su basi più ridotte. Ma per fare questo bisogna cancellare il passato, ogni segno simbolo della precedente gestione e delle precedenti persone, che quindi sono condannate ad una moderna “damnatio memoriae”: cancellazione dei simboli, di ciò che può “ricondurre a-“, di ciò che può unire il passato al futuro: si toglie il nome dal libretto del bilancio, si cancella l’indirizzo e-mail, ci si appropria sotto nome diverso o anche dello stesso nome delle idee e delle realizzazioni altrui. Ed è fatta.

Questa stessa cosa può accadere anche in una SpA, soprattutto – anzi, specialmente se! – se la persona “condannanda” (da condannarsi, perifrastica passiva) alla damnatio memoriae ha agito bene. Infatti, nella pseudo morale odierna, guai a dovere essere riconoscenti a qualcuno! Molto meglio dannarne la memoria o quanto meno ignorare lui e la sua opera.

thSGZ3K8WPMa facciamo un distinguo. Infatti vi è damnatio e damnatio, quella di chi ha agito bene e quella di chi ha agito male. Quest’anno ricorrono 400 anni dalla morte di William Shakespeare. nella sua “Orazione funebre di Mrcantonio alla morte di Giulio Cesare”, Shakespeare fa dire ad Marcantonio:

The evil that men do lives after them; the good is oft interred with their bones. So let it be with Cesar, ovvero, il male che gli uomini fanno (in tutti i casi, n.d.r.) vive dopo di loro; il bene è spesso sotterrato con le loro ossa. Lasciamo che sia così anche per Cesare.

Ora, io concordo solo parzialmente con la valutazione implicitamente pessimistica insita nelle constatazioni del grande drammaturgo, nel senso che la memoria del male passato a mio avviso non è un male (scusate il gioco di parole): la memoria di quel male va conservata, non per vendicarsene quanto per impedirne una ripetizione. Per questo motivo si mantiene aperta la visita ai campi di sterminio nazisti. Per questo motivo io non concordo del tutto con la cancellazione a colpi di scalpello delle effigi fasciste: che stiano lì, a ricordarci il male del fascismo acciocchè non si ripeta.

Sono invece – purtroppo – d’accordo con Sir William che spesso (“oft”, “often”) il bene fatto da taluno viene seppellito con il suo autore.

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Concludo con una considerazione “moderna” in quanto “attuale”: la damnatio memoriae di chi ha agito bene rappresenta un danno per il settore in cui quella persona aveva operato: la distruzione della memoria storica, l’interruzione di un processo di crescita, la regressione di cultura e di civiltà. Un po’ come quando – ieri come oggi – i barbari d’oltr’Alpe o dell’Isis distruggevano e distruggono ciò che non comprendono, ciò che non sono in grado di produrre o riprodurre essi stessi, ciò che li ricollega (i simboli, ecco: ciò che collega a-) ad altro.

Ecco cosa fanno oggi, i nuovi barbari di certe SpA e Associazioni che ricorrono a questo tipo di damnatio memoriae, solo per non confrontarsi con chi è stato ed è migliore di loro.

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E TU AUSTRIA …

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 28 Aprile, 2016 @ 5:05 am

Detto altrimenti: ancora una volta? Noch ein Mal?                   (post 2356)

E ci risiamo con il nazionalismo: “Io il Brennero lo chiudo … anzi, lo faccio chiudere dalla mia polizei, che sia lei a dirlo agli Italiani, da polizei a possibili contravventori del mio diktat, non da Stato a Stato”.

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Questa e non altra è la bandiera da mettere al Brennero, altro che reti e fili spinati!

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Eh, no, cara Austria, questa non te la faccio passare liscia. Ma come ti permetti? E per di più ce lo fai dire dal capo della tua polizei con toni che vanno dal rimprovero alla minaccia? Ancora una volta? Non ti basta di avere dato i natali a quel tale Adolf Hitler? Noch ein Mal?

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Questa volta mi hai fatto arrabbiare: prima guerra mondiale, l’hai persa, ricordi? E noi Italiani male abbiamo fatto ad accettare il confine al Brennero: avremmo dovuto portarlo verso le tue valli, come ha fatto con noi la Francia al Passo del Monginevro, dopo che noi la seconda guerra mondiale l’abbiamo persa eccome! Altro che Brennero o Salorno!

E tu Austria che “eri” la più forte … (la canzone dei nostri Alpini recitava che “sei” la più forte) ora ci vuoi imporre la presenza della tua polizei in divisa (magari anche armata) sui treni già sul nostro territorio? Ma via … la divisa della nostra Polizia, dei nostri Carabinieri è un simbolo, dal greco sumbolon, segno di riconoscimento, che unisce, che denota un legame (così dal vocabolario Lorenzo Rocci), diventato in latino symbolus, con lo stesso significato. Lo stesso la nostra bandiera. E tu vuoi imporci i tuoi simboli a fianco dei nostri? No, non va. Piuttosto dovresti attivarti per la creazione di un Simbolo Europeo, in questo caso di una Polizia Europea: allora avresti tutto il nostro appoggio, allora sì che potremmo anche rinunciare al nostro simbolo!

Vedi, cara Austria, noi veniamo dalla commemorazione del 25 aprile e a Riva del Garda un nostro Concittadino, l’ Avvocato Renato Ballardini, nel 1945 partigiano quindicenne,  ci ha ricordato che il pericolosissimo dramma dei nostri tempi sono i nazionalismi, gli stessi che in trent’anni di storia (1914-1945) sono stati capaci di regalarci ben cinque guerre di due mondiali!

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Ma ti rendi conto, Austria del danno che stai facendo alla faticosa se pur condivisa e condivisibile costruzione delle Euroregioni e della stessa Europa? E poi, cosa diresti se a nostra volta noi esigessimo la presenza della nostra Polizia sui treni che salgono da Innbruck per verificare che non entrino in Italia i tuoi naziskin?

Dai … Austria, siamo seri! Chiudere il Brennero? Non son cose che si fanno! Noi e l’Europa non te lo permetteremo.

P.S.: gli immigrati come i rifiuti? Vanno “smaltiti ma non nel mio giardino?” Ecchè, dovremmo ricacciarli in mare? Cannoneggiarli? Farli affogare? Ma non eri tu uno Stato Cattolico? E qui sì che uso le maiuscole …

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FABIO PIPINATO IN AFRICA

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 27 Aprile, 2016 @ 5:53 pm

Detto altrimenti: andate a rileggere il post n. 1762 del 21 novembre 2014 (lo trovate cliccando “Fabio Pipinato” nel riquadro sotto il mio curriculum qui a fianco           (post 2355)

Un aggiornamento. Ora quei forni, incubatrici per pulcini e molto altro, hanno una “app” in più: ricaricano i telefonini. Cosa da poco? Qui da noi si, ma nella savana e nelle foreste africane la musica è diversa. Pertanto ricevo da Fabio e pubblico molto volentieri.

Inizia

La stufa che favorisce il risparmio energetico e cova le uova, già presentato da Combonifem, ora è anche in grado di ricaricare i cellulari. È questa la nuova “sfida” promossa dall’Istituto Pace Sviluppo e Innovazione (IPSIA) delle ACLI trentine in partenariato con Fondazione Fontana e l’associazione Tree is Life in Kenya. Ad accettare la sfida è stato l’artigiano Gianni Gecele in collaborazione con altri volontari, che ha apportato alla già famosa “stufa che cova le uova” un’innovazione al passo coi tempi.stufa cellLa stufa che cova le uova è un successo internazionale. Presentata a Papa Francesco in Vaticano e all’EXPO di Milano, fu premiata nell’ottobre 2014 a Nairobi con il Green Innovation Award e riconosciuta dalle Nazioni Unite (Agenzia Unwomens) per il contributo che fornisce nel migliorare le condizioni di vita delle donne (sono loro che percorrono chilometri per recuperare la legna per riscaldarsi e cucinare).

La “cucina” è una tecnologia sociale aperta, free, come un software a codice aperto per un computer. Chiunque può costruirsela e migliorarla. Ecco perché con il passaparola è arrivata anche in altri paesi della Rift Valley come Uganda, Tanzania e Malawi. Semplice nel suo funzionamento, fa risparmiare legna rispetto alla stufa tradizionale africana; riscalda l’ambiente nelle notti degli altipiani e fa da incubatrice prima alle uova e poi ai neonati pulcini. Fabbricata con “malta-in-paglia” su una semplice struttura in legno, possiede un paio di vasi di materiale refrattario, in cui viene bruciata la legna. Alla sua base ha anche uno spazio che, come nelle stufe trentine, doveva servire per asciugare la legna e che poi s’è rilevato importante incubatore dove nascono i pulcini.

In un paio d’anni migliaia di stufe sono state auto-costruite e certificate dall’organizzazione kenyota “Tree is Life” nelle comunità di Laikipia e Nyandarua, dove viene realizzato il progetto“Promuovere l’uso di cucine a risparmio energetico e di altre tecnologie domestiche e agricole eco sostenibili per la riduzione della povertà e la tutela dell’ambiente in Kenya”. Progetto sostenuto dalla Provincia Autonoma di Trento e Fondazione San Zeno.

Volontario di IPSIA del Trentino, Gianni Gecele ha presentato i primi passi per l’innovazione della stufa – che dà la possibilità di ricaricare il cellulare – al recente Festival dell’Etnografia del Trentino realizzato al Museo degli usi e costumi di San Michele all’Adige.

“Abbiamo saputo che in Malawi hanno realizzato un sistema per generare energia elettrica a partire dalla stufa, e questo mi ha dato un input per questa sfida”, afferma Gecele. Dopo mesi di studio, in collaborazione con volontari, e tentativi si è arrivati ad implementare la stufa con un prodotto venduto in internet completo di uscita USB, già usato in Africa, che produce un’energia utile a ricaricare il cellulare.

Applicandolo alla stufa e accendendo il fuoco per cucinare è possibile ricaricare gli apparecchi elettronici tramite un uscita USB a 5 volt”.

Fatto il primo passo, ci aspetta ancora un lungo cammino di collaborazione, ricerca, di semplificazione. Si è voluto cogliere l’occasione di questo evento per lanciare il messaggio che è possibile soddisfare questo bisogno utilizzando tecnologie e prodotti noti. Personalmente non sono ancora soddisfatto e per me la sfida non è ancora vinta. Ci stiamo ancora lavorando. Quello che ci piacerebbe è arrivare allo stesso risultato ma realizzando un sistema in grado di generare energia elettrica dalla stufa alla portata di tutti. Che possa essere auto-costruito a basso costo e sfruttando materiali e risorse presenti in loco“, continua Gecele.

In Africa c’è un miliardo di persone. Negli altipiani della Rift Valley è freddo di notte e caldo di giorno. Se guardiamo il continente dall’alto – dall’aereo o con Google Earth – possiamo constatare quanto l’energia elettrica sia presente solo attorno alle città principali e in genere “c’è campo” per i cellulari solo in prossimità delle strade asfaltate grazie ai ripetitori ivi installati.

“Eppure sia il contadino africano che il pastore ha un cellulare di proprietà per rimanere in contatto con i propri cari o per i propri business. Il suo problema è ricaricare il telefonino ogni volta che raggiunge un centro urbano o un pannello solare comunitario. A volte si parla di decine di chilometri se non centinaia prima d’incontrare un punto luce. Se questa innovazione riuscirà a ridurre ancora i suoi costi d’installazione, come accaduto con l’invenzione, frutto della collaborazione tra Trento e Nyahururu, della prima incubatrice a legna con la stufa che cova le uova, potremmo migliorare non poco la qualità della vita di molti che abitano in zone rurali. Utilizzando semplicemente il fuoco; l’energia che è presente in tutte le case o baracche africane”, ribadisce il presidente di IPSIA del Trentino, Fabio Pipinato.

Accanto e in integrazione, il progetto prevede l’organizzazione di momenti di formazione (corsi residenziali o giornalieri, visite sul campo, ecc.) e informazione (competizioni scolastiche, trasmissioni radio, openday, ecc.) rivolte ai gruppi comunitari, alle scuole e alla comunitaÌ€ in generale dell’area target per sensibilizzare sul tema della tutela ambientale, del cambiamento climatico e delle tecnologiche per ridurre la povertaÌ€ tutelando l’ambiente e le risorse naturali circostanti in una strategia di sviluppo sostenibile integrato per le regione di Laikipia e Nyandarua.

Chi fosse interessato a supportare il progetto può fare una donazione a Ipsia del Trentino IBAN IT29 G083 0401 8070 0000 7335 132

Finisce

Che dire? Bravo Fabio! Bravo Gecele!

 

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400 ANNI DALLA MORTE DI WILLIAM SHAKESPEARE  (BY ALFONSO MASI)

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 27 Aprile, 2016 @ 5:38 pm

Detto altrimenti: monologhi di Shakespeare all’Associazione Culturale Rosmini in Trento               (post 2354)

DSC_5158Dopo aver celebrato il quadricentenario della morte di Cervantes con un recital sul Don Chisciotte (v. post n. 2353), martedì 26 aprile, nella stessa sede dell’Associazione Culturale Rosmini di Trento è stata la volta di Shakespeare. Per l’anniversario del drammaturgo inglese è andato in onda il recital “Essere o non essere”, una maratona di monologhi shakespeariani curata da  Alfonso Masi e presentata da Antonia Dalpiaz. Io non c’ero, trattenuto da altri impegni. E mi è dispiaciuto moltissimo, soprattutto perché – grazie ai miei professori . ricordo ancora a memoria alcune parti significative dell’orazione di Antonio e del Macbeth. Mi sono tuttavia fatto mandare da Alfonso una sua nota e alcune foto che riporto molto, molto volentieri.

Inizia

DSC_5162L’opera di Shakespeare si presenta come una immensa galleria di personaggi e proprio alcuni di questi sfilano sotto gli occhi degli spettatori: l’impulsivo Romeo (Bruno Vanzo); l’appassionata Giulietta (Ester D’Amato); postumo tremendo dispregiatore delle donne (interpretato in dialetto romanesco da Mimmo Iannelli); quell’otre di grasso che ha nome Falstaff (Alfonso Masi); l’amletico Amleto (con due interpretazioni diverse di ito Basiliana e di Ester D’Amato); Kate la bisbetica finalmente domata (ancora Ester D’Amato); lo spergiuro Biron che non mantiene la promessa di non innamorarsi (Bruno Vanzo); la diabolica Lady Macbeth (Mariabruna Fait);  Jacques per il quale tutto il mondo è un palcoscenico (Mimmo Iannelli sempre in dialetto romanesco); Antonio l’abile oratore che pronuncia l’orazione funebre sulla salma di Cesare (Alfonso Masi). Alla fine applausi per tutti; e rimane il desiderio di leggere integralmente i drammi o le commedie dalle quali sono emersi i personaggi presentati.

Finisce

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Che dire? Alfonso “crea cultura” nel senso che studia, ricerca, esamina, consulta e poi fa la cosa più difficile: dell’evento a secondo dei casi letterario, teatrale, storico, artistico egli fa la sintesi, ne cura la regia e ci regala pillole di cultura e di memoria. Per non parlare poi del suo staff che lo accompagna nelle sue rappresentazioni. E allora … GRAZIE Alfonso, GRAZIE amici tutti dello staff e … alla prossima, ovvero.

  • 29 aprile presentazione dell’ultimo libro del neo ottantenne Giovanni Duca.
  • 27 maggio “Nel mezzo del cammin di nostra vita”.

 

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