IL DISPERATO DOLOR PER LA NOSTRA BELLA LINGUA

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 30 Aprile, 2016 @ 8:48 am

Detto altrimenti: sarà pur vero che è l’uso che fa la lingua, ma quann’è troppo è troppo!    (post 2360)

Eh no, raga, scialla, calma, quann’è troppo è troppo!”. Che sto’ a dì? Che il nostro Dante Alighieri, Padre della Lingua Italiana, scriveva (ed era all’Inferno!):

“Tu vuo’ ch’io rinovelli disperato dolor che ‘l cor mi preme …del bel paese là dove ‘l sì suona”.

th34XR4D6LScriveva … ma il Bel Paese ormai purtroppo è diventato un formaggio. E il “sì” suona sempre di meno. E tutto ciò mi “rinovella disperato dolor”. Ma veniamo al dunque e vediamole queste stonature del “suono” del nostro sì. Ne elenco alcune e invito le lettrici ed i lettori a segnalarmene ulteriori:

  • briffare: dare informazioni in funzione di istruzioni. Devo briffare quel fornitore su cosa ci serve esattamente;
  • fasare: coordinare. Usato più spesso nella forma riflessiva. Mi devo fasare con …;
  • suggestione: suggerimento. Mi permetto di sottoporvi una suggestione (in questo caso la storpiatura è ancor più grave perché il termine “suggestione” in italiano esiste ed ha tutt’altro significato);
  • basato: situato, ha sede in. Quella società è basata a Milano (anche in questo caso …. v. sopra);
  • skillato: dotato di competenze. Tizio non è skillato per questa mansione;
  • conference call: telefonata (ma che bisogno c’era?);
  • fare un drin: telefonare (v. sopra);
  • splittare: articolare, dettagliare. Mi splitti la tua idea?

 E ora coraggio lettrici e lettori, a voi la parola: quali  suggestioni potete darmi?

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SIMBOLI – 2

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 29 Aprile, 2016 @ 6:02 am

Detto altrimenti: a seguito del mio post 2351 di qualche giorno fa …     (post 2359)

Premessa

Recentemente si sono tenute riunioni di un partito che ha il suo simbolo … entro il quale – da parte del suo ideatore che ne stava perDendo il controllo assoluto – è stato creato un “sotto-simbolo” , un tentativo di “simbolo novante” …

Fine della premessa.

Le persone si riuniscono: in società, in associazioni, in partiti, in club, in nazioni, etc.. La sintesi di questi insiemi non avviene per la somma di “unioni di coppia” (Tizio con Caio; Sempronio con Martino, etc.) ma in quanto tutti gli aderenti ad uno stesso  insieme si riconoscono in uno stesso  “simbolo”, in “qual” simbolo, sia esso sportivo, del volontariato, nazionale …

… anche politico. Il simbolo riunisce ed è tale in quanto è di tutti, ovvero di nessuno in modo esclusivo e particolare. Nessuno può impadronirsene come cosa solo propria espropriando gli altri. Nemmeno il suo ideatore, in quanto ciò distruggerebbe la fiducia ed il legame “reciproco” dei tanti aderenti e il simbolo, da “speranza comune” diverrebbe “segnale di guerra”.

Quando il simbolo è stato “privatizzato”, sparisce dalla scena come tale, anzi, nell’interesse del suo accaparratore, “deve” sparire: infatti, guai se restasse lì a testimoniare l’accaparramento! Tuttavia in un caso il simbolo sopravvive anche all’accaparramento: quando il suo accaparratore lo utilizza per “gestire il presente” e non per “governare il futuro”: in tal caso tuttavia il simbolo NON è più un simbolo politico.

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Ove ciò invece purtroppo avvenisse, e cioè che il simbolo fosse accaparrato da uno solo, esso perderebbe la sua natura e da simbolo diverrebbe diabolon, ovvero una diavoleria in quanto il suo unico possessore ne governerebbe i contenuti, inculcandoli come propaganda e come pubblicità nella testa degli altri, facendone uno strumento di governo e di dominio delle coscienze: il simbolo sarebbe in tal modo diventato strumento di trasformazione delle donne e degli uomini in masse fanatizzate non pensanti in proprio capaci di mobilitazioni violente  su larga scala.

In altre parole: il simbolo politico può  catalizzare una forte spinta verso la libertà oppure una forza oppressiva della libertà.

Ma … chi tende ad appropriarsi del simbolo? Il demagogo, che opera una pericolosa identificazione: il capo nel popolo, il popolo nel capo. Nella storia ne abbiamo visti molti. Napoleone, Franco, Mussolini, Hitler, Stalin, Mao, Castro, Kim Jong, Kin Sung, etc.. E oggi, nella politica odierna? Lascio il compito di scoprire l’arcano alle mie lettrici ed ai miei lettori … Ecchè? Devo dirvi tutto io?

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GIULIO REGENI

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 28 Aprile, 2016 @ 12:58 pm

Detto altrimenti: più chiaro di cosi …                                     (post 2358)

il 25 aprile è troppo vicino perché non mi sia venuta alla mente una data: il 3 gennaio 1925 quando Benito Mussolini si assunse pubblicamente la responsabilità del delitto Matteotti.

thOR9QU5B7Oggi un altro governante si è assunta una analoga responsabilità, quella del massacro di Giulio Regeni. Come? Attraverso la scelta di farne ritrovare il cadavere martoriato: ecco il messaggio, ecco la firma: “Vvedete cosa succede a fare i cattivi”? Cui prodest, cui bono? Avrebbe detto il nostro Cicerone. Chi trae vantaggio dal ritrovamento di quel corpo martoriato? L’attuale governo egiziano no – sembrerebbe – stante i problemi che stanno insorgendo circa l’appuramento della verità. E invece si, proprio quel governo, quello che incarcera i giornalisti e lascia che una sua presentatrice TV dica: ”All’ inizio provavo pietà per Regeni, ma poi … ora si sta esagerando … come se fosse l’unico ammazzato  al mondo … non se ne può più … che vada al diavolo” (sic).

Che fare, noi Italiani?

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Le strisce! mettiamole le strisce!

Io vivo di un’utopia, ovvero di una speranza non (ancora) realizzata: quella degli Stati Uniti d’Europa. Infatti in questo caso, previo un accordo in tal senso con gli USA, si sarebbe in grado di indirizzare i comportamenti degli Stati terzi verso forme democratiche, di tolleranza, di rispetto dei diritti politici, civili, del lavoro di tutti. In attesa di ciò, che fare? Ecchè, devo dire tutto io? Abbiamo un Governo, paesi alleati, organizzazioni europee e trans europee … a meno che, nel frattempo, qualche nostra nazione “amica” non approfitti della crisi italo-egiziana per ampliare il suo rapporto commerciale e finanziario con l’Egitto a scapito nostro. Senza fare nomi … per carità!

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DAMNATIO MEMORIAE

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 28 Aprile, 2016 @ 8:49 am

Detto altrimenti: … in chiave moderna                    (post 2357)

thWAWPGUGGDa internet: “damnatio memoriae” è una locuzione in lingua latina che significa letteralmente condanna della memoria. Nel diritto romano indicava una pena consistente nella cancellazione della memoria di una persona e nella distruzione di qualsiasi traccia che potesse tramandarla ai posteri, come se non fosse mai esistita. Si trattava di una pena particolarmente aspra riservata agli hostes, ossia ai nemici di Roma e del senato, reali o presunti o divenuti tali dopo essere caduti in disgrazia del potere politico.

E oggi? Anche oggi, in ambiti e scale diverse, ma anche oggi … Alcuni esempi? Vabbè, ma senza fare nomi intesi?

Una Associazione di volontariato retta per tanti anni da una stessa presidenza, molto attiva, molto operativa, ricca di conoscenza e di conoscenze e di risultati. Alla scadenza dell’ultimo mandato la nuova presidenza si trova di fronte ad un bivio: continuare l’opera della precedente gestione, arricchendola, il che comporterebbe il farsi carico di una grande mole di lavoro e di responsabilità ed il confronto con il passato, oppure. Oppure cosa, direte voi?! Oppure – magari con la scusa di cambiarne l’indirizzo della sede legale – cercare di rifondare formalmente e/o sostanzialmente l’Associazione e ripartire da zero o quasi, su basi più ridotte. Ma per fare questo bisogna cancellare il passato, ogni segno simbolo della precedente gestione e delle precedenti persone, che quindi sono condannate ad una moderna “damnatio memoriae”: cancellazione dei simboli, di ciò che può “ricondurre a-“, di ciò che può unire il passato al futuro: si toglie il nome dal libretto del bilancio, si cancella l’indirizzo e-mail, ci si appropria sotto nome diverso o anche dello stesso nome delle idee e delle realizzazioni altrui. Ed è fatta.

Questa stessa cosa può accadere anche in una SpA, soprattutto – anzi, specialmente se! – se la persona “condannanda” (da condannarsi, perifrastica passiva) alla damnatio memoriae ha agito bene. Infatti, nella pseudo morale odierna, guai a dovere essere riconoscenti a qualcuno! Molto meglio dannarne la memoria o quanto meno ignorare lui e la sua opera.

thSGZ3K8WPMa facciamo un distinguo. Infatti vi è damnatio e damnatio, quella di chi ha agito bene e quella di chi ha agito male. Quest’anno ricorrono 400 anni dalla morte di William Shakespeare. nella sua “Orazione funebre di Mrcantonio alla morte di Giulio Cesare”, Shakespeare fa dire ad Marcantonio:

The evil that men do lives after them; the good is oft interred with their bones. So let it be with Cesar, ovvero, il male che gli uomini fanno (in tutti i casi, n.d.r.) vive dopo di loro; il bene è spesso sotterrato con le loro ossa. Lasciamo che sia così anche per Cesare.

Ora, io concordo solo parzialmente con la valutazione implicitamente pessimistica insita nelle constatazioni del grande drammaturgo, nel senso che la memoria del male passato a mio avviso non è un male (scusate il gioco di parole): la memoria di quel male va conservata, non per vendicarsene quanto per impedirne una ripetizione. Per questo motivo si mantiene aperta la visita ai campi di sterminio nazisti. Per questo motivo io non concordo del tutto con la cancellazione a colpi di scalpello delle effigi fasciste: che stiano lì, a ricordarci il male del fascismo acciocchè non si ripeta.

Sono invece – purtroppo – d’accordo con Sir William che spesso (“oft”, “often”) il bene fatto da taluno viene seppellito con il suo autore.

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Concludo con una considerazione “moderna” in quanto “attuale”: la damnatio memoriae di chi ha agito bene rappresenta un danno per il settore in cui quella persona aveva operato: la distruzione della memoria storica, l’interruzione di un processo di crescita, la regressione di cultura e di civiltà. Un po’ come quando – ieri come oggi – i barbari d’oltr’Alpe o dell’Isis distruggevano e distruggono ciò che non comprendono, ciò che non sono in grado di produrre o riprodurre essi stessi, ciò che li ricollega (i simboli, ecco: ciò che collega a-) ad altro.

Ecco cosa fanno oggi, i nuovi barbari di certe SpA e Associazioni che ricorrono a questo tipo di damnatio memoriae, solo per non confrontarsi con chi è stato ed è migliore di loro.

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E TU AUSTRIA …

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 28 Aprile, 2016 @ 5:05 am

Detto altrimenti: ancora una volta? Noch ein Mal?                   (post 2356)

E ci risiamo con il nazionalismo: “Io il Brennero lo chiudo … anzi, lo faccio chiudere dalla mia polizei, che sia lei a dirlo agli Italiani, da polizei a possibili contravventori del mio diktat, non da Stato a Stato”.

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Questa e non altra è la bandiera da mettere al Brennero, altro che reti e fili spinati!

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Eh, no, cara Austria, questa non te la faccio passare liscia. Ma come ti permetti? E per di più ce lo fai dire dal capo della tua polizei con toni che vanno dal rimprovero alla minaccia? Ancora una volta? Non ti basta di avere dato i natali a quel tale Adolf Hitler? Noch ein Mal?

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Questa volta mi hai fatto arrabbiare: prima guerra mondiale, l’hai persa, ricordi? E noi Italiani male abbiamo fatto ad accettare il confine al Brennero: avremmo dovuto portarlo verso le tue valli, come ha fatto con noi la Francia al Passo del Monginevro, dopo che noi la seconda guerra mondiale l’abbiamo persa eccome! Altro che Brennero o Salorno!

E tu Austria che “eri” la più forte … (la canzone dei nostri Alpini recitava che “sei” la più forte) ora ci vuoi imporre la presenza della tua polizei in divisa (magari anche armata) sui treni già sul nostro territorio? Ma via … la divisa della nostra Polizia, dei nostri Carabinieri è un simbolo, dal greco sumbolon, segno di riconoscimento, che unisce, che denota un legame (così dal vocabolario Lorenzo Rocci), diventato in latino symbolus, con lo stesso significato. Lo stesso la nostra bandiera. E tu vuoi imporci i tuoi simboli a fianco dei nostri? No, non va. Piuttosto dovresti attivarti per la creazione di un Simbolo Europeo, in questo caso di una Polizia Europea: allora avresti tutto il nostro appoggio, allora sì che potremmo anche rinunciare al nostro simbolo!

Vedi, cara Austria, noi veniamo dalla commemorazione del 25 aprile e a Riva del Garda un nostro Concittadino, l’ Avvocato Renato Ballardini, nel 1945 partigiano quindicenne,  ci ha ricordato che il pericolosissimo dramma dei nostri tempi sono i nazionalismi, gli stessi che in trent’anni di storia (1914-1945) sono stati capaci di regalarci ben cinque guerre di due mondiali!

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Ma ti rendi conto, Austria del danno che stai facendo alla faticosa se pur condivisa e condivisibile costruzione delle Euroregioni e della stessa Europa? E poi, cosa diresti se a nostra volta noi esigessimo la presenza della nostra Polizia sui treni che salgono da Innbruck per verificare che non entrino in Italia i tuoi naziskin?

Dai … Austria, siamo seri! Chiudere il Brennero? Non son cose che si fanno! Noi e l’Europa non te lo permetteremo.

P.S.: gli immigrati come i rifiuti? Vanno “smaltiti ma non nel mio giardino?” Ecchè, dovremmo ricacciarli in mare? Cannoneggiarli? Farli affogare? Ma non eri tu uno Stato Cattolico? E qui sì che uso le maiuscole …

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FABIO PIPINATO IN AFRICA

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 27 Aprile, 2016 @ 5:53 pm

Detto altrimenti: andate a rileggere il post n. 1762 del 21 novembre 2014 (lo trovate cliccando “Fabio Pipinato” nel riquadro sotto il mio curriculum qui a fianco           (post 2355)

Un aggiornamento. Ora quei forni, incubatrici per pulcini e molto altro, hanno una “app” in più: ricaricano i telefonini. Cosa da poco? Qui da noi si, ma nella savana e nelle foreste africane la musica è diversa. Pertanto ricevo da Fabio e pubblico molto volentieri.

Inizia

La stufa che favorisce il risparmio energetico e cova le uova, già presentato da Combonifem, ora è anche in grado di ricaricare i cellulari. È questa la nuova “sfida” promossa dall’Istituto Pace Sviluppo e Innovazione (IPSIA) delle ACLI trentine in partenariato con Fondazione Fontana e l’associazione Tree is Life in Kenya. Ad accettare la sfida è stato l’artigiano Gianni Gecele in collaborazione con altri volontari, che ha apportato alla già famosa “stufa che cova le uova” un’innovazione al passo coi tempi.stufa cellLa stufa che cova le uova è un successo internazionale. Presentata a Papa Francesco in Vaticano e all’EXPO di Milano, fu premiata nell’ottobre 2014 a Nairobi con il Green Innovation Award e riconosciuta dalle Nazioni Unite (Agenzia Unwomens) per il contributo che fornisce nel migliorare le condizioni di vita delle donne (sono loro che percorrono chilometri per recuperare la legna per riscaldarsi e cucinare).

La “cucina” è una tecnologia sociale aperta, free, come un software a codice aperto per un computer. Chiunque può costruirsela e migliorarla. Ecco perché con il passaparola è arrivata anche in altri paesi della Rift Valley come Uganda, Tanzania e Malawi. Semplice nel suo funzionamento, fa risparmiare legna rispetto alla stufa tradizionale africana; riscalda l’ambiente nelle notti degli altipiani e fa da incubatrice prima alle uova e poi ai neonati pulcini. Fabbricata con “malta-in-paglia” su una semplice struttura in legno, possiede un paio di vasi di materiale refrattario, in cui viene bruciata la legna. Alla sua base ha anche uno spazio che, come nelle stufe trentine, doveva servire per asciugare la legna e che poi s’è rilevato importante incubatore dove nascono i pulcini.

In un paio d’anni migliaia di stufe sono state auto-costruite e certificate dall’organizzazione kenyota “Tree is Life” nelle comunità di Laikipia e Nyandarua, dove viene realizzato il progetto“Promuovere l’uso di cucine a risparmio energetico e di altre tecnologie domestiche e agricole eco sostenibili per la riduzione della povertà e la tutela dell’ambiente in Kenya”. Progetto sostenuto dalla Provincia Autonoma di Trento e Fondazione San Zeno.

Volontario di IPSIA del Trentino, Gianni Gecele ha presentato i primi passi per l’innovazione della stufa – che dà la possibilità di ricaricare il cellulare – al recente Festival dell’Etnografia del Trentino realizzato al Museo degli usi e costumi di San Michele all’Adige.

“Abbiamo saputo che in Malawi hanno realizzato un sistema per generare energia elettrica a partire dalla stufa, e questo mi ha dato un input per questa sfida”, afferma Gecele. Dopo mesi di studio, in collaborazione con volontari, e tentativi si è arrivati ad implementare la stufa con un prodotto venduto in internet completo di uscita USB, già usato in Africa, che produce un’energia utile a ricaricare il cellulare.

Applicandolo alla stufa e accendendo il fuoco per cucinare è possibile ricaricare gli apparecchi elettronici tramite un uscita USB a 5 volt”.

Fatto il primo passo, ci aspetta ancora un lungo cammino di collaborazione, ricerca, di semplificazione. Si è voluto cogliere l’occasione di questo evento per lanciare il messaggio che è possibile soddisfare questo bisogno utilizzando tecnologie e prodotti noti. Personalmente non sono ancora soddisfatto e per me la sfida non è ancora vinta. Ci stiamo ancora lavorando. Quello che ci piacerebbe è arrivare allo stesso risultato ma realizzando un sistema in grado di generare energia elettrica dalla stufa alla portata di tutti. Che possa essere auto-costruito a basso costo e sfruttando materiali e risorse presenti in loco“, continua Gecele.

In Africa c’è un miliardo di persone. Negli altipiani della Rift Valley è freddo di notte e caldo di giorno. Se guardiamo il continente dall’alto – dall’aereo o con Google Earth – possiamo constatare quanto l’energia elettrica sia presente solo attorno alle città principali e in genere “c’è campo” per i cellulari solo in prossimità delle strade asfaltate grazie ai ripetitori ivi installati.

“Eppure sia il contadino africano che il pastore ha un cellulare di proprietà per rimanere in contatto con i propri cari o per i propri business. Il suo problema è ricaricare il telefonino ogni volta che raggiunge un centro urbano o un pannello solare comunitario. A volte si parla di decine di chilometri se non centinaia prima d’incontrare un punto luce. Se questa innovazione riuscirà a ridurre ancora i suoi costi d’installazione, come accaduto con l’invenzione, frutto della collaborazione tra Trento e Nyahururu, della prima incubatrice a legna con la stufa che cova le uova, potremmo migliorare non poco la qualità della vita di molti che abitano in zone rurali. Utilizzando semplicemente il fuoco; l’energia che è presente in tutte le case o baracche africane”, ribadisce il presidente di IPSIA del Trentino, Fabio Pipinato.

Accanto e in integrazione, il progetto prevede l’organizzazione di momenti di formazione (corsi residenziali o giornalieri, visite sul campo, ecc.) e informazione (competizioni scolastiche, trasmissioni radio, openday, ecc.) rivolte ai gruppi comunitari, alle scuole e alla comunitaÌ€ in generale dell’area target per sensibilizzare sul tema della tutela ambientale, del cambiamento climatico e delle tecnologiche per ridurre la povertaÌ€ tutelando l’ambiente e le risorse naturali circostanti in una strategia di sviluppo sostenibile integrato per le regione di Laikipia e Nyandarua.

Chi fosse interessato a supportare il progetto può fare una donazione a Ipsia del Trentino IBAN IT29 G083 0401 8070 0000 7335 132

Finisce

Che dire? Bravo Fabio! Bravo Gecele!

 

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400 ANNI DALLA MORTE DI WILLIAM SHAKESPEARE  (BY ALFONSO MASI)

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 27 Aprile, 2016 @ 5:38 pm

Detto altrimenti: monologhi di Shakespeare all’Associazione Culturale Rosmini in Trento               (post 2354)

DSC_5158Dopo aver celebrato il quadricentenario della morte di Cervantes con un recital sul Don Chisciotte (v. post n. 2353), martedì 26 aprile, nella stessa sede dell’Associazione Culturale Rosmini di Trento è stata la volta di Shakespeare. Per l’anniversario del drammaturgo inglese è andato in onda il recital “Essere o non essere”, una maratona di monologhi shakespeariani curata da  Alfonso Masi e presentata da Antonia Dalpiaz. Io non c’ero, trattenuto da altri impegni. E mi è dispiaciuto moltissimo, soprattutto perché – grazie ai miei professori . ricordo ancora a memoria alcune parti significative dell’orazione di Antonio e del Macbeth. Mi sono tuttavia fatto mandare da Alfonso una sua nota e alcune foto che riporto molto, molto volentieri.

Inizia

DSC_5162L’opera di Shakespeare si presenta come una immensa galleria di personaggi e proprio alcuni di questi sfilano sotto gli occhi degli spettatori: l’impulsivo Romeo (Bruno Vanzo); l’appassionata Giulietta (Ester D’Amato); postumo tremendo dispregiatore delle donne (interpretato in dialetto romanesco da Mimmo Iannelli); quell’otre di grasso che ha nome Falstaff (Alfonso Masi); l’amletico Amleto (con due interpretazioni diverse di ito Basiliana e di Ester D’Amato); Kate la bisbetica finalmente domata (ancora Ester D’Amato); lo spergiuro Biron che non mantiene la promessa di non innamorarsi (Bruno Vanzo); la diabolica Lady Macbeth (Mariabruna Fait);  Jacques per il quale tutto il mondo è un palcoscenico (Mimmo Iannelli sempre in dialetto romanesco); Antonio l’abile oratore che pronuncia l’orazione funebre sulla salma di Cesare (Alfonso Masi). Alla fine applausi per tutti; e rimane il desiderio di leggere integralmente i drammi o le commedie dalle quali sono emersi i personaggi presentati.

Finisce

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Che dire? Alfonso “crea cultura” nel senso che studia, ricerca, esamina, consulta e poi fa la cosa più difficile: dell’evento a secondo dei casi letterario, teatrale, storico, artistico egli fa la sintesi, ne cura la regia e ci regala pillole di cultura e di memoria. Per non parlare poi del suo staff che lo accompagna nelle sue rappresentazioni. E allora … GRAZIE Alfonso, GRAZIE amici tutti dello staff e … alla prossima, ovvero.

  • 29 aprile presentazione dell’ultimo libro del neo ottantenne Giovanni Duca.
  • 27 maggio “Nel mezzo del cammin di nostra vita”.

 

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25 APRILE CON FIAB

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 26 Aprile, 2016 @ 6:09 pm

Detto altrimenti: ogni anno in un luogo diverso per la celebrazione della ricorrenza         (post 2353)

thIJM100FVFIAB è un’associazione culturale. Cultura è anche ricordare per immaginare e quindi per costruire un futuro migliore. Il 25 aprile, la Liberazione. Io sono un po’ controcorrente, se così si può dire: infatti più che la data ufficiale e convenzionale di una liberazione militare, il 25 aprile e ogni sua commemorazione rappresenta per me un simbolo, ovvero un catalizzatore per indurci “a chiedere attivamente”, ossia per spronare la nostra intelligenza attiva sul passato, ed al contempo per indurci “a ricevere” i messaggi della storia per migliorare il futuro.

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IMG_8385Una Liberazione? Sì, certo, innanzi tutto quindi liberazione delle menti, dello spirito critico, dell’intelligenza, della libertà personale, tutte “cose” obnubilate dai pseudo simboli (“pseudo simboli”) del nazifascismo, i quali da “elemento di passaggio di significati” erano diventati “contenuti essi stessi dei molti simboli”, ovvero una vera e propria gabbia mentale per ogni cittadino: il “fascio”, l’”immagine del duce”, gli “alabardi”, le “canzoni”, gli “slogan”, gli “eia eia alalà”: la gente era stata condotta a valutare e quindi a volere quelle “cose”. Non a chiedersi cosa ci fosse dietro: “Guarda che piglio fiero, guarda che allineamento perfetto, che uniformità …”. Tutti insieme, per carità! Tutti. Al riguardo amo citare Josif Brodskij (premio nobel russo sepolto a Venezia) il quale nella prolusione al suo “Il Canto del pendolo” (Ed. Adelphi) riporta un suo insegnamento agli studenti: “Diffidate delle unanimità, del pensiero unico, dei bilanci e degli eserciti assolutamente ben assestati, se non altro perché dentro i grandi numeri più facilmente può celarsi il male” (cito a memoria).

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Ballardini, Zanoni, Pfleger

E oggi? Al contrario, oggi i “simboli della lotta di liberazione” ovvero le nostre bandiere, la nostra presenza, le nostre lapidi, il nostro “Bella ciao” devono mantenere il loro significato e la loro mission originaria e naturale, nel senso di essere memoria del passato ed al contempo, partendo da questa base, preannuncio e ricerca di un futuro migliore. In tal senso anche noi oggi abbiamo bisogno di simboli, ma di simboli veri, che siano un “ponte verso”, un ponte che dobbiamo percorrere (ma che non finirà mai) verso la democrazia perfetta, traguardo ideale ed utopico che non riusciremo a raggiungere, ma che – se perseguito – ci aiuterà a vivere in una democrazia sempre più completa: il Capo dello Stato ha detto: “La resistenza continua, ogni giorno, contro le guerre, le disuguaglianze sociali, la violenza… etc.” (cito a memoria). Una data, il 25 aprile, quindi un simbolo: quello per noi oggi più che mai indispensabile per l’integrazione sociale democratica.

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Anche oggi tuttavia si corre un pericolo: che il politico di turno si trasformi  da “simbolo tramite” a “simbolo di se stesso”, re-ingabbiando le menti di ognuno.

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WP_20160425_021Fiab sceglie ogni anno un luogo diverso della lotta di liberazione. L’anno scorso nel feltrino (a commemorare fra gli altri l’eccidio del Monte Grappa). Quest’anno Riva del Garda. Con l’ Assessore Alessio Zanoni (il Sindaco Adalberto Mosaner trattenuto all’estero) a porre una lapide per un rivano trucidato dalla SS alla seconda galleria della “Vecchia Ponale”, l’avvocato Franco Gerardi. Zanoni ha insistito sul concetto che “a sua insaputa” stava ribadendo lo stesso Capo dello Stato. L’avv. Renato Ballardini, all’epoca partigiano staffetta quindicenne, ha ricordato come in 30 anni, dal 1915 al 1945, la “civile” e “moderna” Europa abbia (generato e) attraversato ben cinque guerre di cui due mondiali. Prosegue: “La causa di ciò? I nazionalismi che sopravvalutano se stessi e sottovalutano gli altri” (io ho subito pensato alle recentissime elezioni in Austria che hanno segnato una pericolosissima vittoria del partito di estrema destra nazionalista). E’ quindi intervenuto Graziano Riccadonna, storico dell’Associazione Pinter. Subito dopo, il Presidente dell’A.N.P.I rivana Gianantonio Pfleger ha fra l’altro ricordato il divieto costituzionale della ricostituzione, sotto qualsiasi forma, del partito fascista.

Franco Gerardi, nato a Brescia nel ’14, brillante avvocato, laureato in giurisprudenza e assistente di diritto penale alla statale di Milano, nonché laureato pure in economia alla cattolica, poi eroico aviatore, si era rifugiato dopo l’8 settembre a Limone (luogo d’origine della famiglia), dove però aveva fatto da tramite fra i partigiani trentini e quelli bresciani, per questo dunque fu catturato assieme agli altri martiri del 28 giugno 1944 e (come altri) ucciso a tradimento, nel suo caso durante il trasferimento da Limone a Riva, all’altezza appunto della seconda galleria della strada del Ponale, dov’è stata collocata la targa.

Quindi tutti in Piazza del Comune per una ulteriore commemorazione. Dopo una pausa pranzo presso la Fraglia della Vela Riva e nel pomeriggio Pfleger ci ha accompagnato a visitare alcuni luoghi della “Battaglia di Riva” e la mostra permanente “Acthung Banditen” all’interno della Rocca rivana.

Perchè ciò non si ripeta nè qui nè altrove.

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Note tecniche “a pedali”: percorso Dro-Torbole-Riva e ritorno, 35 km

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LA FORTUNA DEL DON CHISCIOTTE

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 24 Aprile, 2016 @ 7:07 am

Detto altrimenti:   by Alfonso Masi       (post 2352)

Quattro post fa ho scritto della rappresentazione di Alfonso Masi in commemorazione dei 400 anni dalla morte di Cervantes. Ben volentieri, oggi, pubblico il suo articolo sul Don Chisciotte, riassunto da Masi in apertura della sua recita.

INIZIA

Il 23 aprile 1616 è ritenuto da Borges il giorno più funesto nella storia della letteratura: è il giorno in cui quattrocento anni or sono morirono Cervantes e Shakespeare: il fondatore del romanzo moderno, lo spagnolo; il principe dei drammaturghi, l’inglese.

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Il presente lavoro intende occuparsi della fortuna del romanzo di Cervantes perché il Don Chisciotte è un libro che ha dato seguito ad una enorme quantità di riflessioni e scritti che attingono svariate dimensioni della cultura: dall’opera lirica alla canzone, dal teatro alla poesia, dalla musica sinfonica al balletto sino alla pittura e alla grafica. Infatti il romanzo di Cervantes è una miniera inesauribile anche se molto spesso ne vengono proposte gli stessi capitoli con le solite vicende quali la lotta contro i mulini a vento o contro le nubi e lo scontro con pecore e caproni. In realtà il Don Chisciotte … chi l’ha mai letto a fondo? Un umorista spagnolo, a chi gli aveva domandato quale fosse il libro preferito, aveva risposto: “Il Don Chisciotte”. Aggiungendo poi una lode del romanzo e concludendo che l’opera era talmente fondamentale per lui che forse un giorno si sarebbe deciso a leggerla.

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Già nel 1600 il romanzo di Cervantes diventa così popolare in Italia che in tutta la penisola si diffonde il verbo chisciottare, cui faranno seguito nel 1700 i vocaboli donchisciottata, donchisciottesco, e nel 1800 donchisciottismo.

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IMG_3934 - Copia

Alfonso Masi nel suo Don Chisciotte al “Rosmini”

Nel 1719 si ritrova la prima opera lirica che riprende le gesta del cavaliere spagnolo: ne è autore Francesco Conti che intitola la composizione Don Chisciotte in Sierra Morena. Pochi anni dopo anche Antonio Caldara mette in scena l’eroe di Cervantes, seguito poi da Antonio Salieri e da Giovanni Paisiello. Felix Mendelssohn nel 1825 compone senza ottenere successo Le nozze di Camacho, sempre ispirato al Don Chisciotte; ancora tratto dallo stesso soggetto è il melodramma di Donizetti del 1833 Il furioso all’isola di S. Domingo. Ma è il Don Chisciotte del francese Massenet del 1910 l’opera meglio riuscita e che ancora frequentemente ritorna nei teatri lirici. Anche il compositore spagnolo De Falla si è cimentato con lo stesso romanzo nell’opera El retablo de Maese Pedro, opera per marionette e tre cantanti: viene ripreso l’episodio in cui Don Chisciotte interviene allo spettacolo di un burattinaio e scende in lotta contro gli stessi burattini. Un ultimo melodramma sul Don Chisciotte è quello dell’emiliano Vito Frazzi, musicato nel 1952; inoltre esiste anche il musical di M. Leigh Man of La Mancha. All’abbondanza di titoli nel settore del melodramma fa riscontro invece la mancanza di interesse per il personaggio di Cervantes da parte degli autori di musica orchestrale, se si eccettua Richard Strauss che nel 1897 musicò il poema sinfonico Don Chisciotte,  Variazioni su di un tema cavalleresco. L’orchestra propone i temi dei due personaggi cui segue una serie di dieci variazioni che descrivono le avventure del cavaliere: dallo scontro con i mulini a vento all’amore per Dulcinea, all’attacco ai monaci mendicanti sino al ritorno a casa di Don Chisciotte, ormai rinsavito che comprende la futilità delle sue illusioni e si lascia andare ad una malinconica meditazione sulla irrealtà dei sogni.

th5BXI99QGSempre in campo musicale anche i cantautori italiani sono stati folgorati dal cavaliere errante e dal suo scudiero. Ivano Fossati, nel cd Discanto del 1990, nel brano Confessione di Alonso Chisciano così canta: “A me, a me , a me/ una pazzia d’argento/ al mio cavallo una pazzia di biada”. Roberto Vecchioni in Per amore mio (ultimi giorni di  Sancho P.) fa parlare lo scudiero: “ No, Sancho non muore./ Ho combattuto il cuore dei mulini a vento/ insieme ad un vecchio pazzo che si crede me./ Ho amato Dulcinea insieme ad altri cento”. Infine Francesco Guccini nell’album Stagioni nel 2000 incide una canzone intitolata Don Chisciotte, un dialogo fra lo stesso cavaliere e il suo fedele scudiero. La follia di Don Chisciotte è dettata da una sete di giustizia e ciò lo porta a divenire il paladino che si batte contro tutte le ingiustizie; Sancio invece è intriso di realismo e cerca a più riprese di distoglierlo dai suoi ideali irrealizzabili. Ma l’ultima parola è quella del cavaliere: “Sputeremo il cuore in faccia all’ingiustizia giorno e notte. Siamo i Grandi della Mancha, Sancio Panza e Don Chisciotte”.

thSLIZICV2Anche nel balletto Don Chisciotte la fece da protagonista già a partire dal 1700 ad opera di Joseph Boismoirtier e di Angelo Tarchi. Nel 1800 altri balletti vennero presentati a San Pietroburgo, a Londra, a Berlino e a Torino. Di tali balletti rimane notizia nelle cronache, ma non hanno vinto il tempo come invece è toccato al Don Chisciotte musicato da Ludwig Minkus, realizzato con la coreografia di Marius Petipa e rappresentato la prima volta al Bolscioi di Mosca nel 1869. Minkus, un autore marginale nella storia della musica, ma la cui composizione continuamente risuona là dove ancora viene presentato il suo Don Chisciotte; lo stesso può dirsi di Petipa perché la sua coreografia non manca di frequenti riprese. Nella storia del Don Chisciotte in punta di piedi rientra anche un autore italiano contemporaneo, Goffredo Petrassi, che nel 1945 compose Ritratto di Don Chisciotte, presentato in forma concertistica al Teatro La Fenice di Venezia nel 1946 e come balletto a Parigi nell’anno seguente.

Mentre nel balletto il Don Chisciotte in punta di piedi ha ottenuto numerosissime rappresentazioni che si ricordano, la stessa fortuna non è stata ottenuta in campo teatrale e cinematografico.  Le numerose messe in scena  teatrali non sono state niente più che dignitose realizzazioni, ad eccezione del Don Chisciotte per la regia di Maurizio Scaparro con la partecipazione di Pino Micol e Peppe Barra, divenuto poi anche film nel 1983. Memorabile invece rimane il Don Chisciotte di Franco Branciaroli, impegnato nel doppio ruolo del cavaliere e dello scudiero, che interpreta imitando le voci di Vittorio Gassman e Carmelo Bene; sarebbe auspicabile una ripresa dello spettacolo proprio in occasione del quadricentenario della morte di Cervantes.

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th20KHP62FIn campo cinematografico si parla di “maledizione cinematografica del Don Chisciotte” e ciò specialmente a riguardo di Orson Welles. Il suo tentativo di riduzione del romanzo di Cervantes  è uno dei più leggendari incompiuti della storia del cinema: doveva essere un programma di mezz’ora per la televisione, ma poi il regista si era talmente innamorato del soggetto da girare in continuazione nuove scene. Le riprese, iniziate in Messico nel 1957, si protrassero in Europa per quindici anni senza approdare ad un risultato definitivo. Nel 1992, sette anni dopo la morte del regista, lo spagnolo Jesus Franco mise mano alla mole di materiale girato montandolo in un progetto di quasi due ore che almeno mostra ai cinefili il non finito di Welles. Va pure ricordato il Don Chisciotte e Sancio Panza del duo Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, che qui superano se stessi caratterizzando efficacemente i due personaggi: una delle loro migliori realizzazioni.

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thU3N56BRGIn campo figurativo nel 1800 Gustave Doré, che già aveva illustrato con le sue incisioni sia La Bibbia che La Divina Commedia, si misurò con la stessa tecnica dell’acquaforte con il capolavoro di Cervantes e le sue acqueforti quasi sempre vengono riprodotte a commento delle traduzioni in lingua italiana del romanzo spagnolo. Conosciutissimo è pure il bozzetto realizzato da Pablo Picasso che raffigura i due protagonisti mediante un numero minimo di pennellate.

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Meno noto è il fatto che Picasso ha ripreso le due figure da un olio di Van Gogh in cui Don Chisciotte e Sancio sono immersi in un assolato paesaggio campestre.

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In campo filosofico Nietzsche si interessò al Don Chisciotte sebbene considerasse la sua scomparsa una morte insignificante in quanto morendo il protagonista si toglie la maschera che aveva indossato e rinnega se stesso e la vita da lui vissuta. Ne consegue che Nietzsche si schiera maggiormente dalla parte di Sancio che così esorta il suo padrone: “Non muoia, signor padrone, non muoia, accetti il mio consiglio e viva molti anni perché la maggior pazzia che possa fare un uomo in questa vita è quella di lasciarsi morire così, senza un motivo, senza che nessuno lo ammazzi, sfinito dai dispiaceri e dall’avvilimento. Su, non faccia il pigro, si alzi da questo letto e andiamocene in campagna vestiti da pastori e chi sa che dietro a qualche siepe non si trovi la signora Dulcinea disincantata”. Da notare  un parallelo che accomuna Nietzsche e il cavaliere errante: Don Chisciotte scende da cavallo e ritorna savio mentre il filosofo a Torino abbraccia un cavallo e così dimostra la sua pazzia. Anche il filosofo spagnolo Miguel de Unamuno in Vita di Don Chisciotte e Sancho si è interessato del personaggio nel quale individua l’incarnazione dell’idealismo umano teso al conseguimento di una meta che non si raggiunge e che sempre rimane un miraggio.

E per concludere questo excursus nella fortuna ottenuta dal Cervantes, anche in campo poetico Don Chisciotte è stato cantato da vari autori. E’ entrato nei versi del poeta turco Nazim Hikmet: “Partì un bel mattino di luglio/ per conquistare il bello, il vero, il giusto/… Quando si è presi da questa passione/ e il cuore ha un peso rispettabile/ non c’ è niente da fare, Don Chisciotte,/ niente da fare/ è necessario battersi/ contro i mulini a vento”. Pure il nostro Gianni Rodari ha subito il fascino dell’eroe della Mancia e della sua missione tanto da concludere i propri versi con un appello al Cavaliere dalla Triste Figura: “Ma se la causa è giusta,/ fammi un segno/ perché/ magari con una spada di legno/ andiamo, Don Chisciotte, io sono con te”.

FINISCE

Grazie, Alfonso, per avere scelto questo blog per la pubblicazione del tuo prezioso elaborato!

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2 Comments »

SIMBOLI -  1

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 24 Aprile, 2016 @ 6:40 am

Detto altrimenti: riflessioni su un libro appena iniziato      (post 2351)

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Nel 2004 Presidente della Corte Costituzionale

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Il libro: “Simboli al potere” di Gustavo Zagrebelsky (Giulio Einaudi editore). Il simbolo, quasi un “doppio semiconduttore”, ci consente di “tendere verso la conoscenza (una sorta di moto a luogo)” e che allo stesso tempo “tende a farci ricevere la conoscenza” (una sorta di essere ricevitori di), senza mai che nessuno dei due percorsi si compia interamente. L’Autore ci aiuta a comprendere quanto cerca di spiegarci: è come se guardassimo una realtà solo attraverso un cristallo deformante, cristallo che è per noi un simbolo.

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Tutto può essere un simbolo. Io ne ho avuto esperienza soprattutto in un caso. Ero stato nominato consigliere di amministrazione in una grande SpA. Dopo una prima riunione, l’azionista mi convocò e mi chiese cosa pensassi della sua società. Io avevo notato che in quella riunione mancava la “tensione” verso il risultato e lo espressi con poche parole: “Non colgo alcuna tensione”. L’azionista si rabbuiò e mi rispose: “Se non la coglie lei vuol dire che non c’è”. Due considerazioni (importante è la seconda!): 1) l’azionista mi aveva fatto un grande complimento, dimostrando di apprezzare il mio giudizio fondato sulla una esperienza gestionale di decine di anni; 2) la riunione alla quale io avevo partecipato era stata un simbolo, nel senso che da quel suo svolgersi mi era stato detto (ricezione) che al di là di essa la gestione della società non andava bene (ma quanto “non bene”?), e che io, se mai avessi “attraversato quella lente” (trasmissione)  ovvero, se fossi stato posto in grado non solo di “consigliare” da semplice consigliere di amministrazione, bensì di decidere da Presidente o Amministratore Delegato, avrei operato in modo totalmente diverso (ma quanto “diverso”?) inserendo nel sistema molta “tensione”.

Perdonate il riferimento personale, ma io stesso, fino ad oggi, non sapevo che quella riunione fosse (stata) un simbolo. L’ho citata perché mi ha fatto capire il senso delle prime pagine dello splendido libro che sto leggendo e che mi permetto di suggerirvi. Tornerò su di esso con altri post (Simboli 2, 3 etc.). Nel frattempo, buona domenica e buon 25 aprile a tutte e a tutti!

 

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