GIRO DI VITE, e i fantasmi interiorizzati

pubblicato da: admin - 28 Dicembre, 2010 @ 8:10 pm

Eppure nella nostra anima ci sono delle zone buie, dei recessi del nostro rimosso che ci possono incutere paura, ma anche meraviglia e persino piacere perchè ci portano nel “viaggio” dentro noi stessi e ci conducono alla scoperta degli strani legami che irrazionalmente noi instauriamo con la natura circostante, le abitazioni della nostra vita e con alcuni oggetti che fan parte del nostro vissuto quotidiano.

Talvolta quando sono sola e con la “ragione” allentata mi sento scivolare accanto ombre e sento nello spazio, che mi sembra vuoto, fremiti vitali.

Capita anche a voi?

Ripenso a “Eclisse” di Banville  e ai fantasmi che egli vede all’improvviso nella passeggiata solitaria tra i campi e alla madre con bambino che appare spesso nella casa dei genitori.

Giro di vite“- The Turn of the Screw -, è esemplare nello scandagliare inquietudini interiori, misteri inspiegabili ma quasi attesi.

Giro di vite venne scritto in un momento difficile della vita di Henry James,  un periodo lavorativo pieno di incertezze e di delusioni. Forse lo scrisse  perchè le storie di fantasmi sempre attirano i Lettori, ma la sua perfezione strutturale e contenutistica ci rivelano  un’esigenza, una speranza, un timore e il disagio dell’insondabile. Il nostro Doppio, la nostra Piccolezza, il nostro non sapere tutto si accoppia con il nostro reale e il nostro immaginario.

 In James  più che convincere il Lettore dell’esistenza dei fantasmi di Quint e della Jessel c’è l’intenzione di dimostrare la consistenza “concreta” dell’esistenza dei due domestici defunti, e di descrivere il modo in cui l’istitutrice e i due bambini percepiscono, e poi reagiscono, a questa esperienza.

E’ un racconto gotico la cui genesi è da attribuirsi a una storia di fantasmi che fu narrata allo scrittore dall’Arcivescovo di Canterbury la notte del dieci gennaio 1895. James ne parla nei suoi Taccuini.  E’ la storia di due bambini orfani, mache vivono in una dimora di campagna sotto la tutela di uno zio che però vive lontano da loro. Prima dell’arrivo della nuova governante erano  accuditi da un’altra signora  e da due domestici perfidi e depravati che nel  romanzo di James  sono chiamati la signora Jessel e  Quint, il suo amante dai capelli rossi.

 La  prima governante e i malvagi  domestici muoiono, ma le loro figure tornano a infestare la casa e sembrano far cenni e  ambigui inviti  ai bambini.

Sono quindi soltanto i due bambini, piccole prede del Male e la giovane governante, Miss Giddens, che tiene un diario, a vedere le  due sinistre figure.

James fa di questo racconto orale una magistrale novella in cui nell’atmosfera quasi pastorale e luminosa della casa di campagna inglese si insinua una vaga atmosfera malefica, non percepita da tutti gli abitanti della casa . Non scende in dettagli  particolareggiati ma ricrea perfettamente quel “clima mentale” provato dall’istitutrice, quasi un sinistro strato di “trance”, o forse come alternativa interpretazione, una proiezione “isterica” dei desideri erotici inconsci di Miss Giddens stessa.

E’ l’istitutrice che tempo dopo narrerà a sbigottiti ascoltatori l’esperienza accuratamente annotata nel suo diario. Ed è proprio lei che, volendo “stringere la vite “per arrivare  a capire  il mistero,  forse scoprirà una sorta di complicità dei bambini con i malvagi spettri. E Miles – il fratellino – diventerà un’altra vittima designata.

Pur allacciandosi ai racconti gotici così di moda, persino un po’ a Jane Eyre, James se ne differenzia perchè ci offre un terrore psicologico che nasce dalla mente del narratore  dilatandosi infine  in quella del Lettore.

Scrive James a proposito:

“Lo straordinario è tanto più straordinario in quanto accade a voi e a me, ed ha valore  (valore per gli altri) solo in quanto visibilmente sentito da noi”

E Virginia Woolf nel suo articolo “Henry James’s Ghost Stories ” sottolinea che i fantasmi di James incutono paura non perchè trascinano catene arrugginite oppure perchè vanno in giro con la testa decapitata in mano bensì perchè ” hanno la loro origine in noi.”

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JANUZ KORCZAK, e l'amore assoluto per i bambini

pubblicato da: admin - 27 Dicembre, 2010 @ 8:49 pm

200px-Janusz_Korczak[1]Quante persone si sono sacrificati con amore per gli altri! Non potremo mai conoscerle e ricordarle tutte.

Ma la vita e il lavoro  di Janusz Korczak si possono leggere  in molti testi.  Ebreo polacco, medico , scrittore, educatore, è il responsabile di un orfanotrofio in cui accoglie e cura, a Varsavia, circa 200 bambini. Durante l’invasione nazista della Polonia è costretto a trasferire la sua Casa degli orfani all’interno del ghetto, dove comunque prosegue nel suo operato. Qualche tempo dopo, il 6 agosto 1942, dovrà scortare i suoi bambini, ignari, fino al campo di concentramento di Treblinka, dove morirà insieme a loro.

Questi i brevi cenni biografici, ma la sua vita e il suo operato , la sua umanità sorridente, luminosa e soprattutto il suo amore e il rispetto per i bambini li troviamo raccontati magistralmente in un prezioso libretto di Anna T.Rella Cornacchia che io studiai per un esame di pedagogia.

Che scoperta, che emozione, che lacrime per quest’uomo fuor del comune!

 Korczak è un precursore nel campo dell’ educazione e della letteratura per bambini. Egli affronta con coraggio argomenti e problematiche educative innovative ed importanti.  “La democrazia deve essere appresa daccapo in ciascuna generazione” è il suo messaggio principale ” e va quindi posta in termini di autoeducazione; anche perchè il bambino sente la costrizione, soffre per questi vincoli, anela alla libertà…ma non la troverà…Non possiamo dare al bambino la libertà finchè noi siamo in ceppi.”

Il suo vero nome è Henry Goldszmit, nasce nel 1878 da famiglia agiata. Sceglie, meditando, il suo ebraismo. Altruistico, sogna un’infanzia felice per tutti. Scrive “Il nodo Gordiano” firmandosi Janusz Korczak, nome di un suo eroe letterario. Lavora gratuitamente nelle biblioteche e inizia il suo speciale “dialogo” con i bambini di ogni ceto sociale insegnando loro l’importanza della lettura.

Egli spiega che  il bambino è considerato NIENTE, non ha nessun DIRITTO. Gli si dà qualcosa solo per benevolenza. Quanti bambini hanno sofferto segretamente nell’infanzia! Pensiamo dunque  ai patimenti fisici e psicologici dei poverissimi bambini dei bassifondi di Varsavia che Korczak visita spesso con amici sociologi e psicologi. Nel 1901 scrive “Ragazzi di strada” per denunciare le problematiche dei bambini mal curati.

Diventa pediatra nel 1905. Scrive trattati, articoli, novelle ed anche poesie.  Studia sociologia e psicologia. Dice che occorre apprezzare il bambino per quello che è e non per l’uomo che diventerà.

Il suo grande progetto di vita diventa “La casa degli orfani” dove si attuano i principi pedagogici e sociologici volti a soddisfare i bisogni dei bambini, con particolare riguardo alla suddivisione degli spazi per le diverse attività sia personali che di gruppo. Darà ad ognuno di loro un “pezzetto di mondo da autogestire”. Dichiara “Non sono essi gli schiavi più antichi?”

L’inaugurazione ufficiale della Casa degli Orfani che ospita non solo orfani, ma anche bambini con particolari difficoltà e in stato di semiabbandono avviene il 27 febbraio 1913.

Durante molti anni ho letto dozzine di libri interessanti sull’infanzia.” scrive Korczak . Ora leggo bambini interessanti. Leggo lo stesso bambino una volta, due volte, una terza volta, una decima volta e non so ancora tutto, perchè un bambino è un mondo intero grande e vasto che esiste da sempre ed esisterà sempre.”

Dopo l’invasione della Polonia da parte dei Nazisti viene invitato da amici  ripetutatemente a lasciare l’orfanotrofio situato nel ghetto. Korczak si rifiuta categoriacamente e seguirà fino alla fine i suoi 200  bambini nel campo di concentramento di Treblinka dove morirà con  loro.

 Una persona meravigliosa.

Un libro stupendo, non solo di pedagoglia, ma di grandissima umanità.

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VIAGGI E ALTRI VIAGGI, di Antonio Tabucchi

pubblicato da: admin - 26 Dicembre, 2010 @ 9:34 pm

 Credo che il titolo del libro che ci presenta Riccardo sia  una metafora adatta anche a chi fa della Lettura un lento passeggiare, un correre anelante,  un soffermarsi pieno di epifanie ed emozioni.

I Narratori – Feltrinelli 2010

253 piccole grandissime pagine

 

Acc … sempre di più “so di non sapere”!

Avevo visto il film “Sostiene Pereira” e mi ero fermato lì.

Avevo assistito alla trasmissione televisiva “Che tempo che fa” nella quale Tabucchi era stato intervistato da Fabio Fazio, e mi ero fermato lì.

Passeggiavo in libreria, mano nella mano con Maria Teresa, la quale mi indica questo libro … ne hanno parlato a Radio tre … mi dice … Lo acquisto, inizio a leggerlo, mi cattura …

Mi mancano ancora 20 pagine alla fine, ma devo scrivere qualcosa prima che le emozioni che suscita in me si appannino anche solo un poco.

Su internet leggo la biografia dell’Autore. Altro pugno nello stomaco: è nato nel 1943, cioè solo un anno prima di me, o poco meno, visto che io sono un acquario del 3 febbraio 1944. Ma quante cose in più ha vissuto, di quante cose in più si è “nutrito” e quante cose in più sta regalando agli altri! Cosa ho fatto io nel frattempo? Quanto mi sono perso? Ora che sono in pensione devo recuperare!

Talvolta i miei post sono un po’ lunghi, tanto è il desiderio di non disperdere nulla di ciò che la lettura mi ha donato. In questo caso, se mi lasciassi andare, dovrei a mia volta scrivere un libro! Perciò ho deciso di passare da un estremo all’altro e di sintetizzare, che poi è l’arte più difficile. Soprattutto confidando che quel “ti vedo e non ti vedo”, “ti lascio intuire ma non mi mostro del tutto” che spesso viene utilizzato per suscitare pruriginose curiosità in ben altri campi della “sensibilità” umana, sia di stimolo per chi, come me, colpevolmente non conosca questo Autore. Di stimolo a eleggerlo fra i pilastri della conoscenza, riservando ai suoi Libri un posto centralissimo negli scaffali della propria libreria, della propria mente e del proprio cuore.

Tuttavia il primo a sintetizzare è proprio Tabucchi: in capitoletti brevi egli concentra sentimenti, sensazioni, storia, letteratura, viaggi, arte, musica, poesia, umanità, introspezione esterna (nel senso che sprona la nostra stessa introspezione), filosofia, spiritualità, etc..

E certe “cose” le scrive lui, cioè sono sue; altre le cita, ma anche il conoscere e citare non è da tutti. Della musica: “Oh suonatrice d’arpa (e di pianoforte, per Stefania e Cristina, n.d.r.), potessi baciare il tuo gesto senza baciare le tue mani!” (citazione); “la vita è un ospedale dove ogni malato vorrebbe cambiare di letto” (citazione); “è sempre difficile stabilire se le cose che pensiamo hanno più influenza sulle cose che facciamo o viceversa” (questa è sua).

Chiudo assumendomi un piacevolissimo impegno: rileggerò il libro, soffermandomi ad approfondire capitoletto per capitoletto, facendo ricerche (in internet, in questo caso provvidenziale) su ogni sua citazione, ripromettendomi di visitare qualcuno fra i luoghi citati, almeno quelli più a portata di mano.

 

Riccardo

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LE POESIE, di Guido Gozzano

pubblicato da: admin - 25 Dicembre, 2010 @ 10:21 pm

 

Continuiamo anche oggi, Natale,  a rimanere nell’atmosfera di quiete serena  di abbandono al tepore dell’affetto?

Accarezziamo i  ricordi che ci avvolgono, sia quelli allegri che quelli malinconici, sapendo in cuor nostro che, come dice Miki, anche “il Dolore è vicinanza e quindi Amore “.

Giornate queste in cui si  “legge” la  nostra Vita con un altro sguardo  più attento e forse con il  rinnovato desiderio di  quello stupore di cui già il figlio di Cinzia  sente  la nostalgia.

 

Ho cercato fra le poesie sul Natale qualcuna leggera come la gioia.

E ho sentito improvvisamente  giungere  dal passato  quella che le Suore delle elementari mi fecero imparare a memoria. E’ di Guido Gozzano, il poeta crepuscolare di cui mi piacerebbe parlare ancora perchè la  signorina Felicita e  l’amica di nonna Speranza mi piacciono tanto…

Parole semplici in questa poesia natalizia, ma non è la semplicità la forma più diretta della Verità ?

 “Amai trite parole” diceva anche Saba. Sta a noi lettori arricchirle con le nostre emozioni  di oggi e  le nostre lontane suggestioni.

 

E’ nato! Alleluia!

di Guido Gozzano

 

 

E’ nato il sovrano bambino,

è nato! Alleluia, alleluia!

La notte che già fu sì buia

risplende di un astro divino.

Orsù, cornamuse, più gaie

suonate! Squillate, campane!

Venite, pastori e massaie,

o genti vicine e lontane!

Non sete, non molli tappeti,

ma come nei libri hanno detto

da quattromill’anni i profeti,

un poco di paglia ha per letto.

Da quattromill’anni s’attese

a quest’ora su tutte le ore.

E’ nato, è nato il Signore!

E’ nato nel nostro paese.

Risplende d’un astro divino

la notte che già fu sì buia.

E’ nato il Sovrano Bambino,

è nato! Alleluia, alleluia!

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CANTO DI NATALE, di Charles Dickens

pubblicato da: admin - 24 Dicembre, 2010 @ 10:42 pm

300px-Charles_Dickens-A_Christmas_Carol-Title_page-First_edition_1843[1]Poteva mancare oggi questa storia di ordinaria magia come A Christmas Carol di Dickens? 

Fare l’originale e distaccarmene? No, non è possibile. Il Natale iconografico occidentale si aggira, come un’entità colma di amore e di gioia, per le strade di città innevate, fredde ma luccicanti di simboli festosi. Ripenso a York visitata da me in estate, ma raffigurata in cartoline e quadri  tra un turbinio di larghi fiocchi di neve che ricoprono le medievali case a traliccio, piccoli negozi d’antiquariato e chissà…piccole fiammiferaie desiderose di entrare nell’alone del caldo buono di una casa piena di gioia.

Retorica?

 E il messaggio religioso?

 Dall’attenzione verso gli altri che in questo periodo si fa più tangibile  - la scelta di un piccolo o grande dono, gli auguri che nell’etere volano e si incrociano, il tenace desiderio di una “zona franca” del nostro cammino esistenziale in cui fermarsi e riagganciarsi al nostro Io bambino,  ai nostri ricordi, ai nostri cari - al messaggio insito nel voler stare più vicini e condividere.

Per le strade di York, Londra, Trento – e ovunque noi uomini riusciamo a staccarci dal nostro piccolo Io –  ci sentiamo avvolti nella coralità che suggerisce letizia, affetto, gioia, solidarietà.

Charles Dickens nel 1843 pubblica questo Canto di Natale e da allora ogni anno milioni e milioni di persone lo leggono.

Nella mia scuola media era abitudine leggerla insieme ad altre storie natalizie  agli alunni, divisi in gruppetti,  talvolta raccolti in angoli poco frequentati dell’edificio. 

 Ascoltavano , questi preadolescenti dai jeans a vita bassa, i capelli irti di gel, le ragazzine con il lipgloss e le unghie nere o violacee,  con diffidente ma concentrata attenzione  i preparativi  che tutta la città inglese  ottocentesca organizzava durante la vigilia di Natale quando le strade risuonavano di allegri saluti e gioiosi auguri, i bambini si preparavano per andare a cantare le Christmas Carols davanti alle porte delle case e  i negozi brillavano tra rami di agrifoglio e golose merci. Tutto in attesa della notte più magica dell’anno: quella in cui la nascita del divino Bambino avrebbe portato la speranza della redenzione degli uomini.

Ma l’arcigno Ebenezer Scrooge, l’uomo più avaro e indifferente agli altri si allontana senza sorrisi verso la sua solitaria casa.  Nonostante suo nipote, con il viso arrossato dal freddo  e dall’aspettativa della vigilia gli auguri  allegramente “Felice Natale, zio. Dio ti benedica“ .

Scrooge, seccato, risponde “Bah! Sciocchezze!”

E nella notte più magica dell’anno tutto può accadere. Nonostante Marley, il socio di Scrooge,  sia morto “come un chiodo infisso nella porta” ecco che  durante la notte  egli appare in veste di uno dei tre benevoli Spiriti del Natale.  Quello del Passato.

Scrooge torna quindi indietro nel tempo e rivede i giorni tristi della sua infanzia, ricorda gli errori commessi da giovane e un amore perso.

E dagli altri due Spiriti, quello del Natale Presente e quello del Futuro,  si renderà conto, allora, del vuoto e della solitudine della sua vita attuale scoprendo anche ciò che il futuro gli riserverà se non cambierà atteggiamento verso gli altri, se non aprirà il cuore a chi gli è vicino.

Sappiamo che  ci sarà una  veloce crescita morale del personaggio che lo renderà consapevole che la propria gioia può essere soltanto quella che può condividere con i propri simili.

Tiny Tim , il piccolissimo figlio del suo povero impiegato sarà poi  curato  proprio da Scrooge che per lui diventerà un secondo padre.

Eduardo Sanguineti definisce questo racconto una “fiaba costitutiva” nella quale la speranza di redenzione degli uomini è al di là delle barriere sociali, politiche e addirittura religiose e si materializza grazie al fantastico e al magico.

Vigilia di Natale, tempo di attesa e sospensione.

Fra poco usciremo per visitare il Presepe nella chiesetta accanto alle Crispi – un Presepe che ti fa entrare nella sua gaia solennità fra stelle e angeli che volano, pastorelli e ruscelli che scorrono, luci che accarezzano il Bambinello sorridente nella mangiatoia.  So, per esperienza, che rimarremo incantate ad ammirarlo nel suo silenzio e nel suo millenario messaggio d’amore. So che il custode, artefice di tale lavoro, guarderà i nostri sguardi per catturare la nostra immancabile emozione.

Poi in piazza Duomo, all’imbrunire, accanto alla Fontana del Nettuno aspetteremo le luci dell’ultimo giorno dell’Avvento: il Palazzo Pretorio sarà inondato di auguri, stelle e colori in un tripudio di bifore  e trifore circondate di luminosità e di attesa.

Lo Spirito di Natale per me è sempre lo stesso di quando bambina aspettavo un cavallo a dondolo accanto all’albero,  di quando  costruivo il Presepe con carta argentata e muschio,  delle Messe di mezzanotte e di quando tutti insieme festeggiavamo un momento di quiete, di promesse, di speranze, di sorrisi.

Conserviamo questa nostra capacità di sollevarci un po’ dalle contraddizioni e preoccupazioni  della realtà quotidiana, cerchiamo  di vivere, come i bambini, l’atmosfera della fiaba.

E il vostro Natale?

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INTERMEZZO AUGURALE

pubblicato da: admin - 23 Dicembre, 2010 @ 10:13 pm

 

  

  

Cari amici del Blog, Scrittori, Commentatori e Lettori, Buon Natale!

Questo è un Post Aperto, un Libro Bianco sul quale, attraverso i commenti, ognuno di Voi o meglio di Noi, potrà formulare un pensiero, un saluto, scrivere un piccolo racconto o una breve poesia sul Natale, quale augurio ed arricchimento per tutti noi, che poi, in tal modo rafforzati, più facilmente potremo riversare il nostro affetto sugli Altri.

Mirna

P.S.: anche per i gattini ci sia un Natale! In particolar modo sto pensando a Mimilla e a Dorian, il gattone di Riccardo

 

  

P.S.  Il post del giorno, per non dimenticare la “sfida, è “Eclisse” di Banville

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ECLISSE, di John Banville

pubblicato da: admin - 23 Dicembre, 2010 @ 8:49 pm

Entrare in un romanzo di Banville è lasciarsi trascinare in una sorta di gorgo  perchè la lettura delle sue pagine raddoppiano e triplicano a vortice ogni emozione, ogni scoperta.

La trama in sè parla della crisi di un attore famoso, Alexander,  che a un certo punto “crolla” in scena tra  lo sferraggliare del costume di Anfitrione. Eclisse, crollo nel buio, crisi esistenziale cocente nel disperato tentativo di unire il proprio Io con un Io diviso.

Il rifugio che sembra frenare la sua alienazione è la vecchia casa dei genitori ormai defunti. Una casa che era stata a suo tempo una pensione e dove sembrano aggirarsi non solo intrusi reali ma figure inquietanti, forse fantasmi.  Alexander è un attore, la sua vita reale è sempre stata intimamente legata alla vita recitata e a quella sognata. La conoscenza di sè  non è ancora completa, è  ancora divisa e spezzata da amletici dubbi.

Lascia dunque la moglie Lydia verso la quale prova uno strano rancore allontanandosi così  anche dal dolore della malattia psichica  dell’amata figlia Cass verso la quale prova un oscuro presentimento di tragedia.

Nella vecchia casa  si aggirano il custode e la giovanissima figlia Lily che lui osserva attentamente dandocene un’ambigua  descrizione alla Balthus. Alexander si lascia andare, in una sorta di pellegrinaggio e di ricerca. Vuole ritrovare il suo Essere e non il suo recitare. Ricorda la giovane donna spiata dalla finestrella del bagno quando nuda, essa si apprestava a vestirsi. Sapeva di non essere osservata da nessuno e proprio per questo i suoi gesti emanavano un’apoteosi di grazie e soavità.

Desiderio di scrollarsi la maschera in un sofferto viaggio di autocoscienza. Il suo fallimento è riconosciuto e quasi legittimato dalla tragedia familiare finale della quale sembra averne avuto la prefigurazione nella morte del piccolo gabbiano vegliato dal padre e nelle evanescenti figure che appaiono e scompaiono nella casa.

Il suo dolore e  la sua angoscia scuoteranno violentemente il suo egocentrismo autoreferenziale portandolo a “ un tardivo, ma struggente sussulto di vero amore “. La catarsi arriva alla fine dell’attesa del dolore quando a Porto Venere vedrà la giovane figlia morta.

“Accanto a me Lydia piangeva silenziosamente tra sè, in modo quasi riflessivo, sospirando a sua volta. Eppure mi chiedo se anche lei sentisse, come me, dietro a tutto quanto, dietro al dolore e alle lacrime incessanti, quasi impalpabile ma mai affievolito, il brusio di sollievo, sullo sfondo. Perchè adesso che il peggio era successo non avrei dovuto vivere nella paura del suo incombere. Così la ragione, colpita, formula la sua logica ferita.”

 

C’è poesia nella prosa di Banville che ci offre una lettura a più strati. Ogni pagina  è densa di ricordi, rimandi, non solo dell’autore, ma anche del  Lettore. Ed è questa la magia della Lettura, perchè noi entriamo nel racconto e lo possiamo persino arricchire o modificare con i nostri stessi ricordi o le stesse “intermittenze del cuore”.

Siamo in un mondo parallelo di visioni, monologhi, impressioni che ci spingono a scegliere il modo in cui leggere. Sta a noi afferrarci alla superficie o lasciarci sprofondare nel pozzo.

Naturalmente io mi sono buttata a capofitto nel mondo di Alexander, ho seguito con lui Quirke, il custode, fino al pub e mi sembrava che insieme a noi ci fosse anche Leopold Bloom di Joyce. Sono scesa alla spiaggia di ciottoli ricordando che anche Arsenio di Montale scendeva verso il mare.

Infine ho “ritrovato” un mio  giocattolo dimenticato; la gallinella di plastica gialla, su zampe lunghe ed esili; quando le si premeva il dorso deponeva un uovo di plastica. “Mi pareva di vederla…di sentire lo scatto della molla all’interno poco prima che l’uovo giallo scendesse a scatti lungo l’apposito canale e cadesse sul tavolo, sobbalzando.”

Ma non è straordinario tutto questo? Lo stesso giocattolo!!!

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IL GIARDINO SUL MARE, di Mercè Rodoreda

pubblicato da: admin - 22 Dicembre, 2010 @ 8:15 pm

Mi fa piacere lasciare lo spazio a Camilla che ha  finito di leggere “Il giardino sul mare” di Mercé RODOREDA.  Io ho letto soltanto Via delle Camelie, un racconto un po’ triste, ma intenso.

“ Dopo Piazza del Diamante, dove la tremenda guerra di Spagna fa strage di innocenti, soprattutto di innocenti , come Colombeta e i suoi bambini, e dove Rodoreda descrive come nessun altro giovinezze travolte, infanzia offesa, amore, malgrado tutto, amore caldo e semplice, capace persino di comprendere la disperazione che si mescola con la follia, e i rumori della vita, e gli umori degli uomini, e le loro infantili prepotenze: tutti quei piccioni, povera Colombeta, come avrà fatto con tutti quei piccioni per casa, e la fame e, ancora, l’amore.

Insomma Piazza del diamante è un capolavoro della letteratura spagnola del ‘900, un romanzo decisivo e indimenticabile e dopo questo romanzo leggere tutto quel poco che si trova della Mercé Rodoreda diventa una esigenza.

Il giardino sul mare è lontano , lontano dalla guerra e dalla violenza delle stragi e della fame. C’è un giardiniere che racconta le vicende dei “signorini” ( che belli i nomi in spagnolo, Rosa Maria, Sebastià, Eugeni, Miranda..) che passano le loro splendide estati nella villa sul mare . Dove c’è un magnifico giardino, creato, curato, coccolato e adorato dal giardiniere che parla dei suoi fiori, e ne parla come fossero persone. E tra piante e sementi preziose, racconta la storia dei “padroncini”, giovani bellissimi e eleganti, innamorati e festosi. Tra balli e cavalcate e nuotate e corse sugli sci d’acqua. e le chiacchiere del personale, la cuoca , le cameriere.Persino un leone si portano, un’estate , i signorini, e una scimmia dispettosissima. E il ricco vicino di casa che sta per aprire una nuova bella casa con un altro giardino , che non sarà mai bello come il nostro, ma che porterà altri giovani belli e eleganti con i cavalli e le barche e gli abiti e tutto.

Ci racconta poche , splendenti stagioni estive questo uomo dolce e straordinario. E le vite di tutti, la vita di tutto, viene , piano , piano, tra magnifiche fioriture,a infrangersi inesorabilmente,sulla riva di un magnifico mare.

Ed è subito sera.”

 

Camilla

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UN MONDO NASCOSTO, di Sue Miller

pubblicato da: admin - 21 Dicembre, 2010 @ 7:31 pm

Titolo e copertina accattivanti  in questo libro che in un certo modo si ricollega al Banville che sto leggendo. Anche qui c’è la casa dell’infanzia e c’è la ricerca delle proprie radici. Ma che differenza. Se Alexander di Banville è un essere tormentato e visionario che racchiude in sè quasi tutto il percorso dall’essere umano, dalla primitiva Conoscenza al dolore consapevole di questa scoperta che lo lascia prostrato, Catherine Hubbard risolleva il proprio destino di pluridivorziata ripercorrendo la storia segreta della nonna on un modo squisitamente femminile pur colmo di incomprensioni, forza e fraglità. Dai diari della nonna Georgia, che dal 1919 dopo la morte della madre si occupa del resto della famiglia e che poi è costretta a un ricovero in sanataorio per tubercolosi, Katherine scopre affinità, dolori, amori disperati, incomprensioni, dubbi di una vita.

Sue Miller ci racconta con una scrittura facile, ma ricca di dettagli e sfumature ( il pudding di pane, cappellini, l’aria secca e limpida del Colorado…)  due epoche  dove due figure femminile affrontano le stesse emozioni. I matrimoni, i figli, verità, menzogne, gioie e rimpianti. Manca forse la serenità del momdo della Austen fatta di passeggiate amene, di tanti nastri colorati, ma rimane sempre una storia delicata agli antipodi dall’atmosfera meravigliosa ed inquietante di  Eclisse di Banville.

Non è straordinario che solo con le poche pagine che ora riesco a leggere la sera (altro che i sacri e deliziosi pomeriggi di lettura che Camilla si concede!),  presa come sono sia dal blog che dalle corse prenatalizie, Banville mi solleciti così intensamente a mille rimandi, pensieri, collegamenti?

Ma anche le semplici parole del titolo  di questo libro “Un mondo nascosto” (The world below) mi stuzzicano riflessioni distaccate dalla trama, ma intrecciate alla mia vita, o meglio all’incontro mio e di Camilla ieri al bar. Due signore amanti della lettura, con i loro cappellini invernali, prese immediatamente dall’incanto della lettura. Eravamo al bar, ma improvvisamente  non c’eravamo più, eravamo in  un angolo particolare, “un piccolo mondo nascosto” al via vai degli avventori. Quasi un salotto fine settecento? Forse per la suggestione del prezioso libriccino avvolto in carta impalpabile rosa? O in altri angoli evocati come salotti con mobili cinesi, colori, vasi di fiori … ed ancora  rose reali, delicate,  arrivate da un gentile pakistano materializzatosi davanti al nostro piccolo mondo in cui si rincorrevano, come mi ha scritto Camilla “pensieri e fantasticherie difficili”.

Un’ora intensa tra profumo di caffè e cacao, avvolte dal brusio della vita che scorreva lietamente  e che ci avvolgeva  come carta per regali. E parlare di libri, personaggi, di noi, in un riconoscersi immediato e spontaneo. Mi scrive ancora Camilla : “come in un gioco, quasi un rito apotropaico”.

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PEREGRIN D'AMORE, di Eraldo Affinati

pubblicato da: admin - 20 Dicembre, 2010 @ 7:52 pm

Raffaella ci parla ancora una volta con  chiarezza e passione di uno  scrittore che ammira  e che  conosce personalmente. 

“Peregrin d’amore” è l’ultimo libro di Eraldo Affinati, uno scrittore originale nel panorama italiano, a cui sono particolarmente legata . L’ho incontrato varie volte di persona in Trentino, terra da lui molto amata ed ogni volta l’emozione è stata grande perché Eraldo, oltre ad essere un bravo scrittore è un grande uomo, un viaggiatore, un insegnante con la I maiuscola… . Questo saggio propone al lettore un viaggio “sui generis” nella lingua italiana. Un viaggio in cui alle parole si sovrappongono i luoghi frequentati dagli scrittori. Affinati percorre come un pellegrino una serie di luoghi, toccati ed attraversati dai maggiori scrittori italiani e dalle loro opere, ben quaranta, cercando il senso ed il valore della nostra splendida letteratura. In un’intervista afferma :

“Credo che la letteratura serva a intensificare la vita, quindi ho voluto misurare la forza dei nostri classici facendo rievocare le loro pagine nell’Italia di oggi. Ho scoperto che i boschi attraverso i quali scappava il Renzo manzoniano, in Brianza, sono quasi scomparsi e che la trincea dove Ungaretti scrisse i suoi primi versi, sul vecchio confine italo-sloveno, è invasa dal fogliame. L’ospedale psichiatrico di Castel Pulci, in Toscana, che accolse Dino Campana, era in ristrutturazione. Nelle vie dove giocava Carlo Collodi, dietro il mercato di San Lorenzo, a Firenze, i cinesi vendono tanti Pinocchi sotto forma di ciondoli. Ho cercato questi scarti laceranti perché volevo strappare la letteratura italiana dalla bacheca, come se non riuscissi a considerarla un semplice trofeo.”

I capitoli sono “ stazioni” di questo pellegrinaggio letterario, dove “ risuonano pagine celebri ed amate, si ritrova il senso di tante letture, dell’entusiasmo del lettore, del volto dell’Italia passato e presente”. Affinati spiega S. Francesco e il suo Cantico ad una prostituta nigeriana, Marco Polo agli adolescenti afgani della Città dei Ragazzi, incontra i Rusteghi di Goldoni nei genitori bengalesi che ostacolano il matrimonio della figlia, ritrova il fantasma di Cesare Pavese nel deserto di Yuma e quello di Bassani in Israele. Ed ancora davanti al monumento di Giuseppe Gioacchino Belli a Trastevere, Eraldo ascolta la voce, in romanesco , del proprio padre che nell’aldilà si trova proprio a contatto con Belli. Dialoga con un professore in pensione assistito da una badante ucraina sulla propria passione per la Divina Commedia sul Lido di Dante presso Ravenna, incontra per strada Accattone di Pasolini, ricerca a Londra i luoghi dell’esilio di Foscolo… Insomma, una letteratura calata più che mai nel presente, lontana da ogni prospettiva accademica, una letteratura che offre una ragione di vita. E’ nell’ultima pagina che troviamo il lascito di questi libro, i grandissimi versi de “ Il pianto della scavatrice” di Pasolini .

“ Solo l’amare, solo il conoscere

conta, non l’aver amato

non l’aver conosciuto ( …)”.

Grande libro con un’unica nota di “ demerito” che mi ha fatto notare un amico attento lettore e conoscitore di Affinati. Nessuna donna citata… Un vero peccato…

 Raffaella

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