ECLISSE, di John Banville

pubblicato da: admin - 23 Dicembre, 2010 @ 8:49 pm

Entrare in un romanzo di Banville è lasciarsi trascinare in una sorta di gorgo  perchè la lettura delle sue pagine raddoppiano e triplicano a vortice ogni emozione, ogni scoperta.

La trama in sè parla della crisi di un attore famoso, Alexander,  che a un certo punto “crolla” in scena tra  lo sferraggliare del costume di Anfitrione. Eclisse, crollo nel buio, crisi esistenziale cocente nel disperato tentativo di unire il proprio Io con un Io diviso.

Il rifugio che sembra frenare la sua alienazione è la vecchia casa dei genitori ormai defunti. Una casa che era stata a suo tempo una pensione e dove sembrano aggirarsi non solo intrusi reali ma figure inquietanti, forse fantasmi.  Alexander è un attore, la sua vita reale è sempre stata intimamente legata alla vita recitata e a quella sognata. La conoscenza di sè  non è ancora completa, è  ancora divisa e spezzata da amletici dubbi.

Lascia dunque la moglie Lydia verso la quale prova uno strano rancore allontanandosi così  anche dal dolore della malattia psichica  dell’amata figlia Cass verso la quale prova un oscuro presentimento di tragedia.

Nella vecchia casa  si aggirano il custode e la giovanissima figlia Lily che lui osserva attentamente dandocene un’ambigua  descrizione alla Balthus. Alexander si lascia andare, in una sorta di pellegrinaggio e di ricerca. Vuole ritrovare il suo Essere e non il suo recitare. Ricorda la giovane donna spiata dalla finestrella del bagno quando nuda, essa si apprestava a vestirsi. Sapeva di non essere osservata da nessuno e proprio per questo i suoi gesti emanavano un’apoteosi di grazie e soavità.

Desiderio di scrollarsi la maschera in un sofferto viaggio di autocoscienza. Il suo fallimento è riconosciuto e quasi legittimato dalla tragedia familiare finale della quale sembra averne avuto la prefigurazione nella morte del piccolo gabbiano vegliato dal padre e nelle evanescenti figure che appaiono e scompaiono nella casa.

Il suo dolore e  la sua angoscia scuoteranno violentemente il suo egocentrismo autoreferenziale portandolo a “ un tardivo, ma struggente sussulto di vero amore “. La catarsi arriva alla fine dell’attesa del dolore quando a Porto Venere vedrà la giovane figlia morta.

“Accanto a me Lydia piangeva silenziosamente tra sè, in modo quasi riflessivo, sospirando a sua volta. Eppure mi chiedo se anche lei sentisse, come me, dietro a tutto quanto, dietro al dolore e alle lacrime incessanti, quasi impalpabile ma mai affievolito, il brusio di sollievo, sullo sfondo. Perchè adesso che il peggio era successo non avrei dovuto vivere nella paura del suo incombere. Così la ragione, colpita, formula la sua logica ferita.”

 

C’è poesia nella prosa di Banville che ci offre una lettura a più strati. Ogni pagina  è densa di ricordi, rimandi, non solo dell’autore, ma anche del  Lettore. Ed è questa la magia della Lettura, perchè noi entriamo nel racconto e lo possiamo persino arricchire o modificare con i nostri stessi ricordi o le stesse “intermittenze del cuore”.

Siamo in un mondo parallelo di visioni, monologhi, impressioni che ci spingono a scegliere il modo in cui leggere. Sta a noi afferrarci alla superficie o lasciarci sprofondare nel pozzo.

Naturalmente io mi sono buttata a capofitto nel mondo di Alexander, ho seguito con lui Quirke, il custode, fino al pub e mi sembrava che insieme a noi ci fosse anche Leopold Bloom di Joyce. Sono scesa alla spiaggia di ciottoli ricordando che anche Arsenio di Montale scendeva verso il mare.

Infine ho “ritrovato” un mio  giocattolo dimenticato; la gallinella di plastica gialla, su zampe lunghe ed esili; quando le si premeva il dorso deponeva un uovo di plastica. “Mi pareva di vederla…di sentire lo scatto della molla all’interno poco prima che l’uovo giallo scendesse a scatti lungo l’apposito canale e cadesse sul tavolo, sobbalzando.”

Ma non è straordinario tutto questo? Lo stesso giocattolo!!!

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IL GIARDINO SUL MARE, di Mercè Rodoreda

pubblicato da: admin - 22 Dicembre, 2010 @ 8:15 pm

Mi fa piacere lasciare lo spazio a Camilla che ha  finito di leggere “Il giardino sul mare” di Mercé RODOREDA.  Io ho letto soltanto Via delle Camelie, un racconto un po’ triste, ma intenso.

“ Dopo Piazza del Diamante, dove la tremenda guerra di Spagna fa strage di innocenti, soprattutto di innocenti , come Colombeta e i suoi bambini, e dove Rodoreda descrive come nessun altro giovinezze travolte, infanzia offesa, amore, malgrado tutto, amore caldo e semplice, capace persino di comprendere la disperazione che si mescola con la follia, e i rumori della vita, e gli umori degli uomini, e le loro infantili prepotenze: tutti quei piccioni, povera Colombeta, come avrà fatto con tutti quei piccioni per casa, e la fame e, ancora, l’amore.

Insomma Piazza del diamante è un capolavoro della letteratura spagnola del ‘900, un romanzo decisivo e indimenticabile e dopo questo romanzo leggere tutto quel poco che si trova della Mercé Rodoreda diventa una esigenza.

Il giardino sul mare è lontano , lontano dalla guerra e dalla violenza delle stragi e della fame. C’è un giardiniere che racconta le vicende dei “signorini” ( che belli i nomi in spagnolo, Rosa Maria, Sebastià, Eugeni, Miranda..) che passano le loro splendide estati nella villa sul mare . Dove c’è un magnifico giardino, creato, curato, coccolato e adorato dal giardiniere che parla dei suoi fiori, e ne parla come fossero persone. E tra piante e sementi preziose, racconta la storia dei “padroncini”, giovani bellissimi e eleganti, innamorati e festosi. Tra balli e cavalcate e nuotate e corse sugli sci d’acqua. e le chiacchiere del personale, la cuoca , le cameriere.Persino un leone si portano, un’estate , i signorini, e una scimmia dispettosissima. E il ricco vicino di casa che sta per aprire una nuova bella casa con un altro giardino , che non sarà mai bello come il nostro, ma che porterà altri giovani belli e eleganti con i cavalli e le barche e gli abiti e tutto.

Ci racconta poche , splendenti stagioni estive questo uomo dolce e straordinario. E le vite di tutti, la vita di tutto, viene , piano , piano, tra magnifiche fioriture,a infrangersi inesorabilmente,sulla riva di un magnifico mare.

Ed è subito sera.”

 

Camilla

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UN MONDO NASCOSTO, di Sue Miller

pubblicato da: admin - 21 Dicembre, 2010 @ 7:31 pm

Titolo e copertina accattivanti  in questo libro che in un certo modo si ricollega al Banville che sto leggendo. Anche qui c’è la casa dell’infanzia e c’è la ricerca delle proprie radici. Ma che differenza. Se Alexander di Banville è un essere tormentato e visionario che racchiude in sè quasi tutto il percorso dall’essere umano, dalla primitiva Conoscenza al dolore consapevole di questa scoperta che lo lascia prostrato, Catherine Hubbard risolleva il proprio destino di pluridivorziata ripercorrendo la storia segreta della nonna on un modo squisitamente femminile pur colmo di incomprensioni, forza e fraglità. Dai diari della nonna Georgia, che dal 1919 dopo la morte della madre si occupa del resto della famiglia e che poi è costretta a un ricovero in sanataorio per tubercolosi, Katherine scopre affinità, dolori, amori disperati, incomprensioni, dubbi di una vita.

Sue Miller ci racconta con una scrittura facile, ma ricca di dettagli e sfumature ( il pudding di pane, cappellini, l’aria secca e limpida del Colorado…)  due epoche  dove due figure femminile affrontano le stesse emozioni. I matrimoni, i figli, verità, menzogne, gioie e rimpianti. Manca forse la serenità del momdo della Austen fatta di passeggiate amene, di tanti nastri colorati, ma rimane sempre una storia delicata agli antipodi dall’atmosfera meravigliosa ed inquietante di  Eclisse di Banville.

Non è straordinario che solo con le poche pagine che ora riesco a leggere la sera (altro che i sacri e deliziosi pomeriggi di lettura che Camilla si concede!),  presa come sono sia dal blog che dalle corse prenatalizie, Banville mi solleciti così intensamente a mille rimandi, pensieri, collegamenti?

Ma anche le semplici parole del titolo  di questo libro “Un mondo nascosto” (The world below) mi stuzzicano riflessioni distaccate dalla trama, ma intrecciate alla mia vita, o meglio all’incontro mio e di Camilla ieri al bar. Due signore amanti della lettura, con i loro cappellini invernali, prese immediatamente dall’incanto della lettura. Eravamo al bar, ma improvvisamente  non c’eravamo più, eravamo in  un angolo particolare, “un piccolo mondo nascosto” al via vai degli avventori. Quasi un salotto fine settecento? Forse per la suggestione del prezioso libriccino avvolto in carta impalpabile rosa? O in altri angoli evocati come salotti con mobili cinesi, colori, vasi di fiori … ed ancora  rose reali, delicate,  arrivate da un gentile pakistano materializzatosi davanti al nostro piccolo mondo in cui si rincorrevano, come mi ha scritto Camilla “pensieri e fantasticherie difficili”.

Un’ora intensa tra profumo di caffè e cacao, avvolte dal brusio della vita che scorreva lietamente  e che ci avvolgeva  come carta per regali. E parlare di libri, personaggi, di noi, in un riconoscersi immediato e spontaneo. Mi scrive ancora Camilla : “come in un gioco, quasi un rito apotropaico”.

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PEREGRIN D'AMORE, di Eraldo Affinati

pubblicato da: admin - 20 Dicembre, 2010 @ 7:52 pm

Raffaella ci parla ancora una volta con  chiarezza e passione di uno  scrittore che ammira  e che  conosce personalmente. 

“Peregrin d’amore” è l’ultimo libro di Eraldo Affinati, uno scrittore originale nel panorama italiano, a cui sono particolarmente legata . L’ho incontrato varie volte di persona in Trentino, terra da lui molto amata ed ogni volta l’emozione è stata grande perché Eraldo, oltre ad essere un bravo scrittore è un grande uomo, un viaggiatore, un insegnante con la I maiuscola… . Questo saggio propone al lettore un viaggio “sui generis” nella lingua italiana. Un viaggio in cui alle parole si sovrappongono i luoghi frequentati dagli scrittori. Affinati percorre come un pellegrino una serie di luoghi, toccati ed attraversati dai maggiori scrittori italiani e dalle loro opere, ben quaranta, cercando il senso ed il valore della nostra splendida letteratura. In un’intervista afferma :

“Credo che la letteratura serva a intensificare la vita, quindi ho voluto misurare la forza dei nostri classici facendo rievocare le loro pagine nell’Italia di oggi. Ho scoperto che i boschi attraverso i quali scappava il Renzo manzoniano, in Brianza, sono quasi scomparsi e che la trincea dove Ungaretti scrisse i suoi primi versi, sul vecchio confine italo-sloveno, è invasa dal fogliame. L’ospedale psichiatrico di Castel Pulci, in Toscana, che accolse Dino Campana, era in ristrutturazione. Nelle vie dove giocava Carlo Collodi, dietro il mercato di San Lorenzo, a Firenze, i cinesi vendono tanti Pinocchi sotto forma di ciondoli. Ho cercato questi scarti laceranti perché volevo strappare la letteratura italiana dalla bacheca, come se non riuscissi a considerarla un semplice trofeo.”

I capitoli sono “ stazioni” di questo pellegrinaggio letterario, dove “ risuonano pagine celebri ed amate, si ritrova il senso di tante letture, dell’entusiasmo del lettore, del volto dell’Italia passato e presente”. Affinati spiega S. Francesco e il suo Cantico ad una prostituta nigeriana, Marco Polo agli adolescenti afgani della Città dei Ragazzi, incontra i Rusteghi di Goldoni nei genitori bengalesi che ostacolano il matrimonio della figlia, ritrova il fantasma di Cesare Pavese nel deserto di Yuma e quello di Bassani in Israele. Ed ancora davanti al monumento di Giuseppe Gioacchino Belli a Trastevere, Eraldo ascolta la voce, in romanesco , del proprio padre che nell’aldilà si trova proprio a contatto con Belli. Dialoga con un professore in pensione assistito da una badante ucraina sulla propria passione per la Divina Commedia sul Lido di Dante presso Ravenna, incontra per strada Accattone di Pasolini, ricerca a Londra i luoghi dell’esilio di Foscolo… Insomma, una letteratura calata più che mai nel presente, lontana da ogni prospettiva accademica, una letteratura che offre una ragione di vita. E’ nell’ultima pagina che troviamo il lascito di questi libro, i grandissimi versi de “ Il pianto della scavatrice” di Pasolini .

“ Solo l’amare, solo il conoscere

conta, non l’aver amato

non l’aver conosciuto ( …)”.

Grande libro con un’unica nota di “ demerito” che mi ha fatto notare un amico attento lettore e conoscitore di Affinati. Nessuna donna citata… Un vero peccato…

 Raffaella

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JUDE THE OBSCURE, di Thomas Hardy

pubblicato da: admin - 19 Dicembre, 2010 @ 8:25 pm

Finalmente ieri sera, a letto, apro un libro del “vero” Banville ( come dice Camilla), “Eclisse”. Mi immergo nel suo racconto che già  mi appare doppio, triplo nella sua ricchezza di suggestioni, sogni, realtà  e visioni. Ve ne parlerò quando l’avrò finito di leggere.  E dopo alcune pagine, solo dopo alcune ripeto, leggo che in sogno il protagonista sale una collina e dalla cima di essa guarda verso il basso una città …quest’immagine io da Lettrice patologica l’ho già introiettata, cioè fa parte del mio vissuto letterario, della mia vita parallela. Mi appare dunque Jude, il ragazzo povero della contea di Wessex ( antico nome del Dorset dove nacque Thomas Hardy) quando  un giorno,verso il tramonto, va alla ricerca  della città di Christminster, sua città ideale e sua speranza per riscattarsi da una vita dura di lavoro nei campi. E’ appena stato licenziato perchè¨ non è deciso nello scacciare i corvi dai campi coltivati. La zia, presso cui abita, è¨ insofferente nei suoi riguardi.

Lui vuole vedere Christminster. Chiede informazioni, si allontana dal suo villaggio e cammina, cammina.

A qualche distanza dall’estremo limite dell’orizzonte brillavano dei punti luminosi come topazi. L’atmosfera si fece più trasparente e i punti di topazio si rivelarono guglie, finestre, tetti spiventi,chiazze luminose dei campanili, cupole, cornicioni e altri contorni svariati e appena percettibili. Senza dubbio era Christminster; vista o forse immaginata in quell’atmosfera eccezionale.”

Anche Banville avrà certamente letto Jude l’oscuro, oppure l’immagine delli scorgere dall’alto di un crinale  una città sognata, ideale e forse salvezza delle proprie miserie fa parte del nostro inconscio collettivo.

Thomas Hardy pubblicò questa sua ultima opera nel 1895. E’ senz’altro la più pessimistica, anche se “Tess dei D’Ubersvilles” che sfida il Fato nella speranza di elevarsi socialmente non è certo allegra.

Tess e Jude ricordano i Vinti del Malavoglia, relegati per nascita al proprio ceto senza speranza di riscatto. E  Jude inoltre  non è accettato dalla società perchè non appartiene ad alcun ceto. Egli ha lasciato  il suo villaggio per elevarsi culturalmente. Desidera ardentemente , raggiunta Christminster (città   inventata su modello di Oxford), studiare greco e latino e frequentare l’università , accontendadosi nel frattempo del lavoro di scalpellino. Ma agli occhi degli altri egli “è un abitante nè tra gli uomini nè tra i fantasmi“,  e quindi  oscuro  perchè non percepito.

Sembra di muoversi in un antica tragedia greca  dove è il destino ostile e quasi maligno ad annientare ogni speranza di felicità.  L’uomo così piccolo, non ha potere sull’universo e questo destino immanente si ricollega anche alla visione pessimistica di  Schopenhauer.

Thomas Hardy, non credente, che collega l’epoca vittoriana e il modernismo novecentesco, rivela qualcosa di sè in questo romanzo che suscitò molto scalpore. Anch’egli come Jude Fawley ebbe il grande  inappagato desiderio di frequentare l’Università,  anch’egli sposò una donna sempre più religiosa .

E’ una storia anomala: d’amore senza vero amore, di  un insistente anelito religioso senza più religione alcuna, sconfitte, contraddizioni e una corsa di tutti questi personaggi verso la distruzione.

La  vita  di Jude a Christminster, dopo uno sfortunato matrimonio  fallito con Arabella da cui avrà un figlio prosegue con fatica e speranze disilluse. Incontra però l’amore in Sue Bridehead, una sua cugina. La loro convivenza che suscita scandalo e li emargina ancor di più è sofferta. Per molto tempo il sesso non è vissuto con naturalezza e gioia, anzi viene respinto in nome di una masochistica religiosità di Sue, figura femminile indipendente e contraddittoria. Alla fine però avranno alcuni figli e porteranno in seno alla famiglia il bambino avuto da Arabella, soprannominato Padre Tempo (Little Father time) per via della sua curiosa fisionomia di bambino  precocemente vecchissimo e che farà concludere  tragicamente il destino della famiglia.

“Le nostre idee erano in anticipo di cinquant’anni” dice Jude prima di morire  alla vedova Edlin, parlando anche a nome dell’assente Sue, risposatasi con Phillotson. Il diritto all’istruzione per tutti, anche per i più poveri,  l’attacco all’istituto matrimoniale sono senz’altro idee moderne, ciononostante il romanzo è pieno di contrasti “Lo so, il libro è tutto un contrasto” scrive lo stesso Hardy, infatti pagina dopo pagina si respira quasi fisicamente un’atmosfera di una cupezza archetipica che non ha nessuna possibilità di essere scardinata.

Un romanzo che cattura e che ti rimane impresso, quasi che le sue parole vengano incise a forza in noi, scolpite come  Jude  scolpisce i pinnacoli della Cattedrale .

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LA PAZIENTE DELLE QUATTRO, di Noam Shpancer

pubblicato da: admin - 18 Dicembre, 2010 @ 7:26 pm

Mi piace conoscere i meccanismi della mente mia e altrui. Trovo misteriosa e affascinante la costruzione della personalità di ognuno di noi. Per questo molti miei libri sono testi di psicologia e psicoanalisi. Se trovo poi un romanzo scritto da uno psicologo, docente universtario e clinico al Center for Cognitive and Behavioral Therapy di Columbus che unisce teoria psiconalitica a una storia romanzata il mio piacere è assicurato. Se poi si parla di trattamento dei disturbi d’ansia il mio interesse è alle stelle.

Accanto al racconto dell’amore contrastato dello psicologo, protagonista del racconto, c’è l’accurata descrizione dell’analisi a una nuova paziente, una spogliarellista che non riesce più a esibirsi in pubblico perchè soggetta a ripetuti attacchi di ansia.  

 L’incontro con questa particolare paziente, Tiffany, avviene sempre alle quattro del pomeriggio. Come spesso succede nella terapia emergono transfert e controtransfert, tanto che i confini tra vita professionale e personale dello psicologo si assottigliano pericolosamente. Nel risolvere i conflitti di Tiffany anch’egli si confronta con la propria fragilità e con certi nodi irrisolti della sua vita.

Noam Shpancer in questo suo primo romanzo ci dà anche lezioni di psicologia spiegandoci il Cognitivismo e i principi del Comportamentismo quando il  protagonista impartisce le  lezioni  a un gruppo di universitari.

Sono parti veramente interessanti.  Gli argomenti spiegati a Jennifer, a  Eric, alla ragazza dai capelli rosa, a  Nohan e alle due ragazze dai denti smaglianti sono una guida  alla conoscenza del proprio sè. La vita è una ricerca, lo diceva anche Socrate. Ed allora concentriamoci sulla maniera di pensare e promuoviamo il pensiero corretto, quello che ci fa stare meglio. Scegliamo i nostri pensieri, come se fossimo in un negozio di scarpe.”Il pensiero corretto è un’abitudine che si può acquisire, ma soltanto con l’esercizio quotidiano” come imparare a stere dritti quando si è seduti.

Sempre comunque essere pienamente consapevoli e raccontarlo, a se stessi nell’interrotto monologo interiore che dovremmo avere e agli altri.

Molte sue terorie mi intrigano; egli si discosta spesso da Freud che chiama con epiteti talvolta un po’ pungenti come  l’anziano viennese. Soprattutto si discosta da lui circa la “tirannia dell’infanzia”. Per Freud ogni disturbo della personalità, ogni psicosi o nevrosi, o disturbi d’ansia deve essere ricondotta all’infanzia e dunque ai genitori. Per i cognitivisti e comportamentisti non è così. Certo che l’infanzia conta, ma non è determinante. Istruttiva, ma non decisiva. Insomma siamo noi adulti che dobbiamo “risolvere il problema”. E’ sempre difficile un cambiamento psicologico, E’ chiaro che, prima o poi, capita a tutti di mostrarsi ciechi e deboli di fronte a qualcosa. E gli unici rimedi a questo ostacolo sono “la consapevolezza, l’indagine, la perseveranza e il coraggio.”

Parole sagge!!! Mentre leggo mi sento risollevata e capace di attuare ogni”problem solving”. Non sempre succede, ma ci provo. Altrimenti c’è  LA LETTURA!

*      *     *

Fra un mese l’appuntamento non sarà più quotidiano, ma leggermente diluito nel tempo. Ritroverò più tempo proprio per leggere. Da tanto non faccio le “maratone” che fa Camilla ogni giorno.

Mi rendo conto che nonostante la fatica, l’impegno,  le arrabbiature con il PC, la cancellazione degli spams ecc. scrivere ogni giorno di ciò che ho letto è un grande piacere. So che molti leggono e conservano questi posts sia come consigli di letture, sia come piccolo aiuto per “camminare insieme”.

Trovo inoltre che lasciare spazio anche agli altri Lettori sia stato ed è molto proficuo: altri interessi, altri gusti, altri punti di vista…

Sì, è  auspicabile che altri uomini scrivano i commenti, soprattutto  per non lasciare “isolato” Riccardo, Gran Collaboratore e fucina d’idee!

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UN MONDO CHE NON ESISTE PIU', di Tiziano Terzani

pubblicato da: admin - 17 Dicembre, 2010 @ 7:55 pm

Longanesi, 2010

Riccardo ci illustra con passione  un libro colmo  di significative  immagini  dei tanti viaggi che Tiziano Terzani fece nella sua vita. “L’immagine è un’esigenza” sosteneva infatti lo stesso Terzani.

 

Toscanaccio doc, anzi Fiorentino, 1938-2004. Viaggiatore, giornalista, scrittore, esploratore, fotografo, reporter? No, soprattutto filosofo, amante del sapere!

A cura del figlio, nel 2006 è stato pubblicato postumo “La fine è il mio inizio”. Per il 2010 era prevista l’uscita dell’omonimo film. Mi è sfuggito o è slittato al 2011? Chi mi sa aggiornare?

Il nostro amico Accademico (Accademia delle Muse, Trento) Enrico Fuochi, fra le tante sue iniziative, ha scritto e “fotografato” il libro “Foto Storie”, già tradotto in un post. E’ stato proprio lui – inconsapevolmente ed incolpevolmente – ad attrarre la mia attenzione su questo libro.

Influenzato poi da Fazio/Saviano, ecco l’elenco di alcune foto, tutte rigorosamente in nero e bianco ivi raccolte (noi le facciamo in bianco e nero, ma le sue sono veramente diverse!):

Vietnam 

La carcassa di un elicottero ed una mucca magra che pascola, la contraddizione fra una società semplice, antica e la modernità della guerra …le armi non c’entravano proprio niente …

Due soldati che dormono a terra, a fianco dei loro mitragliatori … la guerra è una cosa triste, ma la cosa più triste è che ci si fa l’abitudine …

I Vietcong … ragazzini, donne giovanissime con i fucili, sviluppavi una grande simpatia per questi qua …

L’Hotel Continental di Saigon, dove ero rimasto con pochi altri giornalisti …

I primi Viet che entrano in Saigon gridando “Giai Phong, Pace!

La folla nei primi momenti della rivoluzione, quando gli eroi non sono ancora stati rimpiazzati dai burocrati del terrore …

Cina

 

Fare jogging di fronte ai templi … ci arrivai nel 1980.

La statua di Mao … Mao era stato il genio impegnato nel più grande esperimento di ingegneria sociale della storia: la ricerca di una società più giusta ed umana. Morì nel 1976. Io ero fra i primi giornalisti che entravano in Cina dal 1949. Era tutto nuovo (rispetto al pre Mao o a Mao? N.d.r.)

I ritratti di Marx, Engels, Stalin, Lenin, come è possibile che alla ricerca di un modo migliore di vivere la Cina dalla immensa cultura millenaria si sia rifatta a due tedeschi e a due russi di cui uno certamente fra i più grandi assassini della storia?

Volti cinesi, mi aspettavo di trovare l’uomo nuovo e invece trovavo l’uomo vecchio, il Cinese della vecchia Cina, che era meraviglioso …

La vecchia Pechino, ogni edificio “giaceva” in una posizione studiata …dal 1949, quando i comunisti la presero, Pechino non è più così, via le vecchie mura, via i vecchi edifici, via i templi, per far posto ai casermoni …

Le gabbie cinesi per uccellini non hanno altalene, è il padrone che fa oscillare gabbia e uccellino …

I piccoli mercati … dove si vendono anche grilli vivi … tenere un grillo significa regalarsi la gioia di sentire l’estate anche durante l’inverno …

I treni a vapore, coni sedili “duri”, quelli della povera gente, ed io con la bicicletta a bordo per scoprire posti nascosti ….

I vecchi templi erano belli, una bellezza distrutta “per far posto al nuovo” …

La statua di un Budda alta venti metri con quarantotto braccia … ecco il vecchio che Mao voleva distruggere per far posto al nuovo …

Facciate di vecchie case e di nuovi casermoni … per costruire il nuovo occorreva distruggere il vecchio …

Xuankong Si, il Tempio che vola, da millequattrocento anni, in alto mille metri di rocce affilate, in basso cento dirupi che fanno tremare, tendi la mano e tocchi la luna mentre nuvole bianche scivolano sulla tua manica …là, dove si sale per scoprire il significato del “Tao”, “La Via” …

La prateria … è senza fine e il treno sembra condannato a non raggiungere mai quel lontano orizzonte …

La via della seta … la storia è passata da questo deserto …

Kashgar, qui la popolazione non è cinese … l’Iman dice: “Allah ci ha dato un cuore solo. O si ha una fede o un’altra. O si crede in Allah o nel comunismo …

Ora le città della Cina sono tutte uguali …tutte hanno la Via della Liberazione, la Via della bandiera Rossa, La Piazza del popolo con un enorme ritratto di Mao …

Un giovane alto e fortissimo mi segue ovunque, da dieci metri di distanza, pistola alla cintura sotto gli abiti … è la mia guardia del corpo …

Il volto di un vecchio … per almeno duemila anni il dovere di un mandarino mandato ad amministrare una regione era di andarsene lasciando tutto come aveva trovato. Conservare era un grande merito.

Statue del Confucio distrutte, abbattute a terra … per secoli l’idea del Confucio ha permeato la società cinese imbevendola dei valori quali la devozione filiale, la benevolenza, l’obbedienza …Mao distrusse tutto ciò.

Tartarughe di pietra in mezzo ai campi … a loro venivano affidati i messaggi per l posterità …l’antica Storia distrutta spuntava ancora dalla terra …

Nonostante il tentativo del comunismo di eliminare ogni traccia del passato … ora i mercatini sono rinati … è rinata la vera Cina. Con Mao tutto era dello stato, persino coltivare un cavolo era considerato capitalismo e condannato .. ora la gente riempie piccoli mercati e vende di tutto, questo è il dopo Mao …

Un contadino trasporta un maiale sulla propria bicicletta, gli è consentito in quanto egli è un “rivenditore di lunga distanza” …

Cinesi che trascinano pesanti carichi di legname: “Se il socialismo è così buono, perché non raggiungiamo il livello di vita degli operai del capitalismo”?

Una vecchia: “La tartaruga conosce i segreti del cielo e della terra. Il Presidente Mao ha mutato il corso dei fiumi, ha spostato le montagne ma non è riuscito a cambiare la forma della tartaruga”.

Davanti ad una ciotola di riso. .. la natura umana non può essere combattuta … tu puoi date a tutti una ciotola di riso ed una veste, ma c’è sempre chi vuole due ciotole e due vesti …

Tibet

La piana di Lhasa … da secoli pellegrini hanno viaggiato ani per visitarla , e molti sono morti prima di raggiungerla …

Si sale al santuario camminando sulle ginocchia … non abbiamo inventato nulla …

Ora la Piana di Lhasa è invasa dai supermercati cinesi …

Una foto del Dalai Lama … se c’è grandezza è nella sua semplicità …

Giappone

1985, il Giappone rappresentava l’Asia che ce l’aveva fatta a uscire dal sottosviluppo. La vita dei poveri mi attraeva … quella dei ricchi era spaventosa per orari di lavoro e ritmi di vita devastanti.

Pachinko: night club, bar, love hotel, caffè, video club, club telefonico, lupanare, bolla di sapone che cerca di distrarre dalla insopportabile qualità della vita …

In Giappone ci sono 86.552 gangster, gli yakuza, tutti conosciuti e registrati come tali …la società ci chiama banditi ma noi siamo gli eredi dei samurai …Gli altri, i normali, i sarari-man sono burocrati e politici che pensano solo ai soldi …

Unione Sovietica

Vuoi vedere la tragedia umana? Vai nelle Curili.

La statua di Lenin senza la testa … Dov’è? Nessuno lo sa.

Allah akbar, Allah è grande … e abbattono la statua di Lenin …però solo i miopi non vedono che il fondamentalismo islamico ha preso il posto del marxismo-leninismo …che era l’arma del tempo per combattere l’occidente, ora il tempo è trascorso, l’arma è diversa …

Filippine

In taxi, al tassita: “Quanti morti oggi?” Risponde: “Al deposito i “salvati” (i morti) erano due …”

Tutti contro tutti: guerriglieri comunisti, bande diverse di soldati governativi, polizia, musulmani locali, bande di destra e di sinistra, semplici ed onesti banditi …

Una vecchia macchina da scrivere, per strada, poggiata su di un otre di coccio rotto …

Cambogia

Giovani, ragazzi, allineati sotto gli alberi, cadaveri. Segui la puzza e ti ritroverai in Cambogia.

I chilometri di bassorilievi di Angkor erano una profezia, perchè rappresentano tutto quello che poi è avvenuto.

Centinaia di bonzi che escono dai monasteri di Luang Prabang … la popolazione inginocchiata sui marciapiedi offre loro le elemosine

!993: “Attento, nel 1993 corri un gran rischio di morire. In quell’anno non volare mai” disse un indovino. In quell’anno non volai. Molti aerei precipitarono. Senza di me.

Viaggiare sdraiato sulla poppa di un battello, all’aperto …Adoravo viaggiare così. Viaggiare è un’arte da praticare con amore, con passione. A forza di viaggiare in aereo l’avevo quasi disimparata e pensare che è l’unica cosa a cui tengo! E poi dovevo evitare l’aereo, me l’aveva detto l’indovino …

Foto del 1993, tutte scattate perché non avevo perso l’aereo ….

Mustang

Lo Mustang, la capitale, la “Valle di tutte le aspirazioni”, è come raggiungere un tempo che si è fermato a quel tempo …

Volti bruciati dal sole che ha scavato rughe sui visi e nei deserti …

Volti di bimbi, molti con il tracoma che li porterà alla cecità …

Piccoli bonzi in preghiera … dobbiamo liberarci da passioni quali il desiderio, la paura, l’insicurezza, l’ingordigia, l’orgoglio, la vanità. Esse generano le guerre.

Mandrie al pascolo … fra pietraie senza erba

India

Cassaforte di umanità, gigantesca Arca di Noè, stivata da creature non ancora addomesticate …

I portatori di i mattoni

Forse l’India sarà capace di resistere all’ondata del materialismo …

Un vecchio, con una lunga e folta barba bianca: Lei è malato? Si, come tutti, di mortalità.

Se le formiche ci sono, perché ammazzarle?

Nella folla c’era un uomo, con un sorriso così beato, la gente diceva: Quello sa qualcosa che noi non sappiamo”. Ho passato gli altri anni della mia vita cercando di scoprire cosa.

Se Dio è morto in Occidente, in India ha ancora mille indirizzi.

Erano tanti piccoli passi che facevo per allontanarmi dalla mia vita normale e trovare il filo di un’altra.

Himalaya

Montagne immense. Il “divino” è la bellezza del senso di grandezza, l’allusione a tutto ciò che l’uomo non può essere.

Un pellegrino sale. Non più rivoluzioni, non servono a nulla. Tu devi andare “upar”, più su, devi salire.

Da giovane guardavo le montagne per conquistarle. Ora mi piace essere conquistato da loro.

Abbandona tutto ciò che non ti serve, non aver paura di restare senza niente, rifletti: chi fa cantare gli uccellini?

Mi hanno fotografato di spalle, mentre percorro un sentiero innevato. Sento che la mia vita sfugge ma non sfugge perché diventa parte di quegli alberi che rasento … una cosa bellissima .. disfarsi nella vita del cosmo ed essere parte di tutto.

 

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HAIKU, la poesia in un frammento d'emozione

pubblicato da: admin - 16 Dicembre, 2010 @ 9:32 pm

imagesHaiku. Pennellate di poesia. Frammenti lirici dell’antico Giappone. Quest’arte iniziata nel XVII sec. ha ispirato persone sensibili e poeti. Nella sua brevità l’haiku giapponese esprime al meglio la sensibilità dell’anima, con accenni e  allusioni a momenti epifanici di scoperta interiore o di intimo afflato con la natura.

Nel frammento lirico c’è un mondo di emozioni, sensazioni, immagini esteriori ed interiori. E’ lo stupore nell’osservare la Natura nel suo ciclico alternarsi delle stagioni, con i suoi colori, il suo “vivere” ad ispirare con dolcezza, malinconia, ironia i suoi versi.

Grandi poeti giapponesi come Basho, vissuto nel XVII sec., ci hanno regalato lezioni di coinvolgimento totale con la Natura, con la Vita nel suo palpitare e grazie al loro “silenzio” di osservatori ci hanno regalato momenti di delizia.

Nel vecchio stagno

una rana si tuffa.

Rumore d’acqua.

Un tranquillo ed immoto specchio d’acqua davanti agli occhi e al cuore del Poeta. Un guizzo vitale e verde che fa scintillare visivamente e sonoramente l’acqua.

Ed ancora.

Quando l’insegui

la lucciola s’occulta

nel plenilunio.

Un piccola luce che fugge da noi per nascondersi nella pienezza luminosa dell’astro notturno. Per noi l’accettazione dell’indistinto Tutto.

Anche in Occidente questi componimenti poetici sono apprezzati. Kerouac e Borges si sono cimentati in queste composizioni.

Ci sono anche delle regole da seguire. Un Haìku dev’essere di tre versi: un quinario, un settenario, un quinario.

Come docente di lettere alle medie ho insegnato a tutte le mie scolaresche quest’arte, un po’ per abituarli ad una corretta suddivisione delle sillabe e soprattutto  per far loro  acquisire la consapevoleza della bellezza che ci circonda. Ho raggiunto esiti inaspettati, versi bellissimi. Ma come già detto nei giovanissimi c’è  il Poeta in nuce. Poeta che credo tutti possiamo essere.

Il linguaggio consueto è inadeguato nel testimoniare la Verità. Ecco l’essenzialità di poche parole  che sgorgano dall’Intuizione. Tipico della cultura Zen l’abbandono fiducioso al Cosmo.

Gli uccelli  cantano

nel buio.

Alba piovosa.

Malinconia della notte che finisce nella pioggia, ma canto garrulo di creature che accettano serenamente l’ineluttabile.

Ieri sera, nella casa di Cristina che accoglie le famose Penelopi, oltre a canti, musica e assaggio di torte ci siamo dilettate a leggere alcuni nostri haiku che hanno come filo conduttore il Natale.

 Cristina, Anita ed io.

Ve ne trascrivo alcuni, invitando anche  voi a scriverne. Osservate la notte algida, il sole sulla neve, le foglie accartocciate sul suolo gelato, il vento freddo del nord che fa tintinnare i ciondoli degli alberi decorati… ricordate il primo  e il terzo verso di cinque sillabe, il secondo di sette…mi ascolterete?

Cristina scrive

Fiocca la neve,

sotto il suo manto, noi

siamo fratelli.

  

Fermati un poco.

Così accanto al Bambino

saremo insieme.

  

Mirna scrive

 

Accendo al vento

la gioia del Presepe.

Respiro amore.

  

Rosso di bacche

tra i merli del mattino

nel bianco inverno.

  

Il fuoco che arde

e brucia i rami secchi.

Nuovo è il Tempo.

  

 

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RACCONTI LONDINESI, e l'osservazione spietata della vita

pubblicato da: admin - 15 Dicembre, 2010 @ 7:49 pm

scansione0010 - Copiascansione0008Fu la prima insegnante di pianoforte di Stefania, la simpatica scozzese Jennifer, a farmi conoscere Doris Lessing.

“Ma come, una lettrice come te, non ha ancora letto la Lessing?” Sto parlando di tanti anni fa. Subito corsi in biblioteca. Trovai “Il diario di Jane Somers”. Rivelazione, innamoramento. Le tematiche affrontate, il modo crudo e realistico del racconto mi affascinarono. Il rapporto tra la ancora giovane Janna –  Jane - appena rimasta vedova e la dispotica, vecchia , brutta e solitaria  Maude è indimenticabile. Nessuna retorica, ma la consapevolezza delle nostre miserie umane, siano esse l’egoismo e la disattenzione verso gli altri, sia l’inevitabile decadimento fisico.  Ci sono su Internet fiumi di recensioni e riassunti di questo romanzo. Ciò che mi colpì, a suo tempo, fu proprio lo sforzo che Jane si impone per aiutare Maude che  in certi momenti  risulta quasi repellente,  e quanto sia difficile, tutto sommato, aiutare e farsi aiutare.

Proseguii con la letture dei romanzi della Lessing – ne ha scritti più di 50 – entrando nel mondo di un suo  altro personaggio che vive in Sudafrica, Martha Quest.

 E non poteva mancare il suo libro sui gatti. Doris Lessing ha convissuto con gatti, come sto facendo io con Mimilla.

 L’unico libro che posseggo invece è questo “Racconti londinesi“, comprato perchè pensavo alla “mia swinging London” di fine anni ’60. Infatti, ancor prima di leggerlo, ne regalai una copia alla mia “compagna di avventure”, Giuliana.  Diversa atmosfera. Noi, spensierate ventenni alla pari, il cui solo compito era di accudire qualche bebè , di seguire un corso di lingua e poi andare alla ricerca dei Beatles, di amici, di gadget londinesi, di mostre, di tutto ciò che era il nostro vissuto  letterario inglese. Eravamo delle osservatrici ilari, gioiose, per cui tutto sembrava bello: gli speakers  nell’Hyde Park corner, il teatro, gli incontri al British Council, le passeggiate fra i monumenti di una Londra che era, e per noi è tuttora, parte di un giovanile sogno mai ripudiato.

Doris Lessing osserva con acutezza di donna matura e   di scrittrice sensibile e attenta la Londra multiculturale degli anni ’80. Non c’è più una popolazione omogenea di  puri British, però neppure quando c’eravamo noi, era così. Quanti amici indiani, cambogiani, pakistani, italiani, spagnoli incontrammo!

Qui la vita viene racchiusa in brevi mappe geografiche: un caffè, una stazione della metropolitana, qualche quartiere londinese, gli innumerevoli parchi dove passeggiare. Ci sono gestori greci, turchi, clienti tedeschi o  di altre culture.

Ma questo libro poteva benissimo avere un altro titolo.  (Infatti Giuliana rimase delusa: avrebbe voluto ripercorrere con  la minigonna  e le nostre fresche speranze Carnaby Street, Portobello…)

Ciò che  qui viene raccontato è la vita dell’umanità: diverse etnie che si incontrano e si scontrano, diversi  comportamenti sociali , difficoltà di inserimento dei nuovi immigrati, sventure del sesso più debole: ragazzine che rimangono incinte, mogli abbbandonate, bambini vittime dell’egoismo dei genitori.

Diciotto racconti, alcuni intensi e drammatici, altri che scivolano attraverso lo sguardo dell’Osservatrice che scrive la quale so trova  sempre accanto ai personaggi  che  incontra in un bar, nel parco, in metropolitana e dei quali  riesce a scoprire con scientifica perspicacia  l’evolversi delle loro situazioni.

Uno spiare empatico, attento per fare di questi avvenimenti un paradigma dell’esistenza umana. Titoli lapidari: “Passerotti”, “Leo”,”Il nuovo caffè” , “Tra le rose” “Temporali” tutti scenari o teatri di accadimenti che come frecce vanno dritti al cuore sconvolgendone le aspettative.

Acutissima Doris Lessing, che nel 2007 vinse il Nobel per la letteratura, ma che talvolta scuote il nostro”voler stare tranquilli”, non voler vedere tutte  le  scomode verità. Meglio far finta di nulla?  Meglio “veleggiare” come facevamo noi ragazzine beat, un po’ incoscienti, fiduciose  e superficiali?

 Dice un personaggio del suo ultimo raccontino: “Persone civili”:

Forse non è sempre un vantaggio essere tanto inesorabilmente perspicaci.”

*Che ne pensate?

*   *    *  

Non posso esimermi dall’aggiungere una nota della mia piccola vita di osservatrice.  Fumo la sigaretta post caffè affacciata alla finestra del mio condominio, stamattina, abbastanza presto mentre l’aria gelida mi ha convinto ad avvolgermi nello scialle rosso. Vedo il vedovo del terzo piano -ho già parlato di lui – e della sua abitudine di mettere   due grandi foto della moglie alla finestra, rivolte verso il cortile. Non riesco a togliere lo sguardo, lui non si accorge di me, tutto preso dal suo rito d’amore. Sul tavolinetto accanto al davanzale mette e rimette vari centrini, li accarezza e poi lentamente pone prima una foto, poi l’altra.  La moglie ritratta in bianco e nero è una bella signora sorridente  dalla pettinatura cotonata. Poi  sistema davanti ad ogni foto un vasetto  di fiori finti. Controlla accuratamente. Sembra soddifatto.  So che uscirà. E’ un arzillo signore ben curato che spesso vedo entrare al Centro Anziani con  il suo borsello  a tracolla e un’aria impenetrabilmente serena.

Cone la Lessing nei suoi “Racconti londinesi” non sono riuscita a staccarmi dall’empatia che provavo verso di lui. Mi sembrava  di percepire ogni suo pensiero e la sua consolazione in questo dolce e triste rituale. Potevo staccarmi da ciò? Perchè? Il mio sguardo, il mio cuore gli inviavano affetto, comprensione, tenerezza.

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DEGLI UOMINI, di Laurent Mauvignier

pubblicato da: admin - 14 Dicembre, 2010 @ 10:13 pm
 I commenti di Camilla, lettrice  che io definisco vestale e pioniera della letteratura per il suo incedere coraggioso nei meandri e delle novità e della ricerca, sono dei piccoli posts, cioè delle presentazioni dei libri che ha letto. Talvolta un po’ enigmatici, ma proprio per questo accattivanti ed ammaliatori, come tutto ciò che misteriosamente viene descritto con passione ed immedesimazione.
 Spinta dalla curiosità, ed in attesa di avere più tempo per leggerlo, ho cercato su Internet qualche notizia in più. Beh, siamo nella campagna francese e i personaggi dipinti in modo magistrale da Camilla sono senz’altro paradigma dei nostri più reconditi sentimenti.

Ecco , i miei spietati passi, riportano alla PROSA. Proseguo (e mi dispiace che lo finirò troppo presto) nella lettura di Mauvignier, : la scrittura penetra nella mente e…nel cuore (?)sì nel cuore perchè lo sento battere un poco più forte e sono lì anch’io tra Fuoco di legna soprannome di Bernard e Solange, Rabut,eNicole e tutti i compaesani i Bernard, dentro questa narrazione umana- Troppo umana.

 Questo straordinario affresco zeppo di poesie e di poeti, che ho letto con grande piacere.
Devo pur dire che ho finito il romanzo di Laurent Mauvignier, questo ancor giovane scrittore francese, dalla scrittura travolgente, sembra di stare in un teatro greco per la drammaticità e senso dell’ineluttabile, ma la ricchezza umana esplicita e splendente di verità , negata da tutti, dimenticata con la forza della volontà o della necessità di sopravivere, sorda e rabbiosa dentro le pance di ognuno, ma apparentemente silente, la verità che ha annientato Bernard, c’è questa verità, che filtra, malgrado tutto, da ogni crepa del cuore degli uomini. E’ la storia di un uomo di nome Bernard, soprannominato fuoco di legna, ridotto a un barbone, sempre ubriaco, pazzo di solitudine e pieno , ancora e ancora, di caotico amore per qualcuno di ormai perduto ma anche per Solange, una delle sorelle. E per una figurina di bimba, racchiusa in una vecchia fotografia, del passato urlante, che non può essere sopportato da un essere umano- e Bernard è rimasto un essere umano, massacrato dai ricordi che non ha nascosto.
Un libro diverso, , dalla scrittura mimetica e lirica, nitido fino all’incredibile e commovente. E ci si sente tutti, ma proprio tutti, di far parte dello stesso , immenso, popolo umano, così uguale a se stesso, ovunque. Laurent Mauvignier – Degli uomini – ed. Feltrinelli – ottobre 2010

Camilla

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