CON IL VENTO NEI CAPELLI, di Salwa Salem

pubblicato da: admin - 30 Settembre, 2010 @ 6:34 pm

product-342132[1]Ecco una delle ultime letture di Riccardo, una lettura che ci lascia sgomenti come sempre  davanti al  razzismo, all’intolleranza, alla violenza dilaganti lontano e vicino a noi.  Sembra che la Storia non sia stata magistra vitae.

 Una Palestinese racconta

Giunti Ed., 1993

181 pagine, €11,90

 

Salwa, nata in Palestina nel 1940, cacciata dalla sua casa nel 1948, emigrata in Kuwait (!959-1966) e a Damasco, sposa a 26 anni, tre figli, riemigrata in Austria (1966-1970) e in Italia. (1970-1992). Morta di malattia nel 1992, non prima di avere raccontato la sua storia ad un’altra donna, Laura Maritano, Torinese del 1965, che l’ha aiutata nella stesura del libro.

Una bambina, una ragazza, una madre … una Donna, la stessa persona, racconta.

Di quando in Palestina Palestinesi, Ebrei ed altre genti, in modo naturale e spontaneo, avevano impostato una pacifica convivenza … di quando lei aveva una casa, una famiglia, un giardino, tanti amichetti, una vita serena .. e poi, improvvisamente, di quando “Via, va via, questa casa non è più tua …”

Stragi, violenze … perchè?

Le mie annotazioni non vogliono essere “politiche”, ma leggere questa testimonianza richiama alla memoria la “caccia all’Ebreo” di nazista memoria o la strage degli Armeni …

Solo una Donna poteva descrivere tutto ciò con l’equilibrio usato da Salwa … solo una Donna forte come lei poteva reimpostare la sua vita, continuare a lottare per le sue idee e per la libertà di tutti i popoli, sempre impegnata a vivere “con il vento nei capelli”, sposarsi, avere tre figli, tenere conferenze fra cui una a Riva del Garda, solo una Donna come lei poteva sopravvivere a se stessa, attraverso la sua testimonianza.

La scrittura è lineare, incisiva, completa d’ogni dettaglio essenziale, senza fronzoli e autocommiserazioni e proprio per questo ancora più toccante. Non è un romanzo. E’ la storia di una Persona, di una Famiglia, di un Popolo vissuta sulla propria pelle.

Il libro ci fa riflettere su quanto “poco” basti sia per costruire che per distruggere “molto”.

 

Riccardo Lucatti

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IL DIARIO DI HELENE BERR

pubblicato da: admin - 29 Settembre, 2010 @ 5:17 pm

scansione0019Ancora un diario come mia scelta di lettura. Ed ancora le pagine scritte da una giovane parigina di religione ebraica durante l’occupazione nazista. In questo mio blog ho già presentato parecchi diari di ragazze ebree da Etty Hillesum ad Anna Frank, tuttavia  rimango sempre coinvolta e conquistata dai pensieri della giovinezza e dalla forza dimostrata da essa  in un terribile contesto storico che non dobbiamo dimenticare.

Anche per questa ventenne, Héléne Berr, lo scrivere di sè è una spinta necessaria per capirsi , ma soprattutto per salvarsi dalla ventata nefasta dei tempi. Il diario inizia nell’aprile del 1942  in una splendente mattinata in cui Helénè, studentessa alla Sorbonne, va a ritirare presso la portineria dove abita il poeta  Paul Valery, un libro richiesto con coraggio e grande desiderio e sul cui frontespizio  Valery ha scritto  “Copia per la signorina Héléne Berr. E un po’ più sotto “Al risveglio, così dolce, e così bello quest’azzurro vivo.”

C’è ancora armonia nella vita di questa giovane e bella ragazza, amante della musica, della letteratura, dei classici inglesi, ci sono ancora, come per Etty e per la giovanissima Anna Frank, amore e desiderio e ringraziamento per la vita. Vi è in tutte, in questo delicato mazzo di fiori freschi di giovinezza, la propensione alla felicità, la voglia di  scivolare entro le doti di sensibilità e intelligenza che la natura ha loro offerto. Desiderio di guardare con naturalezza e compiacimento la propria ombra nel sole.

Hélène studia Beowulf, poema epico anglosassone  dell’Alto Medioevo, legge tantissimo (abbiamo la lista dei suoi libri presi in prestito alla biblioteca della Sorbonne), “Alice nel paese delle meraviglie”, “Delitto e castigo”, romanzi di Gide, di Ibsen, poesie di Rilke, di Keats, Shakespeare, ecc.ecc. Forse sarebbe diventata una scrittrice delicatamente intensa come Katherine Mansfield.

Nelle prime cinquanta pagine del diario sembra che la guerra sia lontana, pochi sono gli accenni ai “tempi oscuri”, in cui sta vivendo.  Sembra relegare nel più profondo di sè la paura, l’angoscia. Passeggia con gli amici nei giardini del Lussemburgo,  prova i primi palpiti d’amore per Jean,  parla di letteratura e della sua passione per il violino.  Questi giovani studenti sembrano coltivare “il piacere di una egoistica magia“.

Ma il 29 maggio 1942 giunge l’obbligo per gli ebrei  di cucirsi una stella gialla di stoffa sugli abiti. “Sono tornata a casa dalla Sorbona completamente stordita..Non so più chi sono…Non volevo mettere quel contrassegno”  scrive Hélène “Lo consideravo un’infamia e una prova di obbedienza alle leggi tedesche. Stasera, è cambiato tutto di nuovo: trovo che è una vigliaccheria non farlo, nei confronti di chi lo farà“.

Da ora in avanti le sue pagine cambieranno, già il 6 luglio ci racconta che presto si farà reclutare come assistente sociale volontaria nella sede dell’UGIF ( Unione generale degli Israeliti in Francia) . Così ogni giorno sarà in contatto con famiglie smembrate dagli arresti e dalle deportazioni nei campi di Drancy e del Loret.  E’ coraggiosa, limpida, e sa di avere fatto una scelta fatale ” Viviamo ora per ora, non più settimana per settimana” Ed aggiunge più tardi “Avevo il desiderio di espiare, non so perchè“. Queste ultime frasi sembrano riportarci, spiega Patrick Mondiano curatore del libro, alla filosofia di Simone Weil.

La storia di Hélène Berr finisce tristemente, nello stesso modo in cui finisce la vita di Anna e  di Etty, ed anche  i suoi pensieri scritti diventano non solo preziosa, e mai ripetuta abbastanza , testimonianza, ma anche pagine di alto valore letterario.

*     *     * 

Ma molto presto Riccardo ci parlerà di una dolorosa storia  di un’altra donna, di una palestinese, per sottolinearci che la sofferenza non ha confini nè geografici nè ideologici.

E a proposito di Riccardo e del suo interessante commento sull’antipatia per l’uomo D’Annunzio.  Perchè non  riflettere su quali autori non stimati ci respingono pur apprezzando il loro valore letterario? O ancora…chi riesce a scindere nettamente l’uomo dall’artista?

Il blog si allergherebbe ancora di spunti e idee. Proprio pochi giorni fa ho saputo che Trento blog ha monitorato moltissimi visitatori al nostro “un libro al giorno”.

Contenta perciò di aver allargato anche alla fascia giovane l’invito di scrivere delle proprie letture, perchè LEGGERE, LEGGERE, LEGGERE è …vivere di più.

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HARRY POTTER e un po' di magia per tutti

pubblicato da: admin - 28 Settembre, 2010 @ 5:26 pm

wizarding-world-mini[1]ilcalicedifuoco03[1]Oggi un post speciale, quello di un mio giovane ex alunno, che ha appena iniziato le superiori e che adora Harry Potter e la scuola di magia di Hogwarts. Sono così contenta che ci abbia scritto, e così bene, che lo pubblico immediatamente, includendo anche la mail allegata.

Cara prof,
purtroppo la mail che mi ha inviato all’inzio di settembre l’ho letta solo ora,
quindi mi scuso del ritardo nel recapitarle il breve post che mi ha chiesto su Harry Potter.
Spero vada bene, tra l’inizio della scuola, gli impegni sportivi e famigliari, non ho avuto molto tempo per sfornare lo scritto.
Modifichi a sua piacimento tutto quello che stona o non va bene!
La ringrazio della proposta, augurandomi che il tutto di per sè le piaccia.
Ringrazio
le amiche “potteriane” che mi hanno dato una mano nel rivedere il tutto.
A presto,
                                                                                         Lucamaria
PS: la scuola mi piace molto, peccato sia davvero pesante!

Ho sempre fantasticato sul soprannaturale. La magia mi ha sempre affascinato sin dall’infanzia, e anche tuttora, nonostante io sia cresciuto, essa continua a colorare la mia fantasia.

Non so proprio come sarebbe stato senza questi libri, questi romanzi che traboccano magia e mistero pagina dopo pagina, stregando il lettore e portandolo in un universo parallelo, un universo al di là di un binario.

Joanne Kathleen Rowling è la scrittrice per ragazzi più famosa al mondo. Harry Potter, il maghetto con gli occhiali e la cicatrice a forma di saetta, è il più celebre mago della letteratura fantasy mondiale, creato durante un viaggio su un treno da Manchester a Londra, quando l’autrice fantasticò per lunghe ore il suo mondo.  Arrivata alla stazione di King’s Cross tutti i personaggi avevano già acquistato carattere. Zia Rowling, così mi piace chiamarla, ha incantato milioni di giovani ed adulti, facendo loro vivere una seconda vita.

La magia non è l’unico aspetto predominante dei suoi libri, è solo la sfumatura che attira a leggerli. Harry Potter, con i suoi amici Ron ed Hermione, cresce insieme al lettore, il quale si identifica con i personaggi. Anch’essi, nonostante una bacchetta che al minimo tocco risolve molti problemi, si trovano a combattere contro le difficoltà della società giovanile di oggi, come la scuola, l’amicizia e gli amori, le gioie e i dissapori della vita. Nella scuola dove i personaggi dei quadri vanno a zonzo, i mantelli rendono invisibili, gli sport vengono giocati a cavallo di scope volanti e la posta viene recapitata dai gufi, Harry studia le diverse branche della magia per diventare un mago a tutti gli effetti. E il suo cammino nei sette libri della saga si fa sempre più emozionante e difficile, via via che gli anni passano e l’Oscuro signore Lord Voldemort, colui-che-non-deve-essere-nominato, torna a pieno regime.

Quanti ragazzi sognano di ricevere una lettera da Hogwarts per imparare a lanciare incantesimi, fabbricare pozioni, trasfigurare gli oggetti e prevedere il futuro attraverso una sfera di cristallo? Anche io, all’età di undici anni ci speravo. Peccato, non arrivò mai!

Ho trovato un rifugio, un aiuto nei momenti tristi e in quelli felici, in questa storia. Un luogo, incantato, dove anche le piccole cose, sono fonte di grandi emozioni. E non solo: un luogo che dà l’opportunità di vedere la realtà in modo diverso, non dove nascondersi e non riemergere più.

Non serve a niente rifugiarsi nei sogni e dimenticarsi di vivere, conferma Albus Silente, il preside della scuola di magia.

Infine, consiglio a chiunque, sia grande che piccolo, di leggere questi capolavori, sperando che come me, li gusti lietamente.

Lucamaria Casagrande

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VITA DI GABRIELE D'ANNUNZIO, di Piero Chiara

pubblicato da: admin - 27 Settembre, 2010 @ 7:18 pm

scansione0018Sono contenta che Camilla abbia ricordato i gusti letterari della sua Mamma, la  loro simpatica diatriba sugli autori di testa o di cuore e il suo apprezzamento per Gabriele D’Annunzio. Mi è sorto così l’input per il post odierno.

 Posseggo da più di trent’anni una simpatica, esaustiva, interessante biografia del nostro Vate abruzzese scritta da Piero Chiara.

A quel tempo ero iscritta al Club degli Editori per cui non credo che questa edizione con un dipinto di Tamara de Lempicka in copertina  sia ancora in circolazione. So soltanto che lessi questo libro con gusto, sottolineando periodi interi  che mi sono serviti sia per i miei esami universitari che per il mio piacere di Lettrice. Ricordo, e  ne rido sempre ,  che a  un certo punto Piero Chiara scrive che  D’Annunzio si ritirò a vita “monastica”… nel senso veneto della parola.

Autore di cuore senz’altro soprattutto per la sua prorompente carica emotviva, ma anche di testa per l’intenso sperimentalismo che presiede tutta la sua opera, Gabriele D’Annunzio si cimenta in un gran numero di generi letterari pur recando sempre nel suo cuore e nella sua mente il desiderio fremente di rinnovamento. Golosità di arte e di vita?  Essere sempre à la page?

Estimatori  o no di D’Annunzio nessuno può negargli l’eccezionale originalità creativa e una formidabile padronanza di mezzi espressivi.

La Mamma di Camilla avrebbe apprezzato questa biografia? O forse l’avrà letta?

Il mio primo d’Annunzio fu impegnativo, nientemeno che “La figlia di Iorio”, regalo di un ammiratore, per cui, un po’ per curiosità, un po’ per compiacere il suddetto corteggiatore lo imparai quasi a memoria. Avevo diciasette anni. Mi piaceva tanto il nome Mila di Codra ed ero orgogliosa che Mirna  avesse una vaga assonanza con esso.  Recitavo reggendo il libretto color burro in mano “”Non mi toccare! Peccato fai / contro la legge del focolare, / tu fai peccato grande mortale /…Io su la pietra…/il vino verso che mi fu dato / da una sorella della tua carne/…Popolo giusto ti do/ nelle mani  / Mila di Codra,/ la figlia di Iorio.      Il tutto si conclude  con Mila in mezzo alla turba che esclama: “La fiamma è bella! La fiamma è bella”

Dopo  l’approccio pilotato verso questa sensuale tragedia pastorale dimenticai D’Annunzio per alcuni anni, fino alla scoperta dei suoi romanzi e di Andrea Sperelli! “Il piacere” fu il romanzo divorato in ospedale appena operata d’appendicectomia. Avevo 20 anni. Ne fui conquistata, avvolta, ammaliata, il suo decadentismo mi affascinava, la sua prosa psicologica mi intrigava. Insomma non facevo altro che “entrare” ne “Il piacere” e ne “Il fuoco”. A quei tempi io lavoravo come  impiegata precaria proprio presso l’economato di quell’ospedale, quindi mi conoscevano tutti, anche il cappellano, un’anima lunga lunga, pallida, nera, il quale  durante le sue visite consolatrici, si accorse  un giorno delle mie letture non adatte a una signorinetta! Mi fece una severa “predica”  e mi portò subito  un piccolo vangelo che  io sostituivo al mio D’Annunzio  (nascosto)  soltanto quando sapevo dell’arrivo del Don!

E poi D’Annunzio poeta….e le sue parole musicali, anche quelle   inventate come  il” meriggiare”  o assorbite da Dante ” il tremolar della marina”. E il gusto della vita  e della bellezza.

Troppo ci sarebbe da dire, lascio a voi la parola per ampliare…

Oggi, giornata piovosa, non si può far a meno di desiderare di essere ancora in grado di passeggiare in una pineta e ascoltare, guardare, assaporare ogni singolo sussulto della pioggia tra gli alberi.

“Or s’ode su tutta la fronda/ crosciare / l’argentea pioggia / che monda /, il croscio che varia / secondo la fronda / più folta men folta./

…Piove su le tue ciglia nere / sì che par tu pianga / ma di piacere; non bianca / ma quasi fatta virente, / par da scorza tu esca. / E tutta la vita è in noi fresca / aulente, /il cuor nel petto è come pèsca / intatta, / …E andiam di fratta in fratta, /or congiunti or disciolti/ (e il verde vigor rude / ci allaccia i malleoli ( c’intrica i ginocchi) / chi sa dove, chi sa dove!/

E piove su i nostri volti silvani…”

Eh no, dovreste finirla di recitare voi! La conosciamo tutti, non è vero?  Consigliavo persino agli alunni di terza di uscire in primavera quando la pioggerella è leggera e di  passeggiare nel verde per gustare e capire la dolcezza dell’unione con la natura! Recitando naturalmente alcuni versi della poesia.

Perchè non scrivete del vostro d’Annunzio?

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MARCOVALDO, e la ricerca della natura perduta

pubblicato da: admin - 26 Settembre, 2010 @ 7:23 pm

Durante la bellissima passeggiata pomeridiana attorno al lago di Caldonazzo, dalle parti di Tenna e di Ischia ho ripensato a Marcovaldo, Cittadino per antonomasia, divenuto parte integrante di cemento, asfalto, ciminiere tanto da fraintendere spesso gli ultimi scorci che la  Natura irraggiungibile gli offre.  Personaggio buffo e malinconico, ingenuo ed eroe suo malgrado, Marcovaldo è il protagonista di  una serie di favole moderne in cui Italo Calvino ha potuto con impareggiabile maestria sottolineare la vita di una grande città ormai distante dalla Natura. Chi è Marcovaldo? Un povero manovale con una famiglia numerosa che non si lascia abbattere da disavventure imprevedibili ed incredibili. Egli vuole ancora la Natura dei suoi lontani ricordi, della sua immaginazione ma si trova a fare i conti con una Natura dispettosa e compromessa dalla vita artificiale.

Così i suoi figli per cercare legna da ardere tagliano cartelloni pubblicitari pensando che essi siano gli alberi di cui tanto il padre parla.

E la luna che si vede nelle notti cittadine è il satellite o  è parte della luminosa insegna pubblicitaria GNAC, della Spaak-Cognac?

E nel susseguirsi delle stagioni troviamo i funghi nelle aiuole del parco cittadino raccolti da Marcovaldo e altre persone,  che poi finiranno in ospedale; leggeremo dell’avventura della cattura delle vespe (tanto fanno bene ai reumatici) per curare in casa i malati.Finale disastroso. Come un futuro Fantozzi.

In questi venti raccontini che Italo Calvino ha raccolto dapprima in un suo block notes e poi pubblicato,  emergono le pulsazioni di una grande città, come Milano, come Torino,ormai avvolte da tutto ciò che caratterizza il consumismo e il nuovo miracolo economico italiano; e abitata da personaggi fragili, ingenui, che devono combattere ugualmente una strenua battaglia per la sopravvivenza.

Che faranno Marcovaldo e famiglia al Supermercato? Come gli altri: riempiranno a più non posso i carrelli come presi da un’incontenibile frenesia . E con i carrelli tra i banchi del Supermarket eccoli sfrecciare, ognuno con il suo carrello colmo dei prodotti sognati, Domitilla la moglie, Filippetto e tutti gli altri figli “Qui ci chiedono un conto da un milione” sussurra Marcovaldo sgomento. Il supermarket era grande e intricato come un labirinto: ci si poteva girare ore ed ore. Con tante provviste a disposizione, Marcovaldo e familiari avrebbero potuto passarci l’intero inverno senza uscire. Ma presto gli altoparlanti gracchiarono: Siete pregati di affrettarvi alla cassa.”

Disfarsi del carico senza averlo neppure assaporato? Che fare? Su e giù per scale rotanti, avanti e indietro come bestie in gabbia. Un buco in un muro, un’impalcatura all’aperto… ma ecco  una bocca enorme, senza denti, che s’apriva protendendosi verso di loro, una gru. Calava e si fermava su di loro, la ganascia inferiore contro il bordo dell’impalcatura, Marcovaldo inclinò il carrello, rovesciò la merce nelle fauci di ferro…e così fecero Domitilla e tutti  i bambini. La gru richiuse le fauci con tutto il loro bottino. …Sotto s’accendevano e ruotavano le scritte luminose multicolori che invitavano a comprare i prodotti in vendita nel grande supermarket.”

Storielle non solo per l’infanzia queste di Calvino, ma spunti satirici ed amari sulla nostra società consumistica.

 Natura che diventa quasi una  sconosciuta e difficoltà eterne  per quelli che non riescono ad entrare con grinta nell’oliato meccanismo della società industriale.

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RESTA CON ME, di Elizabeth Strout

pubblicato da: admin - 25 Settembre, 2010 @ 6:55 pm

scansione0016Oh, saranno passati anni ormai, ma una volta un ministro del culto viveva con la figlioletta in una cittadina del nord…dove il fiume è stretto e gli inverni erano particolarmente lunghi“. Già dall’incipit di questo romanzo della Strout, narratrice ammaliatrice, sappiamo già che vorremo conoscere tutta la storia. 

Quell'”Oh”, iniziale ci fa accomodare  in attesa intorno alla narratrice. E chissà  quali eventi succederanno  durante i lunghi inverni  in una parrocchia americana.  E’ il secondo romanzo che leggo, anzi che sto  leggendo, della Strout. Il primo è stato “Olive Kitteridge”, vincitore del Premio Pulitzer del 2009.

Ho urgenza di scrivere nonostante non sappia ancora come finirà la vicenda del reverendo Tyler Caskey , bell’uomo, dolce , mite sempre con la parola giusta per tutti. Parole per lo più tratte dai Salmi e dai libri sacri. Il suo conforto, la sua gioia, la sua ricerca è sempre Dio, il suo più grande desiderio è che Dio resti sempre con lui.  “Abide with me””Dimora dentro di me”. Il suo più grande terrore  è di non provare più  quella  Sensazione  di “quando ogni scintilla di luce che toccava i rami di un salice piangente immersi nell’acqua, ogni alito di brezza che piegava gli steli d’erba verso i filari di meli, ogni cascata di foglie gialle del ginkgo che cadeva al suolo con una dolcezza così tenera e diretta riempivano il reverendo  della profonda e incrollabile consapevolezza della presenza di Dio. “

Ogni suo sermone incanta i parrocchiani, specialmente le signore un po’ tutte “innamorate” di lui.

Ma Tyler ha sposato una bellissima donna, guardata con sospetto, ma accettata in quanto compagna dell’amato reverendo. Nascono anche due bambine.

Ma improvvisamente la giovane signora Caskey muore e questo evento drammatico travolgerà non solo il reverendo e la figlia più grandicella, Katherine, ma l’intera comunità.  Tyler chiuso nel dolore non riesce a ritrovare quell’intenso conforto nella religione,  non trova neppure le parole adatte per i suoi sermoni che diventano aridi, ripetitivi e distanti.

Anche la piccola Katherine è entrata nel tunnel buio del lutto rifiutandosi di parlare e comportandosi in modo aggressivo verso tutti.

Siamo nel Maine degli anni Cinquanta, i comportamenti non conformisti alle consuete regole suscitano diffidenza, pettegolezzi, maldicenze.

Spesso troviamo il reverendo  seduto nel suo studio, dopo che Katherine è andata a scuola, nell’ora dedicata alla preghiera e alla meditazione “Al mattino ascolta la mia voce”. Ma in un particolare giorno, dopo che ha saputo del terribile comportamento della figlioletta  durante l’ora di catechesi, mentre si sente ormai inadeguato come pastore d’anime, immerso com’è nel dolore e nella nostalgia, ricorda frasi di un sermone di Kierkegaard “Non c’è stato forse un tempo in cui, gioioso e senza un pensiero al mondo, eri lieto tra la gente lieta?”

Ricorda che aveva sottolineato a sua moglie Lauren, quand’ella scalpitava nell’angusta vita parrocchiale, che Kierkegaard significava “giardino della chiesa”, e  che lei aveva ribattuto  seccamente che più adatto  sarebbe stato   dire “cimitero della chiesa”.

Ora Tyler  prova  scontentezza amara, solitudine, incomunicabilità.  Soltanto con la domestica Connie Hatch c’è un intendimento. Una sorta di affinità, di riconoscimento,  di “vertigine”come ha scritto Stefania in un commento.

Quando incontrò lo sguardo della domestica, ebbe uno di quegli istanti sorprendenti che si verificano a volte, quando si prova un fugace senso di riconoscimento, quando in meno di mezzo secondo, si ha la sensazione di aver intravisto l’anima dell’altro, e si condivide un frammento di autentica comprensione.”

Come finirà questa storia? Troverò l’imperscrutabile salvezza che è promessa nella presentazione del romanzo? Per ora sono arrivata al dialogo fra due persone sole, deluse: Connie che si è sempre sentita  come un’esile traccia di matita e Tyler che ha subito una perdita tale da rivoluzionare la sua vita.  Egli pensa di andarsene, Connie replica che sentirà la sua mancanza.  Subito alla mente di Tyler le parole di Matteo 12,34 “ La bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda.”

Elizabeth Strout ci porta con sensibilità estrema nelle pieghe più intime dell’animo umano, della vita in generale e di tutti noi che viviamo gli uni accanto agli altri.

Non vedo l’ora di rituffarmi tra le sue pagine…

Come immagine ho deciso di mettere la Basilica di Knechtsteden, Germania, dove Stefania ha tenuto recentemente il suo concerto.  Mi ha mostrato la foto poco fa…e mi è sembrata adattissima al post. Anche le vie del blog sono varie e imprevedibili…

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LA SOLITUDINE DEI NUMERI PRIMI, invalicabile ostacolo

pubblicato da: admin - 24 Settembre, 2010 @ 6:49 pm

cop[1]Intrigante parlare di questo romanzo del giovanissimo Paolo Giordano, vincitore del Premio Strega, perchè mi vengono sollecitate  nella mente  quelle  poche nozioni che conosco sulla misteriosa matematica ed alcune  nozioni di fisica, per me magiche.

 Abbiamo appena visto, quasi tutte,  il film, bello, duro, forte, angosciante, che ci comunica una lievissima speranza, ma non del tutto.  Ritorno qundi al romanzo con in mente all’improvviso un saggio sull'”entropia“ che non ho ancora letto, anzi che  “si è nascosto” da qualche parte.

Non so perchè collego la solitudine a questo primo principio della termodinamica (copiata, non me la ricordo certamente) : nulla si crea, tutto si distrugge e tutto si trasforma: L’energia è eterna? L’entropia è la misura del caos, è una direzione verso un maggiore disordine dove vi sono urti casuali di molecole. “E’ un concetto limite, usato anche in sociologia, in un mondo che per quanto grande è sempre un sistema chiuso, destinato a volgere verso un accumulo costante di entropia…”

Insomma quando si legge un romanzo affiorano le tue conoscenze, le tue sensazioni , il tuo vissuto e la tua visione del mondo conscia ed inconscia.

La storia di Alice e Mattia mi ha raggelata. Eppure quante situazioni di angoscia  Paolo Giordano è riuscito a presentarci. Innanzitutto le colpe irreversibili dei genitori. Il padre ambizioso che costringe Alice a diventare la più brava sugli sci, i genitori di Mattia  che gli addossano una tremenda responsabilità verso la sorellina ritardata mentale e che come “aguzzini” li relegano in un mondo solitario e invalicabile. Il bullismo scolastico. Un tremendo mondo adolescenziale.

E queste due creature , succubi di una situazione che non riescono a trasformare diventeranno, per difesa e obbligo  numeri primi, divisibili solo per se stessi senza mai riuscire, mai, a rapportarsi  con altri numeri.  Ottimo il titolo trovato dall’editore Mondadori, sebbene , ho appena letto, Giordano avrebbe preferito “Dentro e fuori dell’acqua”. Preferisco anch’io quest’ultimo, mi mettono a disagio i romanzi, i titoli che devono attirare i lettori-acquirenti.

Acqua, ventre materno, indistino da cui nasciamo ed a cui ritorneremo.  Storia che è un “pugno nello stomaco”, storia che deve farci riflettere come genitori, educatori, “grandi”. Anoressia, masochismo, solitudine estrema dove neppure gli “urti casuali di molecole”  riescono a far avvicinare due vite raggelate. Meglio un caos?

Troppo giovane il nostro bravissimo scrittore Paolo Giordano? Ha solo osservato e non provato? Oppure con la lucidità innocente  della giovinezza è riuscito a radiografare le nefandezze della nostra opulenta società che crede  in valori che non si trasformano, ma distruggono?

Camilla, ci ha scritto che lo ha conosciuto a Mantova, quindi aspetto la sua e la vostra opinione.

Sono gratificata dal “mondo” che entra in questo blog. Come dicevo a Donatella “occorre sempre uscire, anche virtulamente,   e il mondo ti verrà incontro”.

Magari incontrarsi a Roma, Miki, e perchè no anche a  Trento, in questa dolce stagione di uva, colori del vino e gioie colorate dell’amicizia.

Questa mia poesia di alcuni anni fa mi sembra appropriata al post odierno:

Parallele

Cerco di copiare dalle linee parallele di neve

la pace.

Corrono dritte tra i meli secchi dell’inverno

con sicurezza e candida fiducia.

Io non sono lineare, sono a spirale

e vortico, con la gola stretta,

dentro di me.

I merli volano e si cercano

tra i cespugli intirizziti. Mi fa male

il loro gioioso intendimento.

Li sento chiamarsi con fischi e chioccolii

e sembrano graffiarmi il cuore

confinato tra i fili spinati

dell’incomunicabile.

Dovrei calzare gli stivali delle sette leghe

e procedere senza pensare verso

l’impossibile congiungimento.

 

(Mirna Moretti)

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LE AFFINITA' ELETTIVE, e l'intimo riconoscersi

pubblicato da: admin - 23 Settembre, 2010 @ 7:56 pm

scansione0015Quando possiamo parlare di affinità elettive? Quando andiamo d’accordo su tutto oppure su alcune cose che noi reputiamo le più  importanti della vita? Oppure quando ci troviamo bene con qualcuno su un piano formale, ludico o intellettuale , nonostante  intime discordanze?  Certo che abbiamo abusato di questo concetto usandolo spesso con leggerezza. Ma ripensando al rapporto di complicità fra sorelle o amiche, come ci dice Raffaella, e leggendo i diversi pensieri  di Miki e  di Cinzia, si può provare a soffermarci sul grande romanzo di J.Wolfgang Goethe.

Goethe parla di affinità elettive per quanto riguarda la coppia, proprio nel momento in cui già anziano, si innamora della giovane Minna Herzlieb. Il suo romanzo che sembra attingere alla scienza per quanto riguarda l’attrazione quasi chimica di persone affini, è comunque tragico.

I suoi personaggi, Carlotta, Edoardo, il Capitano, Ottilia, l’azione stessa nell’ambiente  neoclassico diventano simboli spirituali e universali. Per Goethe il trapasso alla vecchiaia significò una crisi profonda, un’affievolirsi della sua titatnica, olimpica maturità raggiunta e questa sua opera sembra quasi un’operazione catartica alla sua improvvisa  ferita passionale.

Il suo amore per Minna, quasi un canto di distacco e di commiato, lo porta a confrontare il mondo del matrimonio –  quello dell’ordine e della morale – , con il mondo della forza naturale dei sentimenti, la forza elementare dell’amore. Infatti nel concetto dell’affinità elettiva, mutuato dalla terminologia chimica, si legittima qulla forza cosmica che spinge la vegetazione  a fecondarsi spontaneamente, il rapporto fra gli animali a soggiacere per necessità alla legge di natura. Egli vede riflessa, proprio nella sua improvvisa passione per Minna, quella forza cosmica che però negli uomini si attua in modo diverso da quello in cui si attua nel mondo della natura.

Più armonia nel mondo della natura perchè non si può scegliere, tra noi umani invece, nella scelta, un elemento di squilibrio che talvolta si rivela tragico.

Fra le quattro persone che vivono insieme già  in coppia grazie a una precedente armonia , prepotente sorge la forza della affinità elettiva che inesorabilmente faranno attrarre Carlotta e il Capitano, Edoardo (marito di Carlotta) e Ottilia.

Romanzo che suscitò grande scalpore nel 1808, qundo apparve. Goethe non voleva nè difendere il matrimonio, nè il libero amore, ma solamente rappresentare per simboli – e i personaggi vivono come simboli -, il comportarsi ed il reagire dell’uomo di fronte a quella “demonica forza della natura” che qui nel romanzo ha preso la sostanza ed il potere dell’amore fra i due sessi.

Chi ha letto la storia  saprà delle intime riflessioni dolorose dei quattro protagonisti, saprà che Carlotta concederà il divorzio ad Edoardo affinchè sposi Ottilia, ma anche che quest’ultima non riuscirà a conciliare amore e legge morale. E la tragedia suggellerà la storia.

Un  altro capolavoro da rileggere.

 E che oggi è stato lo spunto per riflettere su che cosa intendiamo  veramente per affinità elettive.

E tornando all’incipit del post, può una persona amica avere più affinità con noi che gli stessi consanguinei?

Con chi vi sentite “affini” e in quanta parte?

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IL CIECO, di Gianluigi De Marchi

pubblicato da: admin - 22 Settembre, 2010 @ 7:23 pm

070Bttesimo Pietro 008Una parentesi di nostalgia per le  nostre radici e  per il  nostro “mare” reale o metaforico. Siamo senza dubbio un popolo di navigatori, poeti e santi. E  Riccardo che è un navigatore, un poeta…e forse anche un santo? ci propone attraverso  la sua accattivante parola immaginifica un libro particolare che lui ama per consonanze, amicizia, cuore.  

 

Edizioni Demarketing

Pagg. 68, €10

richiedibile all’autore demarketing2008@libero.it

 

Mare d’amare, ovvero ritorno alle origini, cioè alla mia Liguria, dove sono nato!

Difficilmente IL CIECO farà parte della Storia della letteratura italiana, ma non sempre si scrive un libro per vincere il premio Nobel o per entrare nell’elenco dei grandi scrittori: lo si può fare anche solo per il piacere di scrivere qualcosa che appassiona.

E così pare che abbia fatto un mio vecchio amico Ligure, da anni emigrante ed emigrato a Torino, affermato scrittore di numerosi libri di finanza, il quale questa volta si è cimentato con una storia romanzata ambientata a Camogli, la città d’origine dei suoi antenati.

Il Cieco è un romanzo perfettamente ambientato nel suo contesto storico (l’ultimo decennio del XIX secolo), con precisi riferimenti a personaggi autentici come l’arcivescovo Salvatore Magnasco di Genova, Simone Schiaffino (l’eroico garibaldino morto a Calatafimi), il professor Olivari.

E’ la storia di un armatore camoglino, Francesco, il quale perde improvvisamente la vista per un fatto misterioso ed inizia un lungo percorso di riflessione interna e di riavvicinamento alla fede perduta. Inutili le cure di un luminare dell’oculistica, solo un miracolo potrà salvarlo. Il finale a sorpresa corona l’appassionante vicenda in maniera emozionante ed inaspettata.

Il libro vive soprattutto dell’atmosfera magica che sa creare intorno al protagonista, alla sua famiglia ed all’amico fraterno Prospero, rettore del Santuario del Boschetto scenario principale della narrazione.

La vicenda è di fantasia, ma la Camogli descritta è autentica: basta farle una visita per rendersene conto ed appezzarne l’autenticità senza le tante concessioni al turismo di massa che qui, almeno in parte, non ha fatto breccia.

Un testo scorrevole e piacevole, scritto con garbo che merita attenzione soprattutto per la spontaneità e la delicatezza del linguaggio.

Mi permetto di “illustrare” il bel libro di Gianluigi con una mia “foto – grafia”: la poesiola “Caruggio”, ovvero, dal dialetto ligure, “piccola ed antica strada incastonata fra le case, per il passaggio dei carri, e non solo”.

Caruggio 

La storia

è passata di qui.

Ha lasciato il suo umore

nelle pietre levigate

nelle ombre frequenti

negli stretti ritagli di cielo

nelle case addossate.

Ascolta la voce

di quello che vedi.

Sofferma il pensiero

su chi riempie di sé

la piccola via.

Persone diverse

che un antico crogiuolo

difende

dal moderno artiglio rapace,

confusa umanità

padrona di un mondo

che tu

passante distratto

puoi solo violare

oppure

cercar di capire

in silenzio

ed amare.

 

Riccardo Lucatti

Da: demarketing [mailto:demarketing2008@libero.it]
Inviato: giovedì 23 settembre 2010 18.03
A: Riccardo Lucatti
Oggetto: Re: IL CIECO x blog

 

questa sì che è camogli, l’altra foto sembra più sestri levante…

ciao, grazie per la bellissima recensione

gianluigi

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SORELLE E COMPLICI, e le relazioni privilegiate

pubblicato da: admin - 21 Settembre, 2010 @ 6:38 pm

scansione0013Questo stupendo libro di Jane Dunn che ci descrive l’esistenza di  Virginia Woolf   intimamente collegata con quella di sua sorella Vanessa Bell, doveva essere uno dei miei primi libri da presentare nel blog. Ma, come a volte capita, si tende a tenere “il boccone più gustoso” per ultimo, o almeno questo tendevo a fare…ora cerco di  non  farlo più…ora so che occorre afferrare subito il massimo…al presente…

Finalmente ne parlo. Perchè? Forse perchè stamattina, dorata mattinata di lieve autunno incipiente, incontro due coppie di sorelle che sembravano complici. Una coppia si è iscritta confabulando sommessamente ai corsi della Utetd (che invidia i loro sguardi sicuri, le decisioni concordate già prese! io indecisa tra tai chi, yoga, danze, ecc.); altre due sorelle tornavano invece soddisfatte dall’acquisto di camicie per i rispettivi mariti. Immagino i loro consigli reciproci, il confabulare. Io, da sola, invece mi sono comperata il cappottino nero. Mi starà bene? Mi nasconderà la ciccia? Non sarà troppo giovanile tanto da farmi apparire una nonna-fanciulla?

Ah, come vorrei avere una sorella! Una sorella complice, naturalmente. Come quelle dei racconti della Pym,  dove  entrambe si sostengono a vicenda,  si consolano o della vedovanza o della solitudine sentimentale perenne e sono un fronte unito contro l’imprevedibile.  Naturalmente non  come le sorelle-nemiche di altra letteratura di cui abbiamo già parlato, o come certi film dell’orrore. Chi ricorda “Che fine ha fatto Baby Jane?”.

 Sorelle che riescono a comprendere e  condividere la propria essenza e ricordare senza acredine il passato familiare comune.

Se poi le sorelle sono persone speciali, sono artiste come Virginia e Vanessa leggere della  loro vita diventa  un estremo piacere.  Fra loro poca differenza d’età, soltanto tre anni. Ma Vanessa , pittrice di talento  (suo il ritratto di Virginia nella copertina del libro) ha sempre avuto un rapporto di protezione materna verso la sorella sensisibilissima e  psicologicamente fragile.  Anche rivalità però, quella certa tensione di accesa attenzione l’una per l’altra, in ogni caso relazione singolare, ricca di intimi segreti incomunicabili agli altri, tanto da sentirsi sempre una”coppia” contro gli altri.

Dai tempi della loro difficile adolescenza nella famiglia ampia di fratellastri ambigui e sorellastre amate e perdute, all’ambiente intellettuale di Bloomsbury, territorio non più sotto il controllo dell’educazione vittoriana, ma trampolino per i primi disinvolti atteggiamenti liberi sia morali che sessuali.

Vite intrecciate in ogni caso anche dopo i rispettivi matrimoni. Si parla di un flirt fugace di Virginia con  il marito di Vanessa, si raccontano momenti di incomprensioni e rancori. Una competizione quasi cosmica sembra dividerle: Vanessa fertile e domestica, Virginia sterile e intellettuale, ma la complicità promordiale che le attorciglia non riesce ad allontanarle. Vite congiunte, diverse, complementari quasi allo spasimo. Le loro biografie distinte le possiamo rileggere con interesse. Ma per tracciare la reciprocità della natura di queste due sorelle occorre accostarle.  Troppo impastate l’una con l’altra. Scrive Jane Dunn:

“Basta prendere un qualunque brano di Virginia, aprire a caso i diari , o le lettere, o anche la narrativa, ed ecco emergere Vanessa. D’altro canto, quando Vanessa si trovava ad affrontare gli abissi della disperazione e a dubitare della sua stessa esistenza, è a Virginia che si rivolgeva.”

Il loro è un rapporto molto stretto, una sorta di “respiro unico”, pur nella lotta di essere ed essere percepite come persone diverse,perchè  ci sono il desiderio e la necessità di essere una cosa sola.

Dopo la turbolenta vita sentimentale di Vanessa, dopo i grandi romanzi di Virginia e le sue ricadute nella “follia”, eccole ancora più vicine, negli ultimi anni prima del suicidio di Virginia.

E’ vero che fra sorelle si può creare il più intimo e duraturo dei rapporti personali?

Chi ne sa qualcosa?

 

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