LUNARIO DEI GIORNI DI QUIETE
pubblicato da: admin - 20 Ottobre, 2010 @ 6:57 pm
Che splendida domanda ha porto Luca ai suoi genitori! “Dove finisce il cielo?”.
 E’ la ricerca, come scrive Cinzia, di quel Qualcuno o quel Qualcosa che ci può aiutare ad ampliare il nostro orizzonte e a trasformare “l’ansia esistenziale” in felicità o assaggio dell’infinito.
Ecco che questo “lunario”, parola amata da Leopardi, ci offre un itinerario particolare di letture e riflessioni che ci aiutano a ritrovare un equilibrio interiore e perchè no? forse qualche risposta .
E’ un’antologia curata da Guido Davico Bonino ed ha la prefazione di Claudio Magris.
 Ogni giorno dell’anno: una lettura “esemplare”. Da Epicuro, Leonardo da Vinci, Teresa de Avila, Erasmo, Simone Weil, Shakespaere, Montaigne, Montale….Filosofi, teologi moralisti a fianco di poeti, antropologi, sociologi.
365 brani di autori che scrivono dei vizi, delle virtù, degli ideali, delle paure che animano ogni esperienza umana, dall’antichità a oggi. E quante volte in queste riflessioni sarà nascosta la domanda di Luca “Ma dove finisce il cielo?”
E’ durante i  momenti di quiete che l’anima è sollecitata  a cercare le risposte.
Questo lunario è un invito alla meditazione , alla “persuasione” di  cercare di vivere con pienezza ogni attimo senza sacrificarlo a qualcos’altro, senza distuggere continuamente il presente.
Claudio Magris ci sottolinea che “la lettura – come l’amore, l’amicizia o anche solo uno sguardo sul mare o sui colori della stagione – dovrebbe essere un momento privilegiato di questa possibilità di vivere il presente…”
Da leggere in ottobre sono le paginette di Nikolaj Alexandrovic Berdjaev, russo di Kiev, deportato dallo zarismo, esiliato poi nel 1920 dal regime bolscevico. Ci parla di tempo interiore o esistenziale o della profondità . “Il tempo esistenziale non è pensabile come isolato dal tempo cosmico e dal tempo storico; c’è fra questi tempi una penetrazione reciproca.”
E’ un tempo interiore non simboleggiato esteriormente nello spazio e non si presta al calcolo matematico. “L’infinità del tempo esistenziale è un’infinità qualitativa, non quantitativa”
Che un cielo metaforico inizi e finisca dentro di noi?
“Gli istanti del tempo esistenziale sono un’evasione nell’eternità , perchè in alcuni istanti partecipa all’eternità .”
 Emily Dickinson ne ha colto epifanicamente molti momenti. La cerco sul lunario, trovo una sua lettera  da leggere in agosto:”Il paradiso degli amici, a portata di mano”.
Ma è nel libro delle sue poesie che trovo questi versi:
“Â Amore – tu sei velato -/ pochi – ti guardano / sorridono -mutano -vaneggiano -Â e muoiono -.
Senza di te – sarebbe cosa ben strana – quella felicità perfetta da Dio – soprannominata – Eternità .”
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Sarebbe bello sapere quale libro è fra “le vostre mani” o sul vostro comodino in questi giorni.
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L'USIGNOLO, e il mondo incantato delle fiabe
pubblicato da: admin - 19 Ottobre, 2010 @ 6:28 pm
Perchè non andare talvolta in un incantatato parco imperiale tra laghetti azzurri e una foresta fragrante di suoni e profumi dove un usignolo gorgheggia meravigliosamente? Ci può condurre per mano Hans Christian Andersen raccontandoci che nella gola di quell’usignolo “sembrava nascosta l’orchestrina degli angeli“. Tutti coloro che passeggiavano nel bosco lo avevano udito cantare ed, estasiati, smettevano all’istante qualsiasi cosa stessero facendo. Persino la luna si abbassava fino a toccare la cima dell’albero su cui aveva il nido l’uccellino.
I forestieri che si recavano in Cina rimanevano a bocca aperta e tornati in patria si rattristavano perchè non potevano più udire quel canto melodioso.
Soltanto l’imperatore, chiuso nel suo castello dai pavimenti di cristallo, dalle porte d’oro e dalle pareti di porcellana fragilissima non lo aveva ancora udito. Ordinò perciò di trovarlo e portarlo a corte. Si meravigliò molto quando vide un fragile uccellino grigio, ma appena lo sentì cantare laacrime di commozione cominciarono a sgorgare dai suoi occhi.
L’usignolo restò a corte, ebbe una gabbietta d’oro dalla quale poteva uscire per fare una volatina all’aria aperta due volte al giorno, ma non era felice. Ricordava e desiderava  la libertà del bosco.
Accadde che un sovrano vicino donasse all’imperatore un preziosissimo usignolo meccanico, tutto d’oro, tempestato di brillanti e pietre preziose. Appena lo si caricava cantava una delle melodie dell’usignolo vivo.  Il biglietto d’accompagnamento diceva “L’usignolo della Cina è cosa da nulla in confronto a quello del Giappone.”
Dopo una drammatica tensione fra i due imperatori si decise però di mettere a confronto i due uccellini: quello meccanico e quello vivo. Ma al momento della gara quello vivo non si trovò più perchè era fuggito. Immediatamente esso venne calunniato, tutti dissero che era brutto, ingrato e che non cantava bene. Infine venne messo al bando.
L’imperatore si consolava ascoltando le melodie dell’usignolo meccanico. Passò così un anno finchè il meccanismo non si ruppe. Venne aggiustato ma ormai non si poteva ascoltare ogni giorno. Dopo altri cinque anni l’imperatore si ammalò. Non reagiva a nulla, era oppresso da sensi di colpa. Per dimenticare i brutti pensieri mendicava con voce flebile:  “Musica. Musica“.
Ad un tratto dalla finestra aperta giunse un soavissimo canto. L’usignolo vivo aveva saputo che l’imperatore soffriva ed era corso a confortarlo. Gli promise che sarebbe venuto ogni volta che sarebbe stato chiamato …”mi poserò sull’albero accanto alla tua finestra e canterò qualcosa che ti rallegrerà e, insieme ti farà pensare. Ti parlerò di coloro che soffrono e delle creature felici; ti canterò del bene e del male…saprò quindi aiutarti a governare con amore e con giustizia.”
Non ho resistito a riassumervi la fiaba e a  mettervi come  immagine un mio disegno colorato con gli acquerelli durante una sera dei miei lontanissimi sedici anni quando con la mamma ascoltavo la radio .
Avevo bisogno di evasione totale, la scrittura per me lo è sempre, parlare di fiabe  inoltre è stato come ascoltare l’usignolo.
Ha ragione Bruno Bettelheim, massimo esperto di psicologia infantile, che nel suo saggio “Il mondo incantato” ci spiega l’importanza delle fiabe (e non solo per i bambini!)
“Le situazioni delle fiabe, nel rispecchiare la visione magica e “animistica” che il bambino ha delle cose, i suoi stupori, i suoi terrori, i suoi desideri impossibili, esorcizzano incubi sepolti nell’inconscio, placano inquietudini, aiutano a superare insicurezze e crisi esistenziali.”
Questa fiaba mi ha riportato alla mente anche una stupenda parabola di Galileo Galilei :”Nei segreti della natura: il miracolo dei suoni.” Qui c’è l’ardore dello scienziato vòlto a strappare alla natura i suoi segreti, ma vi è anche lo stupore quasi religioso che rinasce ad ogni nuova scoperta. Si racconta di un uomo ” dotato da natura d’uno ingegno perspicacissimo e d’una curiosità straordinaria; e per suo trastullo allevandosi diversi uccelli, gustava molto del loro canto, e con grandissima meraviglia andava osservando con che bell’artifizio, colla stess’aria con la quale respiravano, ad arbitrio loro formavano canti diversi, e tutti soavissimi. “ Incontra poi un pastorello che” soffiando in certo legno forato e movendo le dita sopra il legno, ora serrando ed ora aprendo certi fòri che vi erano, ne traeva quelle diverse voci, simili a quelle d’un uccello, ma con maniera diversissima.”
Volevo solo accennare ad una fiaba ed invece…devo impormi di alzarmi dalla postazione PC…chissà se riuscirete a leggere tutte le mie righe…
BIANCA COME IL LATTE ROSSA COME IL SANGUE
pubblicato da: admin - 18 Ottobre, 2010 @ 7:50 pm
Di Alessandro D’Avenia      –Edizioni Mondadori.
Un altro romanzo di formazione che ha come protagonista un ragazzo di sedici anni. Mi ricollego così volentieri alla intensa riflessione di Cinzia sul rapporto con i figli maschi. Il ragazzo in questione, Leo, ha rapporti sereni e di rispetto con i genitori, ciononostante sta crescendo e maturando con ansie e incertezze.
 E’ un ragazzo come tutti gli altri, critica la scuola, i professori, gioca al calcio,ascolta l’iPod, pensa alle ragazze;  ha forse una più acuta sensibilità che riesce ad esternare in un ampio monologo interiore. Le sue paure si connotano in modo sinestetico: il bianco rappresenta per lui il silenzio, la solitudine, il vuoto. E ne ha paura “…il bianco non è neanche un colore. Non è niente, come il silenzio. Un niente senza parole e senza musica.” Ogni cosa ha un colore , pensa Leo. E il rosso è l’amore, è ciò che si vuole raggiungere, ciò che può rendere completi. Per lui è Beatrice una studentessa che frequenta lo stesso liceo. Lei ha i capelli rossi e gli occhi verdi. E’ lei che lo fa sentire forte come un leone, perchè il rosso è anche la passione, è il colore del sangue.
Vorrebbe dichiararsi, si fa aiutare in questo  dalla cara compagna di classe , Silvia, che è come la risacca del mare “anche se non la senti, c’è sempre”. Scrive una lettera d’amore a Beatrice e annota  ” Ecco la mia anima comincia a venir fuori , si trasforma in nero su bianco…”Ma in agguato c’è la malattia di Beatrice. Arriva all’improvviso  quel bianco di morte  che tanto lo spaventa.
Leo soffre, si rinchiude in se stesso.  Ma un grande aiuto per scavare dentro di sè, per poter  “sanguinare e poi a rinascere”, verrà dal nuovo professore si filosofia, soprannominato Il Sognatore. Dapprima questi  lo esorta a sognare sempre il proprio sogno, poi lo conduce attraverso un percorso spirituale riuscendo a farlo avvicinare anche a quel Dio che Leo non riesce a capire. ” Anche Dio spreca il suo sangue: una pioggia infinita di amore rossosangue bagna il mondo ogni giorno nel tentativo di renderci vivi…mi sono sempre chiesto perchè amore e sangue avessero lo stesso colore…”
Rabbia, sofferenza costellano il percorso di Leo che alfine giunge a una consapevolezza e accettazione più comprensibile della vita, della morte. Ed un breve dialogo con la madre che riempie le ultime pagine. Questo per ricollegarmi alla fortuna dei rapporti preziosi con i figli.
“Mamma come si fa ad amare quando non si ama più?”
“Leo, amare è un verbo, non un sostantivo. Non c’è una cosa stabilita una volta per tutte, ma si evolve, cresce, sale, scende, si inabissa, come i fiumi nascosti nel cuore della terra, che però non interrompono mai la loro corsa verso il mare…”
“E allora che devo fare?”
“Amare lo stesso. Puoi sempre farlo: amare è un’azione.”
Alessandro D’Avenia, trentadue anni, insegna Lettere al Liceo ed è anche sceneggiatore. Con questo suo primo romanzo prova, come il professore co-protagonista a darci qualche risposta che non può essere definitiva, ma neppure esitante e rassegnata.
Bildungsroman è  la definizione in lingua tedesca ormai adottata da tutto  per questo genere letterario. Il nostro percorso esistenziale è una strada irta di scogli, di improvvisi precipizi, anfratti oscuri, ma anche di prati fioriti ed acque chiare e fresche. E’ giusto che noi adulti aiutiamo i giovani a percorrere questo sentiero, ma non dimentichiamo che anche noi stiamo sempre camminando…
POSSESSIONE, Una storia romantica
pubblicato da: admin - 17 Ottobre, 2010 @ 5:47 pm
Antonia Byatt (pr. Baiat) è l’erudita autrice di questo romanzo coinvolgente, adatto ai lettori che vogliono essere trascinati  appassionatamente dentro una storia e dimenticare per un po’ la quotidianità , la domenica fredda e la prima neve sui monti.
 Amo questa autrice proprio perchè mi regala questa passione-lettrice.Â
 “Possessione“,Una vera storia romantica che abbraccia due epoche: la contemporanea e l’età vittoriana.
 Roland,  giovane  studioso di letteratura inglese,  trova accidentalmente  in un vecchio libro del poeta vittoriano Ash ( sul quale  deve preparare  un’accurata tesi)  una lettera indirizzata ad una donna, che poi scoprirà essere la poetessa Christabel LaMotte.
Emozionato il nostro giovane studioso la “ruba”, poi insieme alla collega Maud si mette sulle tracce della sconosciuta storia d’amore di cui ha intuito la passione e la drammaticità .Â
Il romanzo si snoda tra lettere, stralci di diari e lunghe  poesie portandoci dai giorni nostri all’epoca vittoriana in un crescendo di incredibile suspence.
Sulle orme dei due poeti amanti segreti, anche Roland e Maud cederanno all’amore e riusciranno a risolvere in questo percorso alcuni difficili nodi esistenziali.
Antonia Byatt è abile nel fondere una particolare detective story a pagine colme di citazioni e rimandi  letterari.
Possessione dunque non solo riferita all’appassionata storia d’amore di tutti i protagonisti, Â ma all’atto di leggere una storia che afferra, anzi “possiede” il lettore.
 Antonia Byatt, classe 1936, inglese, vincitrice del Booker Prize nel 1990, non si accontenta di raccontare trame affascinanti, ma ci presenta sempre personaggi a tutto tondo, ricche di sensibilità e capacità di profonda introspezione.
Sottile felicità , stordimento, piacere della lettura.
Ci dice: “Mi piace scrivere di persone che pensano, persone per le quali il pensiero è importante, eccitante e doloroso quanto il sesso e il cibo.”
LE UOVA DEL DRAGO, di Pietrangelo Buttafuoco
pubblicato da: admin - 16 Ottobre, 2010 @ 6:35 pm
Oggi un appello di Riccardo che cerca un album di Corto Maltese. E che ci presenta una storia  accaduta durante la seconda guerra.
 Il “secolo breve”, appena passato,  è ancora ispiratore di storie interessanti e drammatiche che sembrano non concludersi mai. (Come il romanzo di Herta Mùller suggeritoci da Camilla)
 Pietrangelo Buttafuoco
Le uova del drago
Mondadori 2005
Pagg. 284, €17,00
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Un romanzo? Anche. Un pezzo di storia autentica? Anche. Quasi un po’ del nostro Camilleri? Anche. Un giallo? Anche. Un po’ di tutto ciò, non ci credereste. Un romanzo “accadutoâ€.
Un testo senza dialoghi e questo mi è un po’ dispiaciuto: a mio avviso infatti i dialoghi servono a farci immedesimare nella vicenda, soprattutto se sono scritti in prima persona (cfr. Da bosco e da riviera di Alberto Cavanna, rieccolo!).
Tuttavia non è un libro comune. Anzi.
Sicilia, dal 1943 al 1947.
Eugenia Lenbach. Giovane e bella. “Primo soldato†del Reich, al pari di Rommel. .Spia scelta personalmente da Hitler, opera in un ufficio commerciale di New York per segnalare le partenze delle navi agli U-boat tedeschi. Scoperta, viene spostata in Sicilia, con il compito di preparare focolai di riscossa da attivare nel caso della sconfitta del Reich.
Al conferimento a lei della massima onoreficenza militare tedesca, la Ritterkreutz, presenzia un capitano italiano che poi è lo zio di Hugo Pratt che disegnerà la scena in uno dei primi albi di Corto Maltese, anticipandola però alla prima guerra mondiale e spostandola in Inghilterra. Qualcuno ha questo “giornalino†da prestarmi? Gliene sarei grato.Â
Non aggiungo altro. Scoprite il resto da soli.Â
Sicilia, dicevamo, e allora …baciamo le mani! Za benedica!
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“Don†Riccardo Lucatti
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IL CARTEGGIO di Madame de Sévigné, di madre in figlia
pubblicato da: admin - 15 Ottobre, 2010 @ 6:37 pm
Oggi, 15 ottobre, voglio scrivere un post dedicato a Stefania che compie gli anni. E che cosa c’è di più dolce e amabile che parlare della corrispondenza fra una madre ed una figlia? Soprattutto per il fatto che anche noi due abbiamo una massiccia corrispondenza mail, salvata sulla carta, che parte dal primo anno in cui  Stefania andò negli Stati Uniti per il suo dottorato( quindi nel 2005) fino a poco tempo fa.
Non possiamo certo competere con Marie de Rabutin-Chantal, marchesa de Sévigné che scrive all’amatissima figlia Francoise Marguerite tre o quattro lettere alla settimana per 30 anni!
Rimasta vedova a 26 anni la marchesa de Sévigné si risposa nel 1669 con il conte de Grignan con il quale andrà a  vivere in Provenza. La figlia invece vive a Parigi con il marito.
Siamo ai tempi di Richelieu e Mazzarino e le lettere fra madre e figlia sono intrise di notizie importanti, di pettegolezzi, di consigli di savoir vivre.   Gli argomenti affrontati sono molteplici: dalle nozioni del buon gusto dell’epoca tratte dai manuali correnti quali “Il galateo “di Giovanni della Casa, “La civil conversazione” a “Il Cortegiano” ( grazie ai quali M.me de Sévigné adotta quei principi estetici di décor legati al suo ceto sociale come una sorta di baluardo per sentirsi protetta dalla difficoltà della vita) , alla cronaca dei fatti quotidiani. La sua nostalgia, le sue sofferenze vengono spesso smussate dal suo spirito gaio e leggero, tanto che ogni accadimento può trasformarsi in qualcosa di divertente.
Lettere interessanti e piacevoli che mescolano arte e spontaneità e che ci offrono non solo la conoscenza storica del tempo, ma una profonda tenerezza materna. La marchesa, si può dire ,”idolatra” sua figlia, per lei la loro distanza è fonte di lacrime e pena. La figlia è la sua più importante interlocutrice , è a lei che vanno di getto i sentimenti, i pensieri, il racconto di sè.
Mi pare però di aver letto in alcune lettere che la figlia talvolta ne fosse un po’ oppressa… (!) Attenzione mamme!!!
Ma per chi ama gli epistolari la lettura di questo carteggio del XVII secolo sarà deliziosa.
La corrispondenza quotidiana fra me e mia figlia è stata fondamentale per superare alcuni anni intensi, importanti e  difficili per entrambe. Per me la solitudine, per lei il distacco e la nostalgia. Ogni mattina presto accendevo il computer e trovavo la descrizione della sua giornata: leggevo delle sue scoperte in suolo americano, delle sue gioie, delle sue malinconie. Par contre io raccontavo della scuola, delle amiche, degli incontri. La cronaca giornaliera si arricchiva dei nostri sogni notturni, delle nostre sensazioni, di tuto ciò che ci passava per la testa, il tutto condito con il nostro simile senso dell’umorismo.
Figlia amatissima che è diventata anche la mia migliore amica.
 Ora non abbiamo più bisogno del carteggio ( chissà potremmo pubblicarlo?) , ci sentiamo telefonicamente, ci vediamo spesso (oggi infatti è qui con me).
Lei ha la sua vita, io la mia, ma la nostra profonda conoscenza reciproca e il nostro affetto ci fanno sentire sempre vicine.Â
 Come dico sempre la scrittura ci permette di aprirci pienamente e di essere più sinceri, le parole fra noi leggere, sgorgate con impeto dal cuore, sono la testimonianza di un tratto della nostra strada, del nostro amore, della nostra complicità .
 Ma non voglio raggiungere il primato di M.me de Sévigné, perciò concludo per augurare anche attraverso il blog
 Buon Compleanno Stefy !
In cucina c’è la torta di pere e cioccolato!
IL MAESTRO DI DELFT, ovvero voglia di Vermeer
pubblicato da: admin - 14 Ottobre, 2010 @ 7:14 pm
Oh, la pittura! Altra grande passione dopo la lettura! Tanti i pittori da me amati, ma fra i preferiti il misterioso Johannes Vermeer, genio olandese del XVII secolo. Imparai a conoscerlo attraverso Marcel - intendo Marcel Proust - che alla “Veduta di Delft” dedicò pagine memorabili.
 Naturalmente ho sempre comprato libri o fascicoli dedicati alla pittura ( ho parecchi de “I maestri del colore”) e per me è una grande gioia andare nei musei. Ricordo la prima volta al Louvre… emozioni così forti che non posso scordare! Le mie passioni oltre a Leonardo e molti altri italiani sono  gli Impressionisti, Van Gogh ( parlerò un giorno delle sue “Lettere a Theo”) ecc.
Ma ciò che Vermeer mi dona è qualcosa che mi intriga particolarmente. Mi piace entrare nel mondo colorato e tranquillo della borghesia olandese, “entrare” nelle sue case dalla luce obliqua dove uomini e donne compiono semplici azioni come versare il latte, leggere una lettera, suonare la spinetta.
Perciò questa biografia scritta da Antony Bailey ha un posto d’onore nei miei scaffali insieme al romanzo di Tracy Chevalier “La ragazza con l’orecchino di perla”.
Johannes Vermeer (1632-1675) è il più misterioso tra i grandi geni delle pittura europea. Poche tracce della sua esistenza, circa trentacinque le opere lasciate. Dopo la morte è rimasto nell’oblio fino alla metà dell’Ottocento quando finalmente venne riconosciuta la sua grandezza.
Che quiete nei suoi quadri! Sono dipinti silenziosi, poco solenni, mai celebrativi. Donne accanto alle finestre a riquadri, leggermente socchiuse, che aspettano, scrivono, ricamano o suonano. Sono eleganti, indossano perle luminose. Troviamo spesso una ricca casacca di seta gialla proprietà  della moglie Katharina.  Nel romanzo della Chevalier Katharina ci viene descritta come una moglie  gelosissima di una  giovane servetta affascinata dai colori, dalla camera oscura, dal maestro stesso che come un mago riproduceva, trasfigurandola  con passione, la semplice vita attorno a lui. “La ragazza con turbante” che forse indossò l’orecchino di Katharina ci guarda con sguardo enigmatico, sorridendoci con labbra “sensualmente dischiuse”, un gesto quasi inaudito per la morale del tempo.
La numerosa famiglia del pittore ( quindici figli!) si trasferisce ad un certo punto presso Maria Thins, l’agiata madre di Katharina, nel quartiere papista. Possiamo conoscere l’arredamento della loro casa ammirando i suoi quadri: il pesante tavolo di quercia riprodotto varie volte e le diverse sedie ricoperte in cuoio, i tappeti…
Verso gli ultimi anni della sua vita le finanze cominciano a scarseggiare, anche perchè la vendita delle sue tele si blocca con l’avvento della guerra franco-olandese del 1672.
Antony Bailey ci racconta che la vita del maestro era dominata dalle donne: la madre viveva vicino a lui ancora nel 1665, pure la sorella Gertrury abitava non lontano. Nell’Oude Langendijck, come già detto, viveva con la suocera, la moglie, parecchie figlie e poi c’era sempre una domestica che spesso posava per il maestro, come fece Tanneke Everpoel che posò per “La lattaia”. Nonostante gli artisti olandesi celebrassero l’abbondanza del cibo in nature morte e scene di cucina piene di fromaggi, frutta pesci, selvaggina, verdura, l’unico quadro in cui Vermeer ci concede un soggetto mangereccio è proprio “La lattaia” dove oltre al latte versato troviamo una focaccia. Quadro stupendo ci spiega Bayley: “la cuoca ha il braccio nudo dal gomito in giù…il latte sembra non dover mai finire, versato dalla domestica -simile a una dea della terra- è una benedizione inesauribile.”
Dare il buon esempio è il compito della pittura olandese di genere, non oziare, non bere liquori, ma suonare, scrivere, ricamare nella tranquilla e ovattata sicurezza della propria casa.
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Oggi pomeriggio con Stefania davanti a un ricco strudel abbiamo bevuto il tè in deliziose tazze leggere…luce di tardo pomeriggio, colori caldi…quasi quasi ci siamo sentite dentro un quadro di Vermeer.
L'AMORE TERRENO, e la ricerca dell'amore ideale
pubblicato da: admin - 13 Ottobre, 2010 @ 6:45 pm
Roma, Berlino, Cagliari. Questi i luoghi principali dell’educazione sentimentale di Albert, uno studente tedesco  di storia dell’arte. Romanzo di formazione maschile scritto con prosa chiara e brillante da Hans Ulrich Treichel, classe 1952.
E’ bene lasciare qualche volta le mie letture di donne per entrare nei pensieri più nascosti del’uomo. Mi accorgo dei diversi percorsi che uomini e donne affrontano per crescere.
Albert è insicuro, sensibile, tormentato dall’amore sensuale e terreno che desidera ardentemente pur restando ancorato allo spirito, all’arte e all’ideale. E’ ossessionato dall'”Amore vincitore” di Caravaggio del quale vorrebbe scrivere la tesi a conclusione dei suoi studi. Soprattutto verso questo personaggio simbolico raffigurato in  una spudorata nudità , Albert prova invidia . Vorrebbe anch’egli essere  spudorato e innocente, mentre invece  vive con ansietà e timori le sue poche storie d’amore.  Gratta sulle riviste  le immagini di ragazze svestite, graffia persino un dipinto a olio visto in un bar, ed infine ” aveva cominciato a grattare e a raschiare se stesso, fino a quando non si era procurato delle ferite di piccole dimensioni che gli dolevano, sì, ma che gli facevano anche bene. Lo tranquilizzavano.”  E’ uno studente in attesa di qualcosa di liberatorio, ma che per il momento rimane sempre deluso.
Da Roma dove studiava con amici è costretto a tornare a Berlino e qui, una sera, in un bar italiano incontra Elena, una bellissima ragazza di Cagliari dai capelli e occhi scuri,”una di quelle bellezze brune e malinconiche che attraversano a volte le piazze illuminate del Mezzogiorno“, e con la quale, a termine del suo percorso erotico sentimentale, partirà alla volta dell’Italia per un altro classico  viaggio, quello di formazione di un “giovane eroe”.
Mi è piaciuto leggere dell’Italia in questo romazo tedesco. Non solo di pittura, cibo, canzoni come “Piccola e fragile”, ma anche dei film di Pasolini.
Il percorso di Albert è lungo e tortuoso e ci viene raccontato spesso in modo ironico con la tecnica del flash back. Conosciamo perciò la sua prima ragazza del Collegio, le varie attrazioni passeggere , il suo rapporto con la madre, le sue disavventure ed infine l’incontro decisivo, quello che lo rende “grande” e pronto per la vita reale tra ideali e sensazioni terrene.
Spesso noi donne dimentichiamo come può essere difficile l’entrata nel mondo adulto dai parte degli uomini. Sottovalutiamo talvolta la loro fragilità , la loro insicurezza e la tensione che provano per potersi sentire sempre all’altezza del proprio sesso.
L’educazione sentimentale femminile “dei miei tempi” era senz’altro diversa da quella maschile, chissà , oggigiorno sarà paritetica, ma quando ero ragazza io  tutto veniva sublimato all’amore ideale dimenticando per moralismo e pregiudizi il naturale desiderio dell’amore terreno.
Se avessi letto allora un libro simpatico e chiaro come questo di Hans Ulrich Treichel forse avrei capito meglio i ragazzi…invece quanti fraintendimenti…!
Ma oggi…è un’altra epoca? Che ne dite?
LA MIA AFRICA, di Karen Blixen
pubblicato da: admin - 12 Ottobre, 2010 @ 6:41 pm![images[4]](http://trentoblogcommunity.com/unlibroalgiorno/files/2010/10/images4-300x161.jpg)
Pensieri verso l’Africa oggi, durante il riposino convalescenziale. Innanzitutto perchè sto leggendo la descrizione  delle case di Karen Blixen  nel libro presentato in agosto da Enza “La scrittrice abita qui”, poi perchè mi è rimasto impresso il racconto autobiografico di Brunella che ha vissuto a lungo in Nigeria e in Ghana. Consiglio di leggerlo cliccando sul suo link che riporterò in calce.
Tutti conosciamo “La mia Africa” di Karen Blixen come lettura o nella versione cinematografica con Meryl Streep.
 La Blixen restò in Kenya dal 1914 al 1931 tentando di far funzionare, senza successo, la sua piantagione di caffè. Fu costretta a tornare in Danimarca, nella sua casa di famiglia a Rungstedlund dove continuò con civetteria a  fregiarsi del titolo di baronessa ottenuto sposando Bror Blixen, suo secondo cugino, che le trasmise la sifilide e dal quale aveva già divorziato. Sappiamo del suo grande amore per Denys Finch Hatton morto in un incidente aereo e sappiamo del suo grande attaccamento all’Africa. Per lei l’antichissimo continente era il luogo puro, il più naturale, il più vicino e somigliante all’Eden preparato da Dio.
Quante persone parlano del “mal d’Africa”! Forse un magico ricongiungersi  alle radici della nostra umanità ?
“Avevo una fattoria in Africa ai piedi degli altipiani Ngong…” comincia il suo romanzo autobiografico. Possiamo immaginarci di sentire la sua voce roca che incanta, il suo raccontare che ammaliava ogni ascoltatore. Denys le chiedeva sempre – come a una Sherazade - una storia da gustare e far sognare: “C’è una storia per me?”
Forse non è vero, come taluni sostengono, che l’Africa sia stata per la Blixen solo una parentesi. “L ‘Africa è stata la forza che ha spinto la freccia del suo destino, nella sua vita l’Africa è stato tutto“ . Vivere in quel luogo significava confrontarsi ogni giorno con il destino, ma sentirsi anche una regina. La Blixen aveva bisogno di dimensioni bibliche per soddisfare la sua megalomania, ci spiega Sandra Petrignani. Nonostante le avversità economiche e  il marito fedigrafo, gli anni in Kenya furono anni di grande ispirazione, di una grande passione, di amore verso gli abitanti, i Kikuyu che le riconoscevano una relazione diretta con la luna, la chiamavano appunto “Luna Nuova” perchè era sempre la prima ad accorgersi del rinnovarsi dell’astro.Â
Diceva “Occorre essere tutt’uno con la natura… tenere stretti i legami con i morti e con il passato” come appunto le avevano insegnato i popoli primitivi dell’Africa con i loro canti e danze tradizionali. E dalle donne aveva imparato a farsi un po’ strega. In una conversazione radiofonica osservò “In Africa tutte le donne anziane sono pratiche di magia“. E per la Blixen, lasciata l’Africa, perduta la giovinezza, non restò che far deflagrare la sua abilità manipolatoria dell’affabulazione. “ Una conquista del fare sull’essere“, “un’altra forma di potere sul maschio.” Cominciò a scrivere a 49 anni.
 Il giovane poeta Thorkild Bjornvig instaurò una relazione tempestosa con la scrittrice già quasi sessantenne  nella cui casa danese abitò per alcuni anni.
 La Blixen morirà nel suo letto di morte naturale, ma  si può anche affermare per  denutrizione ( sembra che negli ultimi tempi mangiasse un’ostrica e due asparagi con un po’ di champagne…).
 A lei  piaceva essere magra come il leone africano:  ossa, muscoli, forza.
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Ricopio il commento di Brunella al post sul Diario di Héléne Berr
Ciao carissima, un altro titolo si aggiunge alla lunga lista di quelli che devo ancora leggere.
Spero tu stia bene oggi. Ti faccio i miei complimenti per il tuo blog, veramente interessante e ricco di contenuti. Ho provato ad iscrivermi alla community ma non accetta i miei indirizzi email… ma oggi ero ancora stanca, riprovero’ domani.
Ti volevo far leggere un mio breve racconto di un periodo passato in Africa… ti copioincollo il link:
http://lareteinrosa.wordpress.com/2009/08/09/rullo-di-tamburi-odor-di-sangue/
Ciao, spero di risentirti presto, Brunella compagna di “corsiaâ€
POESIE di Sylvia Plath
pubblicato da: admin - 11 Ottobre, 2010 @ 6:16 pmEccomi di nuovo alla tastiera per riprendere il mio ritmo giornaliero e parlare di libri e sensazioni.
Grazie a Riccardo e a Stefania ho potuto rimanere in convalescenza dopo un piccolo intervento in day-hospital. Non ho scritto, ma ho letto e soprattutto ho pensato a lungo. Come sempre ho vissuto questa esperienza in maniera intensa, non “lineare” ma “a spirale” , come avevo anche scritto in una mia poesia.
Dapprima non mi ricordavo neppure che l’8 ottobre dovevo entrare in ospedale, la vigilia invece mi è venuta l’ansia e la voglia di “fuggire”, il giorno stesso è subentrata la volontà  necessaria di procedere alla svelta.
Devo essere sincera, ora, dopo alcuni giorni, tutto mi è sembrato tranquillo, facile e neppure doloroso, grazie all’anestesia totale. In più ho conosciuto due simpatiche pazienti,  Brunella e Mirella,  tanto che finito l’effetto dell’anestesia o forse anche grazie ad essa ci siamo messe a parlare con allegria, vivacità , spontaneità  di tantissimi argomenti, soprattutto di donne, uomini, esperienze.
Ma mentre mi trovavo nella saletta antistante la sala operatoria, alla mercè di anestetista e di chirurgo mi è precipitata addosso la consapevolezza della  nostra  fragilità . Pur tra gentilissime infermiere, dottoresse bravissime e sorridenti  (“Tutte donne in ginecologia,” un gineceo!” aveva commentato seccamente il mio medico) ho provato un brivido freddo di timore, di nudità estrema e di vacillamento della mia identità .
All’infermiera di nome Silvia ho chiesto se ricordava  alcuni versi della poesia di Leopardi, poi mentre mi stavano preparando nella saletta fredda spiegandomi con estrema gentilezza cosa mi sarebbe successo con l’anestesia, ho ripensato a Sylvia Plath e alla sua sofferenza.
Dunque oggi ho rintracciato una sua bellissima poesia.
Ho già scritto delle vicissitudini di Sylvia, del suo malessere esistenziale, del primo tentativo di suicidio, dell’elettrochoc e dei vari ricoveri in ospedale .
Che differenza però dalla mia giornata in una stanzetta rosa e verde con nuove amiche e figlia accanto, a ciò che ci descrive la Plath in:
TULIPANI
I tulipani sono troppo eccitabili, qui è inverno. / …Sto imparando la pace, da me quietamente posando / come posa la luce su questi muri bianchi, questo letto, / queste mani./
Io non sono nessuno; non c’entro con le esplosioni. / Ho dato il mio nome e i miei vestiti alle infermiere / e all’anestesista la mia storia e ai chirurghi il mio / corpo.
…Le infermiere passano e ripassano, non disturbano, /passano come gabbiani all’entroterra nelle loro cuffie/ bianche… /
 Per loro il mio corpo è un ciottolo, vi attendono come /l’acqua / tende ai ciottoli sui quali deve scorrere, gentilmente / levigandoli. / Mi portano il torpore nei loro lucenti aghi, mi portano / il sonno. / Adesso ho perduto me stessa sono stufa di fardelli…/
Io non volevo fiori, volevo solamente / giacere a palme riverse ed essere tutta vuota. / Come si è liberi, liberi da non credersi…/ I tulipani sono troppo rossi, mi fanno male. ../ La loro rossezza parla alla mia ferita…/
Mi sono quindi ritrovata a parlare di poesia, per me il linguaggio per eccellenza, il linguaggio che riesce a scavare fino in fondo le nostre emozioni. E ho voluto parlare di ospedale, non solo per questa mia breve esperienza, ma perchè è un altro aspetto della nostra vita. Se non direttamente tutti abbiamo avuto a che fare con dolorosi percorsi ospedalieri, quando il mondo dei sani si scinde nettamente da quello dei malati. Dobbiamo tenerne conto.


















