LA MIA STORIA CON MOZART,di Eric-Emmanuel Schmitt
pubblicato da: admin - 21 Giugno, 2010 @ 5:50 pm
Potenza della musica che è riuscita a “salvare” un adolescente disperato. Questa è in poche parole la storia di Eric-Emmanuel Schmitt che a 15 anni si sentiva stanco di vivere.
“Probabilmente solo da giovani ci si può sentire così vecchi.” Ma di che cosa si soffre a quell’età ? Quasi tutti lo sappiamo: ci sentiamo vulnerabili, senza identità , l’infanzia appena lasciata sembra un’ isola felice ma non più raggiungibile e il futuro oscuro appare uno scoglio irto e scivoloso. Il corpo che cambia, noi che non ci riconosciamo. Io so della mia adolescenza di ragazza,di quella di mia figlia,  ho letto tanto di ragazzine, ma non molto di ragazzi. Per Erich-Emmanuel i quindici anni sono rudi, violenti, sono i momenti in cui le possibilità immaginate nell’infanzia si allontanano perchè la realtà entra prepotente e implacabile nel corpo e nell’anima. Soprattutto la consapevolezza della morte.
“Mentre muscoli e testicoli mi si riempivano di un’energia nuova, mentre il mio corpo diventava il corpo di un giovanotto, individuavo in quella trasformazione un indizio funesto: quello era anche il mio corpo che un giorno avrebbero sepolto. ..Se il senso della vita era la morte, allora la vita non aveva senso.” Pensa al suicidio, sta ore e ore nella vasca da bagno e pensa di imitare quello di Seneca. Si ammala di febbri, tremori, svenimenti, e a nulla valgono i consulti medici ai quali i genitori lo sottopongono.
Finchè un pomeriggio non va con alcuni compagni di liceo e con  il professore di musica ad assistere alle prove dell’Opera di Lione, raro privilegio per gli allievi migliori.
Una donna grossa entra sul palcoscenico, è troppo truccata, impacciata, sembra una balena arenata. Anche i costumi la ingoffano. Devono provare “Le nozze di Figaro” Atto III , Aria della contessa.
“La donna cominciò a cantare. E a quel punto, di colpo, tutto si ribaltò. Improvvisamente la donna era diventata bella…Il tempo si era fermato….appeso alle sue note, io mi lasciavo avviluppare  dal suo canto, rotolare, rigirare, trasportare, carezzare…Ormai non ero altro che quel respiro…attraverso la musica facevamo l’amore. …La mia forza rinasceva. E con essa la meraviglia.”
Ai musicofili potrei non aggiungere altro perchè si sa che cosa la musica, linguaggio universale e sublime, dona al nostro essere.
Per il giovane protagonista è la salvezza, e lo è proprio la musica di Mozart. Da quel momento Eric-Emmanuel inizierà a scrivere al grande musicista salisburghese ponendogli le domande che gli permetteranno di ricevere, in musica, le risposte salvifiche.
“Caro Mozart, quando un uccello canta, è un lamento? E’ gioia? Manifesta la sua contentezza di esistere o chiama la femmina che gli manca? Misteri del canto…Tu, tu mi fai accorgere che è bello.”
Schmitt ci guida con orecchio esperto, grazie anche al CD allegato al libro, tra le arie più famose di Mozart, dai Concerti, ai Quartetti,  alla Eine Kleine Nacht Musik, Alla Grande Messa in do minore, K427, ai brani delle sue opere prima fra tutte “Il flauto Magico”.
Ci rende partecipi  della sua salvezza, della sua entrata armoniosa nella vita . “Caro Mozart,…tu testimoni una saggezza diversa, quella che ammette la sofferenza senza per questo uccidere la meraviglia, quella che piangendo i morti celebra nondimeno la vita…grazie a te, sono risalito verso questa sorgente che mi fa bene, verso questa saggezza ancestrale che consiste nell’amore per il vero, l’amore per la realtà così com’è.”
Mi piacerebbe addentrarmi maggiormente nelle spiegazioni musicali ma, pur essendo moglie e madre di musicisti, sono una profana. Amo ascoltare appassionatamente, ma non so spiegare molto. Proprio per questo Stefania mi regala libri come “La mia storia con Mozart”.
Ho scelto questo libro oggi per parlare anche del Festival del Fortepiano, di cui mia figlia Stefania Neonato è il direttore artistico  e che inizierà domani sera al Museo degli Usi e Costumi di San Michele all’Adige. Stefania proprio domani sera alle 21,30 accompagnerà al fortepiano  il suo amico violoncellista Marco Frezzato. Suoneranno Bach.
 Mozart sarà poi protagonista delle altre serate musicali nel museo .
BACICIO DO TIN, di Alberto Cavanna
pubblicato da: admin - 20 Giugno, 2010 @ 5:24 pm                                                        Ecco come promesso, il cambiamento di …rotta…grazie a Riccardo Lucatti che ci presenta Alberto Cavanna
LANPO, sì, con la “nâ€: non è un errore di ortografia. Ancora oggi, a La Spezia, alcuni battelli che portano i turisti a Portovenere si chiamano Lanpo …
E Lanpo era il nome dello Sciabecco di Bacicio do Tin, in italiano Giobatta Cavacciuoli, marinaio, e quindi – nell’ordine – padron maritimo in Portovenere, Bacicio o’ corsaro (di Napoleone), Son Excellence Jean Baptiste de Cavisiol, Premier Compte del l’Ile du Thin, cioè Primo Conte dell’Isola del Tino, Bacicio il pirata.
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Alberto Cavanna, “costruttore di navi e di storieâ€, ci racconta la storia di una vita, anzi di tante vite sballottate all’interno di un’epoca, quella napoleonica, vissute nello scorcio del Mar Ligure e in altri mari da chi, iniziando come mozzo, divenne capitano, corsaro, conte e pirata.
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Il libro … (dovete leggerlo: “Bacicio do Tinâ€, Mursia editore, quarta ristampa 2006, €15,90, 397 pagine) è scritto in italiano, con affascinanti inserti in dialetto spezino dell’epoca ed in inglese (tutti con traduzione). Non mancano riproduzioni originali di rotte, schemi di battaglie, di inseguimenti e fughe, oltre ai disegni e ai dati tecnici dei velieri coinvolti. Il tutto intervallato da colloqui fra l’autore e la moglie, il che rende il lettore spettatore dell’iter creativo del romanzo storico.
Che altro dire? Si sa, io sono un appassionato di vela … ma anche chi ancòra non lo fosse, facilmente lo diverrà , attratto dal conoscere così intimamente la vita di bordo e di terra, nelle retrovie borghesi di una guerra soprattutto fra Napoleone e l’odiata Albione.
E’ un vero e proprio arricchimento, che ci riporta a vivere fatti e ambienti di alcuni secoli fa … che ci aiuta a capire come e perché si è sviluppata la marineria, l’arte corsara e la pratica piratesca. In più il lettore è riportato in una dimensione geografica umana, ove le distanze esistono ancòra, non sono annullate da E-mail o da un’ora di volo a bordo di un Boeing 707 o di navigazione su di un aliscafo … Una dimensione che rendeva l’uomo più libero, in quanto padrone di una maggiore quantità di spazio e di tempo. Infatti le odierne tecnologie non ci hanno regalato tempo, bensì ce lo hanno sottratto, accelerando e affollando tutto di tutto, ben oltre i risparmi che pretendono di farci realizzare. Nel bene e nel male. Un esempio? Il cannoneggiamento di un gozzo ligure da parte di un cutter inglese richiese tre ore e mezza di navigazione, di manovre, di ragionamenti, altro che schiacciare un bottone e lanciare un razzo!
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Quindi, anche Voi, amici non velisti, amici non così amanti del mare a par mio, non vi spaventate: il mio è un “invito con garanziaâ€. Infatti, se dopo averlo letto, avrete trovato che non ne sarebbe valsa la pena, che io non avrei reso bene l’idea del libro, nemo problema (ho parlato croato): il libro, ve lo ricompero io! E questo, detto da un Genovese par mio, è il massimo segno di amicizia che posso offrirVi!
Riccardo Lucatti
Viale Trieste, 13
I 38122 Trento TN
Tel. 335 5487516 -0461 982454
LA METAMORFOSI, stato naturale?
pubblicato da: admin - 19 Giugno, 2010 @ 7:10 pm
 Dopo la lettura di un libro che mi prende completamente come “La ballata di Iza” ho bisogno di un momento di stand by, di uno stacco prima di immergermi in una nuova storia. Quando incontro problematiche esistenziali profonde devo soffermarmi a comprenderle , assaporarle, valutarle, sviscerarle. E’ il grande dono della lettura: quello di far riflettere. E c’è sempre qualcosa da scoprire di noi e della nostra “avventura” umana.
Oggi perciò ritorno a “ vecchi” autori il cui pensiero è  ormai parte di me e del mio percorso intellettuale. Ripenso a Franz Kafka e alla sua infelicità , ma anche alla sua giovanile ispirazione poetica che come un fortissimo vento gli riempiva la mente e il corpo, al suo scavere dentro di sè spietatamente per giungere però  a nessuna soluzione. Leggiamo nella famosa “Lettera al padre” la sensazione di solitudine, abbandono, incomprensione provata in famiglia, primo ambiente in cui si muovono i passi verso il consolidamento della propria identità .
La sua vita ci è nota. Figlio di un agiato negoziante ebreo Franz Kafka  nasce a Praga nel 1883. Si laurea in giurisprudenza e poi si impiega in un ente pubblico quell'”oscuro nido di burocrati” che per la sua anima poetica è la quintessenza dello squallore e della morte spirituale. Suo unico rifugio è la scrittura serale disdegnata dal padre che lo ha costretto a studi diversi dalla sua inclinazione. Proprio l’educazione oppressiva del padre sembra abbia portato Kafka ad essere pessimista, insicuro tanto da avere un terrore morboso del giudizio altrui.
La sua salute è già cagionevole pertanto durante la prima guerra mondiale non svolge neppure il servizio militare. Non fa grandi viaggi, non si sposa, la sua esistenza è racchiusa nel centro vecchio di Praga abbandonato soltanto per i periodi in cui è costretto a ricoverarsi in sanatorio per la malattia che lo porterà precocemente alla morte nel 1924.
Kafka non possiede “nessun riparo” agli avvenimenti, così ci lascia detto Milena Jesenka che ha saputo capirlo con magistrale intuizione femminile “Per questo è esposto a tutto“. Kafka non riesce a proteggersi dalla vita  con la menzogna, con finto ottimismo o entusiasmo, con i compromessi. “So che non si oppone alla vita, ma a questa maniera di viverla.”
Ne “La Metamorfosi” leggiamo della sua alienazione, della sua tensione verso una meta che sta al di là della divisione tra l’umano e il bestiale.
Quando il racconto inizia la metamorfosi è già avvenuta. La sera Gregor Samsa era un commesso viaggiatore la mattina, una mattina d’inverno, è già un enorme insetto. Non si meraviglia tanto quanto noi lettori Gregor anzi sembra che la metamorfosi per lui sia un fatto ovvio e naturale. Lentamente il mondo esterno si cancella, la stanza diventa un carcere dove l’insetto conduce la sua vita da rinchiuso, come tante volte la “claustrofilia di Kafka aveva sognato” ci spiega Pietro Citati.Â
Gregor-scarafaggio fa inorridire il padre che lo colpisce con una mela, –  animale ferito, uomo degradato -. La madre abbraccia il padre supplicandolo di risparmiarlo, ma l’odio del padre è tangibile, è il segno del suo martirio. Soltanto la sorella ha talvolta pietà di lui.
Il racconto si può leggere a vari livelli, persino i ragazzini delle medie lo conoscono e ne sono affascinati, noi adulti sappiamo la profondità di questo testo disperato. Capiamo che la sua morte è un sacrificio, egli è un capro espiatorio che si addossa i peccati dei suoi cari. “La sua immolazione” scrive Pietro Citati “ha un’eco cosmica: annuncia la fine dell’inverno, l’arrivo della primavera”.
Il suo cadavere verrà buttato nelle immondizie dalla serva rozza mentre la famiglia Samsa se ne andrà a fare una scampagnata. Se Gregor non fosse morto di consunzione forse la stessa natura sarebbe rimasta irrigidita e secca come il suo carapace.
Ecco, stamattina ancora non sapevo di cosa avrei scritto, ma il tempo mutevole, le nuvole chiare e scure  che vagavano nel cielo, l’arrivo imminente e atteso di Stefania, mi hanno portato a ripensare a “questo strano viandante, posseduto dall’irrealtà ,…senza basi nè radici…un giocoliere che camminava nel vuoto. Sapeva di essere lo Straniero che viveva soltanto di se stesso.”
Ma domani preparatevi a un cambiamento …di rotta nelle letture…perchè domani Riccardo Lucatti ci parlerà di…
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MATEMATICI NEL SOLE, di Franco Stelzer
pubblicato da: admin - 18 Giugno, 2010 @ 5:47 pm
                          Camilla Pacher ce ne parla e ci consiglia di leggerlo
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La scrittura di Stelzer è appassionante, c’è una ricerca lessicale minuziosa e poetica, quasi si potrebbe azzardare uno slittamento continuo dalla poesia alla prosa e viceversa.Ci sono parti degne di un vero e proprio prosimetro,il dialogo tra il vissuto reale e il vissuto immaginato irrompe continuamente nel magnifico racconto………â€Ma a spiegargli chi lui fosse, ci aveva messo da sempre tutta se stessa! E in ben più di una occasione…….Quanto meno ogni volta che un airone era sceso planando su di loro. Ogni volta che, languida e accesa, s’era lasciata scivolare con lui lungo un canale. Ogni volta che aveva sfiorato col volto le fronde degli alberi della riva. Lasciato che un braccio affondasse nell’acqua, sollevando eccitate ninfee…Ogni volta che…../Ogni volta?/ Ogni volta…come minimo ogni volta/ […]
E ’possibile incantarsi di fronte a una che spalma il burro con la leggiadria di una violinista o rimanere impietriti di fronte all’asciuttezza lessicale e mimetica nella rappresentazione di un oncologo, dove, prima che esseri umani, si è numeri. I personaggi si caratterizzano per una specie di continuo rimescolamento di ruoli : l’animo di lui, Hus,sembrerebbe poetico, contemplativo( ma anche duro, talvolta) mentre quello di lei è sempre forte, sulle difensive, pronto all’attacco. Un poco scherzando, ma non troppo, Wif molla schiaffi facilmente, lui sembra goderne. Forse per questo l’adora di più.
Questo è un romanzo da avere tra i propri libri, alla portata di mano.Perché ci sono alcune pagine che avremo voglia di rileggere, di tanto in tanto. Ci si troverà a dire alla migliore amica o al proprio uomo, o solo a se stessi : – Ascolta qui- e si correrà a prendere il libro e ad aprirlo proprio lì e là dove abbiamo lasciato quel segnalibro, assieme ad altri ,(come capita di fare con i libri di poesia). Apro a caso uno dei tanti segnalibri che ormai raddoppiano la mole del mio “Matematici nel sole†è la pagina 258, Hus parla agli amici, durante una festa di …saluto : “………..ho avuto una vita felice, perché le mie giornate sono sempre cominciate con la colazione…Volevo dire…mi piace fare colazione con mia moglie. Lo dico perché…..c’è un modo in cui lei spalma la marmellata, una forza circospetta! Si una forza precisa e cauta…oh, non lo so. C’è tutto in quei piccoli gesti. Proprio tutto. Eleganza, trascuratezza. Misura. Distanza. Noncuranza. Incanto……â€
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Franco Stelzer (Trento 1956). Ha studiato filosofia a Bologna, laureandosi su Robert Walzer. E’ traduttore dal tedesco.Insegna lettere a Trento. Ha pubblicato.come narratore, per Einaudi Ano di volpi argentate(2000) e Il nuovo primo, solenne, stranissimo Natale senza di lei (2003). Matematici nel sole (2009) edito da Il Maestrale.
LA BALLATA DI IZA, una figlia perfetta
pubblicato da: admin - 17 Giugno, 2010 @ 5:08 pmCome può una figlia perfetta, amorevole e generosa distruggere la vecchia madre settancinquenne appena rimasta vedova? Lo scopriamo leggendo questo intenso romanzo di Magda Szabò, la più grande scrittrice ungherese del Novecento.
Attraverso i quattro capitoli intitolati ai quattro elementi fondamentali della natura, terra, fuoco, acqua, aria conosceremo lentamente i caratteri dei personaggi. Iza, Antal, Vince e sua moglie, la vecchia, chiamata sempre così e  il cui nome proprio si impara  soltanto a metà romanzo. E solo alla fine le nostre intuizioni sulla personalità di Iza verranno chiarite   attraverso i pensieri di Antal, suo ex-marito, e di Domokos il suo attuale compagno.
Siamo nel 1960, nell’Ungheria post-staliniana ancora ferita e insicura. La storia ha inizio con la morte di Vince Szòcs un magistrato onesto che anni prima era stato messo in disparte dal regime perchè durante un processo non aveva seguito le direttive del potere. Soltanto nel 1945 viene riabilitato. Questo crudele e ingiusto avvenimento sembra aver segnato l’esistenza di sua figlia Iza e renderla simile a un soldatino che vuole riparare i torti subiti. E’ così che Antal la vede, “come un giovane soldato”, quando la  incontra per la prima volta alla facoltà di medicina  dove spera di iscriversi.
Antal è già medico, è riuscito a laurearsi nonostante un’infanzia durissima e povera; suo padre un acquaiolo che trasportava le acque termali è morto sul lavoro, ustionato dalle acque bollenti. Il suo sogno è quello di aprire uno stabilimento termale aperto a tutto il popolo. Iza lo appoggerà nel progetto che riusciranno a realizzare. Per Antal Iza e i suoi genitori sono la famiglia, la casa (vivranno insieme ) che non ha mai avuto. Egli ama Vince e soprattutto la vecchia, Etelka, che per lui rappresenta la madre desiderata e persa in tenera età . Ama quella donna intelligente, priva di cultura, gioviale, operosa e instancabile. “Che mani stupende sempre attive, che testa raffinata e astuta, che curiosità allegra e benevola, fonte inestinguibile di altruismo, sempre pronta ad aiutare il prossimo.”Â
Iza diventa un eccellente medico, è una figlia devota che ora piange per la morte del padre e che vuole prendersi cura della madre per non farla soffrire. Tutti la giudicano una figlia bravissima, sin da bambina ha dato solo soddisfazioni ai genitori, sempre la prima a scuola, sempre lucida nel sapere che cosa voleva. Saggia aveva e ha sempre ragione. Ora vuole portare la vecchia madre a Pest nel suo appartamento dove  abita da sola. “Che ora avesse deciso di trasferire sua madre a Pest non era in fondo una sorpresa per nessuno. Una come Iza non avrebbe potuto comportarsi diversamente, il suo carattere era quello. ”
A Pest comincia il dramma di Etelka sradicata con la forza dalla sua città , dalla sua casa, dalle sue vecchie cose. Le viene data una stanza nuova, i suoi vecchi abiti buttati e sostituiti con abiti nuovi, Iza vuole farla riposare, non vuole che faccia nulla; in casa c’è Terèz che si occupa delle faccende domestiche. Etelka è pasticciona, combina guai, è meglio che si accontenti di ricamare o leggere. La zelante  ma chirurgica  attenzione della figlia a poco a poco sgretola la vecchia,  le consuma la sua energia vitale.
Iza non capisce perchè la madre è disperatamente infelice, ma nello stesso tempo è sollevata quando può rimanere sola e avere il suo tempo tutto per sè e pensare al suo lavoro.
Antal era fuggito da lei, spaventato  dal suo lucido e freddo egoismo, dalla mancanza di spontaneità e passione, che non le hanno mai permesso di comprendere e comunicare con gli altri.
Iza aveva voluto, per proteggere i genitori dalla sofferenza dei brutti ricordi far loro  tagliare i ponti con il passato, senza capire che così facendo avrebbe incrinato e spezzato per sempre il loro essere, la loro storia personale .
Ho già un altro romanzo di Magda Szabò pronto da leggere. Ma ne parlerò più avanti.
Ormai dopo tanti giorni si è capito il tipo di letture che propongo. Non parlo quasi mai  di libri letti o per dovere di informazione o per motivi di studio e lavoro, parlo solo di quelli che mi danno emozioni, mi divertono, mi fanno evadere. Libri che hanno tematiche simili, come l’introspezione psicologica, storie di donne soprattutto, poesia…
A questo punto, credo che sia positivo, stimolante, interessante dare ogni tanto lo spazio ad altri lettori, un po’ per variare la voce scrivente, un po’ per conoscere altre scelte letterarie.
Già Luigi ha scritto su autori che raccontano le guerre, domani invece  ospiterò con gioia Camilla Pacher, altra accanita lettrice che ci parlerà di uno scrittore trentino.
Ma non è finita qui…pronto nel blog  c’è anche un consiglio di un carissimo  amico “accademico”, velista, sciatore, anche ciclista e poeta,  che ci parlerà  di  un libro particolare e bellissimo. Finalmente! Oltre a Luigi avremo altri gusti maschili.
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MARIO RIGONI STERN, un grande uomo di montagna
pubblicato da: admin - 16 Giugno, 2010 @ 11:00 amContinua, a sorpresa questa volta, la mia partecipazione attiva al blog. Spero che il risultato finale sia apprezzabile e soddisfacente, anche se il pezzo l’ho scritto velocemente e non con la calma e metodicità che sarebbero necessarie.
Oggi, 16 giugno, ricorre il secondo anniversario della scomparsa di un grande scrittore (parlo personalmente), ma soprattutto di un grande uomo: Mario Rigoni Stern. Consiglio preliminare: per chi non l’avesse visto, stasera verrà trasmesso su La7 alle ore 21 “Il Sergenteâ€, ad opera di Marco Paolini. Il racconto de “Il sergente nella neve†in chiave “paolinianaâ€, che merita di essere visto.
Per questo intervento però, più che parlare di un suo libro -cosa che, a mio avviso, vorrebbe dire sminuire la sua grande produzione letteraria-, ho pensato di parlare appunto di Mario Rigoni Stern uomo. Scrisse molto (“Il sergente nella neveâ€, “Stagioniâ€, “Storia di Tönleâ€, “L’ultima partita a carteâ€, “Le stagioni di Giacomoâ€, “Il bosco degli urogalli†solo per citarne alcuni), ma quello che più mi colpisce è la persona: di origine montanara e di famiglia non ricca, però dallo spiccato senso della memoria, dallo stile di vita sobrio e semplice, molto saggio. Semplicità di famiglia, perché anche il suo bisnonno, come lui, volle dei funerali non sfarzosi: “I miei funerali siano semplici e modesti come quelli di un povero, non voglio che siano fatti sperperi né dimostrazioni di sorta…â€.
Uomo di montagna che viveva con la montagna, cosa che probabilmente riuscì a salvargli la vita nella tragica Ritirata di Russia del ’43, riuscendo a riportare “a baita†anche parecchi suoi commilitoni, quale il tenente Nelson Cenci, diventato suo amico fraterno una volta ricongiuntisi a fine conflitto. “Sergent majùr, ghe rivarem a baita?†gli chiedevano gli ignari soldatini italiani sul fronte del Don.
Doveva scrivere anche per chi, per povertà di mezzi o morte prematura, non aveva potuto farlo , doveva ricordare anche per tutti i dimenticati. Anche lui aveva fatto suo il verso di Ungaretti “nel cuore nessuna croce mancaâ€. Amava definirsi “narratore che racconta quello che ha visto e vissuto†più che scrittore. Amava comunque le arti e la musica, i classici latini e greci, Dante, Ariosto e Leopardi, i grandi russi dell’800, Hemingway.
Lo rendeva felice il pensiero che i suoi libri potessero tenere compagnia, invitare alla riflessione e a ragionare con la propria testa. L’amore per la storia, la volontà tenace di preservare memorie e ricordi si univano in lui a grandi curiosità e capacità di comprensione nei confronti di culture e mondi diversi dal suo. Cantore dell’altipiano sì, ma anche cittadino del mondo.
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Mario Rigoni Stern, per me che abito in montagna, portava e porta avanti una cultura sana e giusta, che si deve a nostra volta fare propria per riportarla avanti e farla conoscere a chi non l’ha conosciuta direttamente. Cultura uguale a quella di un altro grande montanaro di cui condivido in pieno il pensiero, ed anche amico di Rigoni Stern: Mauro Corona. Nell’ultima lettera a Corona, gli scrive: “Me racomando, va en montagna anca par miâ€. Andiamo in montagna, vado in montagna anche per lui, cultore di una mentalità che rischia di scomparire.
Poiché il tempo passa e quello perduto non ce lo restituisce nessuno, ai giovani amava ripetere: “Non perdete tempo in cose futili se non volete soffrire di rimpianti grandi. Rifuggite banalità e conformismi. Leggete libri e innamorateviâ€. Poche parole, ma destinate a rimanere dentro per sempre.
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Il 16 giugno 2008 Mario Rigoni Stern se n’è andato per sempre, ma non è scomparso. Quando ci fermiamo a guardare una meraviglia della natura o un duo piccolo sfuggevole dettaglio, quando siamo incerti su una decisione che mette in gioco il nostro senso morale, quando ci chiediamo quale sia davvero il senso del nostro vivere inquieto, ricordarlo, rileggere le sue pagine, può farci sentire meno soli. È questo il suo dono più grande.
(con spunti dall’articolo di Giuseppe Mendicino – Vita Trentina)
 Grazie  a Luigi Oss Papot del suo scritto pieno di passione.
SENNO E SENSIBILITA', "l'un contro l'altro armati"
pubblicato da: admin - 15 Giugno, 2010 @ 5:46 pm
Mi piace continuare il discorso su amore, matrimonio, ragione e sentimento perchè credo che questi siano gli aspetti più importanti della vita, e non esclusivamente per le donne.
“Sense and sensibility” di Jane Austen iniziato a scrivere nel 1797, racconta come l’assennatezza abbia la sua rivincita sugli eccessi sentimentali. Siamo nel periodo dell’Illuminismo, del Neoclassicismo in opposizione al nascente Romanticismo.  Le due contrastanti visioni della vita sono  personificate nelle due sorelle: Elinor, equilibrata, di buon senso che segue sempre i dettami della ragione in ogni occasione della vita, l’altra, la palpitante Marianne che si abbandona agli impulsi del cuore.
Jane Austen sappiamo parteggia per Elinor, lei stessa è una saggia rappresentante del suo ceto sociale e del comportamento adeguato e senza eccessi. Il Romanticismo che va affermandosi è considerato dalla scrittrice con ironica condiscendenza. Anche per quanto riguarda il matrimonio, pur disprezzando quelli di convenienza, ci fa capire che è importante che ci siano basi concrete come una discreta rendita oltre naturalmente un intelligente e disciplinato rispetto delle regole.
Ma noi lettrici amiamo molto anche la passionale e romanticissima Marianne  che si ammala d’amore per il libertino Willoughby. Da ragazzina Marianne era la mia preferita, ora lo è Elinor. Ragione nell’età matura? Sensibilità estrema nella giovinezza?
Abbiamo letto che le giovani  ragazze de “Il meglio della vita” sono eccessivamente sentimentali. Marianne però  riacquista presto la “ragione” e si adeguerà al vivere tanquillo e convenzionale accettando di sposare il pacato e maturo maggiore.
Anche in questo romanzo l’evento principale della vita femminile è dunque il matrimonio, ma siamo alla fine del Settecento. Oggi, come scrive Enza, la donna non è più obbligata a sposarsi  per avere un ruolo sociale o la sicurezza economica, oggi  può credere maggiormente in se stessa, avere più autostima e scegliere il tipo di vita a lei più congeniale..
“Sense and sensibility“, meglio il titolo in inglese che la traduzione di questa edizione, prende un po’ in giro la moda romantica e l’entusiasmo per la bellezza pittoresca, di cui anche Keats fu portavoce .
Pur se la storia di Marianne sembra avere un finale di  rassegnato ripiego, la Austen non ci trasmette sentimenti melodrammatici a proposito, anzi tutto risulta imperniato di realismo antisentimentale. La sua scrittura delicata, precisa, il suo talento di acuta  osservatrice ci regalano la visione del suo mondo, un mondo saldo in cui il problema più significativo è quello di sintonizzare i vari rapporti con le persone intorno.
La prudente Elinor dice parlando del suo innamorato: ” Non voglio negare che lo apprezzo molto, che lo stimo profondamente, che mi è simpatico:”
“Stima” Simpatia” sbotta indignata Marianne ” Che cuore di ghiaccio hai, Elinor” Oh, ma peggio del ghiaccio! Ti vergogneresti di non averlo così. Se userai ancora parole come queste me ne andrò immediatamente”
Jane Austen ha un delizioso sense of humour. Marianne rapita dalla bellezza autunnale esclama “Oh, che rapimento ho provato a veder cadere le foglie secche! Che delizia vederle volteggiare intorno a me, spinte dal vento! Quali sentimenti mi hanno ispirato quelle foglie….”
Replica Elinor ” Non sono molti ad avere una passione come la tua per le foglie secche”
Confesso che in autunno al cadere delle foglie io mi comporto sempre da Marianne!
P.S.
Domani, in occasione dell’anniversario della morte di Mario Rigoni Stern, ospiterò nel blog un post che Luigi ha scritto per  rendere omaggio al grande scrittore .
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IL MEGLIO DELLA VITA, e i sogni della giovinezza
pubblicato da: admin - 14 Giugno, 2010 @ 7:14 pm Il cuore pulsante di una città che incanta e che ha incantato milioni di persone. La città  moderna per antonomasia. In questo lungo romanzo troviamo la storia di alcune ragazze che fanno di New York il trampolino eccellente per la conquista del meglio della vita, ” the best of everything”.Â
Roma Jaffe inizia con una “fotografia” del cuore di N.Y, Manhattan,  in  una gelida mattina del gennaio 1952 quando centinaia e centinaia di ragazze si affrettano dalla Grand Central Station per la Park Avenue o  la Quinta Strada per raggiungere  il loro ufficio. Si guardano, si riconoscono, si sentono parte delle privilegiate: sono vestite nello stesso modo, pettinate e truccate come si deve fare a NewYork. Sono piene di energia, aspettative, ambizione. Tutte hanno fretta.
Beh, devo dire che a N.Y. bisogna camminare velocemente, anche con gli enormi bicchieri di caffè in mano (Cinzia preparati!) altrimenti si è un po’ d’intralcio. Cionostante io qualche estate fa in Times Square mi “accasciai” su alcune assi di legno e per la stanchezza, per la confusione e per il caldo (mentre Stefania continuava a dire  “siamo nel cuore di Mahattan, nel centro del mondo”…)Â
 Da ragazzina invidiavo le ragazze di New York, quelle che vedevo nei film come  “Colazione da Tiffany. Poi dopo aver letto su “Arianna” (una rivista femminile dei miei tempi)   un reportage sulle ragazze sole che lavoravano a New York, i miei sogni ad occhi aperti ebbero un’accelerazione. Mi ero fatta fare dalla sarta persino un cappotto uguale a quello indossato dalla ragazza intervistata. Come mi sarebbe piaciuto avere un appartamentino solo per me, essere alla moda, frequentare i locali più eleganti come El Morocco…fermarmi come Audrey Hepburn davanti alle vetrina di Tiffany.
Leggendo questo libro, prestatomi da  Valentina,  ho ritrovato parte dei miei sogni di allora. Qui si parla di Caroline, vent’anni, che dopo una delusione d’amore sembra investire  tutto il suo potenziale nel lavoro. Nella casa editrice in cui è dattilografa e poi redattrice  conosce altre ragazze April e Gregg ; le tre diventano grandi amiche in una sorta di speciale e complice  “sorority”. Ciò che mi ha colpito in questo lungo romanzo è l’onestà di Roma Jaffe nello descrivere l’animo delle protagoniste. Riesce anche a fare una radiografia sincera dei tipi umani e delle situazioni che si creano in un ambiente di lavoro in cui le giovanissime vengono a trovarsi. Dirigenti maturi che corteggiano pesantemente le ragazze, delusioni sentimentali, rancori, tanti Martini e skotch… E’ comunque il pianeta femminile che ci viene raccontato, soprattutto nelle sue aspettative più profonde. Le sensazioni descritteci sono esaustive. Il meglio della vita alla fin fine per tutte queste ragazze è comunque …il matrimonio. Non lo sarà anche oggigiorno?
“Essere donna è un inferno” pensa Gregg “avere tanto bisogno d’amore, sentirsi una persona dimezzata, così debole. Che cosa aveva detto Platone? L’uomo e la donna sono incompleti fino a che si uniscono. Perchè non aveva cercato di chiarire meglio questo concetto agli uomini?”
Gregg e April incontrano uomini che hanno una concezione diversa dell’amore ed esse  non sanno reagire con dignità al rifiuto,  ma elemosineranno pateticamente un amore che non viene corrisposto.
Spero che le ragazze d’oggi non facciano così e che non investano tutto il loro potenziale umano, di identità , di percorso esistenziale  nel matrimonio fine a se stesso. Ma è inutile dirlo perchè ogni persona impara con l’esperienza.
Diceva Simone de Beauvoir “Si jeunesse savais, si vieillesse pouvait”, se la giovinezza sapesse….
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POESIE di EMILY BRONTE
pubblicato da: admin - 13 Giugno, 2010 @ 8:41 pm
“Poesia, amica mia” scrivevano i miei alunni alla ricerca di rime baciate durante le nostre ore di laboratorio poetico. Ancor più di un romanzo la poesia mi consola, mi abbraccia, mi fa volare. E dopo il pomeriggio di preoccupazioni per Stefania lontana (ridimensionate  fortunatamente), (- un pomeriggio da cani – oserei dire ), stamattina un po’ traballante per le poche ore di sonno –  ci mancava anche il temporale notturno - voglio tuffarmi nella poesia. E poesia che mi porti …via. Per stare con un’altra rima facile.
Ed Emily Bronte con il suo intenso vivere nel mondo dell’immaginazione, con il suo essere ancora bambina, ci porta nel mondo di Gondal dove può inventare grandi eventi, sentimenti appassionati  e forti sensazioni  che non trova nella sua monotona vita quotidiana. Ama creare un mondo parallelo in cui immergersi mentre conduce la sua solita vita nella canonica di Haworth nello Yorkshire. Nel 1845, a ventisette anni, scrive sul diario di aver ingannato il tempo mentre era in viaggio con sua sorella Anne “giocando” a fingersi personaggi gondoliani in fuga dalle prigioni…
Beh, qui devo aprire una parentesi personale. Insieme a me e Giuliana, a Londra e poi a Monaco c’era anche Guerrina che abita a Forni di Sopra nella Carnia. Nell’inverno del 1970 sono stata sua  ospite per 15 giorni. Che triste la montagna d’inverno! Eravamo sole, faceva molto freddo, non sapevamo che fare se non qualche passeggiata diurna , di sera neanche a parlare di uscire, un solo bar quasi osteria, buio,  niente  televisione…insomma alla sera accanto al fuoco acceso ho cominciato a inventare un mondo parallelo che piaceva a entrambe: il Canada delle Giubbe rosse. Noi le loro amate li seguivamo,  avevamo un sacco di avventure pericolose  nei boschi, tra alci e affini. L’immaginazione galoppava come i cavalli dei nostri eroi…Naturalmente molto spesso si finiva sul comico…
Il mondo di Gondal è medievale, la sua regina Geraldine ama il principe di Angora  che poi morirà . Poesie epiche in questo grande affresco in cui si sente l’influsso del poeta scozzese David Moir, Shakespeare, Scott, Dumas, Byron, Shelley …Per Emily, che in fondo è la più casalinga delle sorelle, sembra basti la sua vita parallela per allargare i confini della propria esistenza. Sua sorella Charlotte ce la descriverà  come una creatura appassionata e forte dall’anima grande e da un grande anelito verso la libertà . Ma come Emily Dickinson non è oltrepassando i confini della sua dimora che riesce a trovarla, è scavalcando quelli della sua mente. Per soddisfare l’ardente “violenza” della sua natura non ha bisogno di tuffarsi nel mondo reale che la delude e la spaventa, ma deve evadere in un mondo epico creato con la sua fantasia. La sua poesia epica nasce proprio dai giochi inventati con le sorelle e con il fratello Patrick quando quest’ultimo riceve in dono una scatola di soldatini. Ognuno dei bambini si appropria di uno e lo farà recitare inventando nome, condizione, vicende . Play in inglese sifnifica sia giocare che recitare. Per Emily diventa una necessità . Può modellare a piacere un suo mondo che procede di pari passo con quello quotidiano. Può farsi trasportare da Haworth a Gondal con l’immaginazione. Può partire dalla brughiera dietro casa illuminata dalla luna ed arrivare sulle sponde immaginarie del lago di Elnor dove il suo alter ego Geraldine piange la morte di Alexander signore di Elbe.
“Splende la luna nel meriggio notturno / visione gloriosa – sogno di luce ! / Sacra come il cielo – limpida e pura, / alta sopra la landa solitaria….e dopo questo incipit realistico v’è uno spazio bianco e ci si trova improvvisamente a Gondal “Luna lucente – luna amata! Trascorsi gli anni / tornano infine i miei passi stanchi – / e il tuo raggio sereno ancora riposa / solenne sulle acque dolci del lago / e ancora l’onda sospirosa delle felci / piange sulla tomba di Elbe…/.
Le poesie epico-narrative scrive Anna Luisa Zazo, curatrice di questo volumetto appaiono superate nel loro pseudomedievalismo e nel romanticismo troppo melodrammatico, ma Oscar Wilde parla delle sue poesie come “pregne di forza tragica che spesso sembrano sul punto di diventare grandi”.
Emily è giovane non così ingenua come sua sorella Charlotte crede, è soltanto immatura legata com’è ancora al mondo dell’infanzia. La Zazo trova echi di corrispondenze tra Emily Bronte e Rimbaud, entrambi poeti dell’adolescenza, lei per età caratteriale, lui per età anagrafica. Adolescenza difficile come tutte, ma senz’altro più ricca.
Per Emily abbandonarsi all’immaginazione, al “dio delle visioni” sembra quasi un’esperienza mistica, certamente abbandonarsi con passione al vento, alla notte, alle stelle, immergersi e fondersi con la natura è un’esperienza panteistica, immanentistica.
“Cime Tempestose” proseguimento del mondo di Gondal, ci si chiede? Forse tematicamente sì, proprio  nel deflagrare della più  completa irruente immaginazione.
In questo libro ci sono anche le poesie personali, versi ispirati in gran parte dalla brughiera che aveva intorno a sè. “Piegata da un vento di tempesta erica alta oscillante / mezzanotte chiarore lunare luminose stelle/….
Ero sola il giorno d’estate / moriva di una luce ridente / l’ho visto morire l’ho guardato svanire / da colline di nebbia e boschi senza vento. / E nel mio animo si affollavano i pensieri / e il cuore si piegava al loro potere…”
La consolazione, la salvezza, il rifugio per Emily stanno dunque nel tuffarsi nell’immaginazione “ Sì’, mentre sognavo, la stanza nuda / la luce incerta d’un tratto svanirono / e da una buia oscurità senza gioia / entrai nel pieno fulgore del giorno”
“Sì, vieni , Fantasia, mio amore fatato! / Sfiori il tuo bacio la mia fronte ardente; / chinati sul mio letto solitario / portatrice di pace, portatrice di gioia. “
UN GIORNO DA CANI, di Melania G. Mazzucco
pubblicato da: admin - 12 Giugno, 2010 @ 5:49 pm
Grazie degli intrecci di consonanze che leggo nei commenti.
Libri “galeotti” anche per noi amiche in carne e ossa (molta carne per quanto mi riguarda), e amiche , per ora, virtuali. Attraverso le nostre scelte e  i nostri gusti ci conosciamo meglio perciò credo che la lettura, questo atto molto intimo nell’approccio, possa diventare condivisione. Grazie Raffa che hai aggiunto quella bellisssima frase al post di Marques. Il mio entusiasmo, ancora un po’ infantile a questo riguardo, ne è accresciuto!
Mi fa piacere che Camilla abbia vinto un libro grazie a Fahrenheit, bellissima trasmissione che un tempo, a.Blog, seguivo anch’io. Il libro di Vargas Lllosa è veramente stupendo. Prendo sempre appunti quando leggo qualche titolo nuovo. Cercherò in bliblioteca “Resta con me” di Elizabeth Strout.
Ah, la Biblioteca di via Roma! Come farei senza di essa? Quasi tutti i giorni ritaglio momenti di puro piacere e vado a curiosare nei libri appoggiati sul bancone o sul tavolo dell’ingresso. Ieri ne ho presi tre…così le “ letture in corso” sono aumentate. Ma Ema, l’altra sera mentre bevevamo un aperitivo nella ventilata Piazza Duomo, mi ha  parlato di un piccolo libro di Melania G.Mazzucco, bello e terrible. Preso in prestito proprio dalla Biblioteca. Ieri mattina mi ha mandato un sms dicendo che lo aveva appena riportato. Che fare?
“ E’ come invitare un tedesco a bere la birra” diceva mia mamma quando le si proponeva una cosa che le piaceva molto. Dopo il solito coffee del mattino con una cara amica sono entrata nel mio “santuario” preferito …e vi trovo sia il libretto in questione che altri tre…
Ieri sdraiata sul divano ho letto in un’oretta”Un giorno da cani“. Scritto benissimo, ma la fine mi ha sconvolto perchè si parla di un cagnolino maltrattato (Cinzia non leggerlo!)…quasi quasi non avrei voluto scriverne per non pensarci. Ma giustamente Ema aveva sottolineato  le importanti  tematiche esistenziali e sociali su cui riflettere.
C’è Ljudmila Redka, un ingegnere meccanico dell’est, venuta in Italia a fare la badante e poi la colf presso una ricca famiglia dell’Olgiata,  per aiutare soprattutto i figli rimasti in patria, figli che ormai non le scrivono neppure. E’ in Italia da quasi vent’anni. Ha cinquatacinque anni “ era  robusta, coi capelli chiari sfibrati e due occhi azzurri pallidi spersi in un viso piatto, che sembrava essere stato schiacciato dalle avversità . A vent’anni era stata graziosa, ma ormai era passato troppo tempo, e non giudicava nè verosimile, nè auspicabile essere ancora seguita, desiderata e corteggiata da un uomo.”
Invece un insistente seppur rispettoso ammiratore ce l’ha: è Khaled un quarantacinquenne dall’aria di dittatore mediorientale che vorrebbe sposarla. Quando stanca dei suoi appostamenti al mercato, Ljudmila lo affronta di fronte a una piramide di cozze morte “Ma che cosa vuole?” Khaked seriamente risponde : “Onorarla, amarla, renderla felice, bella signora”.
Speravo in un happy end, in una sorta di compensazione per i più sfortunati, ma la realtà è più dura. Khaled vorrebbe sposare Ljudmila per cambiare vita, non rubare più, non continuare a vivere in una baracca di lamiera lungo il Tevere…Il finale di questa “moderna odissea, ironica e dolorosa, di donne, uomini e cani” si conclude proprio in “un giorno da cani “tra la distratta indifferenza di chi si muove intorno ad essi.
Tutto questo in un volumetto viola,  “Corti di carta”  di  appena 92 pagine, regalato dal Corriere della sera, nel 2007.
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