LA NAVE PER KOBE, diari giapponesi

pubblicato da: admin - 24 Giugno, 2010 @ 4:55 pm

scansione0021Il romanzo proposto ieri  da Riccardo mi ha ricordato un interessante libro di Dacia Maraini in cui vengono riportati brani di un  diario della madre.

Raffaella ha nominato la sua amica Sonoko di Kobe, innamorata a suo tempo di un trentino. Camilla parla degli scrittori giapponesi, “cultura sospesa in un mondo fluttuante, prezioso e lontano”. Stamattina in biblioteca  ho trovato tre libri tra cui uno di Murakami Haruki di cui avevo letto, come Raffaella e Gary, “Kafka sulla spiaggia”. (Stupendo).

Perciò obbligatorio presentare “La nave per Kobe“, comprato nel 2002,  nato per caso dopo che Dacia Maraini ricevette dal padre i quaderni che  la madre Topazia scrisse per alcuni anni dal 1938 all’inasprirsi della seconda guerra mondiale.  Pagine che io ho trovato avvincenti, non solo perchè si tratta di diari, ma perchè parlano di una  storia vera, di legami madre-figlia e di situazioni particolarissime.

Topazia Alliata racconta  del lungo viaggio a bordo del “Conte Verde” dall’Italia verso Kobe, le trame dei piccoli accadimenti familiari come i primi passi dei figli insieme alla scoperta delle tradizioni culturali del Giappone.  Soprattutto leggiamo le esperienze di una madre tenera, attenta, disponibile.

Fosco Maraini, famoso etnologo, va  nell’isola di Hokkaido  per studiare gli ultimi rappresentanti di un’etnia in via di estinzione, gli Hainu. Nel 1943 non aderisce  alla Repubblica di Salò e il Giappone , in quanto alleato dell’Italia fascista, lo interna, insieme alla famiglia, in un campo di concentramento.

Ciò che mi è piaciuto di questo libro è l’amorevole ricordo della mamma giovane “una gioiosa e delicata donna dal passo deciso e le mani sempre in movimento” “Così necessaria all’equilibrio del mio pensiero e così indispensabile alla pienezza della mia fiducia nei riguardi del mondo e della famiglia.”

Quanti emozioni e rimandi in un libro : collegamenti, ricordi della propria madre giovinetta, avventure, il mare, la nave come simbolo del viaggio dell’uomo sia fuori che dentro di sè:

Passa la nave mia colma d’oblio / per aspro mare, a mezza notte il verno / …La vela rompe un vento umido eterno / di sospir, di speranze e di desio. “ scriveva Francesco Petrarca.

*     *    *

Sono contenta che il mio blogghino permetta di esprimere i nostri pensieri, le nostre consonanze, le nostre scoperte di lettura.

Oggi sulla Home page di Trento blog è stato inserito il post di Luigi su Mario Rigoni Stern (i commenti saranno graditi).

 Ringrazio  Maria Teresa dei bellissimi complimenti a Stefania (da leggere su “La mia storia con Mozart”) e aspetto un suo post.

 Grazie a tutti coloro che scrivono nonostante stia arrivando l’estate e un  desiderio fisiologico  di abbandono .

Scrive Cardarelli ” Distesa estate / stagione dei densi climi…ci si risveglia come in un acquario…e sembri mettere a volte / nell’ordine che procede / qualche cadenza dell’indugio eterno.”

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AUTOSTOP CON BUDDAH di Will Ferguson

pubblicato da: admin - 23 Giugno, 2010 @ 5:01 pm

9788807721281[1]                                            Sono contenta di avere pronto un post di Riccardo Lucatti da spedire perchè oggi sono troppo stanca per scrivere a lungo. Ieri sera, appagati ed emozionati,  siamo tornati molto  tardi dal  magico concerto  di fortepiano e violoncello “Intorno a Bach”, tenuto al Museo degli Usi e Costumi  di San Michele.

 Dopo la bellezza della musica  propongo la bellezza di un viaggio attraverso il Giappone raccontato da Will Ferguson in questo volumetto della Feltrinelli Traveller.

In poche righe ho già nominato tre bellissime cose della vita: musica, lettura, viaggi…che cosa aggiungiamo?

 

Will Ferguson è nato in Canada ed ha studiato a Toronto. E’ autore di libri di viaggio. Feltrinelli ha già pubblicato “Felicità”  tradotto in 14 paesi.

 

Quanto è grande il Giappone? Più o meno dell’Italia? Vi siete mai posti questa domanda?

Quanto è sentito in  Giappone il pellegrinaggio ai templi buddisti?

Quanto è importante l’Avvenimento (è proprio il caso di dirlo!) della fioritura dei ciliegi, progressivamente dal sud al nord del paese?

Quanto il sentimento dell’ospitalità?

Quanto il senso del dovere sul lavoro?

Quanto la trasgressione?

 

Dicono che con i tassisti ci si confida volentieri, tanto, finita la corsa, scesi dal taxi, chi si è visto si è visto …

Ebbene, il nostro autore ha voluto percorrere il Giappone da sud a nord seguendo la progressiva fioritura dei ciliegi ed usando regolarmente l’autostop. E qui devo dire che non è stato il cliente bensì i numerosi “tassisti” ad aprirsi.

Un modo singolare ed efficace per conoscere un paese e la sua gente.

Perdonate un ricordo personale. Avevo lavorato per anni in una importante finanziaria torinese e mi recavo al lavoro in auto, garage-garage. Poi, improvvisamente, mi trasferii a Monza per lavorare a Milano ed iniziai ad usare il treno. Fu solo allora che “scoprii” il suono delle voci, i profumi dei deodoranti di chi si era alzato alle 5 a Sondrio per prendere il treno alla 6 ed essere (giornalmente) al lavoro a Milano alle 8,30! I contenuti dei discorsi, i problemi della gente, le loro speranze, i loro timori, le loro gioie, quasi una confessione collettiva, direte voi. Ebbene sì, un condividere i problemi, un confrontarsi, un conoscere se stessi e gli altri.

Sia chiaro: la mia esperienza è assolutamente inferiore rispetto a quella di Ferguson, ma il parallelo mi è venuto spontaneo.

Il libro si presta ad una lettura “ a rate”, a secondo del tempo di cui disponete, seguendo via via i “passaggi automobilistici” che Ferguson “rimedia” di volta in volta, della serie”questa sera me ne leggo due, anzi, tre!”.

Ho deciso: questo libro … lo rileggo anch’io.

Riccardo Lucatti

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LA PASSIONE DI SABINA, di Nicolle Kress-Rosen

pubblicato da: admin - 22 Giugno, 2010 @ 6:42 pm

scansione0019Ieri sera mentre aspettavo che Stefania tornasse dalle prove con il violoncellista ho visto a pezzi il film di  Roberto Faenza “Prendimi l’anima” in cui si racconta la storia di Sabina Spielerein un’ebrea russa che nel 1904, giovanissima,  viene ricoverata nella clinica svizzera,  dove lavora Jung, per una grave forma di isteria definita poi “scissione dell’Io”.

Mi sono ricordata di avere il libro della Kress-Rosen acquistato con mio grande entusiasmo appena uscito nel 2003. La psicoanalisi mi ha sempre interessato, ho sostenuto alcuni esami di psicologia e ho letto quasi tutto Freud e affini. Di Carl Gustav Jung ho presentato nel blog la sua autobiografia il 4 febbraio.

 Nicolle Kress-Rosen è una psicanalista francese di scuola lacaniana e questo suo scritto è un saggio incentrato soprattutto sull’operato di Jung e sui suoi rapporti con Sigmund Freud. L’analisi della “passione amorosa” induce Freud e Jung a incontri-scontri di vedute. Il tutto intrecciato alla passione amorosa che Sabina prova per Jung.

La passione viene stigmatizzata come una prerogativa femminile e se per Freud essa può ricondursi alle “insegne falliche del potere” per Jung invece essa si colloca, non sul versante paterno, bensì dalla parte della Madre.

Sabina Spielrein “corre” appassionatamente verso il suo analista in un momento in cui lo stesso Jung ignora ancora la potenza del transfert e del controtransfert. 

Guarita, nel 1911, anno della fine della sua relazione con Jung, Sabina si laurea in medicina con una tesi sulla schizofrenia.

Tornata in Russia dopo il matrimonio con un medico fonda a Mosca un asilo infantile, l’Asilo Bianco,incentrato  a moderni principi di libertà.

Nel 1942 durante l’invasione tedesca viene uccisa dai nazisti assieme alle sue due figlie.

Figura importante per i suoi scritti e per la sua inziale nevrosi tanto che Freud la cita nel “Al di là del principio del piacere”.

Il film naturalmente narra le sue vicende personali, non può soffermarsi su analisi psicoanalitiche come invece fa questo testo.

Ripenso alla conversazione intercorsa tra me, Maria Teresa, Enza e Luigi: ci si chiedeva “E meglio leggere prima il libro da cui è tratto un film, o viceversa?”. Che ne dite? 

Fra poco devo preparami per il concerto. Mi piacerebbe che anche tu  Donatella venissi con noi…ma sei un po’ lontana. Pensa che domani Stefania verrà vicino alla tua zona per tenere, insieme a Bart van Oort,  un  corso di Alto Perfezionamento in tastiere Storiche, esattamente a Villa Bossi  di Bodio L. (Varese).

Praticamente la vedo pochissimo…ma ognuno ha la sua vita…e lei ama viaggiare.

A proposito di viaggi….posso già introdurre ciò che il nostro navigatore, corsaro, pirata   Riccardo Lucatti  ha già pronto per noi? …Ci saranno ciliegi in fiore, ma domani  scoprirete dove e come si viaggerà.

Sapete naturalmente che tutti potete essere ospitati nel mio Blog?

 

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LA MIA STORIA CON MOZART,di Eric-Emmanuel Schmitt

pubblicato da: admin - 21 Giugno, 2010 @ 5:50 pm

scansione0018locandina san michelePotenza della musica che è riuscita a  “salvare” un adolescente disperato. Questa è in poche parole la storia di Eric-Emmanuel Schmitt che a 15 anni si sentiva  stanco di vivere.

Probabilmente solo da giovani ci si può sentire così vecchi.” Ma di che cosa si soffre a quell’età? Quasi tutti lo sappiamo: ci sentiamo vulnerabili, senza identità, l’infanzia appena lasciata sembra un’ isola felice ma non più raggiungibile e il futuro oscuro appare uno scoglio irto e scivoloso. Il corpo che cambia, noi che non ci riconosciamo. Io so della mia adolescenza di ragazza,di quella di mia figlia,  ho letto tanto di ragazzine, ma non molto di ragazzi.  Per Erich-Emmanuel i quindici anni sono rudi, violenti, sono i momenti in cui le possibilità immaginate nell’infanzia si allontanano perchè la realtà entra prepotente e implacabile nel corpo e nell’anima. Soprattutto la consapevolezza della morte.

“Mentre muscoli e testicoli mi si riempivano di un’energia nuova, mentre il mio corpo diventava il corpo di un giovanotto, individuavo in quella trasformazione un indizio funesto: quello era anche il mio corpo che un giorno avrebbero sepolto. ..Se il senso della vita era la morte, allora la vita non aveva senso.” Pensa al suicidio, sta ore e ore nella vasca da bagno e pensa di imitare quello di Seneca.  Si ammala di febbri, tremori, svenimenti, e a nulla valgono i consulti medici ai quali i genitori lo sottopongono.

Finchè un pomeriggio non va con alcuni compagni di liceo e con  il professore di musica ad assistere alle prove dell’Opera di Lione, raro privilegio per gli allievi migliori.

Una donna grossa entra sul palcoscenico, è troppo truccata, impacciata, sembra una balena arenata. Anche i costumi la ingoffano. Devono provare “Le nozze di Figaro” Atto III , Aria della contessa.

“La donna cominciò a cantare. E a quel punto, di colpo, tutto si ribaltò. Improvvisamente la donna era diventata bella…Il tempo si era fermato….appeso alle sue note, io mi lasciavo avviluppare  dal suo canto, rotolare, rigirare, trasportare, carezzare…Ormai non ero altro che quel respiro…attraverso la musica facevamo l’amore.  …La mia forza rinasceva. E con essa la meraviglia.”

Ai musicofili potrei non aggiungere altro perchè si sa che cosa la musica, linguaggio universale e sublime, dona al nostro essere.

Per il giovane protagonista è la salvezza, e lo è proprio la musica di Mozart.  Da quel momento Eric-Emmanuel inizierà a scrivere al grande musicista salisburghese ponendogli le domande  che  gli permetteranno di ricevere,  in musica, le risposte salvifiche.

“Caro Mozart, quando un uccello canta, è un lamento? E’ gioia? Manifesta la sua contentezza di esistere o chiama la femmina che gli manca? Misteri del canto…Tu, tu mi fai accorgere che è bello.”

Schmitt ci guida con orecchio esperto, grazie anche al CD allegato al libro, tra le arie più famose di Mozart, dai Concerti, ai Quartetti,  alla Eine Kleine Nacht Musik,  Alla Grande Messa in do minore, K427, ai brani delle sue opere prima fra tutte “Il flauto Magico”.

Ci rende partecipi  della sua salvezza, della sua entrata armoniosa nella vita . “Caro Mozart,…tu testimoni una saggezza diversa, quella che ammette la sofferenza senza per questo uccidere la meraviglia, quella che piangendo i morti celebra nondimeno la vita…grazie a te, sono risalito verso questa sorgente che mi fa bene, verso questa saggezza ancestrale che consiste nell’amore per il vero, l’amore per la realtà così com’è.”

Mi piacerebbe addentrarmi maggiormente nelle spiegazioni musicali ma, pur essendo moglie e madre di musicisti, sono una profana. Amo ascoltare appassionatamente, ma non so spiegare molto. Proprio per questo Stefania mi regala libri come  “La mia storia con Mozart”.

Ho scelto questo libro oggi per parlare anche del Festival del Fortepiano, di cui mia figlia Stefania Neonato è il direttore artistico   e che inizierà domani sera al Museo degli Usi e Costumi di San Michele all’Adige.  Stefania proprio domani sera alle 21,30 accompagnerà al fortepiano  il suo amico violoncellista Marco Frezzato. Suoneranno Bach.

 Mozart sarà poi protagonista delle altre serate musicali nel museo .

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BACICIO DO TIN, di Alberto Cavanna

pubblicato da: admin - 20 Giugno, 2010 @ 5:24 pm

                                                         Ecco come promesso, il cambiamento di …rotta…grazie a Riccardo Lucatti che ci presenta Alberto Cavanna

product-323629[1]LANPO, sì, con la “n”: non è un errore di ortografia. Ancora oggi, a La Spezia, alcuni battelli che portano i turisti a Portovenere si chiamano Lanpo …

E Lanpo era il nome dello Sciabecco di Bacicio do Tin, in italiano Giobatta Cavacciuoli, marinaio, e quindi – nell’ordine – padron maritimo in Portovenere, Bacicio o’ corsaro (di Napoleone), Son Excellence Jean Baptiste de Cavisiol, Premier Compte del l’Ile du Thin, cioè Primo Conte dell’Isola del Tino, Bacicio il pirata.

 

Alberto Cavanna, “costruttore di navi e di storie”, ci racconta la storia di una vita, anzi di tante vite sballottate all’interno di un’epoca, quella napoleonica, vissute nello scorcio del Mar Ligure e in altri mari da chi, iniziando come mozzo, divenne capitano, corsaro, conte e pirata.

 

Il libro … (dovete leggerlo: “Bacicio do Tin”, Mursia editore, quarta ristampa 2006, €15,90, 397 pagine) è scritto in italiano, con affascinanti inserti in dialetto spezino dell’epoca ed in inglese (tutti con traduzione). Non mancano riproduzioni originali di rotte, schemi di battaglie, di inseguimenti e fughe, oltre ai disegni e ai dati tecnici dei velieri coinvolti. Il tutto intervallato da colloqui fra l’autore e la moglie, il che rende il lettore spettatore dell’iter creativo del romanzo storico.

Che altro dire? Si sa, io sono un appassionato di vela … ma anche chi ancòra non lo fosse, facilmente lo diverrà, attratto dal conoscere così intimamente la vita di bordo e di terra, nelle retrovie borghesi di una guerra soprattutto fra Napoleone e l’odiata Albione.

E’ un vero e proprio arricchimento, che ci riporta a vivere fatti e ambienti di alcuni secoli fa … che ci aiuta a capire come e perché si è sviluppata la marineria, l’arte corsara e la pratica piratesca. In più il lettore è riportato in una dimensione geografica umana, ove le distanze esistono ancòra, non sono annullate da E-mail o da un’ora di volo a bordo di un Boeing 707 o di navigazione su di un aliscafo … Una dimensione che rendeva l’uomo più libero, in quanto padrone di una maggiore quantità di spazio e di tempo. Infatti le odierne tecnologie non ci hanno regalato tempo, bensì ce lo hanno sottratto, accelerando e affollando tutto di tutto, ben oltre i risparmi che pretendono di farci realizzare. Nel bene e nel male. Un esempio? Il cannoneggiamento di un gozzo ligure da parte di un cutter inglese richiese tre ore e mezza di navigazione, di manovre, di ragionamenti, altro che schiacciare un bottone e lanciare un razzo!

 

Quindi, anche Voi, amici non velisti, amici non così amanti del mare a par mio, non vi spaventate: il mio è un “invito con garanzia”. Infatti, se dopo averlo letto, avrete trovato che non ne sarebbe valsa la pena, che io non avrei reso bene l’idea del libro, nemo problema (ho parlato croato): il libro, ve lo ricompero io! E questo, detto da un Genovese par mio, è il massimo segno di amicizia che posso offrirVi!

Riccardo Lucatti

Viale Trieste, 13

I 38122 Trento TN

Tel. 335 5487516 -0461 982454

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LA METAMORFOSI, stato naturale?

pubblicato da: admin - 19 Giugno, 2010 @ 7:10 pm

scansione0016 Dopo la lettura di un libro che mi prende completamente come “La ballata di Iza” ho bisogno di un momento di stand by, di uno stacco prima di immergermi in una nuova storia. Quando incontro problematiche esistenziali profonde devo soffermarmi a comprenderle , assaporarle, valutarle, sviscerarle. E’ il grande dono della lettura: quello di far riflettere. E c’è sempre qualcosa da scoprire di noi e della nostra “avventura” umana.

Oggi perciò ritorno a “ vecchi” autori il cui pensiero è  ormai parte di me e del mio percorso intellettuale.  Ripenso a  Franz Kafka e alla sua infelicità, ma anche alla sua giovanile ispirazione poetica che come un fortissimo vento gli riempiva la mente e il corpo, al suo scavere dentro di sè spietatamente per giungere però  a nessuna soluzione. Leggiamo nella famosa “Lettera al padre” la sensazione di solitudine, abbandono, incomprensione provata in famiglia, primo ambiente in cui si muovono i passi verso il consolidamento della propria identità.

La sua vita ci è nota. Figlio di un agiato negoziante ebreo Franz Kafka  nasce a Praga nel 1883. Si laurea in giurisprudenza  e poi si impiega  in un ente pubblico quell'”oscuro nido di burocrati” che per la sua anima poetica è la quintessenza dello squallore e della morte spirituale.  Suo unico rifugio è la scrittura serale disdegnata  dal padre che lo ha costretto a studi diversi dalla sua inclinazione. Proprio l’educazione oppressiva del padre sembra abbia portato Kafka ad essere pessimista, insicuro tanto da avere  un terrore morboso del giudizio altrui.

La sua salute è già cagionevole pertanto durante la prima guerra mondiale non svolge  neppure il servizio militare. Non fa grandi viaggi, non si sposa, la sua esistenza è racchiusa nel centro vecchio di Praga abbandonato soltanto per i periodi in cui è costretto a ricoverarsi in sanatorio per la malattia che lo porterà precocemente alla morte nel 1924.

Kafka non possiede “nessun riparo” agli avvenimenti, così ci lascia detto Milena Jesenka che ha saputo capirlo con magistrale intuizione femminile “Per questo è esposto a tutto“. Kafka non riesce a proteggersi dalla vita  con la menzogna, con finto ottimismo o entusiasmo, con i compromessi. “So che non si oppone alla vita, ma a questa maniera di viverla.”

NeLa Metamorfosi” leggiamo della sua alienazione, della sua tensione verso una meta che sta al di là della divisione tra l’umano e il bestiale.

Quando il racconto inizia  la metamorfosi è già avvenuta. La sera Gregor Samsa era un commesso viaggiatore la mattina, una mattina d’inverno, è già un enorme insetto. Non si meraviglia tanto quanto noi lettori Gregor anzi sembra che la metamorfosi per lui sia un fatto ovvio e naturale. Lentamente il mondo esterno si cancella, la stanza diventa un carcere dove l’insetto conduce la sua vita da rinchiuso, come tante volte la “claustrofilia di Kafka aveva sognato” ci spiega Pietro Citati. 

Gregor-scarafaggio fa inorridire il padre che lo colpisce con una mela, –  animale ferito, uomo degradato -. La madre abbraccia il padre supplicandolo di risparmiarlo, ma l’odio del padre è tangibile, è il segno del suo martirio. Soltanto la sorella ha talvolta pietà di lui.

Il racconto  si può leggere a vari livelli, persino i ragazzini delle medie lo conoscono e ne sono affascinati, noi adulti sappiamo la profondità di questo testo disperato. Capiamo che la sua morte è un sacrificio, egli è un capro espiatorio che si addossa i peccati dei suoi cari. “La sua immolazione” scrive Pietro Citati “ha un’eco cosmica: annuncia la fine dell’inverno, l’arrivo della primavera”.

Il suo cadavere verrà buttato nelle immondizie  dalla serva rozza mentre la  famiglia Samsa se ne andrà a fare una scampagnata. Se Gregor non fosse morto di consunzione forse la stessa natura sarebbe rimasta irrigidita e secca come il suo carapace.

Ecco, stamattina ancora non sapevo di cosa avrei scritto, ma il tempo mutevole, le nuvole chiare e scure  che vagavano nel cielo, l’arrivo imminente e atteso di Stefania, mi hanno portato a ripensare  a “questo strano viandante, posseduto dall’irrealtà,…senza basi nè radici…un giocoliere che camminava nel vuoto. Sapeva di essere lo Straniero che viveva soltanto di se stesso.”

Ma domani preparatevi a un cambiamento …di rotta nelle letture…perchè domani Riccardo Lucatti ci parlerà di…

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MATEMATICI NEL SOLE, di Franco Stelzer

pubblicato da: admin - 18 Giugno, 2010 @ 5:47 pm

image_book[1]                           Camilla Pacher ce ne parla e ci consiglia di leggerlo

 

La scrittura di Stelzer è appassionante, c’è una ricerca lessicale minuziosa e poetica, quasi si potrebbe azzardare uno slittamento continuo dalla poesia alla prosa e viceversa.Ci sono parti degne di un vero e proprio prosimetro,il dialogo tra il vissuto reale e il vissuto immaginato irrompe continuamente nel magnifico racconto………”Ma a spiegargli chi lui fosse, ci aveva messo da sempre tutta se stessa! E in ben più di una occasione…….Quanto meno ogni volta che un airone era sceso planando su di loro. Ogni volta che, languida e accesa, s’era lasciata scivolare con lui lungo un canale. Ogni volta che aveva sfiorato col volto le fronde degli alberi della riva. Lasciato che un braccio affondasse nell’acqua, sollevando eccitate ninfee…Ogni volta che…../Ogni volta?/ Ogni volta…come minimo ogni volta/ […]

E ’possibile incantarsi di fronte a una che spalma il burro con la leggiadria di una violinista o rimanere impietriti di fronte all’asciuttezza lessicale e mimetica nella rappresentazione di un oncologo, dove, prima che esseri umani, si è numeri. I personaggi si caratterizzano per una specie di continuo rimescolamento di ruoli : l’animo di lui, Hus,sembrerebbe poetico, contemplativo( ma anche duro, talvolta) mentre quello di lei è sempre forte, sulle difensive, pronto all’attacco. Un poco scherzando, ma non troppo, Wif molla schiaffi facilmente, lui sembra goderne. Forse per questo l’adora di più.

Questo è un romanzo da avere tra i propri libri, alla portata di mano.Perché ci sono alcune pagine che avremo voglia di rileggere, di tanto in tanto. Ci si troverà a dire alla migliore amica o al proprio uomo, o solo a se stessi : – Ascolta qui- e si correrà a prendere il libro e ad aprirlo proprio lì e là dove abbiamo lasciato quel segnalibro, assieme ad altri ,(come capita di fare con i libri di poesia). Apro a caso uno dei tanti segnalibri che ormai raddoppiano la mole del mio “Matematici nel sole” è la pagina 258, Hus parla agli amici, durante una festa di …saluto : “………..ho avuto una vita felice, perché le mie giornate sono sempre cominciate con la colazione…Volevo dire…mi piace fare colazione con mia moglie. Lo dico perché…..c’è un modo in cui lei spalma la marmellata, una forza circospetta! Si una forza precisa e cauta…oh, non lo so. C’è tutto in quei piccoli gesti. Proprio tutto. Eleganza, trascuratezza. Misura. Distanza. Noncuranza. Incanto……”

 

 

Franco Stelzer (Trento 1956). Ha studiato filosofia a Bologna, laureandosi su Robert Walzer. E’ traduttore dal tedesco.Insegna lettere a Trento. Ha pubblicato.come narratore, per Einaudi Ano di volpi argentate(2000) e Il nuovo primo, solenne, stranissimo Natale senza di lei (2003). Matematici nel sole (2009) edito da Il Maestrale.

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LA BALLATA DI IZA, una figlia perfetta

pubblicato da: admin - 17 Giugno, 2010 @ 5:08 pm

Come può una figlia perfetta, amorevole e generosa distruggere la vecchia madre settancinquenne appena rimasta vedova? Lo scopriamo leggendo questo intenso romanzo di Magda Szabò, la più grande scrittrice ungherese del Novecento.

Attraverso i quattro capitoli intitolati ai quattro elementi fondamentali della natura, terra, fuoco, acqua, aria conosceremo lentamente i caratteri dei personaggi. Iza, Antal, Vince e sua moglie, la vecchia, chiamata sempre così e  il cui nome proprio si impara  soltanto a metà romanzo. E solo alla fine le nostre intuizioni sulla personalità di Iza verranno chiarite   attraverso i pensieri di Antal, suo ex-marito, e di Domokos il  suo attuale compagno.

Siamo nel 1960, nell’Ungheria post-staliniana ancora ferita e insicura. La storia ha inizio con la morte di Vince Szòcs un magistrato onesto che anni prima era stato messo in disparte dal regime perchè durante un processo non aveva seguito le direttive del potere. Soltanto nel 1945 viene riabilitato. Questo crudele e ingiusto avvenimento sembra aver segnato l’esistenza di sua figlia Iza e renderla simile a un soldatino che vuole riparare i torti subiti. E’ così che Antal  la vede, “come un giovane soldato”, quando la  incontra per la prima volta alla facoltà di medicina  dove spera di iscriversi.

Antal è già medico, è riuscito a laurearsi nonostante un’infanzia durissima e povera; suo padre un acquaiolo che trasportava le acque termali è morto sul lavoro, ustionato dalle acque bollenti. Il suo sogno è quello di aprire uno stabilimento termale aperto a tutto il popolo. Iza lo appoggerà nel progetto che riusciranno a realizzare. Per Antal Iza e i suoi genitori sono la famiglia, la casa (vivranno insieme ) che non ha mai avuto. Egli ama Vince e  soprattutto la vecchia, Etelka, che per lui rappresenta la madre desiderata e persa in tenera età. Ama quella donna intelligente, priva di cultura, gioviale, operosa e instancabile. “Che mani stupende sempre attive, che testa raffinata e astuta, che curiosità allegra e benevola, fonte inestinguibile di altruismo, sempre pronta ad aiutare il prossimo.” 

Iza diventa un eccellente medico,  è una figlia devota che  ora piange per la morte del padre e che vuole prendersi cura della madre per non farla soffrire. Tutti la giudicano una figlia bravissima, sin da bambina ha dato solo soddisfazioni ai genitori, sempre la prima a scuola, sempre lucida nel sapere che cosa voleva. Saggia aveva e ha sempre ragione. Ora vuole portare la vecchia madre a Pest  nel suo appartamento dove  abita da sola. “Che ora avesse deciso di trasferire sua madre a Pest non era in fondo una sorpresa per nessuno. Una come Iza non avrebbe potuto comportarsi diversamente, il suo carattere era quello.

A Pest comincia il dramma di Etelka sradicata con la forza dalla sua città, dalla sua casa, dalle sue vecchie cose. Le viene data una stanza nuova, i suoi vecchi abiti buttati e sostituiti con abiti nuovi, Iza vuole farla riposare, non vuole che faccia nulla; in casa c’è Terèz che si occupa delle faccende domestiche. Etelka è pasticciona, combina guai, è meglio che si accontenti di ricamare o leggere.  La zelante  ma chirurgica  attenzione della figlia a poco a poco sgretola la vecchia,   le consuma la sua energia vitale.

Iza non capisce perchè la madre è  disperatamente infelice, ma nello stesso tempo è sollevata quando può rimanere sola e avere il suo tempo tutto per sè e pensare al suo lavoro.

Antal era fuggito da lei, spaventato  dal suo lucido e freddo egoismo, dalla mancanza di spontaneità e passione, che non le hanno mai permesso di comprendere e comunicare con gli altri.

Iza aveva voluto, per proteggere i genitori dalla sofferenza dei brutti ricordi far loro  tagliare i ponti con il passato, senza capire che così facendo  avrebbe incrinato e spezzato per sempre il loro essere, la loro storia personale .

Ho  già un altro romanzo di Magda Szabò pronto da leggere. Ma ne parlerò più avanti.

Ormai dopo tanti giorni si è capito il tipo di letture che propongo. Non parlo quasi mai  di libri letti o per dovere di informazione o per motivi di studio e lavoro, parlo solo di quelli che mi danno emozioni, mi divertono, mi fanno evadere. Libri che hanno tematiche simili, come l’introspezione psicologica, storie di donne soprattutto, poesia…

A questo punto, credo che sia positivo, stimolante, interessante dare  ogni tanto lo spazio ad altri lettori, un po’ per variare la voce scrivente, un po’ per conoscere altre scelte letterarie.

Già Luigi ha scritto su autori che raccontano le guerre, domani invece  ospiterò con gioia Camilla Pacher, altra accanita lettrice che ci parlerà di uno scrittore trentino.

Ma non è finita qui…pronto nel blog  c’è anche un consiglio di un carissimo  amico “accademico”,  velista, sciatore, anche ciclista e poeta,  che ci parlerà di  un libro particolare e bellissimo. Finalmente! Oltre a Luigi avremo altri gusti maschili.

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MARIO RIGONI STERN, un grande uomo di montagna

pubblicato da: admin - 16 Giugno, 2010 @ 11:00 am

stor_13219336_07490RigoniStern1 Scrive Luigi:

Continua, a sorpresa questa volta, la mia partecipazione attiva al blog. Spero che il risultato finale sia apprezzabile e soddisfacente, anche se il pezzo l’ho scritto velocemente e non con la calma e metodicità che sarebbero necessarie.

Oggi, 16 giugno, ricorre il secondo anniversario della scomparsa di un grande scrittore (parlo personalmente), ma soprattutto di un grande uomo: Mario Rigoni Stern. Consiglio preliminare: per chi non l’avesse visto, stasera verrà trasmesso su La7 alle ore 21 “Il Sergente”, ad opera di Marco Paolini. Il racconto de “Il sergente nella neve” in chiave “paoliniana”, che merita di essere visto.

Per questo intervento però, più che parlare di un suo libro -cosa che, a mio avviso, vorrebbe dire sminuire la sua grande produzione letteraria-, ho pensato di parlare appunto di Mario Rigoni Stern uomo. Scrisse molto (“Il sergente nella neve”, “Stagioni”, “Storia di Tönle”, “L’ultima partita a carte”, “Le stagioni di Giacomo”, “Il bosco degli urogalli” solo per citarne alcuni), ma quello che più mi colpisce è la persona: di origine montanara e di famiglia non ricca, però dallo spiccato senso della memoria, dallo stile di vita sobrio e semplice, molto saggio. Semplicità di famiglia, perché anche il suo bisnonno, come lui, volle dei funerali non sfarzosi: “I miei funerali siano semplici e modesti come quelli di un povero, non voglio che siano fatti sperperi né dimostrazioni di sorta…”.

Uomo di montagna che viveva con la montagna, cosa che probabilmente riuscì a salvargli la vita nella tragica Ritirata di Russia del ’43, riuscendo a riportare “a baita” anche parecchi suoi commilitoni, quale il tenente Nelson Cenci, diventato suo amico fraterno una volta ricongiuntisi a fine conflitto. “Sergent majùr, ghe rivarem a baita?” gli chiedevano gli ignari soldatini italiani sul fronte del Don.

Doveva scrivere anche per chi, per povertà di mezzi o morte prematura, non aveva potuto farlo , doveva ricordare anche per tutti i dimenticati. Anche lui aveva fatto suo il verso di Ungaretti “nel cuore nessuna croce manca”. Amava definirsi “narratore che racconta quello che ha visto e vissuto” più che scrittore. Amava comunque le arti e la musica, i classici latini e greci, Dante, Ariosto e Leopardi, i grandi russi dell’800, Hemingway.

Lo rendeva felice il pensiero che i suoi libri potessero tenere compagnia, invitare alla riflessione e a ragionare con la propria testa. L’amore per la storia, la volontà tenace di preservare memorie e ricordi si univano in lui a grandi curiosità e capacità di comprensione nei confronti di culture e mondi diversi dal suo. Cantore dell’altipiano sì, ma anche cittadino del mondo.

 

Mario Rigoni Stern, per me che abito in montagna, portava e porta avanti una cultura sana e giusta, che si deve a nostra volta fare propria per riportarla avanti e farla conoscere a chi non l’ha conosciuta direttamente. Cultura uguale a quella di un altro grande montanaro di cui condivido in pieno il pensiero, ed anche amico di Rigoni Stern: Mauro Corona. Nell’ultima lettera a Corona, gli scrive: “Me racomando, va en montagna anca par mi”. Andiamo in montagna, vado in montagna anche per lui, cultore di una mentalità che rischia di scomparire.

Poiché il tempo passa e quello perduto non ce lo restituisce nessuno, ai giovani amava ripetere: “Non perdete tempo in cose futili se non volete soffrire di rimpianti grandi. Rifuggite banalità e conformismi. Leggete libri e innamoratevi”. Poche parole, ma destinate a rimanere dentro per sempre.

 

Il 16 giugno 2008 Mario Rigoni Stern se n’è andato per sempre, ma non è scomparso. Quando ci fermiamo a guardare una meraviglia della natura o un duo piccolo sfuggevole dettaglio, quando siamo incerti su una decisione che mette in gioco il nostro senso morale, quando ci chiediamo quale sia davvero il senso del nostro vivere inquieto, ricordarlo, rileggere le sue pagine, può farci sentire meno soli. È questo il suo dono più grande.

(con spunti dall’articolo di Giuseppe Mendicino – Vita Trentina)

 Grazie  a Luigi Oss Papot del suo scritto pieno di passione.

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SENNO E SENSIBILITA', "l'un contro l'altro armati"

pubblicato da: admin - 15 Giugno, 2010 @ 5:46 pm

scansione0014Mi piace continuare il discorso  su amore, matrimonio, ragione e sentimento perchè credo che questi siano gli aspetti  più importanti della vita, e non  esclusivamente per le donne.

Sense and sensibility” di Jane Austen iniziato a scrivere nel 1797, racconta come l’assennatezza abbia la sua rivincita sugli eccessi sentimentali. Siamo nel periodo dell’Illuminismo, del Neoclassicismo in opposizione al nascente Romanticismo.   Le due contrastanti visioni della vita sono  personificate nelle due sorelle: Elinor, equilibrata, di buon senso che segue sempre i dettami della ragione in ogni occasione della vita, l’altra, la palpitante Marianne che si abbandona agli impulsi del cuore.

Jane Austen sappiamo parteggia per Elinor, lei stessa è una saggia rappresentante del suo ceto sociale e del comportamento adeguato e senza eccessi. Il Romanticismo che va affermandosi è considerato dalla scrittrice con ironica condiscendenza. Anche per quanto riguarda il matrimonio, pur disprezzando quelli di convenienza, ci fa capire che è importante che ci siano basi concrete come una discreta rendita oltre naturalmente un intelligente e disciplinato rispetto delle regole.

Ma noi lettrici amiamo molto anche la passionale e romanticissima Marianne  che si ammala d’amore per il libertino Willoughby. Da ragazzina Marianne era la mia preferita, ora lo è Elinor. Ragione nell’età matura? Sensibilità estrema nella giovinezza?

Abbiamo letto che le giovani  ragazze de “Il meglio della vita” sono eccessivamente sentimentali. Marianne però  riacquista presto la “ragione” e si adeguerà al vivere tanquillo e convenzionale accettando di sposare il pacato e maturo maggiore.

Anche in questo romanzo l’evento principale della vita femminile è dunque il matrimonio, ma siamo alla fine del Settecento. Oggi, come scrive Enza, la donna non è più obbligata a sposarsi  per avere un ruolo sociale o la sicurezza economica, oggi  può  credere maggiormente in se stessa, avere più autostima  e scegliere il  tipo di vita a lei più congeniale..

Sense and sensibility“, meglio il titolo in inglese che la traduzione di questa edizione, prende un po’ in giro la moda romantica e l’entusiasmo per la bellezza pittoresca, di cui anche Keats fu portavoce .

Pur se la storia di Marianne sembra avere  un finale di  rassegnato ripiego, la Austen non ci trasmette sentimenti melodrammatici a proposito, anzi tutto risulta imperniato di realismo antisentimentale. La sua scrittura  delicata, precisa, il suo talento di acuta  osservatrice ci regalano la visione del suo mondo, un mondo saldo in cui il problema più significativo è quello di sintonizzare i vari rapporti con le persone intorno.

La prudente Elinor dice parlando del suo innamorato: ” Non voglio negare che lo apprezzo molto, che lo stimo profondamente, che mi è simpatico:”

Stima” Simpatia” sbotta indignata Marianne ” Che cuore di ghiaccio hai, Elinor” Oh, ma peggio del ghiaccio! Ti vergogneresti di non averlo così. Se userai ancora parole come queste me ne andrò immediatamente”

Jane Austen ha un delizioso sense of humour. Marianne rapita dalla bellezza autunnale esclama “Oh, che rapimento ho provato a veder cadere le foglie secche! Che delizia vederle volteggiare intorno a me, spinte dal vento! Quali sentimenti mi hanno ispirato quelle foglie….”

Replica Elinor ” Non sono molti ad avere una passione come la tua per le foglie secche”

Confesso che in autunno al cadere delle foglie io mi comporto sempre da Marianne!

P.S.

Domani, in occasione dell’anniversario della morte di Mario Rigoni Stern, ospiterò nel blog un post che Luigi ha scritto per  rendere omaggio al grande scrittore .

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