LA TIGRE BIANCA, di Aravind Adiga

pubblicato da: admin - 15 Luglio, 2010 @ 7:27 pm

                            Visto l’accenno di Camilla proprio a questo libro, “La tigre bianca“, decido di presentarlo come post odierno. E ancora  grazie a Riccardo che mi ha rifornito di varie suggestioni di lettura in questo periodo molto faticoso per me. Io lo ringrazio e lo apprezzo. E’ un validissimo aiuto proprio perchè, come ho già detto, questo caldo mi stritola ed inoltre in questi giorni devo prepararmi a vari spostamenti, primo il viaggio a Graz per il concerto di Stefania, secondo l'”esodo” verso la mia casa in Liguria con gatta e annessi. Spero soltanto laggiù di avere un PC portatile con chiavetta per continuare questo mio lavoro quotidiano.

Prima di lasciare la “parola” a Riccardo  voglio soffermami sull’animale tigre che a me piace moltissimo. Se dovessi scegliere che animale essere primo sceglierei il delfino, poi un gabbiano, infine una tigre. Imponente, bella, che si fa rispettare ed ama stare spesso per i fatti suoi.  Ricordo che mia nonna bianca, per il mio caratterino audace e senza mezze misure (altro che l’attuale languore da damina ottocentesca!) mi chiamava (La Tigre del Bengala, “meza negra e meza zala”.  (mezza nera e mezza gialla) .Naturalmente io mi offendevo a morte, ma ancor di più mi arrabbiavo quando mi doceva   “Sei  la regina Taitù, ma Menelik non ti vuol più!”  Allora furibonda  “rispondevo” male e urlavo “Ma perchè non mi vuol più?”

Ho scherzato parlando un po’ di me perchè so che molte mie lettrici (che ancora non si decidono a scrivere commenti )  amano questi accenni alla vita privata e perchè lo scopo precipuo del mio blog è scrivere di ciò che una lettura ci regala in ricordi, riflessioni, concordanze. Non tanto una recensione dunque  (ce ne sono a bizzeffe in Internet) ma le varie “intermittenze del cuore” che un libro o soltanto una pagina, una “frase, un rigo appena” accendono nel nostro sentire, ci arricchiscono, modificano  anche solo impercettibilmente il  nostro  modo di vedere il mondo, così variegato, così’ grande, così ancora sconosciuto. Ben venga perciò un altro libro “lontano” che ci può far entrare nel pianeta India.

Grazie Riccardo.

ARAVIND ADIGA  / LA TIGRE BIANCA  /Einaudi, 2008 

No, non è un emulo di Salgari, della sua Tigre di Mompracem che tanto lessi da ragazzino! No, si tratta di tutt’altro.

Ho già segnalato Maximum City (Bombay città degli eccessi) di Suketu Nehta, e mi è venuto naturale segnalare questo secondo “libro indiano”, questa volta un romanzo che potremo a buona ragione definire “storico attuale”.

Anche questa volta siamo di fronte ad un’opera prima di un autore nato a Madras nel 1974. Dopo aver soggiornato in Australia, Inghilterra e Stati uniti, attualmente vive a Mumbai (e ci risiamo, direte voi!). Con questo suo libro egli ci conduce dietro le quinte dell’India moderna, la “shining India” l’India brillante, quella della new economy e delle nuovissime tecnologie, della crescita economica vertiginosa, del consumismo sfrenato di pochi, descrivendo con durezza e sarcasmo i bui retroscena, materiali e morali, di tanto scintillio.

Nei vostri scaffali va allocato accanto a Maximun City.

Riccardo Lucatti

 

 

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MAXIMUM CITY, di Suketu Mehta

pubblicato da: admin - 14 Luglio, 2010 @ 6:18 pm

 Mi fa piacere dopo aver parlato della triste e affascinante  Istanbul di Pamuk, del Bosforo al chiaro di luna, del chiaro scuro dell’animo dei suoi abitanti, primi fra tutti  i suoi quattro grandi scrittori tristi che l’hanno cantata a amata, sentire parlare da Riccardo  di – Bombay città degli eccessi - 

Non sono mai andata in India che mi attrae e mi spaventa per il “ troppo” che intuisco: troppi colori, suoni, profumi, troppa vita per una come me che ama le mezze stagioni, ma certamente una sfida a non tralasciare una civiltà diversa impregnata di filosofia altra da quella occidentale, di un misticismo libero e tangibile. Questo libro che Riccardo ci presenta è senz’altro esaustivo; conosceremo Mumbai nei suoi mille  aspetti , dagli slum dell’underworld, quindi l’estrema povertà, alla carica gioiosa che vediamo attraverso i  film di Bollywood dove i bellissimi protagonisti  cantano e danzano tra mille colori e tintinnamenti di ciondoli.

Ma è la gente, la folla che vive in questo paese che ne segna gran parte l’identità . Scrive Suketu che c’è una  “ battaglia di sè contro la folla, ma per uscirne arricchito e non schiacciato…Siamo individui multipli, in una solitudine plurale. La folla e il sè”

Ci illustra Riccardo:

L’autore è scrittore e giornalista. Questo è il suo primo libro, il ritratto di una della più grandi città del pianeta, attraverso la voce dei suoi abitanti: dalla malavita al cinema, dal mondo delle ballerine dei night club agli scontri fra le comunità indù e musulmana. Fra le altre, storie vere di gangster raccontate dagli stessi “protagonisti”. I capitoli? Eccoli:

  1. Parte prima: Potere

    1. Geografia personale

    2. Powertoni

    3. Mumbai

    4. Colletti neri

  2. Parte seconda: Piacere

    1. Una città di mangiatori di vadapav

    2. Una città in calore

    3. Distillerie di piacere

  3. Parte terza. Passaggi

    1. Miniere di ricordi

    2. Sone ki Chidiya

    3. Addio mondo

 

Mumbai l’incredibile, direi io! Incute paura unita al desiderio di un viaggio. Sicuramente una “lettura nuova”, sorprendente, ricca di informazioni su una civiltà per tanti aspetti a noi sconosciuta, vista attraverso la vita vissuta e non sui libri di testo.

Dopo averlo letto, terrete questo libro jn una posizione dominante nei vostri scaffali. Lo merita.

Riccardo Lucatti

 

 

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ISTANBUL, ovvero Orhan Pamuk

pubblicato da: admin - 13 Luglio, 2010 @ 6:56 pm

Finalmente conosco Orhan Pamuk, lo scrittore turco vincitore del Nobel per la letteratura nel 2006. E in questa sua autobiografia avvincente ripercorro la crescita intellettuale- artistica  di un uomo sensibile che è tutt’uno con la sua città.  Dentro di sè, ci ripete tra le righe e con le tante fotografie in bianco e nero, è nascosta l’anima della città. Una città che lui ama e di cui vede la decadenza inevitabile, quasi che i colori sfarzosi del potente impero ottomano si siano cancellati per sempre per far emergere una Istanbul prevalentemente invernale.”…i parchi rimasti vuoti e trascurati nell’inverno e la fretta delle persone che d’inverno tornano a casa la sera nella neve e nel fango, tutto questo richiama quel sentimento di chiaroscuro nascosto dentro di me, come una felicità velata dalla tristezza…”  Un’anima bianca e nera, quella di Pamuk come le tante fotografie che costellano la sua autobiografia . Pagine pervase dalla hùzun, tristezza che ” è come un vapore sui vetri delle finestre, creato da una teiera che bolle continuamente in una giornata fredda d’inverno, perchè non ha un istante di trasparenza e appanna la realtà“.

La sua storia personale va in parallelo con la descrizione di Istanbul nei suoi più importanti momenti storici. Le sue epifanie, i suoi più grandi desideri sono strettamente legati a questa sua città vissuta, attraversata, analizzata con la lente come fa con i disegni di Melling. Pamuk vorrebbe diventare pittore, ma la sua vocazione lentamente lo porta a scrivere. E in questo libro sembra un pittore che dipinga con parole invece che con i pennelli.

Leggo con grande piacere questo romanzo, mi rinfrescano le immagini di Istanbul sotto la neve, del Bosforo sotto la luna, la bellezza struggente della tristezza,la huzun, che assomiglia un  po’alla saudade portoghese. In fondo la solitudine malinconica, il desiderio di raggiungere l’irraggiungibile è tristezza inconsolabile.

Pamuk racconta della sua infanzia, dei suoi genitori che litigano e che si separeranno, ci racconta delle scure stanze-museo del Palazzo Pamuk dove , su diversi piani, vive tutta la  ricca  famiglia paterna.

Ciò che mi affascina oltremodo è sempre la descrizione dell’anima di Istanbul, il suo destino che diventa il carattere del suo narratore. Città che vive la sua bellezza e  la sua vivace malinconia grazie all’arteria pulsante del Bosforo, lo stretto di mare che collega il Mar Nero al mar di Marmara e che separa l’Europa dall’Asia. Punto sospeso anche per la famiglia Pamuk che per alleggerirsi dalla tensioni familiari fa gite in barca sul Bosforo per  ammirare le antiche case di legno, il Corno d’Oro, i suoi tramonti fiabeschi.  Ma è il Bosforo al chiaro di luna che  il nostro scrittore ama soprattutto . Rilegge spesso Abdulhak Sinasi Hisar (1887-1963) che introduce la sensibilità di Proust e le le sue lunghe frasi. E proprio nel suo  “Chiari di luna del Bosforo” Pamuk ritrova il mondo particolare ormai scomparso verso il quale prova una cocente nostalgia  “…in barca nelle sere al chiaro di luna, sullo stretto, ad ascoltare la musica…contemplare la luce della luna e i suoi giochi d’argento…e quando la musica finiva e iniziava il silenzio dell’oscurità le acque, senza che ci fosse il vento, qualche volta sembravano ondeggiare con un brivido leggero.”

Purtroppo la Istanbul attuale  come tutte le grandi città è anche piena  di contraddizioni, violenza , vizi umani.   Ma il Bosforo del passato, quello disegnato, dipinto o raccontato c’è ancora e rimane sempre  una consolazione, una meta. “La vita non può essere così brutta – penso a volte -. Comunque, uno alla fine può sempre farsi una passeggiata sul Bosforo.”

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LE TIGRI DI MOMPRACEM, e il ricordo di mio padre

pubblicato da: admin - 12 Luglio, 2010 @ 7:13 pm

240px-Salgari_mompracem[1]Notti seminsonni dal caldo, pensieri pesanti come l’afa che stritola. Penso allora a mio padre che riusciva a stare ore e ore nel letto a “immaginare” avventure. Gli chiedevo nei suoi ultimi  anni  “Ma come fai a stare così  tranquillo a letto senza dormire? Che cosa pensi?”. E lui, con un po’ di pudore, rispondeva ” Ah, io sono sempre in Malesia con Sandokan e Tremal- Naik.”. Inventava infatti, mio padre, avventure della Tigre di Mompracem o riviveva  come co-protagonista quelle già lette, un’attività immaginifica così forte da renderlo una persona senz’altro particolare ed affascinante.

Ecco che allora un autore mi riporta mio padre lettore. Non solo Emilio Salgari, ma  anche Dostojevskij,(“Il Giocatore” era il suo preferito…perchè anch’egli amava il gioco!), e poi  Emile Zola (citava sempre “La bestia umana” perchè l’aveva colpito tantissimo), e Curzio Malaparte dove nel suo “Maledetti toscani” si ritrovava con orgoglio, poi Oriana Fallaci ecc. Amava leggere testi geografici, a tavola si parlava di luoghi lontani, dei fiumi più lunghi, delle capitali…Non fece molti viaggi  all’estero mio padre, qualche puntata in Austria e Germania per lavoro, ma  riuscì ad appagare il suo desiderio di conoscere altri mondi  attraverso la lettura attenta, lo studio, l’interesse per chi viaggiava  e naturalmente la fantasia.

 Amava particolarmente  Emilio Salgari  proprio perchè anch’egli  pur non viaggiando,  riuscì a raccontarci   avventure magnifiche ambientate in luoghi esotici e lontani  documentandosi  soltanto su atlanti e libri.

Emilio Salgari non riuscì a conseguire il diploma di Capitano di marina che tanto avrebbe desiderato e navigò soltanto  per tre mesi lungo le coste dell’Adriatico. Non riuscì mai ad andare oltre il Mediterraneo, è l’Oceano indiano  la cornice delle sue mille avventure. I suoi romanzi ebbero un grande successo di pubblico, doveva scrivere a ritmo continuo senza ricevere in cambio  un gran tornaconto economico. Come in una catena di montaggio ogni giorno, fumando cento sigarette (anche mio padre era un  gran fumatore), scriveve pagine e pagine sul principe- pirata che in  Malesia  combatte contro la potenza coloniale britannica e olandese aiutato dal fido Yanez de Gomena.  Il nemico per antonomasia riveste i panni di James Brooke, rappresentante della Compagnia delle Indie e simbolo dell’oppressione straniera.

Sandokan è coraggioso, forte, è una vera tigre, e riesce a sollecitare la fantasia dei lettori di ogni età e tempo. C’è anche la parte sentimentale: l’amore per la bellissima Marianna, la dolce Perla di Labuan.

Naturalmente anch’io ho letto questi libri e po  li ho regalati a Stefania. Ma se nomino Sandokan subito mi appare mio padre che paragono a Salgari per la sua immaginazione vivida e intensa,  per il suo desiderio di avventure lontane, di andare in un altrove forse più consono alle sue caratteristiche. Lo accosto anche a  Sandokan stesso, leale, combattivo, dominatore e soprattutto libero.

Spontanea mi sorge l’osservazione: dimmi cosa leggi e ti dirò chi sei…

Interessante  sarebbe anche parlare, oltre che delle nostre letture, anche quelle dei nostri genitori …leggo che Claudia ha prestato il “libro viaggiante”trovato su una panchina alla mamma che presto andrà in India! (Non ho ancora letto “La traccia del serpente”…perchè, cara Claudia, non ci scrivi tu qualcosa quando l’avrai finito?)

Bellissima  l’iniziativa di far circolare più libri possibili…la lettura collante di esperienze, emozioni, scoperte…

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NEL SEGNO DELLA PECORA, e la lunga ricerca

pubblicato da: admin - 11 Luglio, 2010 @ 6:43 pm

scansione0006scansione0005Eccomi nella mia postazione mattutina per parlare del libro di  Murakami  Haruky, finito ieri sera.  Mi piace avere  questo impegno quotidiano quasi inderogabile perchè scandisce il ritmo della mia giornata, mi dà un piccolo scopo (scopetto, lo chiamo io)  e dopo mi lascia soddisfatta per aver compiuto “qualcosa”.

Inoltre appena apro il blog ho la bella sorpresa dei commenti dei visitatori. I complimenti di Maria Teresa, il post di Raffaella, il ritorno di Camilla dalle fresche e adamantine montagne dell’Alto Adige e la sua voglia di Proust. Di Proust non se ne potrà mai fare a meno, io penso.  Egli ci conferma ed esaudisce le nostre  intrinseche aspettative del cuore… Prima o poi Proust doveva nascere. Come la musica di Mozart, la prosa poetica di Marcel  esisteva nel nostro spazio-tempo ed era destinata all’umanità…Per raggiungerci ci volevano però  gli  intermediari.

Sensazione di fresco  “Nel segno della pecora“, non deve spaventare il peso o il caldo del vello di questo particolare ovino cercato da molti, perchè  arriviamo persino nel nord di Hokkaido, tra le sue gelide regioni pur di trovarlo. Ma di che pecora si tratta? Una particolare, bianca, con una stella marrone sulla schiena. La vogliono ritrovare alcune persone, un ricchissimo uomo politico  in fin di vita, un agronomo, il professore Pecora e lo stesso protagonista per poter salvare il proprio lavoro ma soprattutto per riempire la solitudine e l’alienazione provata in un Giappone che sembra staccarsi dalle sue radici più vere. 

E’ la sua gelida e  asettica solitudine che sembra fare da lente deformante alla realtà per cui tutto acquista un sapore surreale e magico. In fondo l’ordine di trovare una pecora è per il protagonista la ricerca di qualcosa, ma soprattutto l’aver capito che cosa. 

Questo romanzo racchiude tutti i temi sviluppati poi da  Haruky nei successivi scritti:  “la solitudine dell’uomo, l’arroganza e lo strapotere della politica, la nostalgia per l’atmosfera esaltante degli anni Sessanta, l’irrompere del surreale nella prosaicità della vita quotidiana.”

Pubblicato nel 1992 “Nel segno della pecora” è diventato un libro cult per gli amanti di Murakami, cercato da molti ed infine ripubblicato quest’anno dalla Einaudi con una traduzione di Antonietta Pastore ( che  mi sembra proprio adatta!)

Storia complessa, quasi detective story, un po’ fantapolitica, un pò filosofia,  misticismo, un po’  sogno. E’ entrare in una strada tortuosa piena di laterali, vicoli chiusi, improvvisi baratri, illuminazioni. Sempre però i nostri dubbi e le nostre ansie in primo piano, per conoscerle, analizzarle e forse dirimerle.

La vita è una lunga ricerca, la pecora, il viaggio  o qualsivoglia altro elemento ne sono sempre una metafora calzante.

Molta poesia anche tra le  descrizioni prosaiche di spuntini, abbigliamento, caratteristiche fisiche dei personaggi, descrizioni dei luoghi. Come l’immagine pittorico-filosofica della farfalla che si posa sul seno della sua ragazza  addormentata( ragazza misteriosa dalle bellissime orecchie e dai poteri soprannaturali).

 “Una piccola farfalla entrata da chissà dove svolazzava come un pezzetto di carta mosso dal vento. Alla fine le si posò su un seno, vi restò un momento a riposare, poi se ne volò via. Quando la farfalla la lasciò, lei sembrò un pochino più vecchia.”

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DUE, di Irène Némirovsky

pubblicato da: admin - 10 Luglio, 2010 @ 8:01 pm

due-irene-nemirovsky[1]E’ con grande piacere che lascio lo spazio odierno a Raffaella che  non solo è  un’assidua commentatrice del blog, ma una carissime e dolce amica. Buone vacanze, Raffa.

Ho di nuovo voglia di parlare d’amore…La mia vita di lettrice subisce delle fasi alterne; non smetto mai di leggere ma ci sono i periodi in cui amo i gialli d’autore, periodi in cui mi tuffo nella filosofia ( Nietzsche in tedesco,un’impresa titanica, moltissimi scritti di Lou salomè), momenti in cui mi dedico a lunghe liste di romanzi angloamericani del Novecento alla ricerca del capolavoro ancora non letto, e soprattutto ultimamente giorni in cui sento il bisogno di letture intimistiche, che scandagliano l’animo umano in tutte le sue sfaccettature ma in special modo quella dell’amore.

E “Due” di Irène Némirovsky ( Adelphi, 2010) è proprio un romanzo che tenta di rispondere alla domanda su cosa siano l’amore e la passione e cosa  rimanga di tutto ciò  nel rapporto coniugale. Protagonisti sono dei giovani borghesi parigini sopravvissuti alla Grande Guerra.
La Nemirovsky sceglie di seguire la storia di due  famiglie, dei loro figli e dell’evolversi delle reciproche storie amorose ed in particolare quelle di  Marianne e Antoine.

Ecco l’incipit : “ Si baciavano. Erano giovani. I baci nascono in modo così naturale sulle labbra di una ragazza di vent’anni! Non è amore, è un gioco: non si insegue la felicità, ma un attimo di piacere. Il cuore non desidera ancora niente: è stato colmato d’amore durante l’infanzia, saziato di affetto. Che taccia, adesso. Che dorma! Che lo dimentichi!”.

Antoine vuole godersi ogni momento della vita, così fuggevole, ama Marianne ma ha nel contempo varie avventure. Lentamente questo amore evolve in affetto duraturo che porta ad un legame stabile ed i due decidono di sposarsi, proprio nel momento in cui la passione sembra essersi definitivamente spenta.

 

Un amico del protagonista in una sorta di monologo interiore si pone un quesito che diverrà il perno del romanzo : “ Come avveniva , nell’unione coniugale, il passaggio dall’amore all’amicizia? Quando si cessava di tormentarsi l’un l’altro per volersi finalmente bene?”

La Nemirovsky  risponde proprio con la storia di Marianne ed Antoine, che attraverso matrimonio vengono trasformati nel loro modo di rapportarsi di fronte alla vita.Marianne , completamente sottomessa al marito, sa di essere  esposta a tutti i possibili tormenti ma li accetta con saggezza e maturità. Antoine, invece, sentendosi  improvvisamente invecchiato, cerca altrove quella passione e quell’amore che sa di non trovare  più nella moglie . “Marito e moglie non vedono i lineamenti l’uno dell’altro, non compiono quel lavoro mentale che consiste nel paragonare di continuo l’immagine rimasta nella memoria e quella che hanno davanti in quel preciso momento. Guardano il sorriso e non il disegno della bocca, l’espressione e non la forma degli occhi”  finchè dopo molti anni forse riescono a fare quell’impercettibile sforzo che li porterà a riconoscere il volto di chi condivide con  loro la vita.
Antoine ha una doppia vita: da una parte la famiglia, i figli, dall’altra l’amante, sorella minore di Marianne. “Questa  occupa il posto che la notte  i sogni occupano nell’esistenza di un malato, ed in cui le allucinazioni sono così intense da soppiantare la vita reale, ma senza perdere quella nota di mistero e di straordinarietà che è la loro caratteristica propria.” L’uomo la desidera e vuole possederla,tanto che preferirebbe vederla morta anziché accanto ad un altro uomo, ma riconosce che il legame con la moglie è un’altra cosa.Ad un certo punto la sorella di Marianne , durante un viaggio nel quale i due amanti trascorrono per la prima volta alcuni giorni insieme si accorge di essere innamorata ma, consapevole che Antoine non lascerà mai la moglie ed in preda alla disperazione derivata dall’impossibilità di farsi una propria vita, si uccide. Antoine ne esce distrutto e a quel punto la moglie comprende tutto. Ma il legame coniugale è tanto più forte quanto più si basa sull’ipocrisia, sulla menzogna, sul silenzio, sulla comprensione. ll matrimonio ha bisogno della “maschera”.L’uomo si getta da buon borghese nel lavoro e nella quiete matrimoniale.
Marito e moglie  si coricano la sera “l’uno accanto all’altro, separati dalle loro speranze, dai loro rimpianti, dai loro sogni, ma uniti dal calore dei corpi, dal dolce torpore del sonno, due in ispirito, ma, già, una sola carne”.

Riporto le righe finali, così pregne di significato .” Stavano immobili, abbracciati, i corpi stretti l’uno all’altro. Non provavano desiderio; erano calmi, un po’ ironici e senza gioia, ma , un istante dopo, fu come per loro ogni difficoltà fosse sparita”.

Ho amato “Due” sin dalla prima pagina. E’un libro che invita a riflettere, dalla scrittura raffinata, delicata ed a tratti struggente, nel quale le dinamiche del vivere sono trattate con poesia e leggerezza.Lo consiglio…

Raffaella Masera


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POESIE, 1972-2004 di Mirna Moretti

pubblicato da: admin - 9 Luglio, 2010 @ 7:24 pm

Apescansione0004Presento un secondo libretto di mie poesie. Innanzitutti perchè la poesia di Riccardo su Genova me ne  ha fatto venire in mente una  scritta in una  caldissima estate  qui a Trento, in Piazza Duomo, mentre ero seduta al tavolino di un bar.  

Secondo perchè ciò mi permette di non stare troppo tempo nell’angolo torrido dove il mio PC è situato. Scrivo alle 7.00, ma spedirò stasera.

Più tardi uscirò nella dorata mattinata trentina e andrò ad asssaporare il  cuore palpitante di sole della piazza,  sentirò le  voci gaie e  i garriti,  i profumi di tiglio e gelsomino. “Ascolta la voce di quello che vedi” scrive appunto Riccardo “La storia è passata di qui.”

Trovo consonanze nelle nostre due poesie, proprio  nell’approccio a una città, nel desiderio vitale e goloso di penetrare intimamente nella  storia delle sue “pietre levigate” o ” delle bianche mura della fabbrica del Signore.”  “Cercare di capire in silenzio ed amare” conclude Riccardo. Ed io aggiungo sull’onda di una condivisa emozione  “riscopri un’umanità sorella“.

 

                                                        Piazza del Duomo

 E poi un mattino ti risvegli /  e ti entra in petto / un dolce desiderio  /di  felicità.

Trasparente / la volta del cielo / risplende sulla piazza / di antiche fiere medievali,/ dove i mercanti di sete d’Oriente / si appoggiavano a ridosso / delle bianche mura / della fabbrica / del Signore.

Rimani stordita / dal suono di campane / e dal profumo di tigli, / e riscopri un’umanità sorella / che se ne va inconsapevole / sotto un volo di rondini ebbre.

Ti sembra che nulla sia mutato: / leggeri camminano / giullari e menestrelli / di mille anni fa, / hanno capelli color porpora / e nel cuore / la stessa ansia di miracoli. /

Ti lasci scivolare / nell’indistinto palpitare / e scopri che il segreto è / nel non voler sapere.”

Altri di voi amano scrivere poesie? Se entriamo nel nostro profondo scopriremo di essere tutti poeti, basta lasciarsi andare, affidarsi al fluire della vita e del tempo, abbandonarsi con fiducia…La Natura, le persone, ci offrono spunti per elogiare la Bellezza, l’Amore…sta a noi cercarli e “vederli” con occhi sempre nuovi e pieni di meraviglia.

Concludo il post quotidiano con un’altra mia poesia dedicata al mio giardino ligure e che ha il  commento fotografico  di Riccardo, poeta a tutti gli effetti.

Giardinetto

Soprattutto io amo possedere / le piante di amarene e di limoni / e il cespuglio d’alloro, / e il vento che sa di menta e di lavanda.

Quieto è il fluire dei meriggi / sui girasoli stanchi e / sulle rose quasi bianche.

Sulla tavola d’ardesia / s’insinua cauto, / un tralcio d’uvaspina.

Mi piace lasciare vagolare / il mio sguardo e il mio pensiero / su ali di farfalle senza tempo / che non sanno di volare / la loro eternità.

 

 

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LA REGINA DISADORNA, di Maurizio Maggiani

pubblicato da: admin - 8 Luglio, 2010 @ 7:03 pm

Ecco copt13[1]ancora Riccardo, mio valido aiuto, che ci presenta un libro bellissimo. 

Scrive Maurizio:

Ho cominciato a scrivere … il 1 gennaio 1997, ho terminato il 5 maggio 1998 … ho passato un inverno ed una primavera nel porto di Genova …ho viaggiato un inverno su di una nave portacontainer … ho bordeggiato con un piccolo dinghy di legno … ho scaldato le sedie di numerose biblioteche …”

Ed allora, ecco che, quale frutto di questo “vivere intensamente la propria opera letteraria,” apprendiamo che zafferano significa in arabo “chiome degli angeli” … Zahfran … appunto. Impariamo a conoscere il rito quasi sacrale con il quale viene raccolto nelle pianure persiane rinfrescate dai venti freddi che scendono dalle vette dell’Hindukush …

Assistiamo alla migrazione di una famiglia dalla Piana di Dorgali a Genova, e cioè da una località nella quale il capo famiglia, oltre che a curare le viti, esercitava il mestiere di “Moderatore della fame” (regolatore delle trasgressioni organizzate alle nuove leggi Piemontesi che pretendevano di modificare le “regole” – diremmo così, qui in Trentino – e cioè gli usi pubblici e gratuiti della terra), verso una città nella quale si adattò a fare lo sterratore.

Respiriamo il profumo dei vicoli, rectius, dei carrugi e delle croexe (cfr. Croexa de ma’ e “Via del campo” di Fabrizio de Andrè) della città vera (preferisco chiamarla vera piuttosto che vecchia).

Ci vengono riproposti i giganteschi cavalli normanni che a Piazza Caricamento furono i motori delle merci in transito, le botteghe si Sottoripa (ad un livello inferiore a quello del mare, appunto, sotto la riva).

Questo è solo l’inizio. Poi le cose cambiano e di molto.

Lascio a voi la scoperta. Mi permetto solo di aggiungere una mia poesiola, in tema al bellissimo incipit della “Regina”:

 

Caruggio

 

La storia

è passata di qui.

Ha lasciato il suo umore

nelle pietre levigate

nelle ombre frequenti

negli stretti ritagli di cielo

nelle case addossate.

Ascolta la voce

di quello che vedi.

Sofferma il pensiero

su chi riempie di sé la piccola via.

Persone diverse

che un antico crogiuolo

difende

dal moderno artiglio rapace.

Confusa umanità

padrona di un mondo

che tu

passante distratto

puoi solo violare

oppure

cercar di capire

in silenzio

ed amare.

 

Buona lettura a tutti, al profumo dello Zahfran e dei caruggi!

 

Riccardo Lucatti, ovviamente nato a Genova, manco a dirlo!

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VIA COL VENTO, il libro cult di tutte le "ragazze"

pubblicato da: admin - 7 Luglio, 2010 @ 10:08 pm

220px-Margaret_Mitchell_NYWTS[1]144064[1]Ieri in un bar abbastanza ventilato, mentre sorseggiavamo il caffè, Enza mi ha suggerito di parlare  di “Via col Vento“.

 Il  libro  che io lessi in inglese col titolo “Gone with the wind” è a Borzonasca, ma  io e tutte  le altre “ragazze” coetaneee e non, ormai lo conosciamo a memoria , grazie anche allo stupendo film da “mille” oscar interpretato da Vivien Leigh e Clark Gable (che assomigliava a mio padre da  giovane!).

Proprio l’estate calda ci può riportare in Georgia,  a Clayton County, vicino ad Atlanta, nella ricca piantagione degli O’Hara. La storia ha inizio con la giovanissima Scarlett O’Hara che durante un party all’aperto  si fa  “conoscere”da tutti :  bella, civettuola, viziata, accentratrice.

  Capiamo subito che la protagonista delineata da Margaret Mitchell si discosta dalle tradizionali eroine della narrativa romantica, anzi ne è proprio l’opposto. Non è dolce, remissiva e altruista come Melania, ma è egocentrica, assolutista, caparbia. Eppure tra le  lettrici del 1936 riscuote una grande ammirazione. Forse perchè è sincera? E non cela dietro il convenzionale comportamento femminile la sua vera natura ?

E’ appena iniziata la Guerra di Secessione, siamo nel 1861 ed insieme a Scarlett , Rossella in italiano (quante Rosselle abbiamo conosciuto!) seguiamo le vicende di Ashley, il  suo grande amore non corrisposto, di  Melania e di Rhett Butler, affascinante, rude e di dubbia reputazione.

Rossella vuole Ashley,  che si fidanza con  Melania.   Per dispetto allora Rossella  sposerà il fratello di quest’ultima.  Rimane presto vedova e  dopo la morte dei genitori  eredita Tara.  In questo frangente scopriamo un altro lato di lei, l’attaccamento alla sua  terra, la ferrea volontà di salvarla, tanto che per reggere le spese delle tasse sposerà un altro giovane anch’egli  però destinato a morire in guerra.

Rhett ha capito subito com’è fatta Scarlett e la ama proprio così com’è, simile a lui in fondo. Entrambi vitali, egoisti, vogliono  a tutti i costi il meglio dalla vita. La loro relazione è burrascosa, sia prima che durante il loro  matrimonio. Margaret Mitchell ci fa entrare a fondo nella psiche femminile, Rhett rimane invece enigmatico, ma scopriamo che è un uomo fondamentalmente leale.  Rossella capisce infine che il suo amore per Ashley è soltanto un’illusione  e che il suo vero amore è Rhett…ma troppo tardi…lui la lascia, stanco dei suoi capricci, e quando lei per trattenerlo gli chiederà ” Che ne sarà di me? ” egli  risponde “Francamente me ne infischio” e se ne va nel vento, lontano da Tara..

Unico romanzo di Margaret Mitchell, vincitrice del Premio Pilitzer nel 1937,  questo romanzo è “nostro”:  intrigate  soprattutto da Rossella, una donna a tutto tondo,  con i suoi difetti e le sue contraddizioni, ma anche con  i suoi pregi, prima fra tutti  la volontà e la forza di non lasciarsi abbattere. 

“Dopotutto domani è un  altro giorno.” esclama appena abbandonata.

Rossella o Melania? In quale ci immedesimiamo? Quale ammiriamo? Oggi ho parlato con tre amiche proprio di questo, prima con Patrizia, la Presidente della Banca del Tempo, poi con Enza a Raffella in pizzeria.  Concordiamo tutte nel riconoscere il fascino ribelle e anticonformista  di Rossella, ma apprezziamo la pacatezza e la tranquillità di Melania. Sono così diverse che sembrano complementari.

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LA CASA AZZURRA, a Città del Messico

pubblicato da: admin - 6 Luglio, 2010 @ 6:21 pm

scansione0003Fa troppo caldo. L’estate mi sta stritolando, ma grazie ad amici e soprattutto alla “famiglia di sostegno” Lucatti riesco a continuare giornalmente il mio blog. Con oggi sono arrivata al 169° post. Mi chiedo se la sfida iniziale di “un libro al giorno per riflettere sulla vita” posssa avere qualche interruzione estiva, sia per motivi tecnici, di spostamento, di visitatori in vacanza…ho deciso di sì. Io manterrò  ugualmente il filo diretto fino al 365° post, poi si vedrà…

Intanto ringrazio Valentina dei bellissimi commenti su libri presentati tempo fa come per esempio “Di buona famiglia”, uno dei suoi preferiti. E grazie a Cinzia per il commento a “La porta” della Zsabò. Chi volesse  leggere le loro  righe deve tornare ai post in oggetto.

Chi non è già in vacanza e ha un po’ di tempo può presentare un libro così il blog estivo avrà una veste più articolata. Da parte mia cercherò di essere più breve e accennare con poche righe a quelli  che sto leggendo o che mi tornano alla  mente.

Col caldo mi sento dentro al colore del sole torrido, al desiderio dell’acqua azzurra, all’esigenza del vento verde. Colori lucenti, forti, abbaglianti.  Come “La casa azzurra“, azul anil, blu opaco, dove la pittrice Frida Khalo vive nel 1937 e dove ospita Leon Trockij il leader della rivoluzione russa in esilio.

Meaghan Delahunt, scrittrice australiana, ci racconta pagine di storia  attraversate dal ciclone Frida. ” Frida era un gorgo: ognuno vicino a lei voleva esser tirato dentro, bagnarsi e annegare”, queste le parole di un personaggio, spettatore della vita della pittrice messicana. Forse lo stesso Trockij  rimane catturato da una creatura così appassionata la cui vita e opera artistica  sono  improntate, come lei stessa dice, a Amor y dolor.

Ma il punto focale del racconto è la morte di Trockij, una morte prevista, aspettata, inevitabile. Leggeremo della fedeltà della guardia del corpo, della tenerezza devota della moglie Natalja che a nulla serviranno contro l’assassinio orchestrato dall’astuto e terribile Stalin.

Nel momento della morte, quando  Trockij rivede tutta la sua  vita , è molto probabile, ci racconta Meaghan Delahunt, che l’ultima immagine sia quella della conturbante, chiassosa e coloratissima Frida.

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