I QUARANTANOVE RACCONTI , ma non solo di Hemingway

pubblicato da: admin - 10 Agosto, 2010 @ 6:11 pm

 

Mi fa immenso piacere che Donatella, finalmente, mi abbia dato il permesso di  farla apparire nel blog e farsi così conoscere  da tutte le visitatrici e amiche che stanno” raccontandosi”.

Donatella è una cara amica conosciuta proprio all’inizio di questa avventura libresca-virtuale,  che sempre ha scritto pensieri preziosi e coinvolgenti e con la quale mi trovo parecchio in sintonia. Credo che presto ci conosceremo anche  di persona, ma nell’attesa perchè non farla entrare nel nostro “giardino” pieno di libri e riflessioni e ricordi e poesia?

Naturalmente non ho cancellato le righe che mi lodano perchè queste mi danno carica energetica e mi riscaldano il cuore;” par contre”, devo ammettere che questo blog, questo dialogo che si sta infittendo con voi, è un appuntamento importante, scandisce le mie giornate, illumina i mei pensieri quando questi  tendono a diventar corruschi.

 

“Le néant. Ecco come posso descrivere anch’io la giornata di ieri. Una giornata con la “nuvola” come dicevi tu tempo fa. Anch’io mi sono accorta di essere sempre in attesa di qualcosa, di quel qualcosa che non arriva mai, se non parte ancora da noi stessi. Un’età difficile la nostra, ma anche questo lo avevi già detto tu qualche mese fa. Il tuo paese trafficato, il mio svuotato. Tu che leggi “Matematici nel sole” ed io che vado a cercare Pavese.
Lo faccio sempre, quando sono in crisi. Ed ecco che trovo un pezzo che sembra fatto per me. “Una domenica passata a vagolare col pensiero come una mosca legata, tutto intontito corpo e anima… Passo la giornata come chi ha urtato uno spigolo con la rotula interna del ginocchio: tutta la giornata come quell’istante intollerabile.” Ho la certezza che siamo in tanti a non amare la domenica, se solo potessimo metterci tutti insieme!  Che ci sarà dopo tanta solitudine? Ed ecco che ancora aspiro a quel qualcosa che deve ancora arrivare, i miei pensieri girano in tondo, anche queste sono parole che ho imparato da te. Sono sicura che tu mi capisci perchè, nonostante tutto, ti sento vicina. Penso che sia stata un’enorme fortuna incontrare una persona come te, incontrare il tuo blog, dove oltre che di libri, si parla anche di vita. Mi spaventa l’idea che allo scadere dell’anno tutto questo possa finire. Non vorrai abbandonarci vero? LO so che l’impegno è tanto, ma facci un pensierino, non si può finire un lavoro così …
Carissima, ti lascio, ma ti abbraccio forte forte. A presto.
 
Donatella”
 
Naturalmente se riuscirò a terminare la sfida di “un libro al giorno” ( e per questo chiederei aiuti….) non lascerò questo spazio che sta dventando “vitale” per me e il mio ondeggiare. E’ questo una finestra sul mondo o per meglio dire un  tuffo nel cuore degli altri. Raccontarsi, raccontare è uno dei più grandi piaceri. Lo dice anche Stelzer nel suo “Matematici nel sole” finito, tra la commozione e la gioia che la vita può essere sempre bella, poco fa.
Ben diversa  la visione del mondo nei racconti di Ernest Hemingway. Scritti con stile giornalistico, moderno, chiaro lasciano alla fine un sapore amarognolo che ricorda l’whisy o il bourbon che lui tanto amava.
 
Sappiamo della sua vita eccessiva, del suo combattere  sia sul fronte italiano sia  in Spagna contro i franchisti, dell’amore per le grandi bevute, per la caccia, per la corrida. Non dimentichiamo , “Fiesta”, i colori assordanti della Spagna più caliente e non scordiamo il suo malessere che ritroviamo in questi “Quarantanove racconti“.
E’ questa un’ edizione tascabile scarabocchiata da qualcuno; a Trento però ho un’edizione in cofanetto con segnalibro  in seta.
Sono andata subito a rileggere le “Nevi del Kilimangiaro” memore anche di un bellissimo film con il mio adorato Gregory Peck e Ava Gardner.
“Il Kilimangiaro è un monte coperto di neve alto 5890 metri e si dice che sia la più alta montagna africana. La vetta occidentale è detta “Masai Ngàje Ngài”, Casa di Dio…”
E’ il racconto di uno scettico cacciatore che per una banale imprudenza si ritrova la gamba in cancrena. Con sè ha l’ennesima donna, ricca, compagna di bevute e forse di sperpero della vita.
Lui sa che sta per morire, gli aiuti ormai sono inutili. Lei lo rincuora” Non si muore se non ci arrende”.
Ma lui sembra accettare la fine di una vita della quale non è riuscito a trovare la bellezza, il conforto, la magia (come Stelzer).
“Così era finita, pensò. Ora non avrebbe mai più potuto andare in fondo.”
Intanto i ricordi lo assediano, pensa all’Africa, il posto dove era stato più felice ai bei tempi, e dove proprio ora sta per morire. Uccelli pesanti lo osservano in  attesa.
Aveva sperato, con questa sua nuova compagna, di riuscire a “togliersi il grasso dall’anima” di sentire rinascere la voglia di lavorare, di scrivere. Incolpa la ricca compagna, bevitrice come lui,  “amorosa becchina e distruttrice” di avergli ucciso il talento ma poi quando sente la morte avvicinarsi comprende di essere stato  egli stesso “a distruggere il proprio talento, per non essersene servito, per aver di continuo tradito se stesso e quello in cui credeva, per aver bevuto tanto da smussare la sua capacità di sentire, per pigrizia, indolenza, snobismo, orgoglio e preiudizi, genio e sregolatezza, delitto e castigo.”
Ci sono alrtr48 racconti come “La fine di qualcosa”, “Gatto sotto la piggia” “Colline come elefanti bianchi” “Il giocatore, la monaca, la radio” e così via, ma tutti pregni di quell’amarezza di cui ho parlato prima, di scetticismo, di disperazione, di rinuncia. Piccoli autentici capolavori nati a volte soltanto per una sollecitazione occasionale, altre volte per una lunga e sofferta meditazione.
Un’altra latitudine? un’altra generazione?
Che differenza con il nostro Franco Stelzer il cui “Matematici nel sole ” è un inno goloso alla vita.
 

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BORZONASCA E LA VALLE STURLA, di Rosaria Arena

pubblicato da: admin - 9 Agosto, 2010 @ 6:42 pm

Un breve post oggi, prima che il Pc si rimetta a fare i capricci.

Perchè dunque non parlare dell’Abbazia di Borzone che stamattina ho nuovamente visitato? Di questa chiesa abbaziale se ne parla la prima volta in una bolla del 1120 di Papa Callisto,  ma un’ininterrotta tradizione locale vuole che essa sia stata fondata dall’Abbazia di San Colombano di Bobbio.

E’ definita un vero gioiello artistico nella sua semplicità e nel 1910 fu dichiarata monumento nazionale. Dista 3 km. da Borzonasca e si raggiunge percorrendo una comoda strada asfaltata leggermente in salita oppure attraverso una scorciatoia tra i boschetti. Ed è quest’ultima che ho percorso, da sola, stamani. Più faticosa naturalmente e soprattutto leggermente preoccupante perchè tra i cespugli e tra il fogliame spesso ci sono i cinghiali. Sentivo degli strani rumori, grugniti? “fruscii di serpi”? allora mi fermavo e mangiavo qualche mora pensando che ero stata un’inconsciente. E se fossi caduta? E se il cinghiale fosse arrivato? Nessuno al mondo sapeva che mi trovavo lì. Per farmi coraggio ho però scattao delle belle foto.

Stremata sono  arrivata in cima e mi sono fiondata nell’unicobar-ristorante dove , sebbene “chiuso di lunedì, ho potuto bere un buon caffè.

Visita e sosta nell’Abbazia che ha sempre la porta aperta per i visitatori e mi sono resa conto che forse avevo percorso l’antico sentiero dei pellegrini. Chi volesse saperne di più  può visitare il sito www.abbaziaborzone.it

O leggere il libro di Rosaria Arena, Sara per i conoscenti. Severa e puntigliosa ex -direttrice didattica Sara, scomparsa qualche anno fa a circa 90 anni, ha studiato a fondo la sua terra scrivendo con passione della sua storia e delle sue bellezze. Sara non si è mai sposata e “metteva in riga” tutti gli abitanti di Borzonasca, ma a questo paese ha sempre  dato importanza ed affetto. Si spostava spesso anche a Bobbio, ospite di qualche convento e fino all’ultimo è stata autosufficiente e battagliera.

Se la incontravo con sua sorella lungo i vicoletti di Borzonasca  Sara mi elencava le meraviglie del paese come le sue  pietre antropizzate, le edicole votive distibuite sulle facciate delle case, i portali megalitici, l’antica chiesuola, ma quando sbuffavo dicendo che non ci stavo tanto volentieri lei rivolta a sua sorella  esclamava: ” Ma ti immagini  la Mirna, qui , a novembre?” E giù a ridere. A Novembre il sole va dietro il Monte Cucco alle 13.30 e c’è una grande umidità proprio per i due fiumi che le scorrono intorno.

Ma oggi dall’alto della quiete di Borzone il sole splendeva sui filari di vite, sulle pèsche mature, sui fiori di tutti i colri che adornano i giardini e quando sono ridiscesa in paese (per la strada grande) mi sentivo leggera leggera e azzurra come le ortensie che ho colto da un enorme cespuglio sul ciglio .

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ASPETTANDO GODOT, e il teatro dell'assurdo

pubblicato da: admin - 8 Agosto, 2010 @ 6:41 pm

Ma poi è così assurda questa piéce teatrale di Samuel Beckett?  O lo è la maggior parte di noi, ed io mi ci metto dentro, che siamo sempre in attesa di qualcosa che deve arrivare? Altro che il Buddah ed il suo “essere dentro” in ogni istante! Io riesco a sentirmi dentro il fluire della vita per qualche momento, forse qualche ora, poi mi sembra sempre di dover fare qualcosa o cambiare o progettare…Siamo nell’età dell’ansia ed io sono molto spesso  “à la page” purtroppo. Invece di godermi il giardinetto montaliano  e perdermi nel volo di farfalle o stormire di lillà e glicine ecco che la mia mente corre a ciò che dovrò fare riguardo questa casa, il mio futuro. E aspetto che qualcosa o qualcuno  mi aiuti. Ma chi è questo Godot?

Tutto o niente? Non a caso il primo atto inizia con  “Niente da fare”. Il niente, le néant.

Non c’è intreccio in questi due atti. Vediamo due mendicanti Vladimiro ed Estragone che, in aperta campagna, accanto ad un albero aspettano giorno dopo giorno un certo Godot dal quale sperano di ottenere una vaga sistemazione. Godot è qundi la speranza di felicità? di risoluzione della propria vita? è l’aiuto divino, cioè Dio? Il dialogo è fitto e divertente pur se i due mendicanti sembrano due larve che parlano di scarpe da togliersi almeno una volta al giorno, del salice che è morto… e l’albero che cosa significa?

In questo libretto rosso trovato in mezzo agli altri e probabilmente avuto in omaggio con una rivista c’è l’ introduzione di Carlo Fruttero che ci spiega che l’humour, a volte anche volgare, del lavoro di Backett è il veicolo del sorprendente successo che ottenne. “Dal punto di vista tecnico Aspettando Godot è la commedia esemplare, limite, costruita interamente attorno all’assenza del personaggio in grado di “salvare” non solo Vladimiro ed Estragone, ma gli spettatori stessi, di cui i due mendicanti sono i rappresentanti sulla scena.”

 Carlo Fruttero aggiunge che i due mendicanti nei loro dialoghi serrati ci mostrano una vera antologia di relazioni private: sono amici, coniugi, innamorati, padre e figlio e riproducono tutte le sfumature psicologiche dell’umanità.

Ad un certo punto vengono introdotti altri personagi, Pozzo, simbolo del capitalista, che trascina brutalmente Lucky, il proletariato. Ma si può leggere anche in chiave evangelica, suggerisce qualcuno.

I  messaggi sono pertanto impotenza, angoscia, alienazione; l’immagine della civiltà occidentale è pessimistica e brancolante. Forse soltanto l’ottimista per candore può salvarsi e persistere nell’attesa.

Non avrei mai potuto portare mio marito a vedere Samuel Beckett, da pragmatico qual era mi avrebbe tacciato come complicata e infantile e…assurda.

Ma nel mio lessico intimo va spesso un pensiero a questo benedetto Godot. Chi è?  Che cos’é?  Arriverà? O mi devo rassegnare, come in fondo in fondo  sono già, che  Godot siamo sia noi stessi  che  colui che l’aspetta?

Meno male che in questa mia domenica in cui mi sono sentita poco “centrata” vuoi per il paese attraversato da un traffico come a Detroit, ma non è Detroit, vuoi per la lucertola che Mimilla mi ha portato in casa e che forse si è infilata nello stipite della porta, come i rotolini di versetti della Torah in casa degli Ebrei,…sono stata consolata dalla lettura di “Matematici nel sole”.

Hanno ragione Camilla (che ci ha presentato il libro in un post) e Stefania.Franco Stelzer è un  grande scrittore e  poeta. Ciò che mi piace soprattutto è la sua lettura della coppia. Wif(e) e Hus(band) che hanno le iniziali di moglie e marito sembrano nomi leggendari, come Hus mi sembra il vero primo marito cosciente dell’umanità. Pieno di meraviglia e gratitudine al cospetto della moglie, la Donna in tutta la sua unicità ed  importanza primigenia.

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PIANO SOLO, di Perry Knize

pubblicato da: admin - 7 Agosto, 2010 @ 6:37 pm

Questo blog è come una giardino nel quale riusciamo a parlare di noi. Noi-Fiori sotto un pergolato di glicine violetto…E tanti fiori anche in mezzo ai libri di cui parliamo…

Oggi presento “Una storia d’amore e musica” scritta da una giornalista, Perry Knize, che vive nel Montana.

Me l’ha prestato Cristina, la mia amica musicista che spesso ci invita alle sue riunioni serali di “Penelopi” o di “Accademia delle muse”. Cristina vive di musica, come fa anche mia figlia Stefania (che vorrà senz’altro leggere questo libro).  Quando le ascolto suonare il pianoforte vedo la loro gioia, la loro emozione, il loro essere tutt’uno con lo strumento.

Fortunati i musicisti che riescono ad elevarsi in un mondo particolare e privilegiato.

In “Piano solo” ci viene raccontata un’epifania: a 43 anni la narrattrice protagonista scopre,  mentre ascolta Rubinstein suonare un valzer di Chopin,che ciò che vuole assolutamente fare nella  vita è suonare il pianoforte. ” Mi ritrovai a stringere il volante, quasi dovessi reggermi durante il percorso, stretta io stessa nella morsa di un rapimento indotto dal pianoforte, tanto più dolce quanto emozionante.”

Perri riprende quindi a seguire lezioni di musica rendendosi conto della sua necessità vitale di stare a stretto contatto fisico con lo strumento “Come hai potuto lasciarti sfuggire tutto questo?” si chiede.

Inizia una vera e propria odissea, non solo per la battaglia di vincere il suo pudore durante le esecuzioni in pubblico, pur se amico,  ma anche per la ricerca del “suo” pianoforte. Anche mio genero accordatore e restauratore potrebbe leggere questo libro perchè veniamo a conoscere il mondo particolare e affascinante di musicisti, liutai, accordatori,ecc. tutti accomunati dalla stessa passione.

Non è soltanto  un viaggio nel mondo del pianoforte dunque,  ma  è  un esplorare la nostra anima  per conoscerci meglio,  per sapere quali sogni abbiamo realizzato e quali ancora sono nascosti.

 Quali sono i nostri sogni non realizzati? Non è mai troppo tardi per attuarli.  Perri ci dà una lezione di coraggio, onestà nel perseguirli ed insieme ci spinge ad avvicinarci  al mondo della musica.

The New York Times Book Review scrive “Leggendo questo libro, vorresti uscire e imparare a suonare il piano…”

Il pianista jazz  Bill Evans disse “La musica insegna la spiritualità mostrando all’individuo quella parte di sè che altrimenti non scoprirebbe mai”

E un’amica di Perry che  decide di diventare una pianista, e  all’età di trent’anni torna a studiare al college ribadisce: “E’ difficile evitare se stessi quando si studia il pianoforte. Sei costretto ad affrontare le tue ambizioni, il tuo grado di perseveranza, di ottimismo o la mancanza di ottimismo. Si costruisce il carattere.”

Siete d’accordo mie care pianiste?

E chi non sa suonare?

Beh, io mi sto ancora formando  il carattere ed aumento la mia  perseveranza …in questo mese di “clausura” campagnola…

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FRANKENSTEIN, or the Modern Prometheus

pubblicato da: admin - 6 Agosto, 2010 @ 6:15 pm

E’ stata la sua autrice, Mary Shelley, a mettere il sottotitolo spiegando anche che oltre al mito di Prometeo ha attinto a quello di Faust, passando attraverso “Il Paradiso perduto “di Milton e servendosi delle teorie del galvanismo. Come potè una delicata e giovane fanciulla produrre un romanzo così particolare,  un romanzo “gotico”  pauroso e sorprendente? Racconta lei stessa che la storia ebbe origine da un incubo  in cui lei vide: “uno studente di arti proibite  inginocchiato di fronte alla cosa che aveva messo insieme. Vidi la forma orribile di un uomo disteso, e poi grazie all’opera di un qualche potente strumento, lo vidi dar segno di vita. Era spaventoso, perchè spaventoso in modo supremo sarebbe stato il risultato di ogni tentativo umano di parodiare lo stupendo meccanismo del Creatore del mondo.”

Mary Shelley è figlia e moglie di scrittori. Sua madre è Mary Wollstonecraft, autrice della prima dichiarazione dei diritti della donna (Scrissi un post su di lei l’8 marzo, “Vindication”), suo padre è il filosofo  William Godwin. Suo marito è il poeta romantico  Percy Bysshe Shelley. L’idea di Frankenstein comincia a prendere corpo intorno ad un camino durante una piovosissima estate svizzera che vede riuniti oltre i due Shelley anche Lord Byron, il suo segretario Polidori e la sorellastra di Mary. E’ un anno il 1816, ricordato come “the year without Summer” perchè l’eruzione di un vulcano indiano aveva sconvolto la meteorologia.

Durante le lunghe serate squassate da violenti temporali gli amici inventano passatempi, leggono ad alta voce, discutono di arte e letteratura.  E ancora una volta  Mary ci racconta che una sera Lord Byron propone: “Ognuno di noi scriverà una storia di fantasmi.” Ma chi riesce a condurre a termine il progetto è la sola  Mary. In quegli anni il genere “gotico” è di gran moda. Si pensi a Lewis e soprattutto alla Radcliffe. Quindi  Mary Shelley propone uno scenario pauroso, di notti oscure… ma nella vicenda c’è ben altro.

D.Punter scrive in un saggio sulla letteratura del terrore che i termini “orribile” “spaventoso” usati dallo stesso barone Frankenstein per la sua creatura non sono altro “che un disappunto estetico”. Il suo “mostro” senza nome verrà battezzato poi proprio dal pubblico, con  notevole intuito, con il nome del suo creatore. In Mary Shelley “vi è un’intensa paura del brutto, dell’imprevedibile,del dirompente, che affiora senza troppo controllo in ogni pagina.”

Il mostro è dunque il diverso, ci fa notare Riccardo Reim nella sua introduzione , e come tale va emarginato e punito “perchè può provocare solo panico e sgomento.”

Rifiutato senza appello, disperato il” mostro “si strugge di poter provare la sua umanità“. Ma a lui non sono consentiti  nè ‘amore nè gioia, ma soltanto odio, odio verso il mondo che non può amarlo e odio verso chi lo ha creato.

Alla sua pubblicazione, nel 1818, Frankenstein, suscita grande impressione e scandalo, ma conquista migliaia di lettori. Oggi fa parte del  nostro “immaginario collettivo”, Frankestein è la nostra “ porta oscura dietro la quale il mortale e l’immortale fanno prematura conoscenza.”

Mi sono ricordata di questo libro dalla copertina gialla  dei classici BEN  (2.ooo Lire nel 1994) causa il violento temporale che ieri mattina mi ha svegliato prestissimo e che poi è continuato a intermittenza per quasi tutto il  giorno. Ho ricordato anche le storie di fantasmi che la nonna Bianca ci raccontava la sera e che parlavano sempre di belle ragazze avvolte in un particolare mantello incontrate per caso in una notte tempestosa da un eroico giovanotto il quale quando le cerca, i giorni a a venire, scopre che sono morte.E  sulla loro tomba troverà il loro mantello …

So per certo che Stefania preparò un esame di letteratura inglese proprio su Frankestein…perciò aspetto un arricchimento…

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LA CITTA' DEI RAGAZZI, di Eraldo Affinati

pubblicato da: admin - 5 Agosto, 2010 @ 10:08 am

Come promesso, oggi la parola …a Raffaella che ci presenta con commossa partecipazione un bellissimo libro di uno scrittore che anch’io ho conosciuto durante una conferenza nella biblioteca di Trento. Eraldo Affinati:  persona speciale, attiva, affettuosamente e costruttivamente  attenta ai bisogni dei ragazzi  stranieri o disadattati,   dei più deboli,  dei più bisognosi,  dei più inermi. Un aiuto forte, consolatorio, di esempio. Un vero maestro di vita.

  Il giorno in cui sono realmente  diventata insegnante, il mio “ battesimo professionale”,  non è stato il giorno dell’abilitazione né la prima ora di lezione in classe ma il giorno in cui un mio alunno mi chiamò al telefono di casa per dirmi che era omosessuale e che aveva bisogno del mio aiuto. O  forse è stato quel giorno in cui un’alunna ha avuto il coraggio di dirmi che era stata violentata dal padre. O ancora quel giorno in cui un gruppo di ragazzi scalmanati delle scuole professionali, dopo avermi fatto impazzire tutto l’anno, mi hanno offerto una birra al bar, io timida venticinquenne provata alla seconda supplenza, e mi hanno detto “ thank  you prof” ( insegno inglese, almeno quello lo avevano imparato!).

 E’ estate ed i miei ragazzi mi mancano. Alla faccia dei professori poco motivati,  la mia famiglia mi dice che io lo sono anche troppo e ripete la solita frase “ non ti faranno comunque il monumento”. Ma io non bado loro ed ho un esempio da seguire, oltre che quello della splendida curatrice di questo blog,  insegnante eccezionale e inimitabile  maestra di vita.

Dopo aver parlato di Murakami Haruki  e della Nemirovsky , presento il mio esempio, Eraldo Affinati, uno scrittore che amo molto e che ha dato tantissimo ai suoi ragazzi come” insegnante –padre”. Ho letto tutto di Affinati e lo consiglio ai lettori  del blog se già non lo conoscessero ( Luigi, anche lui ama moltissimo la montagna!).

“ La città dei ragazzi “ ( Mondadori , 2008) è un romanzo che sfugge ad ogni categorizzazione, e descrive l’esperienza di Affinati  all’interno della Città dei Ragazzi, storica comunità alle porte di Roma che aiuta ragazzi stranieri e disadattati ad imparare la nostra lingua, leggere, scrivere, trovarsi un lavoro e rendersi autonomi, ritrovare in poche parole , la dignità. Ma non solo ; le storie dei ragazzi stimolano in Affinati un colloquio intimo con il padre scomparso, a sua volta orfano e privo di  punti riferimento, che da ragazzo sarebbe stato proprio come uno degli studenti che lo scrittore cerca ora di aiutare . Non manca il  viaggio, un viaggio reale, quasi sempre presente nelle opere dello scrittore , un viaggio  che Eraldo compie con Omar e Faris, a ritroso , in Marocco da dove sono venuti, per capire, perché “ i  gesti, i fatti, i silenzi contano più di molte parole”, e “ sono gli ultimi della  Terra, i più inermi e vessati, a insegnare a noi  le vie della giustizia e della pace”.

Molto è stato scritto e recensito di questo splendido libro, quindi non essendo in grado di aggiungere nulla  tranne la mia profonda stima ed ammirazione per l’autore  ( che ho avuto il piacere di incontrare più volte alle presentazioni dei suoi libri in Trentino), riporto uno stralcio che mi ha colpito in particolare modo. Tratto dal capitolo  “Tutti qui”, in cui lo scrittore dedica un pensiero a tutti i ragazzi.

“Ci perderemo. Tutti, nessuno escluso
Tu Gianni e la tua ironia profonda.(…)
Tu Faris e il tuo rigore morale
Tu Peppino e le tue bestemmie per dirmi che esisti.(…)
Tu Aziz e la tua serietà lancinante (…)
Tu Petrit e la tua fedeltà assoluta.
Tu Severino e la tua compostezza superstite (…)
Tu Abdul e il tuo equilibrio crepato (…)
Ci dissolveremo. Andremo tutti in fumo.
Eppure siamo ancora qui: petali di un grande fiore secco dentro il libro”.

 

Grazie Eraldo per la tua testimonianza.

 

 Raffaella Masera

 

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BERTOLUCCI, e una pausa poetica

pubblicato da: admin - 4 Agosto, 2010 @ 5:49 pm

Ogni settimana mi piace  soffermarmi sulla poesia ed oggi parlerò di un libretto comprato nel 2000 ad Albenga dove io e Piero accompagnammo Stefania per un suo concerto. Come sempre stavamo trascorrendo l’estate qui a Borzonasca e quell’anno, ricordo, fiorì una solitaria rosa bianca. Normalmente nel giardinetto ci sono rose rosa o rosso cupo - quelle antiche, dette rose d’amore, profumatissime  -che lentamente però sentono l’avvicinarsi dell’abbandono e diventano sempre più rare. Ma che meraviglia la rosa bianca fiorita nell’agosto del 2000  scoperta appena dopo aver letto la poesia di Bertolucci. “La rosa bianca”

Coglierò per te / l’ultima rosa del giardino / la rosa bianca che fiorisce / nelle prime nebbie. / Le avide api l’hanno visitata / sino a ieri / ma è ancora così dolce / che fa tremare. / E’ un ritratto di te a trent’anni / un po’ smemorata, come tu sarai allora.

Ci sono 36 poesie in questo libretto edito da Mondadori quasi tutte dedicate alle stagioni , al tempo che passa, ai ricordi, al senso della vita, insomma ai pensieri che ognuno di noi rimescola.

“Non chiedere altro, la felicità è in questo / corso paziente, mentre gli anni fuggono / e i giorni così lenti scorrono, / il sole indugia su palpebre e muri, / tu, io, i cari figli l’accogliamo/ diversa beatitudine, persone separate…

Attilio Bertolucci è nato a Parma nel 1911 ed è padre dei due registi cinematografici Bernardo e Giuseppe. Già nel 1950 pubblica poemetti vari e poi un grande romanzo autobiografico in versi “La camera da letto”, un caso unico nella poesia del Novecento. Lavora poi anche per il cinemna e per la Rai.

Mi fa bene leggere le sue poesie gradevoli guardando i fiori, il cielo che ora si sta corruscando, le rondini , perchè le sue parole compenetrano con semplicità e musicalità la mia attenzione agli elementi naturali.

“Questo è un anno di papaveri, la nostra / terra ne traboccava poi che vi tornai / fra maggio e giugno, e m’inebriai /d’un vino così dolce così fosco./

Dal gelso nuvoloso al grano all’erba / maturità era tutto, in un calore/ conveniente, in un lento sopore / sopore diffuso dentro l’universo verde.

Fiori che ispirano versi, fiori che caratterizzano le persone come  la “signora delle camelie”.  Ma soltanto le donne vengono accomunate ai fiori? E gli uomini? E voi che fiore vi sentite?

***

Domani ci sarà un post di Raffaella che io ospito con infinita gioia.

E Camilla avrà trovato il “duende” di Garcia Lorca? Potrebbe scriverne visto che il 19 agosto è l’anniversario della morte di Lorca, fucilato dai franchisti nel 1936. (ho ritrovato questa data in una preziosa e piccola agenda letteraria nascosta nel cassetto della macchina da cucire di mia mamma!)

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DANUBIO, ovvero il Panta rei

pubblicato da: admin - 3 Agosto, 2010 @ 5:19 pm

Che cosa più di un fiume è la metafora della vita? Che scorre lento o impetuoso per poi sfociare nell’indistinto?   Questo saggio di Claudio Magris mi accompagnerà per un bel po’. Non è libro da leggere d’un fiato, è un testo su cui soffermarsi a lungo tanti sono gli spunti, i pensieri, le riflessioni che  questo  scittore triestino ci offre.

Per seguire il corso del Danubio si viaggia, ci si sposta come le sue acque e si toccano paesi e popoli diversi. E dunque anche la nostra esistenza è un viaggio. Meglio muoversi che stare per combattere lo spleen baudeleriano sempre in agguato nella nostra cultura occidentale.  “Le voyage pour connaitre ma géographie” enunciava proprio il poeta parigino.

Nel viaggio l’io si dilata e si contrae, conosciamo gli “altri” e li confrontiamo con il nostro sentire, affrontiamo la casualità e poi, per Magris e per i grafomani, c’è da scrivere sulla carta le impressioni, la relazione, gli appunti, i disegni. Letteraturizzare le proprie esperienze è come fare un trasloco, qualcosa va perso, ma qualcos’altro dimenticato salta fuori.

Viaggiare luno il fiume, ci dice Magris, è portarsi appresso tutta la nostra cultura, la nostra esprienza esistenziale. Ecco perciò per ogni luogo, per ogni sosta o situazione  citazioni, rimandi, poeti…

Questo saggio sarà un’abbondante libagione da centellinare però a piccoli sorsi: già nelle prime pagine si parla di Tristram Shandy (analizzato  a suo tempo per un esame di inglese),  Hoderlin , che chiamava il Danubio “fiume della Melodia ” e Goethe, i grandi filosofi tedeschi e quella Mitteleuropa oggi idealizzata quale armonia di popoli diversi…insomma un volumetto denso.

Che viaggio sarà! Insieme al ritratto di una civiltà ci saranno le digressioni di un viandante-scrittore curioso di tutto ciò che lo circonda, dai luoghi alle persone.

Il Danubio diviene un labirintico percorso alla ricerca del senso della vita e della storia, sull’atlante della vecchia Europa e del nostro presente.”

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Rispondo a Camilla circa il mio appellativo di “Violetta” o Signora delle Camelie. Mi chiamava così  anche la mia amica Giuliana di Aquileia, conterranea proprio del poeta B iagio Marin con i versi del quale Magris conclude il libro (complimenti per la memoria, Camilla!).

 Ai tempi dei nostri viaggi in Inghilterra, Francia, Germania, ecc. a me venivano spesso mancamenti per la dieta imposta dai pochi soldi a disposizione (preferivamo spenderli per  andare al Musical, comprare minigonne, rullini per foto, ecc). Così la mia “delicatezza” veniva associata a Violetta e ai suoi svenimenti. Il clou del soprannome però venne raggiunto  quando la suddetta amica vedendo che non riuscivo a chiudere una valigia piena di roba, prima del nostro ritorno in patria,  mi spinse di lato dicendo con sguardo di compatimento : “Spostati Violetta” e …”sraaang”…lei mi ruppe la chiusura. Così viaggiai con la valigia legata con la corda. Lei è soprannominata Sansone.

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LA SIGNORA DELLE CAMELIE, di Alexander Dumas fils

pubblicato da: admin - 2 Agosto, 2010 @ 5:54 pm

Stamattina pochi pensieri libreschi: la mente tutta occupata dalla sfida di prendere l’auto e scendere a Chiavari per fare un po’ di bagni al mare. Strada tutta curve e con tanti motorini circolanti…per me autista poco provetta un notevole sforzo. Ma ce l’ho fatta.

Ieri pomeriggio invece sono stata per un po’ sotto la palma al sole  fingendomi Siddharta. Un frammento di un attimo, forse, sono entrata nel battito dell’universo. Siddharta, non mi dà malinconia come a Camilla, anzi  per me è una speranza, un altrove irraggiungibile ma possibile. Trovo più malinconia nella  nostra civiltà occidentale dalla quale io non riuscirei però a staccarmi.

Civiltà occidentale malinconica

Io sono occidentale

Io sono malinconica.

Potrebbe reggere questo mio sillogismo?

E chi più malinconica della Dame aux camélias? Fra l’altro uno dei miei soprannomi oltre a quello di Alice. Non perché sia mai stata una mondaine, ma perchè davo spesso l’idea di fragilità fisica. Ma di quello che gli altri vedono in te, se ne parlerà un’altra volta!

La storia di Marguerite Gautier,  Violetta Valery nella Traviata, è raccontata dal figlio naturale di Alexander Dumas che ne  porta lo stesso nome. Nato nel 1824 dalla relazione con una sartina, è riconosciuto dal padre nel 1831. Trascorre la prima giovinezza in una vita dissipata, nella galante mondanità della Parigi borghese di cui conoscerà la superficialità, il finto perbenismo, la crudeltà .

Proprio in questa storia, oltre alla trama notissima, c’è il ritratto impietoso di un ambiente sociale e di una morale iprocriti che antepongono l’apparenza alla sostanza. Marguerite, prostituta di lusso, ha l’animo nobile: sacrifica la propria felicità per donare tranquillità e sicurezza all’uomo amato.

Elementi romantici fusi con quelli realistici e conformistici decretano un grande interesse del pubblico.

Alexander Dumas figlio scrive questa notissima opera a 23 anni. Vi descrive il suo personale dramma sentimentale vissuto con Marie Duplessis, demi-mondaine maestra di eleganza  e frequentatrice di ambienti brillanti, che morì giovanissima di tisi  in una situazione di isolamento per non mostrare la propria decadenza sia economica che fisica.

La signora delle camelie venne ridotta per il teatro, ma dovette aspettare tre anni per superare il divieto della censura. Si può dire che iniziò la comédie de moeurs, quelle commedie di costume che conobbero tanto successo.

Questo volume, edito dai tipi dell’Orsa Maggiore reca in copertina un dipinto di  Zandomeneghi. Chissà quali altri suggerimenti riceverò da questa casa in fatto di libri. Intanto ho però iniziato un saggio di Magris (comperato cinque anni fa) che mi segue da un comodino all’altro, da una città allo’altra, dalla casa  alla spiaggia. E’ “Danubio” che mi accompagnerà in questo mese di “viaggio” interiore.E il Danubio che sento più cupo del Gange,( nasce nella Selva nera, sfocia nel mar Nero !) è però a me più vicino e congeniale .

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SIDDHARTA, e la sete dell'Assoluto

pubblicato da: admin - 1 Agosto, 2010 @ 5:54 pm

Un libro cult in una domenica trascorsa in un paese  che non è nè città, nè campagna ma delle quali  ha solo i lati negativi. Cioè traffico e confusione, niente librerie, nè cinema…

Fra l’altro questo Pc fa i capricci…è colpa anche questa del paese circondato da monti che si chiamano Cucco e Prato Mollo?

Scriverò in fretta di Siddharta un po’ per timore che questo aggeggio si disconnetta e un po’ perchè credo che quest’operra di Hermann Hesse sia universalmente nota. E soprattutto perchè dovrei rileggerlo. Pubblicato nel 1922, in Italia divenne   il libro da portare sotto braccio negli anni Settanta. (insieme a Marcuse o al Libretto rosso di Mao). Noi poi, pseudo figli dei fiori  facevamo di Siddharta il  nostro nuovo vangelo.

Siddharta è “uno che cerca”, cerca la Verità , soprattutto cerca di vivere intera la propria vita. Dalla sensualità  al misticismo, dagli affari alla meditazione trascendentale. Non si ferma presso nessun maestro perchè non considera definitiva  nessuna nuova acquisizione. Cerca il Tutto che ha mille varianti.

Siamo sempre nell’India misteriosa  dove la sete dell’Assoluto è alla base di ogni concezione religiosa. Bellissimo sarebbe addentrarsi nel pensiero della speculazione brahminica, e nell’edizione Adelphi del 1979 ( che ho trovato dietro pile di libri in mansarda) c’è una travolgente e impegnativa nota introduttiva  di Massimo Mila, stupenda quanto lo scritto di Hesse. 

Questo è un volumetto consunto, letto da tante persone, familiari, amici , ma che a tutt’oggi mantiene un’aura di dolce illusione di serenità. Perchè non riusciamo a raggiungere l’Illuminazione? Perchè continuiamo a essere tormentati da quisquilie contingenti ( secondo i concetti della samsara e del nirvana).?

Vorrei mettermi in posizione yoga, a fior di loto (ma le anche e la schiena  mi fanno male ) e vorrei pulire la mia mente dai pensieri- corvi neri che mi frullano in testa. Decisioni da prendere, cambiamenti da fare…,in realtà tutti materialistici…ed allora perchè non abbandonarsi alla pace contemplativa? Abbandonarsi ai grandi fiumi che scorrono lenti lenti , come il Gange, il Brahmaputra, l’Indo…

Siddharta  sembra più saggio del Buddha e in un certo modo lo completa: egli non si tiene cautamente ai margini della vita: ci si immerge ed arriva alle stesse conclusioni del Buddha attraverso una coraggiosa e completa esperienza umana.

Non posso certo pensare neppure lontanamente di riassumere o giudicare una filosofia. Posso rileggerla e consigliare ai giovani di tuffarsi nel mare dei libri, soprattutto in quelli che hanno arricchito i genitori, i nonni.

Siddharta… ritrovato oggi, in una domenica che sembrerebbe “flinga”, senza spessore, nè sapore…ma  che sempre  vita è . “Si tratta di “vivere” in sè questa beatificante esperienza, non solo con la mente, ma con tutta l’anima e il corpo”.

Credo quindi che fra poco andrò in giardino per sottrarmi anche ai continui “doni” che Mimilla porta in casa: uno scarabeo dorato,( qui chiamato Bòbullo d’oooo“) un grillo…proverò a sedermi sotto la palma e mi lascerò andare…come vorrei “essere assorbita nel seno di un Dio universale!”

Che cos’è stato o che cosa sarà  Siddharta per voi, care  amiche visitatrici?

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