BERTOLUCCI, e una pausa poetica

pubblicato da: admin - 4 Agosto, 2010 @ 5:49 pm

Ogni settimana mi piace  soffermarmi sulla poesia ed oggi parlerò di un libretto comprato nel 2000 ad Albenga dove io e Piero accompagnammo Stefania per un suo concerto. Come sempre stavamo trascorrendo l’estate qui a Borzonasca e quell’anno, ricordo, fiorì una solitaria rosa bianca. Normalmente nel giardinetto ci sono rose rosa o rosso cupo - quelle antiche, dette rose d’amore, profumatissime  -che lentamente però sentono l’avvicinarsi dell’abbandono e diventano sempre più rare. Ma che meraviglia la rosa bianca fiorita nell’agosto del 2000  scoperta appena dopo aver letto la poesia di Bertolucci. “La rosa bianca”

Coglierò per te / l’ultima rosa del giardino / la rosa bianca che fiorisce / nelle prime nebbie. / Le avide api l’hanno visitata / sino a ieri / ma è ancora così dolce / che fa tremare. / E’ un ritratto di te a trent’anni / un po’ smemorata, come tu sarai allora.

Ci sono 36 poesie in questo libretto edito da Mondadori quasi tutte dedicate alle stagioni , al tempo che passa, ai ricordi, al senso della vita, insomma ai pensieri che ognuno di noi rimescola.

“Non chiedere altro, la felicità è in questo / corso paziente, mentre gli anni fuggono / e i giorni così lenti scorrono, / il sole indugia su palpebre e muri, / tu, io, i cari figli l’accogliamo/ diversa beatitudine, persone separate…

Attilio Bertolucci è nato a Parma nel 1911 ed è padre dei due registi cinematografici Bernardo e Giuseppe. Già nel 1950 pubblica poemetti vari e poi un grande romanzo autobiografico in versi “La camera da letto”, un caso unico nella poesia del Novecento. Lavora poi anche per il cinemna e per la Rai.

Mi fa bene leggere le sue poesie gradevoli guardando i fiori, il cielo che ora si sta corruscando, le rondini , perchè le sue parole compenetrano con semplicità e musicalità la mia attenzione agli elementi naturali.

“Questo è un anno di papaveri, la nostra / terra ne traboccava poi che vi tornai / fra maggio e giugno, e m’inebriai /d’un vino così dolce così fosco./

Dal gelso nuvoloso al grano all’erba / maturità era tutto, in un calore/ conveniente, in un lento sopore / sopore diffuso dentro l’universo verde.

Fiori che ispirano versi, fiori che caratterizzano le persone come  la “signora delle camelie”.  Ma soltanto le donne vengono accomunate ai fiori? E gli uomini? E voi che fiore vi sentite?

***

Domani ci sarà un post di Raffaella che io ospito con infinita gioia.

E Camilla avrà trovato il “duende” di Garcia Lorca? Potrebbe scriverne visto che il 19 agosto è l’anniversario della morte di Lorca, fucilato dai franchisti nel 1936. (ho ritrovato questa data in una preziosa e piccola agenda letteraria nascosta nel cassetto della macchina da cucire di mia mamma!)

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DANUBIO, ovvero il Panta rei

pubblicato da: admin - 3 Agosto, 2010 @ 5:19 pm

Che cosa più di un fiume è la metafora della vita? Che scorre lento o impetuoso per poi sfociare nell’indistinto?   Questo saggio di Claudio Magris mi accompagnerà per un bel po’. Non è libro da leggere d’un fiato, è un testo su cui soffermarsi a lungo tanti sono gli spunti, i pensieri, le riflessioni che  questo  scittore triestino ci offre.

Per seguire il corso del Danubio si viaggia, ci si sposta come le sue acque e si toccano paesi e popoli diversi. E dunque anche la nostra esistenza è un viaggio. Meglio muoversi che stare per combattere lo spleen baudeleriano sempre in agguato nella nostra cultura occidentale.  “Le voyage pour connaitre ma géographie” enunciava proprio il poeta parigino.

Nel viaggio l’io si dilata e si contrae, conosciamo gli “altri” e li confrontiamo con il nostro sentire, affrontiamo la casualità e poi, per Magris e per i grafomani, c’è da scrivere sulla carta le impressioni, la relazione, gli appunti, i disegni. Letteraturizzare le proprie esperienze è come fare un trasloco, qualcosa va perso, ma qualcos’altro dimenticato salta fuori.

Viaggiare luno il fiume, ci dice Magris, è portarsi appresso tutta la nostra cultura, la nostra esprienza esistenziale. Ecco perciò per ogni luogo, per ogni sosta o situazione  citazioni, rimandi, poeti…

Questo saggio sarà un’abbondante libagione da centellinare però a piccoli sorsi: già nelle prime pagine si parla di Tristram Shandy (analizzato  a suo tempo per un esame di inglese),  Hoderlin , che chiamava il Danubio “fiume della Melodia ” e Goethe, i grandi filosofi tedeschi e quella Mitteleuropa oggi idealizzata quale armonia di popoli diversi…insomma un volumetto denso.

Che viaggio sarà! Insieme al ritratto di una civiltà ci saranno le digressioni di un viandante-scrittore curioso di tutto ciò che lo circonda, dai luoghi alle persone.

Il Danubio diviene un labirintico percorso alla ricerca del senso della vita e della storia, sull’atlante della vecchia Europa e del nostro presente.”

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Rispondo a Camilla circa il mio appellativo di “Violetta” o Signora delle Camelie. Mi chiamava così  anche la mia amica Giuliana di Aquileia, conterranea proprio del poeta B iagio Marin con i versi del quale Magris conclude il libro (complimenti per la memoria, Camilla!).

 Ai tempi dei nostri viaggi in Inghilterra, Francia, Germania, ecc. a me venivano spesso mancamenti per la dieta imposta dai pochi soldi a disposizione (preferivamo spenderli per  andare al Musical, comprare minigonne, rullini per foto, ecc). Così la mia “delicatezza” veniva associata a Violetta e ai suoi svenimenti. Il clou del soprannome però venne raggiunto  quando la suddetta amica vedendo che non riuscivo a chiudere una valigia piena di roba, prima del nostro ritorno in patria,  mi spinse di lato dicendo con sguardo di compatimento : “Spostati Violetta” e …”sraaang”…lei mi ruppe la chiusura. Così viaggiai con la valigia legata con la corda. Lei è soprannominata Sansone.

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LA SIGNORA DELLE CAMELIE, di Alexander Dumas fils

pubblicato da: admin - 2 Agosto, 2010 @ 5:54 pm

Stamattina pochi pensieri libreschi: la mente tutta occupata dalla sfida di prendere l’auto e scendere a Chiavari per fare un po’ di bagni al mare. Strada tutta curve e con tanti motorini circolanti…per me autista poco provetta un notevole sforzo. Ma ce l’ho fatta.

Ieri pomeriggio invece sono stata per un po’ sotto la palma al sole  fingendomi Siddharta. Un frammento di un attimo, forse, sono entrata nel battito dell’universo. Siddharta, non mi dà malinconia come a Camilla, anzi  per me è una speranza, un altrove irraggiungibile ma possibile. Trovo più malinconia nella  nostra civiltà occidentale dalla quale io non riuscirei però a staccarmi.

Civiltà occidentale malinconica

Io sono occidentale

Io sono malinconica.

Potrebbe reggere questo mio sillogismo?

E chi più malinconica della Dame aux camélias? Fra l’altro uno dei miei soprannomi oltre a quello di Alice. Non perché sia mai stata una mondaine, ma perchè davo spesso l’idea di fragilità fisica. Ma di quello che gli altri vedono in te, se ne parlerà un’altra volta!

La storia di Marguerite Gautier,  Violetta Valery nella Traviata, è raccontata dal figlio naturale di Alexander Dumas che ne  porta lo stesso nome. Nato nel 1824 dalla relazione con una sartina, è riconosciuto dal padre nel 1831. Trascorre la prima giovinezza in una vita dissipata, nella galante mondanità della Parigi borghese di cui conoscerà la superficialità, il finto perbenismo, la crudeltà .

Proprio in questa storia, oltre alla trama notissima, c’è il ritratto impietoso di un ambiente sociale e di una morale iprocriti che antepongono l’apparenza alla sostanza. Marguerite, prostituta di lusso, ha l’animo nobile: sacrifica la propria felicità per donare tranquillità e sicurezza all’uomo amato.

Elementi romantici fusi con quelli realistici e conformistici decretano un grande interesse del pubblico.

Alexander Dumas figlio scrive questa notissima opera a 23 anni. Vi descrive il suo personale dramma sentimentale vissuto con Marie Duplessis, demi-mondaine maestra di eleganza  e frequentatrice di ambienti brillanti, che morì giovanissima di tisi  in una situazione di isolamento per non mostrare la propria decadenza sia economica che fisica.

La signora delle camelie venne ridotta per il teatro, ma dovette aspettare tre anni per superare il divieto della censura. Si può dire che iniziò la comédie de moeurs, quelle commedie di costume che conobbero tanto successo.

Questo volume, edito dai tipi dell’Orsa Maggiore reca in copertina un dipinto di  Zandomeneghi. Chissà quali altri suggerimenti riceverò da questa casa in fatto di libri. Intanto ho però iniziato un saggio di Magris (comperato cinque anni fa) che mi segue da un comodino all’altro, da una città allo’altra, dalla casa  alla spiaggia. E’ “Danubio” che mi accompagnerà in questo mese di “viaggio” interiore.E il Danubio che sento più cupo del Gange,( nasce nella Selva nera, sfocia nel mar Nero !) è però a me più vicino e congeniale .

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SIDDHARTA, e la sete dell'Assoluto

pubblicato da: admin - 1 Agosto, 2010 @ 5:54 pm

Un libro cult in una domenica trascorsa in un paese  che non è nè città, nè campagna ma delle quali  ha solo i lati negativi. Cioè traffico e confusione, niente librerie, nè cinema…

Fra l’altro questo Pc fa i capricci…è colpa anche questa del paese circondato da monti che si chiamano Cucco e Prato Mollo?

Scriverò in fretta di Siddharta un po’ per timore che questo aggeggio si disconnetta e un po’ perchè credo che quest’operra di Hermann Hesse sia universalmente nota. E soprattutto perchè dovrei rileggerlo. Pubblicato nel 1922, in Italia divenne   il libro da portare sotto braccio negli anni Settanta. (insieme a Marcuse o al Libretto rosso di Mao). Noi poi, pseudo figli dei fiori  facevamo di Siddharta il  nostro nuovo vangelo.

Siddharta è “uno che cerca”, cerca la Verità , soprattutto cerca di vivere intera la propria vita. Dalla sensualità  al misticismo, dagli affari alla meditazione trascendentale. Non si ferma presso nessun maestro perchè non considera definitiva  nessuna nuova acquisizione. Cerca il Tutto che ha mille varianti.

Siamo sempre nell’India misteriosa  dove la sete dell’Assoluto è alla base di ogni concezione religiosa. Bellissimo sarebbe addentrarsi nel pensiero della speculazione brahminica, e nell’edizione Adelphi del 1979 ( che ho trovato dietro pile di libri in mansarda) c’è una travolgente e impegnativa nota introduttiva  di Massimo Mila, stupenda quanto lo scritto di Hesse. 

Questo è un volumetto consunto, letto da tante persone, familiari, amici , ma che a tutt’oggi mantiene un’aura di dolce illusione di serenità. Perchè non riusciamo a raggiungere l’Illuminazione? Perchè continuiamo a essere tormentati da quisquilie contingenti ( secondo i concetti della samsara e del nirvana).?

Vorrei mettermi in posizione yoga, a fior di loto (ma le anche e la schiena  mi fanno male ) e vorrei pulire la mia mente dai pensieri- corvi neri che mi frullano in testa. Decisioni da prendere, cambiamenti da fare…,in realtà tutti materialistici…ed allora perchè non abbandonarsi alla pace contemplativa? Abbandonarsi ai grandi fiumi che scorrono lenti lenti , come il Gange, il Brahmaputra, l’Indo…

Siddharta  sembra più saggio del Buddha e in un certo modo lo completa: egli non si tiene cautamente ai margini della vita: ci si immerge ed arriva alle stesse conclusioni del Buddha attraverso una coraggiosa e completa esperienza umana.

Non posso certo pensare neppure lontanamente di riassumere o giudicare una filosofia. Posso rileggerla e consigliare ai giovani di tuffarsi nel mare dei libri, soprattutto in quelli che hanno arricchito i genitori, i nonni.

Siddharta… ritrovato oggi, in una domenica che sembrerebbe “flinga”, senza spessore, nè sapore…ma  che sempre  vita è . “Si tratta di “vivere” in sè questa beatificante esperienza, non solo con la mente, ma con tutta l’anima e il corpo”.

Credo quindi che fra poco andrò in giardino per sottrarmi anche ai continui “doni” che Mimilla porta in casa: uno scarabeo dorato,( qui chiamato Bòbullo d’oooo“) un grillo…proverò a sedermi sotto la palma e mi lascerò andare…come vorrei “essere assorbita nel seno di un Dio universale!”

Che cos’è stato o che cosa sarà  Siddharta per voi, care  amiche visitatrici?

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TI-PUSS, ou En Inde avec ma chatte

pubblicato da: admin - 31 Luglio, 2010 @ 5:55 pm

Si può abbinare la filosofia indù con una gattina? Certamente. Questo ce lo racconta Ella Maillart, grande viaggiatrice ed esploratrice , giornalista e scrittrice.

Comprato nella libreria Viaggeria di Trento, questo libretto con in copertina una gatta con turbante (ed. EDT) appartiene ad Enza che vuole presto visitare l’India. (senza gatta, I suppose). Lettura deliziosa, interessante, su cui soffermarsi a lungo. Ella Maillart ci descrive infatti gli anni trascorsi in India, per studiare la filosofia indù e cercare la Verità. Delusa dal Cristianesimo cerca un misticismo più convincente chiedendo aiuto ai vari saggi della penisola indiana, fra cui il Maharishi, che la indirizzano alla meditazione. “Se penso alla presenza del soggetto cosciente che illumina ogni esperienza, il “mio” istante raggiunge la pienezza e non sono più separata dal vero”Io””  Ricorda ciò che il giovane Maharishi aveva scritto da giovane in versi tamil :”Luce della coscienza che tutto abbraccia, è in te che si forma l’immagine dell’universo, che vi dimora e si dissolve, mistero che possiede il miracolo della verità. Tu sei il Sè interiore, l'”Io” che vibra nel cuore. Cuore è il tuo nome, o Signore.”

Metacognizione perciò nel vedersi mentre ci si vede in intensi istanti felici . “Gioia di sapersi felici e di esserne coscienti”

E la gatta? E’ un incontro e un amore a prima vista quando un cuoco le affida una gattina che la madre non può più nutrire.  Si chiamerà Ti-Puss e seguirà la nostra viaggiatrice-studiosa attraverso luoghi torridi, boschi ameni, nell’arco di due anni. Insiema Ella e Ti-Puss viaggeranno su treni affollatissimi, dormiranno in stanzette infestate da cimici ed affini, ma il loro percorso spirituale sembra andare di pari passo. L’innocente animaletto è un validissimo  sostegno per la sua meditazione. La gatta intuisce quando la sua  compagna è attenta alla vita che la  circonda perchè è nella sua stessa indole ricercare  la pace e l’armonia. “Il gatto” si domanda Ella  ” non è forse l’emblema della spontaneità, della grazia nata dalla concentrazione, della pienezza di chi vive il presente che altro non è se non l’eternità ?”

Come non essere d’accordo con lei, io che vivo quasi sempre sola con Mimilla? Mentre stamatttina salivo verso la splendida Abbazia di Borzone (ve ne parlerò presto) pensavo alla mia gattina, al suo amore per me ed al mio per lei. Rileggo le parole di Ella a tal proposito. Si chiedeva se la gattina soddisfacesse un suo bisogno di amare, e se la sofferenza temendone la perdita fosse un passo indietro proprio ora che un saggio la stava guidando sulla strada della libertà assoluta…”Che cosa illogica! Non cederò la gatta per rinuncia…La natura di un attaccamento può essere trasformata, se tende costantemente verso l’amore infinito – sorgente delle nostre gioie e dei noistri destini – verso quella totalità d’Amore che, si dice, costituisce la nostra essenza.”

Lettura speciale, bellissima. Amo i viaggi esteriori ed interiori, mi piace conoscere nuovi paesei, abitudini, Weltanschauung. Ho scoperto che questa interessante donna nata in Svizzera nel 1903 è stata anche una bravissima atleta, è stata in Iran con Annemarie Schwarzenbach ! (ricordate il libro della Mazzucco, “Leri così amata”, di cui ho scritto mesi fa?).

E soprattutto amo sentir parlare di gatti, questo meraviglioso animale che ci osserva e capisce…e ci ama.

Ieri, mentre cenavo, arriva Mimilla con un dono…un’enorme cavalletta zampettante in bocca…la deposita sul pavimento e mi guarda. Io urlo e sbatto il dono fuori dalla porta con la scopa . Chiudo la porta finestra. E lei, il mio tesoro nero, da fuori si alza in piedi e attraverso il vetro mi guarda incredula con la cavalletta di nuovo in bocca. Ho smesso di cenare (bene per la dieta), poi ho “salvato” il mio dono scaraventandolo lontano e ho subito il “muso” di Mimilla per tutta la serata.

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I MALAVOGLIA, antitesi della cugina Bette?

pubblicato da: admin - 30 Luglio, 2010 @ 5:27 pm

Non sapevo di che romanzo parlare stamattina, ma appena mi sveglio i pensieri “libreschi”si mettono in moto: in cerchi concentrici, a zig zag, in un alternarsi di avanti e indietro. Mi distraggo, apro gli sportelli sbagliati in cerca del caffè…ma mi sento subito “vitale”. Poi leggo la posta e a seconda  delle e-mails e dei commenti ricevuti lentamente si forma nella mia mente il post giornaliero. Più facile sarebbe avere tra le mani sempre libri nuovi ( mi manca la biblioteca di Trento!), ma mi accontento di quelli prestatimi dalle amiche, alcuni comprati e non ancora letti e di tutti quelli che trovo in casa. Meno male che Camilla ci consiglia spesso “roba fresca” o chicche di riserva, come Trollope o Madame de Duras. E questo Doctorow che spero mi presterà!

Ho pensato a “I Malavoglia” come “risposta antitetica” alla cugina Bette, così sordida, che fa rabbrividire anche Camilla e Raffaella, senza morale nè amore come aggiunge Michela,  (grande amante delle letteratura francese. Ah, Eugénie Grandet!)

Come Lisbeth anche i Malavoglia sono poveri, anzi vengono definiti i vinti perchè per loro non ci sarà risposta di un miglioramento sociale ed economico in un mondo dalle prime irrequietezze di benessere e fiducia nel progresso della seconda rivoluzione industriale. Qui però non siamo a Parigi, ma ad Aci Trezza, distanti non solo come spazio, ma anche come tempo. E l’Italia del sud è in grande ritardo rispetto al nord, anzi sembra  immobile. Siamo già verso la fine dell’Ottocento e il romanzo narra le vicende di una modesta famiglia di pescatori proprietari però sia del peschereccio La Provvidenza che della Casa del nespolo.

La sfortuna sembra spezzare questa famiglia che vive in un microcosmo ritratto  “fotograficamente”   da Giovanni Verga . Sentiamo “parlare” la plebe siciliana, conosciamo i loro sentimenti espressi, l’invidia, l’avidità mirata ad una mera lotta per i bisogni materiali. Ci rimangono  impressi i soprannomi: La Longa,  compare Cipolla, la Zuppidda, ma soprattutto quel padron ‘Ntoni Malavoglia, custode di valori che cementa la famiglia, nonostante i lutti e la  sventurata Lia. In lui fierezza, amore, inflessibile senso morale, in conflitto con la cupidigia e l’indiffernza dei nuovi strati sociali che lentamente sembrano formarsi. E’ un vinto, ma lo è da eroe, come dice Luigi Capuana che cita a paragone Ettore, Socrate, Gesù.

Che differenza dunque con la cugina Bette che non lascerà nulla dietro di lei, solo aridià; mentre padron ‘Ntoni con la sua serena fiducia nel bene, nel lavoro assegnato dalla sorte,  nel giusto,  farà riacquistare dai nipoti più giovani la casa del nespolo perduta, simbolo della famiglia, delle radici ancestrali, di ciò che il destino ha dato.

Come sappiamo il grande Balzac era tormentato, era sceso negli “inferi” umani, era  fine conoscitore, prima di Freud (come ha sottolineato Camilla) del nostro animo. Giovanni Verga non interviene. E’ fuori dal racconto, descrive, documenta ciò che si vede.

I Malavoglia sono un grande manifesto della corrente del Verismo, un critico lo ha  anche  definito romanzo-poema perchè le voci che si alzano in quel lembo di terra e mare dimenticati sono vere, pure, sincere.

Giovanni Verga osservava con occhio penetrante ciò che vedeva intorno. Nel “ Mastro Don Gesualdo”  entrerà con più forza nell’animo umano e la visione dell’ambiente sarà più varia ed ampia. Certo Verga era un ricco borghese, lontano dalla miseria di tantissimi siciliani. Si trafserisce anche a Milano dove, ricordo di aver letto “passeggiava con il naso in aria”.

Verga mi piace perchè ha guardato gli altri. Non era un indifferente. E pur se ne “I Malavoglia” non “interviene” , come si insegna a scuola nell’analisi del testo, percepiamo il suo grande  rispetto ed ammirazione per i suoi fieri personaggi.

 Comunico, soprattutto a Donatella che ha apprezzato il c0ntenuto del  libro “Una manciata di sogni”,  che Maria Wanda Caldironi ha scritto qualcosa per noi. Per leggerlo occorre tornare sul suo post .

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LA CUGINA BETTE, di Honoré de Balzac

pubblicato da: admin - 29 Luglio, 2010 @ 5:43 pm

Piove qui nel paesello chiuso tra i due fiumi, il verde, le chiesette, strada principale e due vicoletti antichi.  Ho da fare in casa oggi, è venuto un signore magro magro, ma forte a tagliare un limone e un fico seccati, ma si pensa già ad allargare la crescita del lussurreggiante glicine.

Che farò oggi oltre alla pasta al pesto? (pesto dei consuoceri chiavaresi). Leggerò, scriverò, penserò.

Quando nel tardo pomeriggio mi metto seduta sulla terrazza della cucina ad ammirare le rondini, qualche poiana e gli …aironi faccio  scendere il mio sguardo estasiato dal cielo per osservare ciò che mi sta attorno. Intanto il cortiletto del mio vicino che ha sbaragliato l’altra notte i “ruggeri”. A tal proposito mi ha raccontato che la missione è iniziata alle 22, che ha indossato un passamontagna per difendersi da eventuali attacchi, poi su una scaletta già preparata anzitempo ha spruzzato, a debita distanza,  il micidiale preparato anti vespe e calabroni. Lui e sua moglie sono proprio angeli custodi, ci controllano il giardino quando non ci siamo e ci aiutano quando arriviamo.

Più oltre c’è un’alta casa grigia dalle piccole finestre dove, qualche volta, vedo passare figure lontane e indistinguibili. Comincio ad immaginare la loro vita che mi sembra sempre misteriosa e ripenso alla nostra vita in generale, alla Comédie Humaine raccontataci così spietatamente dal grande Balzac. Forse perchè quella che vedo non è una casa allegra, ma chiusa in se stessa ricordo per associazione “La cugina Bette.”

Libro comprato durante un viaggio, ma che ora è alloggiato qui a Borzonasca. Che terribile personaggio questa Bette, zitella brutta, povera, invidiosa a tal punto della sua antitetica cugina Adeline da fare del suo odio vendicativo lo scopo della sua vita, la sua autorealizzazione. E ci riuscirà non svelando a nessuno, proprio per la durezza dei suoi sentimenti di rivalsa, la sua vera anima. Anzi continua ad incarnare il prototipo della zitella “angelo della famiglia” che si sacrifica per il bene degli altri.

Romanzo scritto nel 1846 quando lo stesso Balzac proietta con visionaria lucidità le sue amare delusioni sulla vita e sugli uomini.  Lisbeth Fischer, si sente vittima di parenti ricchi, dell’intera società fondata sul valore unico del denaro e del possesso delle cose. In questo perfido personaggio sembra confluire anche il noto odio che Balzac provava per la madre, “un mostro” la definisce infatti  in una lettera all’amata Madame Hanska.

In una Parigi borghese di metà Ottocento, Lisbeth riesce a dirimere intrighi, menzogne, “crimini privati” sorretta da un titanico risentimento verso i parenti ricchi. Ma ciò che ci mostra questo odioso personaggio, sembra suggerirci Balzac, lo ritroviamo nelle nostre più oscure pulsioni di invidia, sopraffazione,ambiguità di intenti verso l’altro? Sembra una riproposta in chiave moderna del mito di Caino e Abele, quando l’odio per l’altro non riesce a trovare argini. Bette odia la bella e buona e ricca Adeline “Era bella come sono le donne tanto belle da rimaner tali anche dormendo: è l’arte che invade la natura, è come un quadro vivente.”

Niente può fare contro la grigia pietra della sua anima, deve solo distruggere, è il suo imperativo categorico.

Ci chiediamo perchè ebbe ed ha tanto successo questo romanzo? La risposta potrebbe essere inquietante. Ma per fuggire da questa amara convinzione  senza speranza delle miserie umane di Balzac dobbiamo aspettare le giornate rivoluzionarie del 1848 e una nuova “bandiera al vento“. Come suggerisce Lanfranco Binni nell’introduzione . Vent’anni dopo arriverà Rimbaud “che ci fa intuire vie di fuga dal grigiore dell’inferno sociale” .

Rimbaud era poeta.

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LACRIME DI COCCODRILLO, di Valeria Corciolani

pubblicato da: admin - 28 Luglio, 2010 @ 6:27 pm

Dopo il cedimento  pascoliano di ieri, eccomi pronta per un nuovo tipo di lettura. Un giallo che si svolge proprio qui in Liguria, tra Genova e Chiavari. “Lacrime di coccodrillo” è pubblicato da Mondadori. Ha una copertina nera con la silouhette di tre ragazze alla Charlie’s Angels. E proprio tre amiche sono le principali protagoniste di questa storia che io trovo oltremodo divertente. Ne è autrice Valeria Corciolani, giovane e bella signora chiavarese, amica di mio genero Marco.

Il linguaggio è svelto, breve, conciso , le immagini simultanee, da ciò ne deriva una  lettura dal ritmo incalzante , moderno, attuale, si può dire…tecnologico? In fondo, nella storia,  molta importanza hanno gli sms dei cellulari, le e-mails, la televisione…più citazioni cinefile e canzoni che accompagnano continuamente le osservazioni personali del commissariio Lenzi trasferitosi da poco a Chiavari.

Insomma questo romanzo mi ha catturato e consolato per la partenza di Stefania.

 Ma qualcosa ho fatto anch’io per distrarmi: stamattina ho preso la mia UNO scassata e sono scesa (forse a 20 all’ora!) a Chiavari. Mi sono sistemata su un comodo lettino in una deliziosa spiaggetta con sabbia, ho fatto due bagni e ho continuato la lettura di questo romanzo, sbottando spesso a ridere da sola.

Beh, in fondo cercare di “colpire” un marito e amante fedigrafo (sempre lo stesso uomo) con del Guttalax è esilarante. Anche perchè ad un certo punto lo sventurato bello “sciupafemmine” (soprannominato anche  “fecalomo”) sparisce, pur sembrando già morto, dal salotto di Betti, una delle tre amiche sopracitate. Si innesca una serie di avvenimenti avvincenti.

Dei gialli non si può raccontare molto, ma dei personaggi sì. Le tre amiche sono molto unite e si aiutano a vicenda. Mi ha divertito leggere delle piccole manie di ognuna di loro: Guia, per esempio, l’unica sposata e con due bambini (assomiglia forse un po’ a Valeria Corciolani con in suoi occhi color savana?) deve stendere i panni con le mollette appaiate dello stesso colore… Inoltre è sinestetica: ha una particolare capacità di percepire insieme con fatti, persone o oggetti un colore. Suo marito, per esempio è sempre visto nei toni del blu, sua figlia Emma …rosso carminio. E’ lei che avrà delle interessanti intuizioni su un caso che sembra collegato a quello in cui si trova coinvolta Betti.

E l’altra amica, definita super “gnocca” dagli uomini? E’ la bionda Lucia tormentata dal suo amato Arnaldo protettivo che le vuol far sempre mettere la maglia di lana…

Il lessico non è pascoliano, ma siamo quasi adusi a certe parole così frequentamente usate anche dai mass media e in questo contesto si inseriscono adeguatamente.

Mi è piaciuto molto vederee Chiavari attraverso gli occhi dei personaggi: ho riconosciuto dalla descrizione una deliziosa vecchia libreria situata al primo piano di un edificio antico in cui si entra dai portici. Quante volte ho esplorato le sue stanzette colme di libri!

E attraverso gli occhi del commissario Pietro Lanzi mi sono soffermata sulla bellezza nascosta di questa antica cittadina : la passeggiata a mare gustando l’inimitabile focaccia ,l’odore di limone e basilico dei piccoli negozi, il fascino discreto delle antiche confetterie.

Sempre amici i libri, consolatori, impegnativi, per far riflettere, per divertire.

Tornata a casa dal mare abbronzata e fiera di me, ho voluto finire il libro della Corciolani mentre mi gustavo una caprese. 

 Allora mi sono ricordata della sera quando io, Stefania e Marco andammo a cena sotto i portici. Ad un certo punto al tavolino accanto arriva un signore che chiede se può sedersi. “Sapete, io sono mono…” “Monoteista?” chiedo . “Sì” risponde ridendo ” ed ancora, mono, mono” .Poi, in attesa del fritto misto apre davanti a sè un libro giallo e sorridendo compiaciuto  si mette a leggerlo.

Libro anche interlocutore, dunque.

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PIANTO DI STELLE, Messaggi in poesia

pubblicato da: admin - 27 Luglio, 2010 @ 7:01 pm

Poesia che fa rima con nostalgia, quella di un tempo passato e quella di qualcosa che vorremmo e che non otterremo mai. E Giovanni Pascoli è maestro nel rimescolare sentimenti forti, delicati,  di crisi dell’uomo. Fatto sta che pur preferendo Montale ed altri poeti, Pascoli mi è però “entrato dentro” ed i suoi versi sono  come canzoni malinconiche e nostalgiche che “canto spesso”.

Non  passa inizio di primavera che io non declami dentro di me o ad alta voce “C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole…”, il X Agosto guarderò il cielo e sussurrerò “San Lorenzo, io lo so perchè tanto / di stelle per l’aria tranquuilla / arde e cade, perché sì gran pianto / nel concavo cielo sfavilla. Oppure reciterò : E s’aprono i fiori notturni / nell’ora che penso ai miei cari, sono apparse in mezzo ai viburni / le farfalle crepuscolari…”

Il volumetto azzurro, qui accanto a me, e che non posso farvi vedere perchè non ho lo scanner fa parte della Collana Acquerelli e ha accompagnato me e mio marito in uno di quei viaggi “letteraturizzati ” che eravamo abituati a fare partendo da questa nostra casa ligure. Dopo Arles alla ricerca dei colori di Van Gogh, le Langhe di Pavese, ecc. il 3 agosto 2002 partimmo per  Barga per ascoltare il rintocco delle ore del campanile cantato dal poeta. “E suona ancora l’ora, e mi manda / prima un suo grido di meraviglia / tinnulo, e quindi con la sua blanda / voce di prima parla e consiglia, / e grave grave grave m’incuora: / mi dice, E’ tardi; mi dice, E’ l’ora.”

Prima però  Piero ed io, sorridenti e curiosi,visitammo a Castelvecchio  la sua casa con giardino,  poi pranzammo all’Osteria del Platano dove lo stesso Pascoli era abituato ad andare.

Che nostalgia di quella giornata felice, così nitida nella mia memoria!

Sono pascoliana in questo pomeriggio in cui comincia la mia “cattività” borzonaschina: Stefania riparte per gli States ed io mi ritroverò per un mese  in questa casa sola con Mimilla.

 Reciterò sconsolata ” Lasciami immoto qui a rimanere / fra tanto moto d’ale e di fronde; / e udire il gallo che da un podere / chiama, e da un altro l’altro risponde…0 invece siederò languidamente sulla sedia a sdraio  sotto l’amareno appagata d’estate e libertà pensando …Ma un poco ancora lascia che guardi / l’albero, il ragno, l’ape, lo stelo, / cose che han molti secoli o un anno / o un’ora, e quelle nubi che vanno.”

Il bello del nostro animo è la sua variabilità; io stessa spesso non riesco a prevedere come mi sentirò l’indomani. Una cosa è certa: io parlo con me stessa, voglio capirmi e il più delle volte, con me, non mi annoio.

La poesia in ogni caso è sempre un valido sostegno.

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MESSAGGIO D'AMORE, anatomia di un matrimonio

pubblicato da: admin - 26 Luglio, 2010 @ 5:22 pm

Mi sveglio presto al suono delle campane della chiesa e non sono di buon umore perchè c’è ancora freddino. Questo paese mi piace quando splende il sole, l’aria è teneramente fresca e le farfalle piroettano attorno ai fiori. La gatta vuole uscire sulla terrazza della cucina, ma vuoi per un gatto minaccioso  in cima alla scaletta , vuoi per la temperatura frigida ritorna immediatamente dentro. Caffè doppio e apertura PC che per me è una finestra sul mondo. Leggo subito le righe di Camilla, mattiniera anche lei! e le disavventure circa l’acqua mancante! E della sua “relazione sentimental libresca” con Doctorow assunto in questi giorni come marito immaginario.

E a proposito di coppia oggi parlerò proprio di un matrimonio “reale”, come viene raccontato nel romanzo di Somerset Maugham.

L’ho scovato ieri pomeriggio, a lazy Sunday afternoon, tra i vari libri dimenticati qui a Borzonasca. A me sembrava di averlo letto con un altro titolo ” Mrs.Craddock“, ma sono stata contenta di sfogliarlo e ricordare questo ritratto di una coppia apparentemente felice, ma spietatamente individualista, sola e senza quella capacità di crescere insieme per amarsi anche dopo l’affievolirsi della passione .

E’ soprattutto il punto di vista della signora Berta Craddock che l’autore ci fa conoscere in una sorta di spregiudicato, divertito e segreto dialogo fra di loro.

E’ una lettura deliziosa, pur nella sua amarezza, sia per le descrizioni paesaggistiche inglesi a me tanto care: viali di olmi in autunno,  passeggiate nella campagna, il rito del tè. E la genesi dell’innamoramento  di Berta per  Edwuard, il classico gentiluomo di campagna. “ Egli si stava avvicinando: si trattava di un uomo alto di circa ventisette anni, dalla taglia massiccia e dall’ossatura forte, con lunghe gambe e lunghe braccia, e un meraviglioso torace…il tutto era intensamente virile! Odorava di campagna ed anche la misura degli stivali mostrava un carattere deciso ed una grande sicurezza.”

Presto si sposano, ma pur continuando ad ammirare il suo fisico “ella amava le sue mani. Erano grosse, abbastanza rozze ed indurite …robuste e maschie…le facevano tornare alla mente una mano in porfido rimasta incompiuta che aveva visto in un museo italiano…”, Berta inizia a lamentarsi del poco tempo che  il marito le dedica, della sua praticità campagnola, della mancanza di sensibilità. E’ anche gelosa dell’attenzione che egli riserva al vicinato, soprattutto femminile. Gli fa delle scenate, lui si stufa e spesso esce esasperato dopo aver ascoltato le sue lamentele. Un giorno Berta vorrebbe seguirlo, ma lui le sbatte la porta in faccia. Berta scoppia in singhiozzi sul divano. Il dolore viene dissipato dall’ira e dall’umiliazione, “All’improvviso sentì un sentimento di odio contro di lui; l’amore che fino ad ora era stato fermo come una torre di bronzo, cadde a pezzi come una costruzione di carta. Adesso non cercava di nascondere a se stessa i difetti d lui…Berta spogliava con gusto amaro il suo idolo di tutti gli orpelli dei quali lo aveva addobbato con la propria fantasia…”

Eccoci al dunque…tipico di molte donne non “vedere” com’è veramente il proprio uomo, idealizzarlo, pensare eventualmente di modificarlo secondo i propri romantici desideri…ed infine rimanere amaramente deluse.

Berta è in ogni caso sì capricciosa, ,ma anche decisa e testarda, si crea un suo mondo consolatorio in cui vivere con tranquillità, tenta persino una relazione amorosa con un giovanotto ( un po’ Madame Bovary).

E quando Edward muore lei non lo ama già da molto tempo. “Si fermò di fronte al corpo esanime del marito e lo guardò. Il ricordo di Edward giovane sparì, ed ella vide il marito come era stato realmente, grassoccio e rubicondo”

Mestamente progetta il suo futuro, viaggi per dimenticare…forse l’Italia, ma subito anche la consapevolezza di essere finalmente libera. Riflette che “marito e moglie non sanno assolutamente nulla dell’altro; per quanto appassionatamente si amino, per quanto la loro unione sia stretta, non riescono mai a essere una sola persona.”.

Ma è proprio così?

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