LA FILOSOFIA DELLA SARDINA, di Robert Hughes

pubblicato da: admin - 30 Agosto, 2010 @ 8:49 pm

Fino a quest’ora, e sono le 20,30, temevo di non riuscire a mantenere il ritmo del libro quotidiano perchè il Pc e la chiavetta sembravano esausti,ma fortunatamente…un’impennata ed io posso scrivere !

Mi piace l’idea di “società letteraria” in questo scrivere e leggere di libri. Proprio ieri la mia nipote ligure Fla’, che si trovava a Borzonasca per alcuni giorni  (lei abita in Valtellina ora) mi ha detto che sta leggendo con piacere “Maximum City”, presentato da Riccardo.

E sempre  ieri, Aurelia, ha mandato questo commento su “La pianista bambina”:
Ho finito oggi di leggere la stupenda storia delle due sorelle pianiste
Zhanna e Frina: non ho le parole giuste per dire quanto mi è piaciuto.
Credevo di conoscere molto sulla Shoah, questo libro mi ha dimostrato
quanto ci sia ancora da sapere. Grazie all’autore e grazie alla
testimonianza delle due meravigliose pianiste.

 Ma rieccomi in prima persona dopo alcune giornate dedicate ai  post di cari amici e figlia.

Siamo già alla fine di agosto e per me alla fine di un periodo di isolamento durante i quali ho vissuto  momenti di malinconia, di tranquillità ed altri di pienezza estiva, grazie a questo mio giardino montaliano, alle passeggiate, al mare, agli amici del blog e a quelli (pochi) in carne e ossa.

Ma soprattutto giorni di pensieri, di riflessioni. Ecco dunque che “Le riflessioni di un pescatore mediocre” che fa da sottotitolo a questo apparentemente lieve libretto giallo mi sembrano appropriate al mio post quotidiano.

Robert Hughes  ci  racconta che la cattura di un tarpone atlantico o la visione di un marlin che corre sul pelo dell’acqua possono essere esperienze indimenticabili.

“La pesca è molto più che una passione, è una filosofia di vita, un modo speciale per entrare in contatto con se stessi e con il mondo. Il rapporto tra l’uomo e il pesce è un’attrazione fatale dietro cui si nasconde il grande legame con la natura e la fascinazione profonda del mare”

Come non pensare a Capitan Akab di “Moby Dick?” O a “Il vecchio e il mare “di Hemingway? Da sempre il mistero del mare ha alimentato la nostra fantasia. La superficie acquea era il limite della razionalità, mentre la profondità degli abissi sono stati  da sempre paragonati alle nostre inconsce paure, a un ricettacolo di demoni e mostri. L’archetipo biblico è il Leviatano. Verso il Cinquecento si sono moltiplicati e trasformati in indicibili orrori come ci racconta Edmund Spenser ne “La regina delle fate” E come non pensare alla “Ballata dell’antico marinaio” di Coleridge dove in un mare immoto vivono immersi accanto al veliero deformi figure marine?

Ma non solo citazioni o suggerimenti letterari in questo libro, ci sono anche molti ricordi personali  e aneddoti coloriti dedicati alla pésca, descrizioni naturalistiche e soprattutto “risvolti, implicazioni e significati di questa antichissima attività”.

Attività che si svolge perlopiù in solitudine e quindi permette ai pensieri di espandersi, indi raccogliersi e concentrarsi, insomma  di “filosofare”.

E’ quello che è accaduto a me in questo mese, “costretta” per scelta a un intenso, e spero, proficuo lavoro sulle mie future decisioni.

In fondo ognuno di noi ha un luogo o un tempo privilegiati per entrare in contatto con se stessi…chi ci riesce trovandosi a tu per tu con un pesce, altri nel silenzio di un giardino profumato, chi  – potrebbe essere - tra la folla, oppure nel silenzio del proprio salotto o  nello spazio metafisico della musica…o anche entrando ed uscendo dalle pagine di un libro…

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The Guernsey Literary and Potato Peel Pie Society

pubblicato da: admin - 29 Agosto, 2010 @ 6:43 pm

Finalmente mia figlia Stefania, di ritorno dagli States e su suolo italico, contribuisce con un post al blog, la presentazione di un libro letto di fresco sull’aereo e consigliatoci dalla cara amica Linda MacKenzie di Binghamton. Il libro l’avevo letto anch’io in italiano ed e’ delizioso. Ma non sono sicura del titolo italiano, cerchero’ su Internet e vi faro’ sapere!

Immaginate una delle incantevoli isole del canale della Manica; l’invasione tedesca durante la Seconda Guerra Mondiale; la costituzione in circostanze estreme e quasi comiche di un’improbabile e segreta società letteraria sull’isola di Guernsey.

E ora immaginate una giovane scrittrice di Londra – Juliet – diventata famosa con una colonna umoristica sullo Spectator negli anni di guerra: Izzy Bickerstaff va in guerra. Juliet ha due carissimi amici, il suo editore e sua sorella, un appartamento con vista sul Tamigi raso al suolo dai bombardamenti e, da poco, un misterioso ammiratore che le fa avere mazzi di fiori in tutte le tappe della presentazione del suo nuovo libro tratto dai “pezzi” di Izzy Bickerstaff.

L’incontro di questi due mondi – la comunità di Guernsey e la vita di Juliet – si intrecciano a causa (o grazie) a un libro, un libro venduto da Juliet anni prima e venuto in possesso di un abitante dell’isola, Dawsey Adams. Dal momento in cui Dawsey scrive a Juliet comunicandole la sua passione per  Charles Lamb, le vite di molti cambieranno per sempre.

Quale miglior specchio del nostro prezioso blog di un libro che parla di libri e di vite che cambiano attraverso i libri? Juliet si chiede dopo la lettera di Dawsey:

Mi chiedo come il libro sia arrivato a Guernsey.. Forse c’è una segreta forma di istinto domestico nei libri, che li porta ai loro lettori perfetti.

A causa di un maiale nascosto e cucinato di nascosto dai nazisti che occupano l’isola, alcuni abitanti fondano la Società letteraria di Guernsey e della torta di bucce di patate (questa la traduzione letterale…). I soci si trovano una volta in settimana e a turno presentano il libro che hanno letto. Grazie a questo gruppo, persone che non hanno mai visto un libro in vita loro iniziano a leggere Seneca e Shakespeare e a recitarne le massime e i versi.

Le lettere fra i personaggi – Juliet al suo editore e a Dawsey, Juliet al suo misterioso corteggiatore e piano piano tutti i membri della Società Letteraria a Juliet – scorrono veloci. Il romanzo e il suo intreccio emergono attraverso lettere e brevi note piene di humour come quelle fra Juliet e Mark che vuole sposarla:

M: Cara Juliet, non voglio vedere la recita altri che con te. Infatti non me ne frega niente della recita. Sto solo tentando di tirarti fuori da quell’appartamento. Cena? Tè? Cocktails? Barca? Ballo? Scegli e io obbedirò. Sono raramente così docile – non gettare via l’opportunità di migliorare il mio carattere. Tuo, Mark.

J: Caro Mark, vuoi venire con me al British Museum? Ho un appuntamento alla sala di lettura alle 14. Possiamo poi vedere le mummie. Juliet.

M: Al diavolo la sala lettura e le mummie. Vieni a pranzo con me. Mark.

J: consideri questo essere docile?

M: Al diavolo l’essere docile.

Nel 1946, Juliet riceverà lettere da tutti i membri della Società letteraria, preparerà il suo articolo per il Times sull’utilità ed il beneficio della lettura in ogni circostanza e scoprirà la storia affascinante di una comunità a cui tutti noi vorremmo appartenere. Una comunità nutrita dai libri ma pronta all’amore e alla generosità in tempi difficili. Le storie drammatiche degli abitanti di Guernsey all’indomani dell’invasione tedesca emergeranno dalle lettere a Juliet e porteranno la nostra protagonista a voler conoscere di persona questa “isola utopica” di gesti umani e di bellezza.

Ho letto questo piccolo volumetto tutto d’un fiato in aereo tornando a casa. Alla fine ero così triste che ho ricominciato a leggerlo immediatamente e ho riso e sorriso nuovamente dinanzi alla sua grazia, leggerezza e profondità di scrittura. Mary Ann Shaffer, l’autrice, che ha lavorato anni e anni a questo progetto, è putroppo mancata nel 2008 e prima di morire ha chiesto alla nipote Annie Barrows di portare a termine i cambiamenti richiesti dall’editore. Ringrazio Linda MacKenzie che lo aveva consigliato a me e mamma circa un anno fa.

E’ una lettura charmant e commovente al tempo stesso. E’ un libretto che tutti vorremmo avere in casa per i tempi difficili. E’ un libretto che ci ricorda il valore dell’amicizia e della lettura.

SN

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THE HISTORY OF LOVE, di Nicole Krauss

pubblicato da: admin - 28 Agosto, 2010 @ 6:15 pm
 Ho ricevuto oggi una lunga e bellissima mail da Valentina.
Mi parla di libri, di una nuova libreria, della sua intenzione di portarvi la sua bambina che nascerà fra poco …”Ma è un post magnifico per il blog!” mi dico!
 E non solo si intreccia saldamente al consiglio di lettura della mia amica americana Linda, ma è piena di altri bellissimi spunti. Soprattutto è un pezzetto dolce, forte, colorato e luminoso della  vita di una bella mamma in attesa..
Grazie Valentina!
 
 
Ho letto che la tua amica  accenna a Nicole Krauss, “The history of love.”
Io l’ho letto in italiano. Per certi versi ricorda un po’ Jonathan Safran Foer (che poi è suo marito, se non dico bestialità) e i suoi ‘Molto forte, incredibilmente vicino’ e ‘Ogni cosa è illuminata’ (non so se li hai letti: imperdibili, togli-fiato entrambi – poi di ‘Ogni cosa è illuminata’ c’è anche il film, bellissimo), ma è comunque un libro che arricchisce. Se ti fa piacere, te lo presto molto molto volentieri.
‘La storia dell’amore’ è davvero la storia dell’amore, di tanti amori: dell’amore-amicizia, dell’amore mamma-figli, dell’amore tra bambini e tra grandi, dell’amore che sembra sparire ma sempre resta. Mi fa piacere scrivere  le frasi che mi hanno colpita di più di quel libro e che ho ricopiato, per intenderci ecco dove ho fatto l’orecchia alle pagine, o ecco dove ho sottolineato a matita, ecco insomma dove sono “inciampata nella poesia”:
 
«c’era un volta un ragazzo che amava una ragazza, e la sua risata era una domanda a cui lui avrebbe voluto rispondere per il resto della sua vita»
 
«ma lei non tornò. E nonostante tu fossi ormai grande, ti sentisti perso come un bambino. E nonostante il tuo orgoglio fosse a pezzi, ti sentisti immenso come il tuo amore per lei. Se n’era andata e tutto ciò che restava era lo spazio nel quale tu eri cresciuto attorno a lei, come la chioma di un albero che cresce intorno a un recinto»
 
«il suo bacio era una domanda a cui lui avrebbe voluto rispondere per il resto della sua vita»
 
«se talvolta, a un raduno o a una festa o quando sei tra persone che senti lontane, le mani ti restano penzoloni e sei a disagio, e non sai dove metterle mentre stai lì, sopraffatto dalla tristezza che accompagna la sensazione di estraneità al proprio corpo, questo accade perché le mani ricordano un tempo in cui la separazione fra mente e corpo, fra cervello e cuore, fra ciò che sta dentro e ciò che sta fuori era minima. non abbiamo mai del tutto dimenticato il linguaggio dei gesti. L’abitudine di gesticolare mentre parliamo viene da lì. Applaudire, indicare, alzare il pollice sono vestigia degli antichi gesti. Stringersi la mano, per esempio, è un modo di ricordare come ci si sente a stare insieme senza dirsi niente. E di notte, quando è troppo buio per vedere, diventa necessario muoversi a gesti sul corpo dell’altro per farsi capire»
 
«E tu invece? sei più felice e più triste di quanto tu sia mai stato?»
«Certo»
«Perché?»
«Perché niente mi rende più felice e niente mi rende più triste di te»
 
«…quando l’occhio vede qualcosa di bello, la mano vuole ritrarlo. io vorrei saper ritrarre te».
 
 
Qui a Lavis da pochi anni ha aperto una piccola libreria gestita da una giovane ragazza, Elena. Si chiama ‘La pulce d’acqua’ e io dopo anni ho… tradito ‘Il Papiro’ di via Grazioli per rivolgermi quasi solo alla Pulce d’acqua, perché credo con tutta me stessa nell’importanza di una libreria in paese, e ammiro molto l’iniziativa di Elena.
Ieri appunto alla Pulce d’acqua ho comprato ‘L’uomo che smise di fumare’, di P.G.Wodehouse, un autore che mi fece conoscere il grandissimo nonno Furio. Magari potrei scriverne un post.
Poi, ispirata da te, ho comprato ‘L’amore ai tempi del colera’ e ‘Tenera è la notte’. E sull’onda della stessa ispirazione ho ordinato anche Barbara Pym, ‘Jane e Prudence’; e Isabella Bossi Fedrigotti, ‘Il catalogo delle amiche’; finora di loro ho letto rispettivamente ‘Qualcuno da amare’ e ‘Di buona famiglia’, e vorrei approfondire la conoscenza.
Sono scema, ma per stare tranquilla devo sempre avere una ‘scorta’ di libri pronti da leggere!!!
 
Speriamo che la nostra Fagioletta in arrivo apprezzi i libri. Ho una amica che talvolta mi terrorizza sul futuro, e mi dice: “vedrai, con la bambina non potrai più andare in vacanza, non potrai più uscire a cena, ecc ecc ecc”… ma, essendo io inconsapevole di che cosa significhi davvero avere un figlio, queste affermazioni non mi spaventano molto… già mi inquieta di più quando mi dice “non leggerai più”! Perciò avrei intenzione per il futuro di portare a passeggio Fagioletta e mettere il naso con lei in libreria, così che annusi il profumo dei libri e si perda a guardare negli scaffali…
 
Valentina Lucatti

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I FIGLI DI COLOMBO, storia degli italiani d'America

pubblicato da: admin - 27 Agosto, 2010 @ 7:41 pm

 Che coincidenza, proprio oggi che Riccardo presenta il libro sugli Italiani d’America,  mi ha scritto la signora Linda Mac Kenzie che vive a Binghamton, Stato di New York – e che  vanta geni italiani .

” Nice to hear from you, dear Linda! I think that today’s book presented by our friend Riccardo, may interest you. I will look for the book you suggested as soon as I will arrive at home, in Trento. WELCOME TO OUR BLOG! (Il libro consigliato è di Nicole Kraus, “The history of love”)

 Lascio la parola a Riccardo, che insieme a Luigi che fra poco riapparirà, dà un tocco maschile a queste nostre riflessioni di lettura.

 Erik Amfitheatrof

I Figli di Colombo

Storia degli Italiani d’America

Mursia, 1975, 317 pagine, “dense di storia

 

Prima edizione, 1975. Mi è stato regalato il 20 maggio 1980 dal Dr. Magli, Direttore della Banca d’America e ‘Italia. L’ho letto nel 2010.

A me piace girovagare fra i banchi delle librerie per scoprire “ a naso” i libri da acquistare. Questa volta ho “girovagato” fra i libri di casa, e la “pesca” è stata fruttuosa!

I libri storici scritti da autori italiani sono per la maggior parte difficilmente digeribili. Quelli di autori stranieri no. Questo è un libro storico scritto da uno straniero.

Garibaldi, si vabbè, tutti lo conosciamo, è stato in America. Anche Colombo c’era stato … ma quante cose in più si apprendono anche su questi due “personaggi classici” dal libro che vi suggerisco!

E poi vi si documenta di tanti altri nostri emigranti, i quali, partiti anche dal nulla, hanno saputo non solo creare addirittura multinazionali e banche ma hanno saputo allacciare na rete di relazioni ai massimi livelli (si parla dei Presidenti americani), hanno combattuto nelle file dell’Unione (nord) contro i Confederati (del sud), sono diventati rappresentati diplomatici, sindacali, sindaci, ministri, giudici, archeologi di fama mondiale, etc..

Un esempio. La Bank of America fu fondata e gestita per mezzo secolo dal ligure Amedeo Pietro Giannini, il quale emigrato in Florida a 12 anni, iniziò quale garzone di un grossista di frutta e verdura, ne divenne impiegato, suo collaboratore, suo socio, sposò la figlia di un ricco immobiliarista (Giuseppe Cuneo) alla cui morte fu nominato dai coeredi amministratore dell’intero patrimonio familiare. Quindi fondò una piccola banca, che divenne banca, che divenne una grande banca, la Bank of Italy, che divenne la Bank of America, cioè la più grande manca del mondo. In Italia fondò la Banca D’America e D’Italia, divenuta la seconda banca privata del paese. Tutto qui.

Alcuni episodi che ci mostrano la tempra dell’uomo. Terremoto ed incendio di S. Francisco. Tutte le altre banche andarono a fuoco, denaro e documenti compresi. La sua no. Infatti, Giannini caricò tutto su carri e trasportò denaro e documenti al sicuro, precostituendo le basi finanziarie per la ricostruzione della città. In altra occasione, quando a causa della crisi economica il panico aveva indotto molti correntisti di una lontana filiale della Bank of Italy a chiedere il rimborso dei propri depositi, Giannini caricò un milione di dollari in contanti su di un aereo e volò in quella regione, mettendo in mostra le riserve auree della banca (dietro adeguate sbarre) ed offrendo il rimborso immediato e per contanti, cosa che a questo punto i depositanti rifiutarono, generandosi per contro un incremento dei depositi e del numero dei clienti.

La sua idea era di erogare credito diffuso ad artigiani e agricoltori, e di espandersi in tutto il Pese. In mancanza d’altro, per concedere un credito, si faceva mostrare le mani del cliente: se erano callose, il credito era concesso.

Anche quando diventò famoso, rispondeva direttamente al telefono: “potrebbe per favore mettermi in contatto con il Presidente Giannini?”  … “Sono io”.

Per non parlare della disavventura di Meucci, “derubato” da Bell!

Ma ciò che colpisce maggiormente è l’intrecciarsi della storia italiana con quella americana, la storia italiana vista dai nascenti Stati Uniti d’America, l’analisi delle cause del deterioramento geologico, sociale, economico e morale del nostro meridione, gli effetti (non sempre positivi) nel mezzogiorno dell’unificazione d’Italia, le cause della nostra emigrazione, la condizione dei nostri emigrati. In breve: le vite parallele (di due paesi), questa volta non di Plutarco.

Poi, “Cosa Nostra” … al riguardo vi sottolineo solo un particolare: i gangster locali vivevano in ville e residenze comunque riservate. I “nostri” in grossi condominii, vicino alla “loro” gente …

Little Italy, il “nostro quartiere” … dove addirittura fiorì una sorta di letteratura la quale produsse fra l’altro la parodia di Dante Alighieri emigrante in America, che sbarca ad Ellis Island!

Fiorello la Guardia, altro “pezzo grosso” della nostra collezione …

Infine, il burrascoso decennio degli anni trenta.

Come avrete notato, su questi ultimi capitoli non mi sono dilungato molto: scopriteli da soli!

 

Questo testo dovrebbe esser adottato nelle nostre scuole.

 

Riccardo Lucatti

335 5487516

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L'OMBRA DEL VENTO, e la "droga" della lettura

pubblicato da: admin - 26 Agosto, 2010 @ 5:49 pm
 Oggi approfitto di Donatella che mi lascia il tempo di parlare con Stefania, appena tornata dagli States. Queste sue righe intense sono appropriatissime al nostro blog di lettura.
 
(Domani invece la parola a Riccardo.)
 
Scrive Donatella:
 
 In questo periodo ho abbandonato tutti i miei passatempi, per dedicarmi solo ad uno. Il fuoco sacro della lettura mi sta divorando: leggo sempre, mattina, pomeriggio, sera, prima di addormentarmi. 
 Ho iniziato leggendo il primo libro stampato in Italia di Carlos Ruiz Zafon: sono rimasta senza fiato dalla prima all’ultima pagina. Da qui la decisione di leggerli tutti: “L’Ombra del vento”,” Il gioco dell’Angelo”, “Marina” ,”Il palazzo della mezzanotte”.
Tutti terribili, tutti belli, non danno tregua, ti viene voglia di correre qualche pagina avanti per vedere cosa succede, ma anche se si facesse sarebbe inutile perchè vorresti andare sempre più avanti, sempre più avanti. Le storie hanno un ritmo serrato, inatteso, colpi di scena si susseguono uno dopo l’altro. E così me i sono letti tutti, tutti in un fiato, come una droga.
Poi ho iniziato leggere un libro da me presentato verso la fine dello scorso anno, con il gruppo di lettura ad alta voce. E’ la storia di una donna (che poi ho scoperto essere una mia collega di quando lavoravo a Milano) che è partita per il Nepal e si è fatta tutto il Mustang a piedi, montagna dopo montagna, in un susseguirsi infinito. E’ riuscita a trasmettere la fatica, ma anche la gioia di trovarsi in un posto che gli dei hanno scelto come loro dimora. I paesaggi sono magici, il silenzio è un silenzio che buca, solo il vento è loro compagno di viaggio. Dopo un po’ si è persino dimenticata di essere una occidentale, di avere una famiglia. Si è sentita parte di quel mistero che è l’ASSOLUTO. Si è sentita vicina alla religione pre-buddista o la religione di Bon, con i loro riti magici. Gli sciamani o i Lama che ha incontrato sono personaggi misteriosi che gli abitanti di quei posti quasi irraggiungibili pensano essere intermediari tra uomini e dei. E quando la natura è spietata è perchè qualche dio è arrabbiato e vengono chiamati per fare riti propiziatori. Insomma, non  sto a spegare tutto il libro, ma credetemi è fantastico!
Mi è capitato anche una cosa strana: man mano che proseguivo nella lettura avevo sempre più netta la sensazione del deja vu. 

Mi dicevo che io in quei posti ci ero già stata e la senzazione era sempre più forte, sempre più forte, fino ad arrivare a spremermi le meningi per cercare di capire da dove venisse questa sensazione. E poi mi si è aperta la mente e ho ricordato una cosa che avevevo completamente dimenticato. Nel 2002 (sono andata a controllare) avevo partecipato ad una serata in cui si parlava di una spedizione in Nepal con tanto di proiezione di diapositive. Ecco perchè questi posti mi sono così familiari!

Donatella

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CINQUE QUARTI D'ARANCIA, e altri sapori

pubblicato da: admin - 25 Agosto, 2010 @ 3:59 pm

La sottoscritta blogger è veramente contenta oggi dei commenti bellissimi e interessanti che si intrecciano sorridenti,  poetici e maliziosi al mio post 217°!

Grazie a Camilla, Cristina, Enza, Raffaella, Valentina , alla mia gemella Maria Teresa che sta ricamando lenzuolini per la nipotina in arrivo e a Riccardo naturalmente che mi ha già inviato un post che “imbucherò” domani, quando arriverà Stefania. E grazie a tutti coloro che leggono…

A differenza del solito rapporto libro-riflessioni, questa volta viaggio al contrario. I miei pensieri mi hanno portato a ricordare questo romanzo di Joanne Harris, l’autrice di “Chocolat.”  Non tanto per la storia drammatica che ci riporta all’occupazione nazista in Francia o per una tragedia infantile tornata alla luce dopo molti anni, ma soprattutto per i sapori e i colori delle estati di un paesino sulle rive  della Loira.

Leggendo di Cristina che si accinge oggi a fare le sue marmellate (delle quali noi Penelopi gratificheremo!) sentendo i profumi delle marmellate e delle conserve dei vicini che mi stanno praticamente nutrendo con pomodori, fagiolini, zucchini del loro orto e,ieri, con  una grande ciotola di pèsche rosa ancora calde del sapore del sole, ho pensato alla campagna francese e a questo romanzo.

Johanne Harris ama parlare di cibo, non solo nel famoso”Chocolat”, ma anche  in “Vino, patate e mele rosse” e dell’importanza che esso ha nei rapporti tra persone e tra esseri  viventi e natura. Mi piace leggere o scrivere di fiori, frutta, pane fresco, vino…i sapori della nostra linfa vitale.

 “Odorava di caramelle e violette, e portava il rossetto scuro…raccoglieva le fragole con la fretta garbata di un coniglio”, questa è la descrizione di Cassis, personaggio importante di “Cinque quarti d’arancia“.

Tantissimni anni fa, da ragazzina già cinefila, vidi un film in bianco e nero che si svolgeva proprio nella campagna francese. Ricordo soltanto la fine: la protagonista delusa sentimentalmente si ritrova in mezzo ad alberi di pèsche mature tra ombra e sole luminosi. Mi sembrò una valida consolazione.

Era un’immagine di piena estate, quella che si può vivere soltanto nel silenzio della natura che assorbe il sole e tutti i profumi della terra. Anche oggi è una giornata così, piena di azzurro limpido, caldo asciutto e verde argentato. Sono fiorite le dalie rosso cupo, stanno maturando le arance selvatiche,  la salvia e la lavanda ondeggiano con gli ultimi voli delle farfalle.

Mimilla sta guardando tutto questo…forse capisce che sono gli ultimi giorni da trascorrere nel giardinetto volante?

Ora uscirò anch’io sulla terrazza e mi tufferò nella sospensione che prelude ai cambiamenti.

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DOPPIO SOGNO, di Arthur Schnitzler

pubblicato da: admin - 24 Agosto, 2010 @ 3:34 pm

Il mistero, la maschera, le allusività. In questo racconto una giovane  coppia chiusa in un'”ovattata felicità domestica” cerca in una sera particolare di festa, un pericoloso respiro di avventura e libertà entrando, senza saperlo, in uno spericolato intreccio speculare.

Per il marito, l’affascinante medico, sarà un avvenimento  surreale quanto violento che si dilata in una Vienna di porte segrete, inquietanti personaggi, giudici feroci e un cadavere di una sconosciuta a farlo infine cadere stremato e in lacrime accanto al letto. “…il corpo che giaceva alle sue spalle ” si rende conto “non poteva rappresentare ormai, che il cadavere pallido della notte passata, destinato irrevocabilmente alla decomposizione.”

Anche per Albertine, la bella moglie, la notte riserva incontri ed emozioni tanto inverosimili da sembrare onirici, ma di una fascinazione  voluttuosamente cercata.

Si può usare l’ossimoro oscura lucidità per questo incantato e psicoanalitico scritto di Schnitzler. Già abbozzato nel 1907, ma pubblicato nel 1931 “Doppio sogno” attrae il lettore per la tematica onirico-reale-surreale.

Ho già scritto precedentemente che Freud vedeva nello scrittore austriaco “il suo sosia” per la finezza e profondità di analisi dell’animo umano e dei suoi più inconfessabili desideri e sensazioni.

Occorre leggere questo libretto con lentezza perchè la struttura compositiva scandisce le alterne e tormentate fasi di una coppia in crisi, una coppia, due individui che con sgomento scoprono l’instabilità enigmatica della realtà accettata e vissuta con un sentimento di  pseudofelicità. I turbamenti di Fridolin e Albertine vanno di pari passo, tanto da giustificare il titolo apposto da Schnitzler “Doppelnovelle”.

L’ondeggiare angoscioso della comprensione-incomprensione dei due personaggi ci fanno partecipare con tensione al loro trauma interiore. Il loro progressivo allontanarsi affettivo e il successivo ricongiungersi dopo la crisi ci sottolinea quella condizione psicologica così cara a Schnitzler “quella specie di territorio intermedio fluttuante fra conscio e inconscio”.

Come i sogni del mattino che stanno in equilibrio tra l’abbandono notturno e il rapido avvicinarsi della realtà.

E’ così sorprendente la nostra vita psichica che non si finisce mai di scoprire ciò che siamo. E gli altri, poi, prima di capirli o di essere capiti, che dico, conosciuti…troppe maschere …

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I BUCANIERI, di Edith Wharton

pubblicato da: admin - 23 Agosto, 2010 @ 6:18 pm

Ero certissima che Camilla avrebbe commentato la visione pessimistica della vecchiata da parte di Svevo (uomo!). E sono d’accordo con lei nel credere che noi donne viviamo molto meglio questo momento delicato, ricco, …”di vendemmia”?

E le altre visitatrici del blog che ne pensano? O sono tutte in vacanza?

Ma proprio nel libro che presento oggi, una lettura per me confortante, bella, dilettevole, la signora St.George, signora di mezza età ha un approccio meno drammatico  sia verso la vita che verso la vecchiaia incalzante. 

Non è certo un esempio di grandi vecchie come la Yourcenar, la Pivano, coccolata in un giorno di pioggia da Camilla.( MA PERCHE’, CARA CAMILLA, NON MI SCRIVI QUALCHE POST PERMETTONDOMI DI AVERE QUALCHE POMERIGGIO LIBERO? con questo pc sono veramente sull’orlo di una crisi di nervi. Ciò che normalmente posso scrivere in un’oretta, qui mi prende due o tre ore!!!)

Infatti i  pensieri della signora St. George ( Ricordate che ho anche il tasto della G mobile) sono presi soprattutto dalla  sue due figlie in età da marito e “trascorreva molte ore della sua giornata a catalogare e valutare mentalmente gli attributi delle signorine che affiancavano le sue figlie”.  Ne teme la rivalità. All’apparenza la signora St. George sembra superficiale ; spesso si sofferma sulla moda femminile “Che cosa, per esempio, poteva essere più grazioso ed appropriato per una signora di una gonna di alpaca nera, drappeggiata ad arte sopra una sottogonna di serge scarlatto…ecc.ecc.?”, ma non per questo non analizza con acume la sua vita. Sa che il marito la tradisce e la delude, ma lei riesce a reagire occupandosi dell’avvenire di Virina e Nan.

Siamo negli Stati Uniti di fine Ottocento, tra i nuovi ricchi che come “bucanieri” prenderanno d’assalto i tesori d’arte e la cultura dell’Europa, nella fattispecie dell’Inghilterra. E’ un vero arrembaggio, come quello lanciato della cinque giovani protagoniste principali, tra cui le figlie della signora St.George.

Anche in questo suo ultimo capolavoro Edith Wharton è impietosamente ironica verso le convenzioni, l’ipocrita perbenismo (Ricordate “L’età dell’innocenza?”). il cinico opportunismo. Ma questa volta abbiamo un happy end sentimentale.

E’ un ritratto d’epoca straordinario offertoci con una grande capacità narrativa.

Lo sto rileggendo con sommo piacere. Lo acquistai nel 1999 e lo lessi in  mansarda nel giugno dello stesso anno. E fra le pagine ho trovato una ricetta. Anche voi infilate nei vostri libri cartoline, biglietti, ritagli di giornale come se il libro fosse uno scrigno di ampio respiro e fermasse nel momento magico della lettura altre suggestioni collaterali.

Una ricetta di un’insalata fatta con i pertali di rose rosa. Oltre l’indivia belga, i gamberetti, fragole mature, limone, olio, sale, pepe rosa anche 50 petali di rose rosa. Non ricordo se la facemmo. Ricordo invece l’insalatina condita con i fiori azzurri di borragina. Mio marito ne fu così orgoglioso!

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NOVELLE, di Italo Svevo

pubblicato da: admin - 22 Agosto, 2010 @ 5:42 pm

Mi sento un po’ segregata in questo paese; soprattutto mi mancano le vetrine delle librerie:vedere i nuovi titoli, le copertine lucide,  sentire quell’imperativo desiderio di possesso e curiosità per qualcosa che potrebbe essere a me congeniale.

Mi accontento perciò di frugare nei libri accumulati in questa casa, estate dopo estate, non solo da me e dai miei familiari, ma anche dalle persone ospitate. Ed ecco che ho trovato “Le novelle” di Italo Svevo nelle edizioni dell’Orsa Maggiore che devo dire sono tipograficamente  poco accurate. Tantissime errori, da non imputare a Svevo perchè ne ho trovato parecchi anche in altri autori. Non ricordo chi ha lasciato questo libro, ma c’è la data di quando è stato letto. Aprile 1990.

 Di Italo Svevo ho già presentato “La coscienza di Zeno”, romanzo da me molto amato per la sua introspezione  psicologica. Naturalmente posseggo anche “Senilità“, “Una vita”.

Non  ricordavo queste “Novelle”, sapevo soltanto del lungo racconto “L’assassinio di via Belpoggio”, pubblicato nel 1890 su un giornale triestino. E’ la storia di un facchino che uccide a coltellate un compagno di sbornie. Rientriamo nei canoni del Naturalismo di Zola, ma Svevo , da subito, scava in modo implacabile nei sentimenti più oscuri e contradditori dell’animo umano.

E naturalmente “Il vecchione”, celeberrime prime pagine del romanzo che Svevo si era accinto a scrivere nell’estate del 1928.

Ciò che colpisce nelle sue storie è l’attenzione  proprio alla vecchiaia. In queste Novelle quasi tutti i protagonisti sono uomini anziani,( appena sessantenni!!!) protetti da mogli affettuose ma percepite come soffocanti.

Già nella prima “Vino generoso”ci sono tutti i sentimenti di rancore, astio, verso moglie e figli che impediscono al protagonista narrante di bere in libertà ad una festa. E il rimpianto per le donne giovani!

Ma la novella più interessante e amaramente divertente è “Corto viaggio sentimentale”. Qui il signor Aghios si trova alla stazione di Milano in procinto di partire per Trieste dove deve concludere un affare. Deve consegnare denaro contante a pagamento di un vecchio debito.

La moglie preoccupata lo ha accompagnato alla stazione, ma qui egli non vede l’ora di salire sul treno per ricercare e ritrovare quella solitaria libertà ormai perduta da tempo.

“Doveva fingere una tristezza che non sentiva, quando era pieno di gioia e di speranza e non vedeva l’ora di essere lasciato tranquillo a goderne…tanto più che sapeva di fare un piacere anche a lei.”

Il signor Aghios osserva di sottecchi sua moglie considerando che si sentiva vecchio accanto a una donna   che sembrava vecchia (anche se più giovane di lui). Il malessere che spesso sentiva, era certo, gli proveniva dalla famiglia dove la monotonia lo faceva “irrugginire”. “Persino la sicurezza di cui si gode in famiglia addormenta, irrigidisce e avvia alla paralisi”. Medita corrucciato che “La famiglia era come un velo dietro al quale ci si riparava per vivere sicuri e dimentichi di tutto.”

Ha bisogno di vita e perciò viaggiava solo. Svevo racconta minuziosamente tutto ciò che accade nel viaggio, dal treno che arriva sbuffando, dal saluto della moglie, che da lontano, mentre il treno partiva,  sembra ancora giovane, ai vari comnpagni di viaggio, ma soprattutto  si sofferma su ogni pensiero recondito che passa per la mente del nostro protagonista.

Più mi allontano da lei e più la amo” constata Aghios e il rancore sembra dissolversi. Osserva tutto intorno  a lui, il paesaggio, la bella ragazza dalle scarpine lucide e il grande cappello e gode della bellezza dell’inizio viaggio “Per un istante si respirava liberi“.

Fa conoscenza con gli altri viaggiatori che cominciano a parlare di sè. “…bastava la compagnia prolungata di un solo uomo per togliergli la grande libertà del viaggio.”

Insomma il viaggio non si rivela quell’esperimento di libertà che desiderava. Alla fine poi,  anche perchè derubato di metà del suo denaro, rimpiange la compagnia della saggia moglie.

In questi racconti le mille riflessioni di Svevo e l’accurata analisi di se stesso, con la sua tendenza all’ozio, il pensiero della morte, con la malinconica rassegnazione alla vecchiaia. Proprio  ne”Il vecchione” le ultime parole sono”…ricordati di non lagnarti troppo della vecchiaia in queste annotazioni…Ma sarà difficile non parlarne…Essere vecchio il giorno intero, senza un momento di sosta! E invecchiare ad ogni istante! M’abituo con fatica ad essere come sono oggi, e domani ho da sottopormi alla stessa fatica per rimettermi nel sedile che s’è fatto più incomodo ancora. Chi può togliermi il diritto di parlare, gridare, protestare? Tanto più che la protesta è la via più breve alla rassegnazione.”

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L'AMORE NECESSARIO, di Nadia Fusini

pubblicato da: admin - 21 Agosto, 2010 @ 5:11 pm

E’ Maria Teresa che oggi, con mia grande gioia, ci parla di:

Nadia Fusini: “L’AMORE NECESSARIO” – ed. Mondadori

 

In questi giorni di precoce fine estate, perché le piogge non hanno risparmiato nemmeno il Ferragosto, le mie comunicazioni con la carissima Mirna erano intrise di allusioni a maltempo, umidità, nebbioline… e allora mi è venuto in mente di parlare di questo bel libro che proprio Mirna mi ha regalato l’anno scorso per il mio compleanno e che evoca così l’inizio di un amore:

“Un pomeriggio umido… ancora estate, anche se verso la fine.

Camminavamo nella campagna come in una molle onda scura… l’umidore ci avvolgeva di grigio, ci bagnava i capelli e la faccia…

Scivolavamo nello spazio, bucavamo una massa ovattata di grigio…“

“L’amore necessario” di Nadia Fusini è una lunga lettera sull’amore, che una donna scrive all’uomo amato. È un libro che non si può raccontare, non perché non vi si trovino accadimenti, ma perché i fatti che sono riportati non hanno mai una funzione narrativa, come del resto non ci sono descrizioni oggettive, ma sempre evocazioni in un’atmosfera spesso onirica, anche quando l’autrice non parla di sogni, che pure qua e là riferisce.

È dunque un discorso introspettivo, adatto a momenti di meditazione, è uno studio approfondito sull’argomento amore, sviscerato e scrutato in tutte le sue pieghe, i suoi particolari e le sue manifestazioni, ovviamente dal punto di vista di chi scrive.

È un libro di pensieri in cui ci si addentra sempre più, catturati -noi lettori- non certo da una suspence di contenuti narrativi, ma dalle atmosfere e dalla raffinata capacità di selezione e combinazione delle parole.

Amore necessario: è l‘amore come elemento imprescindibile dal vivere, ma non semplicemente perché tutti hanno bisogno di amare e di essere amati. Qui credo che il concetto di necessità sia quello che gli antichi Greci attribuivano all’anànche, il fato per i Latini, ossia quella forza ineluttabile a cui nessuno poteva sottrarsi, nemmeno Zeus che era il padre degli dei e degli uomini! 

Dunque nessuno può sottrarsi all’amore, dice la donna che scrive la lettera. L’amore è tutto e talora è personificato, se non addirittura deificato e allora è citato con la A maiuscola: Amore. L’amore è un’entità che supera tutto, persino le differenze tra i sessi, ed allora ecco anche quello tra due uomini o tra due donne.

L’amore si presenta in tante forme diverse: unione perfetta, violenza, tradimento, dolore, tenerezza e molto, molto altro. Ma se tanti possono essere i volti dell’amore, dice la protagonista narratrice, c’è un aspetto comune a tutti ed è la follia: in amore siamo tutti ciechi, folli e… un amore senza follia che amore è?

È un libro breve, breve come una lunga lettera. Ma nella sua brevità è una ricchissima fonte di spunti di riflessione, offerti con un linguaggio sempre prezioso, spesso poetico.

Condivido pienamente alcuni pensieri che la protagonista narratrice esprime, come quello con cui si apre il libro:

“Un luogo estraneo può portarci dentro di noi”

Sì, a volte quando ci distacchiamo dal nostro quotidiano vediamo dentro il nostro io con maggiore chiarezza, con una lente diversa, rispetto a quel che ci succede rimanendo in spazi a noi consueti.

Ma di questo libro trovo bellissime molte espressioni assai suggestive e mi fa piacere citarne alcune:

“Partisti e da allora hai continuato a partire, ma sempre per tornare. Questo è il nostro sempre.”

“Cerco nella borsa il telefono… Ascolto il suono lungo, vuoto, desolato, di quando non ci sei.”

“Mi possiedi con la tua assenza.”

 

Sono davvero tante le considerazioni che si possono fare intorno a questo libro che, torno a dire, è fatto per i momenti di meditazione. Ma ora voglio chiudere riportando un breve brano che mi ha fatto subito pensare alla mia amica Mirna! La protagonista narratrice ha appena comprato un libro:

“… lo infilo veloce in borsa; e d’improvviso non mi sento più sola… Languidamente mi infilo nelle lenzuola come nelle pagine e prendo il largo nell’avventura..”

 

Ciao Mirna carissima, anche tu ti riconosci in queste frasi?

Grazie per avermi regalato “L’amore necessario”!

Maria Teresa Lucatti

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