LASCIAMI ENTRARE, ed un po' di horror svedese

pubblicato da: admin - 13 Agosto, 2010 @ 5:14 pm

 John Ajvide Lindqvist

“Lasciami entrare”

 

Enza scrive:

Si è parlato dell’orrore suscitato da Frankestein, il mostro creato dalla penna di Mary Shelley e allora perché non parlare di vampiri, cioè di esseri che per vivere devono nutrirsi di sangue vivo?

Il vampiro è un essere folkloristico e mitologico che sopravvive nutrendosi dell’essenza vitale (generalmente sotto forma di sangue) di altre creature, nonché una delle figure dominanti del genere horror. Ci sono credenze lo fanno risalire alla preistoria, ma il termine vampiro divenne popolare solo agli inizi del XVIII secolo, in seguito all’influenza delle superstizioni presenti nell’Europa dell’est e nei Balcani, dove le leggende sui vampiri erano molto frequenti. Allo stesso tempo, nacquero altri termini in Grecia e in Romania.

Fu il successo del romanzo “Il vampiro” di John Polidori (1819) ad instaurare la carismatica e sofisticata figura del vampiro nelle arti che influenzò le opere vampiresche del XIX secolo e ispirò personaggi come Varney il Vampiro e il Conte Dracula.

Il romanzo “Dracula” scritto nel 1897 da Bram Stoker fu considerato la quintessenza del romanzo vampiresco fornì le basi per le opere moderne. “Dracula” trattò una mitologia costituita da lupi mannari e altri demoni dando voce “allo stato d’ansia di un’epoca e alla paura della società patriarcale vittoriana” e le cui vicende sono ambientate nella cupa Transilvania.

Il libro di John Ajvidie Lindqvist invece svolge la sua storia in Svezia ai giorni nostri e racconta una tenera e crudele storia d’amore, vendetta e vampiri non tralasciando il dolore dell’infanzia maltrattata e la forza dell’amicizia. Una Svezia cupa oltre che buia e fredda, proprio dove ci si immagina che possa vivere un vampiro.

L’ho letto quasi d’un fiato, infatti esso tiene la suspence, alternando momenti di orrore ad altri di commozione e tenerezza. Qui il vampiro è piccolo e apparentemente indifeso e chiede il permesso di entrare: «Uccido perchè devo. Non esiste un altro modo. Uccido perchè voglio vivere. Proprio come te». 

A Blackeberg, quartiere degradato alla periferia ovest di Stoccolma, il ritrovamento del cadavere completamente dissanguato di un ragazzo segna l’inizio di una lunga scia di morte. Sembrerebbe trattarsi di omicidi rituali, ma anche c’è anche chi pensa all’opera di un serial killer. Mentre nel quartiere si diffonde la paura, il dodicenne Oskar, affascinato dalle imprese dell’assassino, gioisce segretamente sperando che sia finalmente giunta l’ora della rivalsa nei confronti dei bulletti che ogni giorno lo tormentano a scuola. Ma non è l’unica novità nella sua vita, perchè Oskar ha finalmente un’amica, una coetanea che si è appena trasferita nel quartiere. Presto i due ragazzini diventano più che semplici amici. Ma c’è qualcosa di strano in Eli, dal viso smunto, i capelli scuri e i grandi occhi. Emana uno strano odore, non ha mai freddo, se salta sembra volare e, soprattutto, esce di casa soltanto la notte…

 

Hanno scritto fra l’altro di “Lasciami entrare”:

«Il merito di Lindqvist non è soltanto quello di aver portato agli onori delle classifiche l’horror svedese. Soprattutto, Lindqvist ha restituito dignità, valore simbolico e potenza mitica alla figura stessa del vampiro» Loredana Lipperini, la Repubblica

Recentemente in tv, in seconda serata, hanno dato un film, tratto dal romanzo e, un po’ per l’ora tarda e un po’ per la cruenza disperata di alcune scene, non sono riuscita a guardarlo per intero. Credo tuttavia che non squalificasse il libro, che trovo comunque migliore perché i personaggi – tutti – hanno ognuno un loro spessore che li rende speciali.

Ma allora esistono i vampiri? Vi siete mai trovati in situazioni in cui la vostra essenza vitale ha corso il rischio di essere minacciata?

 

Enza Bracia

Sono molto contenta del post della cara amica, non solo perchè il libro presentato benissimo  risulta intrigante e avvincente, ma anche perchè ciò  mi lascia il tempo per  accogliere degnamente …proprio Enza  che sta arrivando qui…a Borzonasca!

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MIA CUGINA RACHELE, di Daphne Du Maurier

pubblicato da: admin - 12 Agosto, 2010 @ 5:55 pm

Mi accorgo che leggo molto meno qui dove  il mio tempo scorre lento lento. Mi manca  senz’altro la città con i suoi stimoli, le librerie, la biblioteca e dove lo spazio-lettura è un regalo prezioso, ritagliato, rubato ai tanti impegni. Una conquista.

Qui mi accontento di riguardare i vecchi libri, ora che ho finito quelli nuovi che mi sono portata.  E mi accorgo che riesco a leggere soltanto due o tre ore. Per scrivere il blog ci metto il doppio  perchè il portatile è lentissimo, e la casa mi impegna con le sue scale e scalette.

Ma che piacevoli scoperte ritrovare le storie  in parte dimenticate! Ho riletto con immenso piacere “Mia cugina Rachele” ritrovandomi nella Cornovaglia della tenuta di Ambrose e Philip  Ashley e nella villa fiesolana di Rachele.

Un’altra cugina letteraria dunque, più bella, più affascinante di Bette ma pur sempre dal comportamento ambiguo. Rachele è l’assassina di Ambrose, si chiede Philip? Lo ha avvelenato con i semi di cìtiso che cadono a fine estate dai baccelli di una pianta fiorita?

Le ultime lettere di Ambrose dall’Italia dove si è sposato improvvisamente con questa loro lontana cugina metà inglese e metà italiana sono preoccupanti. Brevi frasi in cui c’è scritto  “Rachele…il mio tormento.”

A nulla serve che il suo ventiquattrenne figlioccio Philips, straordinariamente somigliante a lui, si precipiti a Firenze…la villa di Fiesole è deserta, Rachele partita e Ambrose tumulato  nel cimitero inglese.

Ma com’è Rachele? Brutta, arcigna, vecchia, piena di  reumatismi?

Quando alfine Philip la incontrerà in Cornovaglia ,dove è stata invitata dal curatore dei beni degli Ashley, è stordito. Rachele non corrisponde per nulla a come se l’era immaginata. Ancora giovane, piccola e minuta, dai modi gentili e decisi. L’ inziale astio di Philip si trasforma ben presto in un amore tormentato, violento ed esclusivo. Ma Rachele come tutte le donne affascinanti della letteratura è enigmatica, misteriosa. Sa curare con le erbe, ha rapporti epistolari con un certo signor Rainaldi (un italiano suo coetaneo), ama spendere.

“Ci sono donne, Philip, anche brave donne le quali senza colpa loro sonoi portatrici di sciagura.” lo aveva ammonito il suo padrino.

Presto i sospetti si riaccendono quando Philip stesso si ammala;   dopo aver trovato nel boudoir di Rachele una busta contenente i neri semi di cìtiso teme di essere avvelenato…ma la fine rivela un’altra pissibile verità.

Ci credo che Hithcock amasse i romanzi di Daphne Du Maurier! Essi tengono sulla corda il lettore già dall’inizio   “Una volta gli assassini venivano impiccati a Four Turnings. Ora non più. …Vale a dire che, se la legge lo dichiara colpevole, è la sua coscienza per prima a ucciderlo”.

Le stesse parole che concludono il libro!

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DA BOSCO E DA RIVIERA, di Alberto Cavanna

pubblicato da: admin - 11 Agosto, 2010 @ 5:30 pm

 

Ben tornati a Riccardo e Maria Teresa dall’isola quasi… di Robinson. E che gioia e gratitudine trovare subito un entusiastico suggerimento di lettura, ma non solo… anche tantissime sollecitazioni  per riflettere sulla vita.

 

Rizzoli Editore, 2009

343 pagine, €19,00

  

Dobra vecia, amici! Buonasera, amici! Sono appena rientrato da una vacanza su di un’isola “selvaggia” (ma in realtà molto, molto più “civile” di certe nostre spiagge superaffollate) dell’arcipelago delle Incoronate, in Croazia, dove, fra le altre cose, ho letteralmente divorato il bellissimo romanzo di Alberto Cavanna, insieme all’altro suo lavoro “Storie di navi, di viaggi e di relitti” (ma di quest’ultimo vi parlerò la prossima volta).

Ricordate? Vi avevo già segnalato il suo “Bacicio du Tin”come un libro da non perdere, ma con questo …. Cos’altro dire? (Di più e di meglio, naturalmente!)

Ero in Croazia, dicevo, ed un mio amico, parlando della capacità di adattamento della sua famiglia (2 genitori e 4 figli) alle condizioni “essenziali” della vita sull’isola Incoronata (baia di Koromasnja), disse: “Noi siamo da bosco e da riviera”! No, non conosceva questo capolavoro di Alberto, cito solo l’episodio per inquadrare il corretto significato dell’espressione scelta da Cavanna a titolo del libro.

Paesi della costa ligure, pescatori, le loro osterie, i cantieri navali dal legno alla vetroresina all’acciaio … protagonisti che “si raccontano” storie che non possono che essere vere …umane, aziendali, marine …

Io l’ho divorato, dicevo prima. Poi l’ho passato a Maria Teresa la quale, pur essendo assai meno marinaia di me, ne è rimasta entusiasta. A matita, nell’ultima contropagina, si è segnata i vari punti.

Tutti mi dicono che scrivo bene, che sono creativo etc. Io non sono così d’accordo, soprattutto quando mi trovo di fronte a certi lavori quale quello di cui vi sto raccontando.

Il racconto è unico, composto da più voci che si intersecano e parlano tutte in prima persona.

Bellissimi molti pensieri; ve ne riporto solo alcuni:

“Leggere un libro in fondo è come navigare: apri la pagina e ti immergi nei pensieri di un altro, bevi il suo messaggio e quando chiudi l’ultima pagina scopri alla salvezza di quale porto o alla disperazione di quale naufragio ti ha condotto”;

“Il canto dell’albero che viene ucciso e rinasce barca: è questo il rumore lontano delle mie radici”;

“Stavo morendo di un male che era semplicemente il rifiuto di vivere ancora”,

“L’eccellenza nient’altro era se non quello spirito che mio padre mi aveva trasmesso, l’amore familiare per l’oggetto che si costruisce o si ripara, la passione per il proprio lavoro come uno stile di vita …”;

“La lotta per il potere tanto più è stupida e tanto più è ai vertici”;

“Ho sempre detestato le persone che ti rimettono in bocca le tue parole dopo averle rigirate a loro vantaggio”;

….

E’ il libro di un vincitore, che ha saputo superare le tempeste della vita.

Complimenti, Alberto!

 

Riccardo Lucatti – Trento-Riva del Garda, mob. 335 5487516

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I QUARANTANOVE RACCONTI , ma non solo di Hemingway

pubblicato da: admin - 10 Agosto, 2010 @ 6:11 pm

 

Mi fa immenso piacere che Donatella, finalmente, mi abbia dato il permesso di  farla apparire nel blog e farsi così conoscere  da tutte le visitatrici e amiche che stanno” raccontandosi”.

Donatella è una cara amica conosciuta proprio all’inizio di questa avventura libresca-virtuale,  che sempre ha scritto pensieri preziosi e coinvolgenti e con la quale mi trovo parecchio in sintonia. Credo che presto ci conosceremo anche  di persona, ma nell’attesa perchè non farla entrare nel nostro “giardino” pieno di libri e riflessioni e ricordi e poesia?

Naturalmente non ho cancellato le righe che mi lodano perchè queste mi danno carica energetica e mi riscaldano il cuore;” par contre”, devo ammettere che questo blog, questo dialogo che si sta infittendo con voi, è un appuntamento importante, scandisce le mie giornate, illumina i mei pensieri quando questi  tendono a diventar corruschi.

 

“Le néant. Ecco come posso descrivere anch’io la giornata di ieri. Una giornata con la “nuvola” come dicevi tu tempo fa. Anch’io mi sono accorta di essere sempre in attesa di qualcosa, di quel qualcosa che non arriva mai, se non parte ancora da noi stessi. Un’età difficile la nostra, ma anche questo lo avevi già detto tu qualche mese fa. Il tuo paese trafficato, il mio svuotato. Tu che leggi “Matematici nel sole” ed io che vado a cercare Pavese.
Lo faccio sempre, quando sono in crisi. Ed ecco che trovo un pezzo che sembra fatto per me. “Una domenica passata a vagolare col pensiero come una mosca legata, tutto intontito corpo e anima… Passo la giornata come chi ha urtato uno spigolo con la rotula interna del ginocchio: tutta la giornata come quell’istante intollerabile.” Ho la certezza che siamo in tanti a non amare la domenica, se solo potessimo metterci tutti insieme!  Che ci sarà dopo tanta solitudine? Ed ecco che ancora aspiro a quel qualcosa che deve ancora arrivare, i miei pensieri girano in tondo, anche queste sono parole che ho imparato da te. Sono sicura che tu mi capisci perchè, nonostante tutto, ti sento vicina. Penso che sia stata un’enorme fortuna incontrare una persona come te, incontrare il tuo blog, dove oltre che di libri, si parla anche di vita. Mi spaventa l’idea che allo scadere dell’anno tutto questo possa finire. Non vorrai abbandonarci vero? LO so che l’impegno è tanto, ma facci un pensierino, non si può finire un lavoro così …
Carissima, ti lascio, ma ti abbraccio forte forte. A presto.
 
Donatella”
 
Naturalmente se riuscirò a terminare la sfida di “un libro al giorno” ( e per questo chiederei aiuti….) non lascerò questo spazio che sta dventando “vitale” per me e il mio ondeggiare. E’ questo una finestra sul mondo o per meglio dire un  tuffo nel cuore degli altri. Raccontarsi, raccontare è uno dei più grandi piaceri. Lo dice anche Stelzer nel suo “Matematici nel sole” finito, tra la commozione e la gioia che la vita può essere sempre bella, poco fa.
Ben diversa  la visione del mondo nei racconti di Ernest Hemingway. Scritti con stile giornalistico, moderno, chiaro lasciano alla fine un sapore amarognolo che ricorda l’whisy o il bourbon che lui tanto amava.
 
Sappiamo della sua vita eccessiva, del suo combattere  sia sul fronte italiano sia  in Spagna contro i franchisti, dell’amore per le grandi bevute, per la caccia, per la corrida. Non dimentichiamo , “Fiesta”, i colori assordanti della Spagna più caliente e non scordiamo il suo malessere che ritroviamo in questi “Quarantanove racconti“.
E’ questa un’ edizione tascabile scarabocchiata da qualcuno; a Trento però ho un’edizione in cofanetto con segnalibro  in seta.
Sono andata subito a rileggere le “Nevi del Kilimangiaro” memore anche di un bellissimo film con il mio adorato Gregory Peck e Ava Gardner.
“Il Kilimangiaro è un monte coperto di neve alto 5890 metri e si dice che sia la più alta montagna africana. La vetta occidentale è detta “Masai Ngàje Ngài”, Casa di Dio…”
E’ il racconto di uno scettico cacciatore che per una banale imprudenza si ritrova la gamba in cancrena. Con sè ha l’ennesima donna, ricca, compagna di bevute e forse di sperpero della vita.
Lui sa che sta per morire, gli aiuti ormai sono inutili. Lei lo rincuora” Non si muore se non ci arrende”.
Ma lui sembra accettare la fine di una vita della quale non è riuscito a trovare la bellezza, il conforto, la magia (come Stelzer).
“Così era finita, pensò. Ora non avrebbe mai più potuto andare in fondo.”
Intanto i ricordi lo assediano, pensa all’Africa, il posto dove era stato più felice ai bei tempi, e dove proprio ora sta per morire. Uccelli pesanti lo osservano in  attesa.
Aveva sperato, con questa sua nuova compagna, di riuscire a “togliersi il grasso dall’anima” di sentire rinascere la voglia di lavorare, di scrivere. Incolpa la ricca compagna, bevitrice come lui,  “amorosa becchina e distruttrice” di avergli ucciso il talento ma poi quando sente la morte avvicinarsi comprende di essere stato  egli stesso “a distruggere il proprio talento, per non essersene servito, per aver di continuo tradito se stesso e quello in cui credeva, per aver bevuto tanto da smussare la sua capacità di sentire, per pigrizia, indolenza, snobismo, orgoglio e preiudizi, genio e sregolatezza, delitto e castigo.”
Ci sono alrtr48 racconti come “La fine di qualcosa”, “Gatto sotto la piggia” “Colline come elefanti bianchi” “Il giocatore, la monaca, la radio” e così via, ma tutti pregni di quell’amarezza di cui ho parlato prima, di scetticismo, di disperazione, di rinuncia. Piccoli autentici capolavori nati a volte soltanto per una sollecitazione occasionale, altre volte per una lunga e sofferta meditazione.
Un’altra latitudine? un’altra generazione?
Che differenza con il nostro Franco Stelzer il cui “Matematici nel sole ” è un inno goloso alla vita.
 

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BORZONASCA E LA VALLE STURLA, di Rosaria Arena

pubblicato da: admin - 9 Agosto, 2010 @ 6:42 pm

Un breve post oggi, prima che il Pc si rimetta a fare i capricci.

Perchè dunque non parlare dell’Abbazia di Borzone che stamattina ho nuovamente visitato? Di questa chiesa abbaziale se ne parla la prima volta in una bolla del 1120 di Papa Callisto,  ma un’ininterrotta tradizione locale vuole che essa sia stata fondata dall’Abbazia di San Colombano di Bobbio.

E’ definita un vero gioiello artistico nella sua semplicità e nel 1910 fu dichiarata monumento nazionale. Dista 3 km. da Borzonasca e si raggiunge percorrendo una comoda strada asfaltata leggermente in salita oppure attraverso una scorciatoia tra i boschetti. Ed è quest’ultima che ho percorso, da sola, stamani. Più faticosa naturalmente e soprattutto leggermente preoccupante perchè tra i cespugli e tra il fogliame spesso ci sono i cinghiali. Sentivo degli strani rumori, grugniti? “fruscii di serpi”? allora mi fermavo e mangiavo qualche mora pensando che ero stata un’inconsciente. E se fossi caduta? E se il cinghiale fosse arrivato? Nessuno al mondo sapeva che mi trovavo lì. Per farmi coraggio ho però scattao delle belle foto.

Stremata sono  arrivata in cima e mi sono fiondata nell’unicobar-ristorante dove , sebbene “chiuso di lunedì, ho potuto bere un buon caffè.

Visita e sosta nell’Abbazia che ha sempre la porta aperta per i visitatori e mi sono resa conto che forse avevo percorso l’antico sentiero dei pellegrini. Chi volesse saperne di più  può visitare il sito www.abbaziaborzone.it

O leggere il libro di Rosaria Arena, Sara per i conoscenti. Severa e puntigliosa ex -direttrice didattica Sara, scomparsa qualche anno fa a circa 90 anni, ha studiato a fondo la sua terra scrivendo con passione della sua storia e delle sue bellezze. Sara non si è mai sposata e “metteva in riga” tutti gli abitanti di Borzonasca, ma a questo paese ha sempre  dato importanza ed affetto. Si spostava spesso anche a Bobbio, ospite di qualche convento e fino all’ultimo è stata autosufficiente e battagliera.

Se la incontravo con sua sorella lungo i vicoletti di Borzonasca  Sara mi elencava le meraviglie del paese come le sue  pietre antropizzate, le edicole votive distibuite sulle facciate delle case, i portali megalitici, l’antica chiesuola, ma quando sbuffavo dicendo che non ci stavo tanto volentieri lei rivolta a sua sorella  esclamava: ” Ma ti immagini  la Mirna, qui , a novembre?” E giù a ridere. A Novembre il sole va dietro il Monte Cucco alle 13.30 e c’è una grande umidità proprio per i due fiumi che le scorrono intorno.

Ma oggi dall’alto della quiete di Borzone il sole splendeva sui filari di vite, sulle pèsche mature, sui fiori di tutti i colri che adornano i giardini e quando sono ridiscesa in paese (per la strada grande) mi sentivo leggera leggera e azzurra come le ortensie che ho colto da un enorme cespuglio sul ciglio .

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ASPETTANDO GODOT, e il teatro dell'assurdo

pubblicato da: admin - 8 Agosto, 2010 @ 6:41 pm

Ma poi è così assurda questa piéce teatrale di Samuel Beckett?  O lo è la maggior parte di noi, ed io mi ci metto dentro, che siamo sempre in attesa di qualcosa che deve arrivare? Altro che il Buddah ed il suo “essere dentro” in ogni istante! Io riesco a sentirmi dentro il fluire della vita per qualche momento, forse qualche ora, poi mi sembra sempre di dover fare qualcosa o cambiare o progettare…Siamo nell’età dell’ansia ed io sono molto spesso  “à la page” purtroppo. Invece di godermi il giardinetto montaliano  e perdermi nel volo di farfalle o stormire di lillà e glicine ecco che la mia mente corre a ciò che dovrò fare riguardo questa casa, il mio futuro. E aspetto che qualcosa o qualcuno  mi aiuti. Ma chi è questo Godot?

Tutto o niente? Non a caso il primo atto inizia con  “Niente da fare”. Il niente, le néant.

Non c’è intreccio in questi due atti. Vediamo due mendicanti Vladimiro ed Estragone che, in aperta campagna, accanto ad un albero aspettano giorno dopo giorno un certo Godot dal quale sperano di ottenere una vaga sistemazione. Godot è qundi la speranza di felicità? di risoluzione della propria vita? è l’aiuto divino, cioè Dio? Il dialogo è fitto e divertente pur se i due mendicanti sembrano due larve che parlano di scarpe da togliersi almeno una volta al giorno, del salice che è morto… e l’albero che cosa significa?

In questo libretto rosso trovato in mezzo agli altri e probabilmente avuto in omaggio con una rivista c’è l’ introduzione di Carlo Fruttero che ci spiega che l’humour, a volte anche volgare, del lavoro di Backett è il veicolo del sorprendente successo che ottenne. “Dal punto di vista tecnico Aspettando Godot è la commedia esemplare, limite, costruita interamente attorno all’assenza del personaggio in grado di “salvare” non solo Vladimiro ed Estragone, ma gli spettatori stessi, di cui i due mendicanti sono i rappresentanti sulla scena.”

 Carlo Fruttero aggiunge che i due mendicanti nei loro dialoghi serrati ci mostrano una vera antologia di relazioni private: sono amici, coniugi, innamorati, padre e figlio e riproducono tutte le sfumature psicologiche dell’umanità.

Ad un certo punto vengono introdotti altri personagi, Pozzo, simbolo del capitalista, che trascina brutalmente Lucky, il proletariato. Ma si può leggere anche in chiave evangelica, suggerisce qualcuno.

I  messaggi sono pertanto impotenza, angoscia, alienazione; l’immagine della civiltà occidentale è pessimistica e brancolante. Forse soltanto l’ottimista per candore può salvarsi e persistere nell’attesa.

Non avrei mai potuto portare mio marito a vedere Samuel Beckett, da pragmatico qual era mi avrebbe tacciato come complicata e infantile e…assurda.

Ma nel mio lessico intimo va spesso un pensiero a questo benedetto Godot. Chi è?  Che cos’é?  Arriverà? O mi devo rassegnare, come in fondo in fondo  sono già, che  Godot siamo sia noi stessi  che  colui che l’aspetta?

Meno male che in questa mia domenica in cui mi sono sentita poco “centrata” vuoi per il paese attraversato da un traffico come a Detroit, ma non è Detroit, vuoi per la lucertola che Mimilla mi ha portato in casa e che forse si è infilata nello stipite della porta, come i rotolini di versetti della Torah in casa degli Ebrei,…sono stata consolata dalla lettura di “Matematici nel sole”.

Hanno ragione Camilla (che ci ha presentato il libro in un post) e Stefania.Franco Stelzer è un  grande scrittore e  poeta. Ciò che mi piace soprattutto è la sua lettura della coppia. Wif(e) e Hus(band) che hanno le iniziali di moglie e marito sembrano nomi leggendari, come Hus mi sembra il vero primo marito cosciente dell’umanità. Pieno di meraviglia e gratitudine al cospetto della moglie, la Donna in tutta la sua unicità ed  importanza primigenia.

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PIANO SOLO, di Perry Knize

pubblicato da: admin - 7 Agosto, 2010 @ 6:37 pm

Questo blog è come una giardino nel quale riusciamo a parlare di noi. Noi-Fiori sotto un pergolato di glicine violetto…E tanti fiori anche in mezzo ai libri di cui parliamo…

Oggi presento “Una storia d’amore e musica” scritta da una giornalista, Perry Knize, che vive nel Montana.

Me l’ha prestato Cristina, la mia amica musicista che spesso ci invita alle sue riunioni serali di “Penelopi” o di “Accademia delle muse”. Cristina vive di musica, come fa anche mia figlia Stefania (che vorrà senz’altro leggere questo libro).  Quando le ascolto suonare il pianoforte vedo la loro gioia, la loro emozione, il loro essere tutt’uno con lo strumento.

Fortunati i musicisti che riescono ad elevarsi in un mondo particolare e privilegiato.

In “Piano solo” ci viene raccontata un’epifania: a 43 anni la narrattrice protagonista scopre,  mentre ascolta Rubinstein suonare un valzer di Chopin,che ciò che vuole assolutamente fare nella  vita è suonare il pianoforte. ” Mi ritrovai a stringere il volante, quasi dovessi reggermi durante il percorso, stretta io stessa nella morsa di un rapimento indotto dal pianoforte, tanto più dolce quanto emozionante.”

Perri riprende quindi a seguire lezioni di musica rendendosi conto della sua necessità vitale di stare a stretto contatto fisico con lo strumento “Come hai potuto lasciarti sfuggire tutto questo?” si chiede.

Inizia una vera e propria odissea, non solo per la battaglia di vincere il suo pudore durante le esecuzioni in pubblico, pur se amico,  ma anche per la ricerca del “suo” pianoforte. Anche mio genero accordatore e restauratore potrebbe leggere questo libro perchè veniamo a conoscere il mondo particolare e affascinante di musicisti, liutai, accordatori,ecc. tutti accomunati dalla stessa passione.

Non è soltanto  un viaggio nel mondo del pianoforte dunque,  ma  è  un esplorare la nostra anima  per conoscerci meglio,  per sapere quali sogni abbiamo realizzato e quali ancora sono nascosti.

 Quali sono i nostri sogni non realizzati? Non è mai troppo tardi per attuarli.  Perri ci dà una lezione di coraggio, onestà nel perseguirli ed insieme ci spinge ad avvicinarci  al mondo della musica.

The New York Times Book Review scrive “Leggendo questo libro, vorresti uscire e imparare a suonare il piano…”

Il pianista jazz  Bill Evans disse “La musica insegna la spiritualità mostrando all’individuo quella parte di sè che altrimenti non scoprirebbe mai”

E un’amica di Perry che  decide di diventare una pianista, e  all’età di trent’anni torna a studiare al college ribadisce: “E’ difficile evitare se stessi quando si studia il pianoforte. Sei costretto ad affrontare le tue ambizioni, il tuo grado di perseveranza, di ottimismo o la mancanza di ottimismo. Si costruisce il carattere.”

Siete d’accordo mie care pianiste?

E chi non sa suonare?

Beh, io mi sto ancora formando  il carattere ed aumento la mia  perseveranza …in questo mese di “clausura” campagnola…

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FRANKENSTEIN, or the Modern Prometheus

pubblicato da: admin - 6 Agosto, 2010 @ 6:15 pm

E’ stata la sua autrice, Mary Shelley, a mettere il sottotitolo spiegando anche che oltre al mito di Prometeo ha attinto a quello di Faust, passando attraverso “Il Paradiso perduto “di Milton e servendosi delle teorie del galvanismo. Come potè una delicata e giovane fanciulla produrre un romanzo così particolare,  un romanzo “gotico”  pauroso e sorprendente? Racconta lei stessa che la storia ebbe origine da un incubo  in cui lei vide: “uno studente di arti proibite  inginocchiato di fronte alla cosa che aveva messo insieme. Vidi la forma orribile di un uomo disteso, e poi grazie all’opera di un qualche potente strumento, lo vidi dar segno di vita. Era spaventoso, perchè spaventoso in modo supremo sarebbe stato il risultato di ogni tentativo umano di parodiare lo stupendo meccanismo del Creatore del mondo.”

Mary Shelley è figlia e moglie di scrittori. Sua madre è Mary Wollstonecraft, autrice della prima dichiarazione dei diritti della donna (Scrissi un post su di lei l’8 marzo, “Vindication”), suo padre è il filosofo  William Godwin. Suo marito è il poeta romantico  Percy Bysshe Shelley. L’idea di Frankenstein comincia a prendere corpo intorno ad un camino durante una piovosissima estate svizzera che vede riuniti oltre i due Shelley anche Lord Byron, il suo segretario Polidori e la sorellastra di Mary. E’ un anno il 1816, ricordato come “the year without Summer” perchè l’eruzione di un vulcano indiano aveva sconvolto la meteorologia.

Durante le lunghe serate squassate da violenti temporali gli amici inventano passatempi, leggono ad alta voce, discutono di arte e letteratura.  E ancora una volta  Mary ci racconta che una sera Lord Byron propone: “Ognuno di noi scriverà una storia di fantasmi.” Ma chi riesce a condurre a termine il progetto è la sola  Mary. In quegli anni il genere “gotico” è di gran moda. Si pensi a Lewis e soprattutto alla Radcliffe. Quindi  Mary Shelley propone uno scenario pauroso, di notti oscure… ma nella vicenda c’è ben altro.

D.Punter scrive in un saggio sulla letteratura del terrore che i termini “orribile” “spaventoso” usati dallo stesso barone Frankenstein per la sua creatura non sono altro “che un disappunto estetico”. Il suo “mostro” senza nome verrà battezzato poi proprio dal pubblico, con  notevole intuito, con il nome del suo creatore. In Mary Shelley “vi è un’intensa paura del brutto, dell’imprevedibile,del dirompente, che affiora senza troppo controllo in ogni pagina.”

Il mostro è dunque il diverso, ci fa notare Riccardo Reim nella sua introduzione , e come tale va emarginato e punito “perchè può provocare solo panico e sgomento.”

Rifiutato senza appello, disperato il” mostro “si strugge di poter provare la sua umanità“. Ma a lui non sono consentiti  nè ‘amore nè gioia, ma soltanto odio, odio verso il mondo che non può amarlo e odio verso chi lo ha creato.

Alla sua pubblicazione, nel 1818, Frankenstein, suscita grande impressione e scandalo, ma conquista migliaia di lettori. Oggi fa parte del  nostro “immaginario collettivo”, Frankestein è la nostra “ porta oscura dietro la quale il mortale e l’immortale fanno prematura conoscenza.”

Mi sono ricordata di questo libro dalla copertina gialla  dei classici BEN  (2.ooo Lire nel 1994) causa il violento temporale che ieri mattina mi ha svegliato prestissimo e che poi è continuato a intermittenza per quasi tutto il  giorno. Ho ricordato anche le storie di fantasmi che la nonna Bianca ci raccontava la sera e che parlavano sempre di belle ragazze avvolte in un particolare mantello incontrate per caso in una notte tempestosa da un eroico giovanotto il quale quando le cerca, i giorni a a venire, scopre che sono morte.E  sulla loro tomba troverà il loro mantello …

So per certo che Stefania preparò un esame di letteratura inglese proprio su Frankestein…perciò aspetto un arricchimento…

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LA CITTA' DEI RAGAZZI, di Eraldo Affinati

pubblicato da: admin - 5 Agosto, 2010 @ 10:08 am

Come promesso, oggi la parola …a Raffaella che ci presenta con commossa partecipazione un bellissimo libro di uno scrittore che anch’io ho conosciuto durante una conferenza nella biblioteca di Trento. Eraldo Affinati:  persona speciale, attiva, affettuosamente e costruttivamente  attenta ai bisogni dei ragazzi  stranieri o disadattati,   dei più deboli,  dei più bisognosi,  dei più inermi. Un aiuto forte, consolatorio, di esempio. Un vero maestro di vita.

  Il giorno in cui sono realmente  diventata insegnante, il mio “ battesimo professionale”,  non è stato il giorno dell’abilitazione né la prima ora di lezione in classe ma il giorno in cui un mio alunno mi chiamò al telefono di casa per dirmi che era omosessuale e che aveva bisogno del mio aiuto. O  forse è stato quel giorno in cui un’alunna ha avuto il coraggio di dirmi che era stata violentata dal padre. O ancora quel giorno in cui un gruppo di ragazzi scalmanati delle scuole professionali, dopo avermi fatto impazzire tutto l’anno, mi hanno offerto una birra al bar, io timida venticinquenne provata alla seconda supplenza, e mi hanno detto “ thank  you prof” ( insegno inglese, almeno quello lo avevano imparato!).

 E’ estate ed i miei ragazzi mi mancano. Alla faccia dei professori poco motivati,  la mia famiglia mi dice che io lo sono anche troppo e ripete la solita frase “ non ti faranno comunque il monumento”. Ma io non bado loro ed ho un esempio da seguire, oltre che quello della splendida curatrice di questo blog,  insegnante eccezionale e inimitabile  maestra di vita.

Dopo aver parlato di Murakami Haruki  e della Nemirovsky , presento il mio esempio, Eraldo Affinati, uno scrittore che amo molto e che ha dato tantissimo ai suoi ragazzi come” insegnante –padre”. Ho letto tutto di Affinati e lo consiglio ai lettori  del blog se già non lo conoscessero ( Luigi, anche lui ama moltissimo la montagna!).

“ La città dei ragazzi “ ( Mondadori , 2008) è un romanzo che sfugge ad ogni categorizzazione, e descrive l’esperienza di Affinati  all’interno della Città dei Ragazzi, storica comunità alle porte di Roma che aiuta ragazzi stranieri e disadattati ad imparare la nostra lingua, leggere, scrivere, trovarsi un lavoro e rendersi autonomi, ritrovare in poche parole , la dignità. Ma non solo ; le storie dei ragazzi stimolano in Affinati un colloquio intimo con il padre scomparso, a sua volta orfano e privo di  punti riferimento, che da ragazzo sarebbe stato proprio come uno degli studenti che lo scrittore cerca ora di aiutare . Non manca il  viaggio, un viaggio reale, quasi sempre presente nelle opere dello scrittore , un viaggio  che Eraldo compie con Omar e Faris, a ritroso , in Marocco da dove sono venuti, per capire, perché “ i  gesti, i fatti, i silenzi contano più di molte parole”, e “ sono gli ultimi della  Terra, i più inermi e vessati, a insegnare a noi  le vie della giustizia e della pace”.

Molto è stato scritto e recensito di questo splendido libro, quindi non essendo in grado di aggiungere nulla  tranne la mia profonda stima ed ammirazione per l’autore  ( che ho avuto il piacere di incontrare più volte alle presentazioni dei suoi libri in Trentino), riporto uno stralcio che mi ha colpito in particolare modo. Tratto dal capitolo  “Tutti qui”, in cui lo scrittore dedica un pensiero a tutti i ragazzi.

“Ci perderemo. Tutti, nessuno escluso
Tu Gianni e la tua ironia profonda.(…)
Tu Faris e il tuo rigore morale
Tu Peppino e le tue bestemmie per dirmi che esisti.(…)
Tu Aziz e la tua serietà lancinante (…)
Tu Petrit e la tua fedeltà assoluta.
Tu Severino e la tua compostezza superstite (…)
Tu Abdul e il tuo equilibrio crepato (…)
Ci dissolveremo. Andremo tutti in fumo.
Eppure siamo ancora qui: petali di un grande fiore secco dentro il libro”.

 

Grazie Eraldo per la tua testimonianza.

 

 Raffaella Masera

 

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BERTOLUCCI, e una pausa poetica

pubblicato da: admin - 4 Agosto, 2010 @ 5:49 pm

Ogni settimana mi piace  soffermarmi sulla poesia ed oggi parlerò di un libretto comprato nel 2000 ad Albenga dove io e Piero accompagnammo Stefania per un suo concerto. Come sempre stavamo trascorrendo l’estate qui a Borzonasca e quell’anno, ricordo, fiorì una solitaria rosa bianca. Normalmente nel giardinetto ci sono rose rosa o rosso cupo - quelle antiche, dette rose d’amore, profumatissime  -che lentamente però sentono l’avvicinarsi dell’abbandono e diventano sempre più rare. Ma che meraviglia la rosa bianca fiorita nell’agosto del 2000  scoperta appena dopo aver letto la poesia di Bertolucci. “La rosa bianca”

Coglierò per te / l’ultima rosa del giardino / la rosa bianca che fiorisce / nelle prime nebbie. / Le avide api l’hanno visitata / sino a ieri / ma è ancora così dolce / che fa tremare. / E’ un ritratto di te a trent’anni / un po’ smemorata, come tu sarai allora.

Ci sono 36 poesie in questo libretto edito da Mondadori quasi tutte dedicate alle stagioni , al tempo che passa, ai ricordi, al senso della vita, insomma ai pensieri che ognuno di noi rimescola.

“Non chiedere altro, la felicità è in questo / corso paziente, mentre gli anni fuggono / e i giorni così lenti scorrono, / il sole indugia su palpebre e muri, / tu, io, i cari figli l’accogliamo/ diversa beatitudine, persone separate…

Attilio Bertolucci è nato a Parma nel 1911 ed è padre dei due registi cinematografici Bernardo e Giuseppe. Già nel 1950 pubblica poemetti vari e poi un grande romanzo autobiografico in versi “La camera da letto”, un caso unico nella poesia del Novecento. Lavora poi anche per il cinemna e per la Rai.

Mi fa bene leggere le sue poesie gradevoli guardando i fiori, il cielo che ora si sta corruscando, le rondini , perchè le sue parole compenetrano con semplicità e musicalità la mia attenzione agli elementi naturali.

“Questo è un anno di papaveri, la nostra / terra ne traboccava poi che vi tornai / fra maggio e giugno, e m’inebriai /d’un vino così dolce così fosco./

Dal gelso nuvoloso al grano all’erba / maturità era tutto, in un calore/ conveniente, in un lento sopore / sopore diffuso dentro l’universo verde.

Fiori che ispirano versi, fiori che caratterizzano le persone come  la “signora delle camelie”.  Ma soltanto le donne vengono accomunate ai fiori? E gli uomini? E voi che fiore vi sentite?

***

Domani ci sarà un post di Raffaella che io ospito con infinita gioia.

E Camilla avrà trovato il “duende” di Garcia Lorca? Potrebbe scriverne visto che il 19 agosto è l’anniversario della morte di Lorca, fucilato dai franchisti nel 1936. (ho ritrovato questa data in una preziosa e piccola agenda letteraria nascosta nel cassetto della macchina da cucire di mia mamma!)

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