AUTUNNO, di Philippe Delerm

pubblicato da: admin - 9 Settembre, 2010 @ 5:50 pm

th_millais_foglie[1]scansione0003Autunno, la mia stagione preferita che lentamente sta avanzando mitigando il calore del sole, ma accendendo del suo fuoco i colori della natura. Rosso, arancione, giallo, violetto, verde, bluette, ecco il cromatismo dei giardini, parchi, campagna. In autunno si concentra tutta l’estate appena passata, c’è l’ultimo grande bagliore della vita allo zenith. Io adoro questi mesi, mi sento meno violentata dall’eccesso estivo,  più incline al rientro in me stessa e proiettata verso un’intimità più profonda.

Scriveva Ruskin in una delle molte lettere indirizzate a Dante Gabriel Rossetti” Gli uomini avranno sempre bisogno d’autunno, e del piacere malinconico di finire…”

Siamo nell’ Inghilterra vittoriana di metà Ottocento, nell’ambiente di giovani artisti, prevalentemente pittori, antesignani di una nuova corrente artistica rivoluzionaria: i preraffaelilti.  Oltre a Rossetti, la sua musa-modella Elizabeth Siddal, dalla chioma fiammeggiante, incontriamo  Millais, Swinburn, Deverell,  Algernon e Waterhouse (del quale avete visto il dipinto  “La bora” sulla copertina del libro sulle sorelle Bronte).

Philippe Delerm, con una scrittura calda e avvolgente come la luce dell’autunno, ci porta in quell’ambiente particolare facendoci partecipi dei rapporti tra anime inquiete, tra drammi, esaltazioni artistiche, dolori, nostalgie.

La storia si intesse soprattutto tra Dante Gabriel Rossetti, figlio di un rifugiato del risorgimento italiano e la sua bellissima moglie Elizabeth Siddal, modella ispiratrice non solo per il marito, ma per altri pittori, primi fra tutti Millais che la ritrae come Ofelia annegata. Per dipingerla la fa stare ore e ore nella vasca da bagno facendola ammalare seriamente.

Quando faccio il bagno ricordo sempre questo episodio tanto mi è rimasto impresso come il dipinto stesso,  quadro che con immensa gioia vidi pochi anni fa alla Tate Gallery di Londra. Non è un piacere immenso fare il compendio di tutte le nostre conoscenze in pochi minuti? Shakespeare, pittura, letteratura in genere…

Elizabeth Siddal era di umili origini, per questo Rosssetti prima di sposarla attese molti anni per timore delle critiche della sua famiglia. Lo stesso Ruskin, strenuo difensore del movimento pittorico, spingeva i  due giovani al matrimonio. Si sposano nel 1860. Elizabeth è di temperamento sensibile, un po’ instabile,  scrive  poesie come il marito, è di salute cagionevole aggravata dalla  seria bronchite contratta posando nella vasca da bagno per Millais. Fa uso di laudano. Dà alla luce un bambino morto e molto presto la depressione si impadronirà di lei spingendola infine al suicidio.

Dante Gabriel Rossetti è sconvolto, la fa seppellire con le sue poesie manoscritte avvolte nei suoi meravigliosi capelli.

Anni dopo, anch’egli in preda a furori e depressioni dovuti ad alcool e droga, vorrà riprendere le poesie della moglie dalla tomba  per pubblicarle insieme alle proprie.

Decadenza, sensibilità estrema, amore per le cose che se ne vanno. “La malinconia del finire. Addomesticare il male di vivere. Amare la pioggia, le viti canadesi rosseggianti, i percorsi attenuati…” questi sono i pensieri di Millais poco prima di iniziare un altro celebre dipinto “Foglie d’autunno“. “Esiste sensazione più squisita di quella risvegliata dall’odore delle foglie autunnali che bruciano? Per me niente evoca memorie più dolci dei giorni che se ne vanno; è l’incenso offerto al cielo dell’estate morente; e porta la felice convinzione che il tempo metta un sigillo di pace su tutto ciò che se ne va.”

Libro particolare, poetico che io comprai nell’autunno 2002 e  che lessi con grande entusiasmo tanto che decisi subito di intressarmi alla pittura preraffaelita. Che piacere immenso la conoscenza!

Ma qual è la vostra stagione preferita?

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"IL MIO VECCHIO ED IL MARE", raccontato da Riccardo

pubblicato da: admin - 8 Settembre, 2010 @ 6:40 pm

                                                                 di David Hays e Daniel Hays

Ringrazio Riccardo che con passione ed entusiasmo ci rende partecipi  delle sue avventure libresce e marinare. E’ bello sentir parlare  di barche, navigazione e mare e di quel fluire di sentimenti unici che è il rapporto fra genitori e figli.

Nato a Genova, cresciuto “in mare”, giovanissimo lettore accanito di Salgari
… forse è per questo che l’amore per il mare l’ho nel sangue e che amo
tanto i libri di Alberto Cavanna! Io, le  mie vacanze (anacoluto manzoniano) sono

 sempre state in mezzo alla natura,al mare, anzi “in acqua”
(ma anche sui monti) e da quando “abito” nei monti, il richiamo ed il
desiderio del mare si è fatto più forte, nonostante l’età (66 anni) che –
dicono – affievolisce i desideri (!?)
Due uomini, padre e figlio, 54 e 24 anni, 317 giorni, da New London (a nord
della Florida), attraverso il Golfo del Messico, Panama, l’Oceano Pacifico,
Capo Horn (per noi velisti, semplicemente “l’Horn”), l’Atlantico sino al
punto di partenza,17.000 miglia marine (circa 32.000 Km)su di una barca a
vela di nemmeno 8 metri, senza motore né radar.
La barca è un “Vertue” ancora oggi in fabbricazione,carena di tipo “vecchio”
cioè marino, dislocante, quattro tonnellate di cui due in chiglia, cinque
diverse vele di prua (da 23 a 2 metri quadri) ed una randa con quattro
riduzioni possibili da 17 a 3 metri quadri). La prima barca (e forse anche
l’unica, ma dovrei verificare) sotto i 10 metri ad avere doppiato l’Horn.
Sicuramente anche il primo gatto ad avere doppiato quel capo. Infatti, i
nostri due amici non erano soli: a bordo c’era con loro, per
assisterli moralmente, anche il gatto Tiger (e qui ritorna il mio amore per
i gatti, ed in particolare per il mio birmano “Dorian”: ciao Dorian! Hai
visto di cosa siete capaci voi gatti?)
Il solito libro di viaggi … dirà forse qualcuno … No, amici, non è così.
Si tratta di un resoconto di vita vissuta fra padre e figlio, un confronto
ed una comprensione fra due generazioni di fronte ad una sfida che non
consente reticenze o riserve mentali e che fa emergere solo sentimenti veri.
Inoltre il libro è una ricca fonte di nozioni e “segreti” marinareschi che
appassionano gli addetti ai lavori ed aprono nuovi orizzonti ai “non
addetti”.
Sono certo che, leggendolo, non vi annoierete.
Ora vi lascio perché nel frattempo Dorian si è venuto ad accccocccolare
sullla tastierrra del comppputer …!!///&%kll…
Buon vento a tutti! XXXccc666&&…..

Riccardo Lucatti,

 

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I SOGNI PERDUTI DELLE SORELLE BRONTE, di Syrie James

pubblicato da: admin - 7 Settembre, 2010 @ 6:38 pm

scansione0002Pomeriggio piovoso nel quale ci si rifugia in un libro conforto. Che cosa meglio che entrare nella vita di Charlotte Brontè e delle sue sorelle Emily ed Ann? Tornare nella loro casa nella brughiera e leggere di incontri, viaggi, lavoro,  famiglia e, soprattutto, di come è iniziata la grande avventura della scrittura.

Syrie James ci presenta questa sua opera come un diario segreto tenuto da Charlotte. Il diario non esiste, ma esistono documenti, lettere alle quali la James  ha attinto meticolosamente. Ciò che leggiamo quindi è vero, ma presentato con la voce narrante della creatrice  di “Jane Eyre”. Riusciamo ad entrare nei suoi penseri, ricordi e  segreti più nascosti..  

Mi è stato donato da Renata che mi conosce bene. Ed ecco la prima riflessione: di quanti possiamo dire che ci conoscono profondamente? Io posso dirlo di mia figlia, di qualche amica sebbene anch’esse non sapranno mai fino in fondo chi sono. Talvolta non lo so neppure io. 

So per certo che questo tipo di letture mi allieta, mi arricchisce, mi interessa.

A tett” diceva mia madre quando una cosa le dava un immenso  piacere. E’ un’espressione  dialettale che significa pieno benessere come quando si succhiava il latte materno.

“La vita di Charlotte è così affascinante che sono riuscita a narrarla basandomi quasi esclusivamente sui fatti” ci dice Syrie James che è stata ovviamente nello Yorkshire, al Museo di Haworth dove ha potuto visionare tutti i manoscritti della famiglia Brontè e dove ha visto  i vestiti di Charlotte, quelli pronti per un suo matrimonio. Eh, sì perchè Charlotte che ricevette quattro proposte di matrimonio forse sposò alla fine il reverendo Arthur Bell Nicholls, coadiutore del padre…

Il diario segreto di Charlotte inizia così ” Ho ricevuto una proposta di matrimonio….Chi è quest’uomo che osa chiedere la mia mano?…Come diavolo ha fatto, mi domando, a sfuggirmi così di mano la situazione? Ho scritto delle gioie dell’amore. A lungo nel mio cuore, ho sognato di legarmi intimamente a un uomo; ogni Jane credo, merita il suo Rochester…o no? Eppure da tempo avevo perso ogni speranza di provare quell’esperienza in vita mia. Al suo posto mi sono dedicata alla mia professione e ora che l’ho trovata dovrei abbandonarla? E’ possibile che una donna si doni completamente sia a un lavoro sia a un uomo? Possono la sua mente e il suo spirito coesistere in pace? Così dev’essere, perchè la vera felicità, ne sono sicura, non la si può raggiungere in altro modo.”

Un’altra riflessione attuale ancor oggi!

Dopo questo incipit si ritorna al  21 aprile 1845,  quando Charlotte compie 29 anni.  Nel resoconto giornaliero conosciamo meglio la sua famiglia, il padre che sta diventando cieco e che ha bisogno di un aiuto per dirigere la canonica, di Emily che scrive poesie stupende in segreto, di Ann che sta per tornare dal suo lavoro di isitutrice e del fratello Branwell già schiavo dell’alcool e dell’oppio.

Presto incontreremo il giovane reverendo Nicholls,  irlandese come il padre, (Brontè è una storpiatura del cognome irlandese Brunty) che susciterà irritazione per le sue idee maschiliste. Ci viene raccontato  di un pranzo durante il quale si svolge un’ accesa discussione  sulla differenza uomo-donna.  Un ospite, un altro reverendo,  si appella alle teorie di Alexander Walker : “ L‘uomo possedendo facoltà dialettiche, potenza muscolare e il coraggio di impiegarla, ha i requisiti per essere un protettore; mentre la donna essendo poco incline al ragionamento, debole e timida, richiede protezione. Stando così le cose, l’uomo per natura comanda, la donna per natura obbedisce.”  (Tratto dalla trilogia del fisiologo scozzese Alexander Walker sulla donna “Woman”, 1840). !!!

Naturalmente Charlotte ed Emily sono furenti, tanto che lasciano la sala da pranzo.

Tutti in famiglia scrivono, anche il fratello che ha già pubblicato alcune poesie.  Per Charlotte vivere un giorno senza mettere qualcosa di nero sul bianco è una vera tortura per l’anima.  Finalmente le sorelle decideranno di pubblicare un libretto di loro poesie e di mettersi tutte e tre a scrivere un romanzo. Sappiamo già di “Cime Temnpestose” di Emily, di “Agnes Grey di Ann” e delle opere di Charlotte. Molto di quello che scrivono ovviamente si riferisce ad avvenimenti, ricordi, suggestioni autobiografiche.

Quando Charlotte è in visita ad una ex-amica di collegio va a prendere il tè al castello degli Eyre.  ” Mentre scendevamo, dopo la visita al tetto merlato, passammo davanti a una pesante porta di legno che, ci spiegò il giovane padrone di casa, conduceva agli appartamenti della servitù all’ultimo piano. – Si dice, – ci raccontò, – che la prima padrona di North Less Hall fu rinchiusa là sopra in  una stanza imbottita perchè era diventata matta. Dicono che morì in un incendio-” Che storia fantastica, pensai. ”

Presto sarebbe nata Jane Eyre.

 Eyre dalla famiglia del grande maniero, Jane perchè era il secondo nome dell’amatissima sorella Emily.

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VERGOGNA, di John Maxwell Coetzee

pubblicato da: admin - 6 Settembre, 2010 @ 6:03 pm

Incredibile come la Lettura e i suoi luoghi, i rimandi, lo slancio o l’abbandono ci portino chi in una libreria, chi in un magico festival letterario ad “accoppiarci” con viscerale necessità a  uno scrittore, una terra lontana, una tematica e una storia che ci accompagnino per ore e giorni in un’altra dimensione.

Oggi è  Raffaella che ci scrive di un libro forte, da conoscere.

 

Un sabato pomeriggio d’agosto mi trovo improvvisamente presa dalla voglia irrefrenabile di fare visita ad una libreria; così, senza un preciso scopo né titoli da acquistare mi tuffo tra gli scaffali della Ubik, sezione lingua originale.Una copertina mi colpisce, è quella del romanzo Disgrace ( Vergogna) del premio Nobel per la letteratura nel 2003, John Maxwell Coetzee. Non esito a comprarlo, e sin dalle prime righe, il libro mi cattura.

In realtà, mi cattura ma mi lascia anche la sensazione di un pugno nello stomaco perché l’amarezza e la disillusione sono presenti fin da subito, accanto ad un realismo che non lascia scampo.

Siamo in Sudafrica, paese di Coetzee. Il protagonista è professor David Lurie,bianco, studioso di poesia inglese, insegnante ormai demotivato all’università di Cape Town, un “everyman”, antieroico, che privo di legami affettivi significativi ( divorziato per ben due volte con una figlia che non frequenta da anni), trascina la sua vita scandita dagli appuntamenti fissi del giovedì con la prostituta Soraya. Il suo quotidiano viene scosso dalla fugace relazione con Melanie, una giovane studentessa di colore. Ed ecco la prima “disgrace”, la vergogna. David, accusato di molestie sessuali da Melanie, viene giudicato da quello che sembra un tribunale d’inquisizione composto dai suoi stessi colleghi che vorrebbero una sua confessione e soprattutto una dichiarazione pubblica di pentimento ma egli rifiuta di confessare la sua colpa, o meglio preferisce non difendersi e lasciare l’università.

Si rifugia quindi dalla figlia Lucy,ormai adulta, che gestisce una fattoria lontana dalla metropoli, in un ambiente ostile, crudo ed inospitale ma a cui lei è legata perché viverci diventa la dimostrazione che ha saputo cavarsela da sola. David deve adattarsi e cerca di aiutare come può, assistendo una veterinaria, coltivando la terra, assecondando Lucy nelle sue scelte. Un altro evento sconvolge l’esistenza di padre e figlia , la seconda “ disgrace”. La fattoria viene rapinata da una gang di neri, David selvaggiamente picchiato, Lucy violentata dal gruppo. Quest’ ultima però si rifiuta di sporgere denuncia e tace la grave violenza. Per integrarsi in un ambiente che vive il post-apartheid in modo contraddittorio, ella accetta questa umiliazione. Accetta di provare vergogna, quasi che il suo accettare potesse sanare, almeno in parte, il male fatto dalla società agli uomini di colore negli anni precedenti, una sorta di “ riparazione collettiva”…  Il padre invece non resiste , non condivide questa scelta e torna in città ,poiché il conflitto tra i due è ormai insanabile.

David si aggira come una fantasma per Capetown, i vecchi colleghi lo rifuggono, ed egli prova inutilmente a riallacciare il rapporto con la sua studentessa. Alla fine torna all’unico legame che veramente lo abbia fatto sentire “ vivo”, quello con Lucy che trova incinta dopo la violenza subita e decisa a tenere il bambino.

Il romanzo termina con David, trasformato in uno psicopompo. Aiuta infatti una veterinaria amica di Lucy ad abbattere animali affetti da malattie inguaribili. “L’insistenza di Coetzee sulle procedure per la uccisione di animali affetti da malattie inguaribili, fino alla meticolosa descrizione del trasporto e dell’incenerimento  delle  carcasse, non è deriva maniacale né del racconto né del protagonista. David è ormai solo, isolato dal mondo degli uomini  trova conforto nel fiato d’un cane azzoppato, nella fisicità di quella lingua che gli insaliva la mano mentre egli intona due note demenziali ad un vecchio mandolino,  simbolo d’una creatività che non cresce, d’una vita che non palpita più, della sua vecchiaia che sente incombente, ineluttabile”. E’ con l’animale che muore tra le sue braccia che si chiude l’ultimo capitolo.

“Vergogna “ è un romanzo amaro quanto profondo, ben scritto e ricco di spunti e tematiche, la crisi dell’uomo di mezza età, la crisi di un paese, la catarsi attraverso il dolore… Un libro che ancora una volta consiglio alle lettrici e ai lettori del blog.

 

Raffaella M.

 

  

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RITRATTO DI SIGNORA, di Henry James

pubblicato da: admin - 5 Settembre, 2010 @ 3:27 pm

Il capolavoro di Henry James è senz’altro un romanzo, come molti altri, da rileggere. Fa parte da tempo della mia biblioteca come parecchi altri libri che raccontano storie di donne. E’ un argomento che mi tocca da vicino, non solo come donna , ma come testimone di un mondo in cui il nostro sesso ha combattuto a lungo ed ancora combatte per raggiungere pari dignità e importanza del  mondo maschile.

 Ecco la  risposta a Cristina: il nostro cammino come donne protagoniste e come narratrici sono le mie prime scelte in fatto di lettura,  ovviamente poi  amo gli autori, non importa se maschi o femmine,  che si pongono le grandi domande sul senso della vita umana. Mi piacciono i libri gialli, i libri divertenti, quelli in cui, pur nella semplicità, hanno qualcosa in cui io posso ritrovarmi e rinnovarmi.

Dai post o commenti che invierete si evinceranno anche le vostre letture preferite. E il confronto sarà senz’altro proficuo.

“Ritratto di signora” mi è venuto in mente leggendo il libro appena regalatomi da Renata dove alcune importanti future scrittrici ( vi saprò dire più avanti chi sono) si pongono l’eterna domanda del perchè le donne sono considerate meno importanti dell’uomo.

Isabel Archer potrebbe finalmente dare una svolta al percorso femminile di fine Ottocento, ma non ci riuscirà. Eppure sembra la vera Ragazza Americana Moderna piena di desiderio di libertà ed indipendenza e pronta ad affrontare la vita con coraggio. Rimane invece forse perchè vittima di un’ Europa retrograda e subdola o forse per ferrei rigori morali personali, prigioniera di se stessa. Un critico ne parla come di “una sorta di personaggio pirandelliano in cerca di un autore”.

Che cosa ci suggerisce Henry James  dall’animo così sensibile ed empatico e che riesce ad  entrare nei meandri più nascosti della psiche femminile? Che Isabelle non era libera anche se  credeva di esserlo. Alla fine sembra ribellarsi all’odioso matrimonio con Osmond, ma non se ne andrà. E’ come se si trovasse davanti a un vicolo senza uscita. Dalle pagine della veglia notturna di  Isabel, nel magnifico capitolo XLII,  l’immagine del “muro cieco” ritorna ossessivamente.

Insomma noi donne possiamo vivere la nostra vita senza sensi di colpa, senza rigori morali introiettati da secoli, senza  rinunce o  senza compromessi? Oggidì è possibile nel nostro mondo occidentale reputarci veramente libere delle nostre scelte? O dobbimo rinunciare a una parte importante della nostra esistenza come fa la Nora di Ibsen?

L’incanto di questo romanzo è  amche portarci anche in ambienti affascinanti e  particolari come quello descritto nell’incipit : “In circostanze adatte, poche ore nella vita sono più piacevoli dell’ora dedicata alla cerimonia col nome del tè del pomeriggio.” Siamo su un prato inglese, in un dorato tardo pomeriggio d’estate “L’ora vera e propria del crepuscolo era ancora lontana; e tuttavia il torrente della luce estiva aveva cominciato a calare, l’aria si era fatta tenue, e sull’erba fitta si allungavano le ombre.”

Non solo, leggendo andremo a Venezia, Firenze, Roma, gusteremo la descrizione di opere d’arte, percorreremo  le stanze del clustrofobico Palazzo Roccanera, che ha “un milione di finestre” le possibilità di fuga e libertà, ma che Isabel non è ancora pronta ad attraversare completamente. Perchè?

                                                                                                                                                         *   *   *   *

E’ una settembrina domenica pomeriggio. Mi è venuta un’urgente necessità di dolce; ho infornato una tortina con le pèsche, poi mi dedicherò (prima di andare al cinema a vedere Somewhere) a una lieve cerimonia del tè.

Ringrazio Cristina e Donatella per le poesie inviatemi, Miki per il saluto di bentornata, Klaudia che ha commentato Lila Lila, Raffaella e tutte gli altri…

Buona rentrée come dicono in Francia!

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ANGELI A QUATTRO ZAMPE, di Allen & Linda Anderson

pubblicato da: admin - 4 Settembre, 2010 @ 6:09 pm

liguria 2010 092No, non sono blasfema. E’ il titolo del libro trovato stamattina nella biblioteca di Trento. Ho trovato  anche  (finalmente)  un romanzo di Doctorow e uno di una scrittrice italiana. Ve ne parlerò più avanti.

Avete capito che ogni tanto devo leggere e parlare di gatti. Questo libro racconta 35 storie vere in cui un gatto “si trasforma nell’angelo custode del proprio padrone“.

Come non pensare alla mia Mimilla che nel solitario mese di Borzonasca mi ha fatto compagnia, mi ha consolato, divertito, e forse anche curato… Sappiamo tutti ormai, noi gattofili, che esiste una pet- teraphy e che la vicinanza di un gatto che fa le fusa abbassa la pressione sanguigna, attenua la depressione e allunga la vita.

 Ecco riportato dai due coniugi Anderson il racconto di Carol Smith, del Maine, in cui troviamo una gattina-infermiera  che le ha praticamente salvato la vita. Sofferente di cuore veniva svegliata regolarmente dalla gatta quando nel sonno una fortissima aritimia sembrava potesse femarle il cuore. Quando il cardiologo venne a conoscenza di ciò le disse che la gatta si era comportata come un vero pacemaker. Da quando ha lo stimolatore cardiaco  non viene più svegliata.

Di nuovo, oltre tutto quello che so circa i miei amati piccoli felini, apprendo della loro natura spirituale. “Perche ci affascinano tanto?” si chiedono gli Anderson “Sono forse messaggeri giunti fino a noi come strumenti di Dio, per confortarci attraverso le tempeste della vita? Con la loro disponibilità ad ascoltare in silenzio ed il loro sguardo franco ed esente da critiche, chissà se sono lì ad assicurarci che, a prescindere da quanto possa accadere, tutto si svolge secondo un ordine divino?”

Non va dimenticata la leggenda secondo la quale al momento della nascita di Gesù, sotto la mangiatoia c’era una gatta che diede alla luce i suoi piccoli. Questa allegoria compare a più riprese in diversi dipinti che rappresentano la Natività, tra cui uno di Leonardo da Vinci.

Ecco nella foto la mia intrepida Mimilla che come un piccole custode, non so se “angioletto “nero, mi  ha sempre sorvegliato sia dalla terrazza, dal giardino, in casa, di giorno e di notte. La sua affettuosa attenzione non è mai venuta meno, e come un lare domestico,  ha accompagnato sia nella sua veglia che nei suoi riposi beati i miei pensieri lieti o ombrosi.

Scrive Eugenio Montale in “Liuba che parte“:

Gatto del focolare /or ti consiglia / alla dispersa tua famiglia. /Rechi con te ravvolta, / gabbia o cappelliera? / Sovrasta i ciechi tempi/ come il flutto arca leggera/ e basta al tuo riscatto.”

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MARINA CVETAEVA, MIA MADRE di Ariàdna Efròn

pubblicato da: admin - 3 Settembre, 2010 @ 6:15 pm

scansione0001Tornata finalmente nell’ appartamento di Trento, mi sono rituffata tra le mie scrittrici preferite, tutte in una fila – pur se un po’ disordinatamente- nell’alto scaffale di legno. Guardo i libri della Yourcenar,  Woolf,  Blixen , nominate ieri da Enza,  ma mi fermo sulla  biografia di una poetessa russa che da sempre mi affascina: Marina Cvetàeva.

Nata a Mosca nel 1892, Marina dimostra presto un carattere autonomo formandosi culturalmente soprattutto con letture private. Predilige i romantici tedeschi e russi, ma all’inizio della sua produzione poetica si legherà al simbolismo russo.

La sua vita è un alternarsi di poche gioie coniugali e di grandi separazioni, di intense amicizie con i grandi contemporanei e di periodi di abbandono e solitudine. 

Appena diciasettenne incontra e sposa  Sergej Efròn che le darà tre figli, ma dal quale per ragioni politiche vivrà spesso lontana.

Nel febbraio 1917, allo scoppio della rivoluzione bolscevica, Marina  si trova a Mosca dove rimane  per cinque anni , con le prime due figlie , ma senza il marito, patendo la fame. La figlia più piccola morirà infatti per denutrizione.

Dal 1922 al 1925 si ricongiunge con il marito a Praga.

Tornati in Russia Marina Cvetàeva, suo marito Sergej, la prima figlia  Ariàdna e il terzo figlio verranno considerati traditori del partito. La figlia arrestata, il marito e il figlio fucilati.

Marina non regge più alle traversie, alla miseria, alla solitudine, al dolore. Si toglie la vita il  il 31 agosto 1941.

La sua vita, le sue poesie ci vengono raccontate dalla figlia Ariàdna Efròn la quale, riabilitata nel 1955, si dedica a recuperare gli scritti della madre  e ad occuparsi di letteratura fino alla sua morte.

A sei  anni, nel 1918, Ariàdna scrive di sua madre:

“Mia madre è molto strana. Mia madre non somiglia affatto a una madre. Le madri ammirano sempre il loro bambino e i bambini in genere, invece a Marina non piacciono i bambini piccoli. Ha i capelli castano chiari, che si arricciano ai lati. Ha gli occhi verdi, il naso con la gobba e le labbra rosa….E’ malinconica, svelta, ama la Poesia e la Musica. Scrive poesie. …Si arrabbia e ama. Deve sempre correre da qualche parte. Ha un cuore grande così. La voce dolce. Il passo rapido. Marina di notte legge. Ha quasi sempre gli occhi che prendono in giro. Non le piace essere tormentata con domande stupide, allora si arrabbia molto.

Qualche volta va in giro come persa, ma all’improvviso pare come che si svegli e comincia a parlare, e poi di nuovo sembra che parta per chissà dove.”

Commovente, lucida, intensa questa descrizione da parte di una bambina per una madre amatissima, ammirata, elusiva che sembra sfiorare soltanto il mondo dell’infanzia per astrarsi completamente nel mondo della poesia.

Ariàdna ci rivela comunque  di aver imparato tutto da sua madre: vivere con fantasia i momenti difficili e bui, a godere del dono sublime della poesia e dell’amicizia. E di amicizie importanti Marina ne gode, da Majakovskij, Pasternak, Rilke, la Achmatova.

Leggiamo della vita dell’esilio e della costante nostalgia della patria diversa e perduta:

“Nostalgia della patria/ da tempo logorio smascherato / Per me è assolutamente uguale – DOVE assolutamente sola…/Per me è uguale, in mezzo a quali / volti aizzarmi come accerchiato / leone, l’umana cerchia dalla quale / esser respinta -inevitabilmente -…”

Così inizia una delle più belle poesie della Cvetàeva, tutta volta a dimostrare come per lei non facesse differenza dove rimanere comunque sola. Ma negli ultimi due  versi ecco la virata verso qualcosa di familiare e consolatorio. “Ma se per strada trovo / un cespuglio, specie se un sorbo…”

La poesia sempre consolatoria per me in questo momento di piccola  migrazione.

Qui mi sento più “a casa”, più me stessa, anche se mi occorre un po’ di tempo per “centrarmi” veramente, ancora rivestita dall’atmosfera di un altro contesto.

Quale il luogo fermo, la casa, dove raccogliere il vostro “sè” ed aventualmente partire per altri lidi, sapendo però di tornare nel vostro porto sicuro?

Ora, per me, è questo luogo, un domani sarà forse un altro, ma devo sentirmelo come una darsena da dove partire e ritornare.

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LA SCRITTRICE ABITA QUI, Sandra Petrignani

pubblicato da: admin - 2 Settembre, 2010 @ 6:10 pm

 

Dalla cara Enza, viaggiatrice eccellente, che ci organizzerà un viaggio a Guernsey, un post che ci porta in vari paesi e ci fa entrare nelle case di grandi scrittrici.

 Il titolo di questo libro mi ha subito incuriosito e leggendone la presentazione ho capito il perché, infatti esso parla di lettura e di viaggi. Sono stata così portata in giro per il mondo, grazie alla fortunata autrice che è riuscita ad effettuare un reale pellegrinaggio dalla Sardegna di Grazia Deledda, all’America di Marguerite Yourcenar, dalla Francia di Colette, all’Africa e la Danimarca di Karen Blixen, e all’Inghilterra di Virginia Woolf, rendendomi così partecipe di questi incontri speciali. 

Un lunghissimo e curioso viaggio quindi in case-museo che, attraverso mobili e suppellettili, stanze e giardini, raccontano la storia sentimentale delle più significative scrittrici del Novecento.

L’autrice le cerca nei loro oggetti, nei loro diari, nella poltrona in cui si sedevano, nel portafortuna da cui non si separavano e, in alcuni casi, nell’incontro con le persone che ancora conservano un loro vivo ricordo. 

I luoghi, le case, gli oggetti e gli incontri anche loro protagonisti di una storia unica e spesso si ha la sensazione che le scrittrici in persona aprano la porta e svelino sottovoce i segreti della vita coniugale, le passioni travolgenti e tutto ciò che le hanno rese grandi, ma anche donne tremendamente vulnerabili. Alle loro vicende s’intrecciano quelle dei loro uomini e delle loro amiche che hanno contribuito a fare del Novecento un secolo leggendario. 

Nelle foto, di cui è corredato il libro, come in un vecchio album di famiglia, si riconoscono luoghi e persone, che diventano così parte anche della nostra vita.

Sandra Petrignani ascolta “la voce delle cose” e la traduce nelle affascinanti storie di questo libro.

“Il destino di un altro serve sempre a spiegare qualcosa” (Karen Blixen).

Enza B.

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LA DONNA DELLE ROSE, ancora a Guernsey

pubblicato da: admin - 1 Settembre, 2010 @ 3:47 pm

Dall’India presentataci da Enza passando ancora una volta sull’isola di Guernsey grazie a un romanzo che ci riassume Donatella, alle case di scrittrici di cui domani,  ci scriverà Enza.

Ringrazio dunque le care amiche lettrici che mi permettono di preparare bagagli, sistemare e chiudere la casa e di intraprendere un viaggio di ritorno un po’ pesante soprattutto per il pensiero della mia Mimilla in gabbia.

La parola a Donatella

 
Ho letto con molto interesse il post di Stefania.
L’isola di Guernsey ho visto che attira molto le lettrici del Blog.
A me è venuto in mente un altro libro “La donna delle rose” di Charlotte Link, la cui trama si solge proprio a Guernsey, nel canale della Manica ai tempi dell’occupazione tedesca. E’ una storia intensa fatta di descrizioni dell’isola, di guerra e di amore. Un amore grandissimo, un amore per il quale si rischia anche la vita, un amore di una vita.
La storia è di una donna alla ricerca di se stessa che capita casualmente in una casa dove vivono due donne anziane. Subito percepisce attorno alla casa una cortina di mistero, un odio profondo, tensioni e rivalità tra le due donne. Piano piano si scopre il perchè queste due donne, nonostante l’età siano in eterno conflitto tra loro e nello stesso tempo sono nell’impossibilità di staccarsi una dall’altra. Il segreto sta nel passato: ai tempi appunto dell’occupazione tedesca che ha completamente stravolto la loro vita, che ha completamente stravolto la vita a Guernsey.
 
Beatrice presagiva la tragedia che avrebbe  seguito il il corso ineluttabile , ma non riuscì a dire una parola, non riuscì a fare un solo gesto per impedirla.  Tranne Erick, erano tutti paralizzati, immobili, impietriti dall’odio che si leggeva nei suoi occhi. Erich sparò, ma fallì il bersaglio. Il proiettile sfiorò Pierre prima di conficcarsi nel terreno. Pierre non si mosse. “scappa!” gridò Beatrice “scappa!” Erich sparò di nuovo, e questa volta colpi Pierre a una gamba, lo aveva raggiunto al di sotto del ginocchio. Finalmente libero dalla paralisi che lo aveva attanagliato, Pierre tentò di allontanarsi strasciando nell’erba. “la pistola!” gridò Beatrice. “Pierre, la pistola! Rispondi al fuoco!” Sparagli”. Nonostante il panico, Pierre capì che cosa intendeva: l’arma del soldato, ancora privo di sensi. Si girò Erick sparò ancora. Ferì di nuovo alla gamba il giovane francese, che proprio in quel momento stava per estrarre la pistola dalla fondina, e quel colpo lo fece ricadere a terra. Erick avanzò di due passi. Lui aspettava. Aspettò finchè Pierre, con il volto grigio per il dolore, riuscì a risollevarsi e a girasi, a raggiungere per la seconda volta la pistola che era proprio davanti a lui. Attese addirittura che Pierre avesse preso l’arma e tolto la sicura, che si fosse girato di nuovo per prendere la mira. Spararono nello stesso istante…”
 
Vedi Mirna come un post tira l’altro? E’ fantastico!
 
 
 
Donatella

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L'ULTIMA CANZONE, di Siddhart Dhanvant Shangvi

pubblicato da: admin - 31 Agosto, 2010 @ 7:05 pm

Ancora alcuni giorni di “esilio” che posso dedicare al riordino della casa e  all’incontro desiderato  con la cara amica Renata che mi ha donato un libro che so già gusterò come un prelibato liquore…ve ne parlerò a lettura ultimata.

Intanto sono grata a Camilla che ci racconta con entusiasmo dei nuovi romanzi…non vedo l’ora di rimettermi in carreggiata seguendo i suoi consigli. Intanto aspetteremo le notizie dal Festival di Sarzana.

E grazie ad Enza che mi ha permesso, con questo suo post, di trascorrere l’intera giornata limpidissima a Chiavari.

 

Qualche anno fa, mentre mi preparavo per andare in ufficio, la televisione stava trasmettendo un’intervista ad un giovane indiano. Mi sono così fermata ad ascoltare affascinata le sue parole.

Si trattava di Siddharth Dhanvant Shanghvi che raccontava di aver vissuto fino a 14 anni in una casa costruita sopra un albero, nella natia Bombay, che aveva studiato in India, Inghilterra e Stati Uniti e a Londra era riuscito a farsi offrire da bere raccontando agli amici le storie che costituiscono il nucleo iniziale del suo primo romanzo.

 Dopo aver scritto per diversi giornali e riviste era poi tornato in India con due master in giornalismo e comunicazioni di massa e, su consiglio della madre, aveva aperto una pizzeria a Bombay. Due mesi dopo l’inaugurazione aveva inviato al suo agente “L’ultima canzone”, questo è il titolo del romanzo, che un anno dopo sarebbe diventato un best seller in India e Inghilterra

La storia di questo avventuroso giovane mi ha spinto così a cercare questo libro e non me ne sono pentita. Sono stata trasportata nell’India degli anni Venti, in un mondo in cui la tradizione si mescola alla modernità, attraverso le vicende di Anuradha, che, lasciato il Rajasthan, raggiunge Bombay per sposare l’uomo che i genitori hanno scelto per lei.

Da qui inizia una magica saga familiare, sospesa tra imperativi sentimentali e il desiderio di bellezza, permeato da sofferenza e tenerezza, non trascurando i grandi temi dell’esistenza trattati comunque con irriverente leggerezza e profonda compassione e ci viene regalato il fascino di un’India sospesa tra la modernità e la tradizione con uno stile carnale e colorat

Non sono stata delusa dalla lettura di questa storia che avrei voluto non finisse mai.

“In questa vita, mia cara, non c’è pietà” è l’incipit del volume ed è la frase che la madre rivolge alla figlia che sta per partire per Bombay per sposare l’uomo a lei predestinato.

Enza B.

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