MARINA CVETAEVA, MIA MADRE di Ariàdna Efròn

pubblicato da: admin - 3 Settembre, 2010 @ 6:15 pm

scansione0001Tornata finalmente nell’ appartamento di Trento, mi sono rituffata tra le mie scrittrici preferite, tutte in una fila – pur se un po’ disordinatamente- nell’alto scaffale di legno. Guardo i libri della Yourcenar,  Woolf,  Blixen , nominate ieri da Enza,  ma mi fermo sulla  biografia di una poetessa russa che da sempre mi affascina: Marina Cvetàeva.

Nata a Mosca nel 1892, Marina dimostra presto un carattere autonomo formandosi culturalmente soprattutto con letture private. Predilige i romantici tedeschi e russi, ma all’inizio della sua produzione poetica si legherà al simbolismo russo.

La sua vita è un alternarsi di poche gioie coniugali e di grandi separazioni, di intense amicizie con i grandi contemporanei e di periodi di abbandono e solitudine. 

Appena diciasettenne incontra e sposa  Sergej Efròn che le darà tre figli, ma dal quale per ragioni politiche vivrà spesso lontana.

Nel febbraio 1917, allo scoppio della rivoluzione bolscevica, Marina  si trova a Mosca dove rimane  per cinque anni , con le prime due figlie , ma senza il marito, patendo la fame. La figlia più piccola morirà infatti per denutrizione.

Dal 1922 al 1925 si ricongiunge con il marito a Praga.

Tornati in Russia Marina Cvetàeva, suo marito Sergej, la prima figlia  Ariàdna e il terzo figlio verranno considerati traditori del partito. La figlia arrestata, il marito e il figlio fucilati.

Marina non regge più alle traversie, alla miseria, alla solitudine, al dolore. Si toglie la vita il  il 31 agosto 1941.

La sua vita, le sue poesie ci vengono raccontate dalla figlia Ariàdna Efròn la quale, riabilitata nel 1955, si dedica a recuperare gli scritti della madre  e ad occuparsi di letteratura fino alla sua morte.

A sei  anni, nel 1918, Ariàdna scrive di sua madre:

“Mia madre è molto strana. Mia madre non somiglia affatto a una madre. Le madri ammirano sempre il loro bambino e i bambini in genere, invece a Marina non piacciono i bambini piccoli. Ha i capelli castano chiari, che si arricciano ai lati. Ha gli occhi verdi, il naso con la gobba e le labbra rosa….E’ malinconica, svelta, ama la Poesia e la Musica. Scrive poesie. …Si arrabbia e ama. Deve sempre correre da qualche parte. Ha un cuore grande così. La voce dolce. Il passo rapido. Marina di notte legge. Ha quasi sempre gli occhi che prendono in giro. Non le piace essere tormentata con domande stupide, allora si arrabbia molto.

Qualche volta va in giro come persa, ma all’improvviso pare come che si svegli e comincia a parlare, e poi di nuovo sembra che parta per chissà dove.”

Commovente, lucida, intensa questa descrizione da parte di una bambina per una madre amatissima, ammirata, elusiva che sembra sfiorare soltanto il mondo dell’infanzia per astrarsi completamente nel mondo della poesia.

Ariàdna ci rivela comunque  di aver imparato tutto da sua madre: vivere con fantasia i momenti difficili e bui, a godere del dono sublime della poesia e dell’amicizia. E di amicizie importanti Marina ne gode, da Majakovskij, Pasternak, Rilke, la Achmatova.

Leggiamo della vita dell’esilio e della costante nostalgia della patria diversa e perduta:

“Nostalgia della patria/ da tempo logorio smascherato / Per me è assolutamente uguale – DOVE assolutamente sola…/Per me è uguale, in mezzo a quali / volti aizzarmi come accerchiato / leone, l’umana cerchia dalla quale / esser respinta -inevitabilmente -…”

Così inizia una delle più belle poesie della Cvetàeva, tutta volta a dimostrare come per lei non facesse differenza dove rimanere comunque sola. Ma negli ultimi due  versi ecco la virata verso qualcosa di familiare e consolatorio. “Ma se per strada trovo / un cespuglio, specie se un sorbo…”

La poesia sempre consolatoria per me in questo momento di piccola  migrazione.

Qui mi sento più “a casa”, più me stessa, anche se mi occorre un po’ di tempo per “centrarmi” veramente, ancora rivestita dall’atmosfera di un altro contesto.

Quale il luogo fermo, la casa, dove raccogliere il vostro “sè” ed aventualmente partire per altri lidi, sapendo però di tornare nel vostro porto sicuro?

Ora, per me, è questo luogo, un domani sarà forse un altro, ma devo sentirmelo come una darsena da dove partire e ritornare.

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LA SCRITTRICE ABITA QUI, Sandra Petrignani

pubblicato da: admin - 2 Settembre, 2010 @ 6:10 pm

 

Dalla cara Enza, viaggiatrice eccellente, che ci organizzerà un viaggio a Guernsey, un post che ci porta in vari paesi e ci fa entrare nelle case di grandi scrittrici.

 Il titolo di questo libro mi ha subito incuriosito e leggendone la presentazione ho capito il perché, infatti esso parla di lettura e di viaggi. Sono stata così portata in giro per il mondo, grazie alla fortunata autrice che è riuscita ad effettuare un reale pellegrinaggio dalla Sardegna di Grazia Deledda, all’America di Marguerite Yourcenar, dalla Francia di Colette, all’Africa e la Danimarca di Karen Blixen, e all’Inghilterra di Virginia Woolf, rendendomi così partecipe di questi incontri speciali. 

Un lunghissimo e curioso viaggio quindi in case-museo che, attraverso mobili e suppellettili, stanze e giardini, raccontano la storia sentimentale delle più significative scrittrici del Novecento.

L’autrice le cerca nei loro oggetti, nei loro diari, nella poltrona in cui si sedevano, nel portafortuna da cui non si separavano e, in alcuni casi, nell’incontro con le persone che ancora conservano un loro vivo ricordo. 

I luoghi, le case, gli oggetti e gli incontri anche loro protagonisti di una storia unica e spesso si ha la sensazione che le scrittrici in persona aprano la porta e svelino sottovoce i segreti della vita coniugale, le passioni travolgenti e tutto ciò che le hanno rese grandi, ma anche donne tremendamente vulnerabili. Alle loro vicende s’intrecciano quelle dei loro uomini e delle loro amiche che hanno contribuito a fare del Novecento un secolo leggendario. 

Nelle foto, di cui è corredato il libro, come in un vecchio album di famiglia, si riconoscono luoghi e persone, che diventano così parte anche della nostra vita.

Sandra Petrignani ascolta “la voce delle cose” e la traduce nelle affascinanti storie di questo libro.

“Il destino di un altro serve sempre a spiegare qualcosa” (Karen Blixen).

Enza B.

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LA DONNA DELLE ROSE, ancora a Guernsey

pubblicato da: admin - 1 Settembre, 2010 @ 3:47 pm

Dall’India presentataci da Enza passando ancora una volta sull’isola di Guernsey grazie a un romanzo che ci riassume Donatella, alle case di scrittrici di cui domani,  ci scriverà Enza.

Ringrazio dunque le care amiche lettrici che mi permettono di preparare bagagli, sistemare e chiudere la casa e di intraprendere un viaggio di ritorno un po’ pesante soprattutto per il pensiero della mia Mimilla in gabbia.

La parola a Donatella

 
Ho letto con molto interesse il post di Stefania.
L’isola di Guernsey ho visto che attira molto le lettrici del Blog.
A me è venuto in mente un altro libro “La donna delle rose” di Charlotte Link, la cui trama si solge proprio a Guernsey, nel canale della Manica ai tempi dell’occupazione tedesca. E’ una storia intensa fatta di descrizioni dell’isola, di guerra e di amore. Un amore grandissimo, un amore per il quale si rischia anche la vita, un amore di una vita.
La storia è di una donna alla ricerca di se stessa che capita casualmente in una casa dove vivono due donne anziane. Subito percepisce attorno alla casa una cortina di mistero, un odio profondo, tensioni e rivalità tra le due donne. Piano piano si scopre il perchè queste due donne, nonostante l’età siano in eterno conflitto tra loro e nello stesso tempo sono nell’impossibilità di staccarsi una dall’altra. Il segreto sta nel passato: ai tempi appunto dell’occupazione tedesca che ha completamente stravolto la loro vita, che ha completamente stravolto la vita a Guernsey.
 
Beatrice presagiva la tragedia che avrebbe  seguito il il corso ineluttabile , ma non riuscì a dire una parola, non riuscì a fare un solo gesto per impedirla.  Tranne Erick, erano tutti paralizzati, immobili, impietriti dall’odio che si leggeva nei suoi occhi. Erich sparò, ma fallì il bersaglio. Il proiettile sfiorò Pierre prima di conficcarsi nel terreno. Pierre non si mosse. “scappa!” gridò Beatrice “scappa!” Erich sparò di nuovo, e questa volta colpi Pierre a una gamba, lo aveva raggiunto al di sotto del ginocchio. Finalmente libero dalla paralisi che lo aveva attanagliato, Pierre tentò di allontanarsi strasciando nell’erba. “la pistola!” gridò Beatrice. “Pierre, la pistola! Rispondi al fuoco!” Sparagli”. Nonostante il panico, Pierre capì che cosa intendeva: l’arma del soldato, ancora privo di sensi. Si girò Erick sparò ancora. Ferì di nuovo alla gamba il giovane francese, che proprio in quel momento stava per estrarre la pistola dalla fondina, e quel colpo lo fece ricadere a terra. Erick avanzò di due passi. Lui aspettava. Aspettò finchè Pierre, con il volto grigio per il dolore, riuscì a risollevarsi e a girasi, a raggiungere per la seconda volta la pistola che era proprio davanti a lui. Attese addirittura che Pierre avesse preso l’arma e tolto la sicura, che si fosse girato di nuovo per prendere la mira. Spararono nello stesso istante…”
 
Vedi Mirna come un post tira l’altro? E’ fantastico!
 
 
 
Donatella

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L'ULTIMA CANZONE, di Siddhart Dhanvant Shangvi

pubblicato da: admin - 31 Agosto, 2010 @ 7:05 pm

Ancora alcuni giorni di “esilio” che posso dedicare al riordino della casa e  all’incontro desiderato  con la cara amica Renata che mi ha donato un libro che so già gusterò come un prelibato liquore…ve ne parlerò a lettura ultimata.

Intanto sono grata a Camilla che ci racconta con entusiasmo dei nuovi romanzi…non vedo l’ora di rimettermi in carreggiata seguendo i suoi consigli. Intanto aspetteremo le notizie dal Festival di Sarzana.

E grazie ad Enza che mi ha permesso, con questo suo post, di trascorrere l’intera giornata limpidissima a Chiavari.

 

Qualche anno fa, mentre mi preparavo per andare in ufficio, la televisione stava trasmettendo un’intervista ad un giovane indiano. Mi sono così fermata ad ascoltare affascinata le sue parole.

Si trattava di Siddharth Dhanvant Shanghvi che raccontava di aver vissuto fino a 14 anni in una casa costruita sopra un albero, nella natia Bombay, che aveva studiato in India, Inghilterra e Stati Uniti e a Londra era riuscito a farsi offrire da bere raccontando agli amici le storie che costituiscono il nucleo iniziale del suo primo romanzo.

 Dopo aver scritto per diversi giornali e riviste era poi tornato in India con due master in giornalismo e comunicazioni di massa e, su consiglio della madre, aveva aperto una pizzeria a Bombay. Due mesi dopo l’inaugurazione aveva inviato al suo agente “L’ultima canzone”, questo è il titolo del romanzo, che un anno dopo sarebbe diventato un best seller in India e Inghilterra

La storia di questo avventuroso giovane mi ha spinto così a cercare questo libro e non me ne sono pentita. Sono stata trasportata nell’India degli anni Venti, in un mondo in cui la tradizione si mescola alla modernità, attraverso le vicende di Anuradha, che, lasciato il Rajasthan, raggiunge Bombay per sposare l’uomo che i genitori hanno scelto per lei.

Da qui inizia una magica saga familiare, sospesa tra imperativi sentimentali e il desiderio di bellezza, permeato da sofferenza e tenerezza, non trascurando i grandi temi dell’esistenza trattati comunque con irriverente leggerezza e profonda compassione e ci viene regalato il fascino di un’India sospesa tra la modernità e la tradizione con uno stile carnale e colorat

Non sono stata delusa dalla lettura di questa storia che avrei voluto non finisse mai.

“In questa vita, mia cara, non c’è pietà” è l’incipit del volume ed è la frase che la madre rivolge alla figlia che sta per partire per Bombay per sposare l’uomo a lei predestinato.

Enza B.

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LA FILOSOFIA DELLA SARDINA, di Robert Hughes

pubblicato da: admin - 30 Agosto, 2010 @ 8:49 pm

Fino a quest’ora, e sono le 20,30, temevo di non riuscire a mantenere il ritmo del libro quotidiano perchè il Pc e la chiavetta sembravano esausti,ma fortunatamente…un’impennata ed io posso scrivere !

Mi piace l’idea di “società letteraria” in questo scrivere e leggere di libri. Proprio ieri la mia nipote ligure Fla’, che si trovava a Borzonasca per alcuni giorni  (lei abita in Valtellina ora) mi ha detto che sta leggendo con piacere “Maximum City”, presentato da Riccardo.

E sempre  ieri, Aurelia, ha mandato questo commento su “La pianista bambina”:
Ho finito oggi di leggere la stupenda storia delle due sorelle pianiste
Zhanna e Frina: non ho le parole giuste per dire quanto mi è piaciuto.
Credevo di conoscere molto sulla Shoah, questo libro mi ha dimostrato
quanto ci sia ancora da sapere. Grazie all’autore e grazie alla
testimonianza delle due meravigliose pianiste.

 Ma rieccomi in prima persona dopo alcune giornate dedicate ai  post di cari amici e figlia.

Siamo già alla fine di agosto e per me alla fine di un periodo di isolamento durante i quali ho vissuto  momenti di malinconia, di tranquillità ed altri di pienezza estiva, grazie a questo mio giardino montaliano, alle passeggiate, al mare, agli amici del blog e a quelli (pochi) in carne e ossa.

Ma soprattutto giorni di pensieri, di riflessioni. Ecco dunque che “Le riflessioni di un pescatore mediocre” che fa da sottotitolo a questo apparentemente lieve libretto giallo mi sembrano appropriate al mio post quotidiano.

Robert Hughes  ci  racconta che la cattura di un tarpone atlantico o la visione di un marlin che corre sul pelo dell’acqua possono essere esperienze indimenticabili.

“La pesca è molto più che una passione, è una filosofia di vita, un modo speciale per entrare in contatto con se stessi e con il mondo. Il rapporto tra l’uomo e il pesce è un’attrazione fatale dietro cui si nasconde il grande legame con la natura e la fascinazione profonda del mare”

Come non pensare a Capitan Akab di “Moby Dick?” O a “Il vecchio e il mare “di Hemingway? Da sempre il mistero del mare ha alimentato la nostra fantasia. La superficie acquea era il limite della razionalità, mentre la profondità degli abissi sono stati  da sempre paragonati alle nostre inconsce paure, a un ricettacolo di demoni e mostri. L’archetipo biblico è il Leviatano. Verso il Cinquecento si sono moltiplicati e trasformati in indicibili orrori come ci racconta Edmund Spenser ne “La regina delle fate” E come non pensare alla “Ballata dell’antico marinaio” di Coleridge dove in un mare immoto vivono immersi accanto al veliero deformi figure marine?

Ma non solo citazioni o suggerimenti letterari in questo libro, ci sono anche molti ricordi personali  e aneddoti coloriti dedicati alla pésca, descrizioni naturalistiche e soprattutto “risvolti, implicazioni e significati di questa antichissima attività”.

Attività che si svolge perlopiù in solitudine e quindi permette ai pensieri di espandersi, indi raccogliersi e concentrarsi, insomma  di “filosofare”.

E’ quello che è accaduto a me in questo mese, “costretta” per scelta a un intenso, e spero, proficuo lavoro sulle mie future decisioni.

In fondo ognuno di noi ha un luogo o un tempo privilegiati per entrare in contatto con se stessi…chi ci riesce trovandosi a tu per tu con un pesce, altri nel silenzio di un giardino profumato, chi  – potrebbe essere - tra la folla, oppure nel silenzio del proprio salotto o  nello spazio metafisico della musica…o anche entrando ed uscendo dalle pagine di un libro…

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The Guernsey Literary and Potato Peel Pie Society

pubblicato da: admin - 29 Agosto, 2010 @ 6:43 pm

Finalmente mia figlia Stefania, di ritorno dagli States e su suolo italico, contribuisce con un post al blog, la presentazione di un libro letto di fresco sull’aereo e consigliatoci dalla cara amica Linda MacKenzie di Binghamton. Il libro l’avevo letto anch’io in italiano ed e’ delizioso. Ma non sono sicura del titolo italiano, cerchero’ su Internet e vi faro’ sapere!

Immaginate una delle incantevoli isole del canale della Manica; l’invasione tedesca durante la Seconda Guerra Mondiale; la costituzione in circostanze estreme e quasi comiche di un’improbabile e segreta società letteraria sull’isola di Guernsey.

E ora immaginate una giovane scrittrice di Londra – Juliet – diventata famosa con una colonna umoristica sullo Spectator negli anni di guerra: Izzy Bickerstaff va in guerra. Juliet ha due carissimi amici, il suo editore e sua sorella, un appartamento con vista sul Tamigi raso al suolo dai bombardamenti e, da poco, un misterioso ammiratore che le fa avere mazzi di fiori in tutte le tappe della presentazione del suo nuovo libro tratto dai “pezzi” di Izzy Bickerstaff.

L’incontro di questi due mondi – la comunità di Guernsey e la vita di Juliet – si intrecciano a causa (o grazie) a un libro, un libro venduto da Juliet anni prima e venuto in possesso di un abitante dell’isola, Dawsey Adams. Dal momento in cui Dawsey scrive a Juliet comunicandole la sua passione per  Charles Lamb, le vite di molti cambieranno per sempre.

Quale miglior specchio del nostro prezioso blog di un libro che parla di libri e di vite che cambiano attraverso i libri? Juliet si chiede dopo la lettera di Dawsey:

Mi chiedo come il libro sia arrivato a Guernsey.. Forse c’è una segreta forma di istinto domestico nei libri, che li porta ai loro lettori perfetti.

A causa di un maiale nascosto e cucinato di nascosto dai nazisti che occupano l’isola, alcuni abitanti fondano la Società letteraria di Guernsey e della torta di bucce di patate (questa la traduzione letterale…). I soci si trovano una volta in settimana e a turno presentano il libro che hanno letto. Grazie a questo gruppo, persone che non hanno mai visto un libro in vita loro iniziano a leggere Seneca e Shakespeare e a recitarne le massime e i versi.

Le lettere fra i personaggi – Juliet al suo editore e a Dawsey, Juliet al suo misterioso corteggiatore e piano piano tutti i membri della Società Letteraria a Juliet – scorrono veloci. Il romanzo e il suo intreccio emergono attraverso lettere e brevi note piene di humour come quelle fra Juliet e Mark che vuole sposarla:

M: Cara Juliet, non voglio vedere la recita altri che con te. Infatti non me ne frega niente della recita. Sto solo tentando di tirarti fuori da quell’appartamento. Cena? Tè? Cocktails? Barca? Ballo? Scegli e io obbedirò. Sono raramente così docile – non gettare via l’opportunità di migliorare il mio carattere. Tuo, Mark.

J: Caro Mark, vuoi venire con me al British Museum? Ho un appuntamento alla sala di lettura alle 14. Possiamo poi vedere le mummie. Juliet.

M: Al diavolo la sala lettura e le mummie. Vieni a pranzo con me. Mark.

J: consideri questo essere docile?

M: Al diavolo l’essere docile.

Nel 1946, Juliet riceverà lettere da tutti i membri della Società letteraria, preparerà il suo articolo per il Times sull’utilità ed il beneficio della lettura in ogni circostanza e scoprirà la storia affascinante di una comunità a cui tutti noi vorremmo appartenere. Una comunità nutrita dai libri ma pronta all’amore e alla generosità in tempi difficili. Le storie drammatiche degli abitanti di Guernsey all’indomani dell’invasione tedesca emergeranno dalle lettere a Juliet e porteranno la nostra protagonista a voler conoscere di persona questa “isola utopica” di gesti umani e di bellezza.

Ho letto questo piccolo volumetto tutto d’un fiato in aereo tornando a casa. Alla fine ero così triste che ho ricominciato a leggerlo immediatamente e ho riso e sorriso nuovamente dinanzi alla sua grazia, leggerezza e profondità di scrittura. Mary Ann Shaffer, l’autrice, che ha lavorato anni e anni a questo progetto, è putroppo mancata nel 2008 e prima di morire ha chiesto alla nipote Annie Barrows di portare a termine i cambiamenti richiesti dall’editore. Ringrazio Linda MacKenzie che lo aveva consigliato a me e mamma circa un anno fa.

E’ una lettura charmant e commovente al tempo stesso. E’ un libretto che tutti vorremmo avere in casa per i tempi difficili. E’ un libretto che ci ricorda il valore dell’amicizia e della lettura.

SN

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THE HISTORY OF LOVE, di Nicole Krauss

pubblicato da: admin - 28 Agosto, 2010 @ 6:15 pm
 Ho ricevuto oggi una lunga e bellissima mail da Valentina.
Mi parla di libri, di una nuova libreria, della sua intenzione di portarvi la sua bambina che nascerà fra poco …”Ma è un post magnifico per il blog!” mi dico!
 E non solo si intreccia saldamente al consiglio di lettura della mia amica americana Linda, ma è piena di altri bellissimi spunti. Soprattutto è un pezzetto dolce, forte, colorato e luminoso della  vita di una bella mamma in attesa..
Grazie Valentina!
 
 
Ho letto che la tua amica  accenna a Nicole Krauss, “The history of love.”
Io l’ho letto in italiano. Per certi versi ricorda un po’ Jonathan Safran Foer (che poi è suo marito, se non dico bestialità) e i suoi ‘Molto forte, incredibilmente vicino’ e ‘Ogni cosa è illuminata’ (non so se li hai letti: imperdibili, togli-fiato entrambi – poi di ‘Ogni cosa è illuminata’ c’è anche il film, bellissimo), ma è comunque un libro che arricchisce. Se ti fa piacere, te lo presto molto molto volentieri.
‘La storia dell’amore’ è davvero la storia dell’amore, di tanti amori: dell’amore-amicizia, dell’amore mamma-figli, dell’amore tra bambini e tra grandi, dell’amore che sembra sparire ma sempre resta. Mi fa piacere scrivere  le frasi che mi hanno colpita di più di quel libro e che ho ricopiato, per intenderci ecco dove ho fatto l’orecchia alle pagine, o ecco dove ho sottolineato a matita, ecco insomma dove sono “inciampata nella poesia”:
 
«c’era un volta un ragazzo che amava una ragazza, e la sua risata era una domanda a cui lui avrebbe voluto rispondere per il resto della sua vita»
 
«ma lei non tornò. E nonostante tu fossi ormai grande, ti sentisti perso come un bambino. E nonostante il tuo orgoglio fosse a pezzi, ti sentisti immenso come il tuo amore per lei. Se n’era andata e tutto ciò che restava era lo spazio nel quale tu eri cresciuto attorno a lei, come la chioma di un albero che cresce intorno a un recinto»
 
«il suo bacio era una domanda a cui lui avrebbe voluto rispondere per il resto della sua vita»
 
«se talvolta, a un raduno o a una festa o quando sei tra persone che senti lontane, le mani ti restano penzoloni e sei a disagio, e non sai dove metterle mentre stai lì, sopraffatto dalla tristezza che accompagna la sensazione di estraneità al proprio corpo, questo accade perché le mani ricordano un tempo in cui la separazione fra mente e corpo, fra cervello e cuore, fra ciò che sta dentro e ciò che sta fuori era minima. non abbiamo mai del tutto dimenticato il linguaggio dei gesti. L’abitudine di gesticolare mentre parliamo viene da lì. Applaudire, indicare, alzare il pollice sono vestigia degli antichi gesti. Stringersi la mano, per esempio, è un modo di ricordare come ci si sente a stare insieme senza dirsi niente. E di notte, quando è troppo buio per vedere, diventa necessario muoversi a gesti sul corpo dell’altro per farsi capire»
 
«E tu invece? sei più felice e più triste di quanto tu sia mai stato?»
«Certo»
«Perché?»
«Perché niente mi rende più felice e niente mi rende più triste di te»
 
«…quando l’occhio vede qualcosa di bello, la mano vuole ritrarlo. io vorrei saper ritrarre te».
 
 
Qui a Lavis da pochi anni ha aperto una piccola libreria gestita da una giovane ragazza, Elena. Si chiama ‘La pulce d’acqua’ e io dopo anni ho… tradito ‘Il Papiro’ di via Grazioli per rivolgermi quasi solo alla Pulce d’acqua, perché credo con tutta me stessa nell’importanza di una libreria in paese, e ammiro molto l’iniziativa di Elena.
Ieri appunto alla Pulce d’acqua ho comprato ‘L’uomo che smise di fumare’, di P.G.Wodehouse, un autore che mi fece conoscere il grandissimo nonno Furio. Magari potrei scriverne un post.
Poi, ispirata da te, ho comprato ‘L’amore ai tempi del colera’ e ‘Tenera è la notte’. E sull’onda della stessa ispirazione ho ordinato anche Barbara Pym, ‘Jane e Prudence’; e Isabella Bossi Fedrigotti, ‘Il catalogo delle amiche’; finora di loro ho letto rispettivamente ‘Qualcuno da amare’ e ‘Di buona famiglia’, e vorrei approfondire la conoscenza.
Sono scema, ma per stare tranquilla devo sempre avere una ‘scorta’ di libri pronti da leggere!!!
 
Speriamo che la nostra Fagioletta in arrivo apprezzi i libri. Ho una amica che talvolta mi terrorizza sul futuro, e mi dice: “vedrai, con la bambina non potrai più andare in vacanza, non potrai più uscire a cena, ecc ecc ecc”… ma, essendo io inconsapevole di che cosa significhi davvero avere un figlio, queste affermazioni non mi spaventano molto… già mi inquieta di più quando mi dice “non leggerai più”! Perciò avrei intenzione per il futuro di portare a passeggio Fagioletta e mettere il naso con lei in libreria, così che annusi il profumo dei libri e si perda a guardare negli scaffali…
 
Valentina Lucatti

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I FIGLI DI COLOMBO, storia degli italiani d'America

pubblicato da: admin - 27 Agosto, 2010 @ 7:41 pm

 Che coincidenza, proprio oggi che Riccardo presenta il libro sugli Italiani d’America,  mi ha scritto la signora Linda Mac Kenzie che vive a Binghamton, Stato di New York – e che  vanta geni italiani .

” Nice to hear from you, dear Linda! I think that today’s book presented by our friend Riccardo, may interest you. I will look for the book you suggested as soon as I will arrive at home, in Trento. WELCOME TO OUR BLOG! (Il libro consigliato è di Nicole Kraus, “The history of love”)

 Lascio la parola a Riccardo, che insieme a Luigi che fra poco riapparirà, dà un tocco maschile a queste nostre riflessioni di lettura.

 Erik Amfitheatrof

I Figli di Colombo

Storia degli Italiani d’America

Mursia, 1975, 317 pagine, “dense di storia

 

Prima edizione, 1975. Mi è stato regalato il 20 maggio 1980 dal Dr. Magli, Direttore della Banca d’America e ‘Italia. L’ho letto nel 2010.

A me piace girovagare fra i banchi delle librerie per scoprire “ a naso” i libri da acquistare. Questa volta ho “girovagato” fra i libri di casa, e la “pesca” è stata fruttuosa!

I libri storici scritti da autori italiani sono per la maggior parte difficilmente digeribili. Quelli di autori stranieri no. Questo è un libro storico scritto da uno straniero.

Garibaldi, si vabbè, tutti lo conosciamo, è stato in America. Anche Colombo c’era stato … ma quante cose in più si apprendono anche su questi due “personaggi classici” dal libro che vi suggerisco!

E poi vi si documenta di tanti altri nostri emigranti, i quali, partiti anche dal nulla, hanno saputo non solo creare addirittura multinazionali e banche ma hanno saputo allacciare na rete di relazioni ai massimi livelli (si parla dei Presidenti americani), hanno combattuto nelle file dell’Unione (nord) contro i Confederati (del sud), sono diventati rappresentati diplomatici, sindacali, sindaci, ministri, giudici, archeologi di fama mondiale, etc..

Un esempio. La Bank of America fu fondata e gestita per mezzo secolo dal ligure Amedeo Pietro Giannini, il quale emigrato in Florida a 12 anni, iniziò quale garzone di un grossista di frutta e verdura, ne divenne impiegato, suo collaboratore, suo socio, sposò la figlia di un ricco immobiliarista (Giuseppe Cuneo) alla cui morte fu nominato dai coeredi amministratore dell’intero patrimonio familiare. Quindi fondò una piccola banca, che divenne banca, che divenne una grande banca, la Bank of Italy, che divenne la Bank of America, cioè la più grande manca del mondo. In Italia fondò la Banca D’America e D’Italia, divenuta la seconda banca privata del paese. Tutto qui.

Alcuni episodi che ci mostrano la tempra dell’uomo. Terremoto ed incendio di S. Francisco. Tutte le altre banche andarono a fuoco, denaro e documenti compresi. La sua no. Infatti, Giannini caricò tutto su carri e trasportò denaro e documenti al sicuro, precostituendo le basi finanziarie per la ricostruzione della città. In altra occasione, quando a causa della crisi economica il panico aveva indotto molti correntisti di una lontana filiale della Bank of Italy a chiedere il rimborso dei propri depositi, Giannini caricò un milione di dollari in contanti su di un aereo e volò in quella regione, mettendo in mostra le riserve auree della banca (dietro adeguate sbarre) ed offrendo il rimborso immediato e per contanti, cosa che a questo punto i depositanti rifiutarono, generandosi per contro un incremento dei depositi e del numero dei clienti.

La sua idea era di erogare credito diffuso ad artigiani e agricoltori, e di espandersi in tutto il Pese. In mancanza d’altro, per concedere un credito, si faceva mostrare le mani del cliente: se erano callose, il credito era concesso.

Anche quando diventò famoso, rispondeva direttamente al telefono: “potrebbe per favore mettermi in contatto con il Presidente Giannini?”  … “Sono io”.

Per non parlare della disavventura di Meucci, “derubato” da Bell!

Ma ciò che colpisce maggiormente è l’intrecciarsi della storia italiana con quella americana, la storia italiana vista dai nascenti Stati Uniti d’America, l’analisi delle cause del deterioramento geologico, sociale, economico e morale del nostro meridione, gli effetti (non sempre positivi) nel mezzogiorno dell’unificazione d’Italia, le cause della nostra emigrazione, la condizione dei nostri emigrati. In breve: le vite parallele (di due paesi), questa volta non di Plutarco.

Poi, “Cosa Nostra” … al riguardo vi sottolineo solo un particolare: i gangster locali vivevano in ville e residenze comunque riservate. I “nostri” in grossi condominii, vicino alla “loro” gente …

Little Italy, il “nostro quartiere” … dove addirittura fiorì una sorta di letteratura la quale produsse fra l’altro la parodia di Dante Alighieri emigrante in America, che sbarca ad Ellis Island!

Fiorello la Guardia, altro “pezzo grosso” della nostra collezione …

Infine, il burrascoso decennio degli anni trenta.

Come avrete notato, su questi ultimi capitoli non mi sono dilungato molto: scopriteli da soli!

 

Questo testo dovrebbe esser adottato nelle nostre scuole.

 

Riccardo Lucatti

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L'OMBRA DEL VENTO, e la "droga" della lettura

pubblicato da: admin - 26 Agosto, 2010 @ 5:49 pm
 Oggi approfitto di Donatella che mi lascia il tempo di parlare con Stefania, appena tornata dagli States. Queste sue righe intense sono appropriatissime al nostro blog di lettura.
 
(Domani invece la parola a Riccardo.)
 
Scrive Donatella:
 
 In questo periodo ho abbandonato tutti i miei passatempi, per dedicarmi solo ad uno. Il fuoco sacro della lettura mi sta divorando: leggo sempre, mattina, pomeriggio, sera, prima di addormentarmi. 
 Ho iniziato leggendo il primo libro stampato in Italia di Carlos Ruiz Zafon: sono rimasta senza fiato dalla prima all’ultima pagina. Da qui la decisione di leggerli tutti: “L’Ombra del vento”,” Il gioco dell’Angelo”, “Marina” ,”Il palazzo della mezzanotte”.
Tutti terribili, tutti belli, non danno tregua, ti viene voglia di correre qualche pagina avanti per vedere cosa succede, ma anche se si facesse sarebbe inutile perchè vorresti andare sempre più avanti, sempre più avanti. Le storie hanno un ritmo serrato, inatteso, colpi di scena si susseguono uno dopo l’altro. E così me i sono letti tutti, tutti in un fiato, come una droga.
Poi ho iniziato leggere un libro da me presentato verso la fine dello scorso anno, con il gruppo di lettura ad alta voce. E’ la storia di una donna (che poi ho scoperto essere una mia collega di quando lavoravo a Milano) che è partita per il Nepal e si è fatta tutto il Mustang a piedi, montagna dopo montagna, in un susseguirsi infinito. E’ riuscita a trasmettere la fatica, ma anche la gioia di trovarsi in un posto che gli dei hanno scelto come loro dimora. I paesaggi sono magici, il silenzio è un silenzio che buca, solo il vento è loro compagno di viaggio. Dopo un po’ si è persino dimenticata di essere una occidentale, di avere una famiglia. Si è sentita parte di quel mistero che è l’ASSOLUTO. Si è sentita vicina alla religione pre-buddista o la religione di Bon, con i loro riti magici. Gli sciamani o i Lama che ha incontrato sono personaggi misteriosi che gli abitanti di quei posti quasi irraggiungibili pensano essere intermediari tra uomini e dei. E quando la natura è spietata è perchè qualche dio è arrabbiato e vengono chiamati per fare riti propiziatori. Insomma, non  sto a spegare tutto il libro, ma credetemi è fantastico!
Mi è capitato anche una cosa strana: man mano che proseguivo nella lettura avevo sempre più netta la sensazione del deja vu. 

Mi dicevo che io in quei posti ci ero già stata e la senzazione era sempre più forte, sempre più forte, fino ad arrivare a spremermi le meningi per cercare di capire da dove venisse questa sensazione. E poi mi si è aperta la mente e ho ricordato una cosa che avevevo completamente dimenticato. Nel 2002 (sono andata a controllare) avevo partecipato ad una serata in cui si parlava di una spedizione in Nepal con tanto di proiezione di diapositive. Ecco perchè questi posti mi sono così familiari!

Donatella

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CINQUE QUARTI D'ARANCIA, e altri sapori

pubblicato da: admin - 25 Agosto, 2010 @ 3:59 pm

La sottoscritta blogger è veramente contenta oggi dei commenti bellissimi e interessanti che si intrecciano sorridenti,  poetici e maliziosi al mio post 217°!

Grazie a Camilla, Cristina, Enza, Raffaella, Valentina , alla mia gemella Maria Teresa che sta ricamando lenzuolini per la nipotina in arrivo e a Riccardo naturalmente che mi ha già inviato un post che “imbucherò” domani, quando arriverà Stefania. E grazie a tutti coloro che leggono…

A differenza del solito rapporto libro-riflessioni, questa volta viaggio al contrario. I miei pensieri mi hanno portato a ricordare questo romanzo di Joanne Harris, l’autrice di “Chocolat.”  Non tanto per la storia drammatica che ci riporta all’occupazione nazista in Francia o per una tragedia infantile tornata alla luce dopo molti anni, ma soprattutto per i sapori e i colori delle estati di un paesino sulle rive  della Loira.

Leggendo di Cristina che si accinge oggi a fare le sue marmellate (delle quali noi Penelopi gratificheremo!) sentendo i profumi delle marmellate e delle conserve dei vicini che mi stanno praticamente nutrendo con pomodori, fagiolini, zucchini del loro orto e,ieri, con  una grande ciotola di pèsche rosa ancora calde del sapore del sole, ho pensato alla campagna francese e a questo romanzo.

Johanne Harris ama parlare di cibo, non solo nel famoso”Chocolat”, ma anche  in “Vino, patate e mele rosse” e dell’importanza che esso ha nei rapporti tra persone e tra esseri  viventi e natura. Mi piace leggere o scrivere di fiori, frutta, pane fresco, vino…i sapori della nostra linfa vitale.

 “Odorava di caramelle e violette, e portava il rossetto scuro…raccoglieva le fragole con la fretta garbata di un coniglio”, questa è la descrizione di Cassis, personaggio importante di “Cinque quarti d’arancia“.

Tantissimni anni fa, da ragazzina già cinefila, vidi un film in bianco e nero che si svolgeva proprio nella campagna francese. Ricordo soltanto la fine: la protagonista delusa sentimentalmente si ritrova in mezzo ad alberi di pèsche mature tra ombra e sole luminosi. Mi sembrò una valida consolazione.

Era un’immagine di piena estate, quella che si può vivere soltanto nel silenzio della natura che assorbe il sole e tutti i profumi della terra. Anche oggi è una giornata così, piena di azzurro limpido, caldo asciutto e verde argentato. Sono fiorite le dalie rosso cupo, stanno maturando le arance selvatiche,  la salvia e la lavanda ondeggiano con gli ultimi voli delle farfalle.

Mimilla sta guardando tutto questo…forse capisce che sono gli ultimi giorni da trascorrere nel giardinetto volante?

Ora uscirò anch’io sulla terrazza e mi tufferò nella sospensione che prelude ai cambiamenti.

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