CERCANDO EMMA, e i nostri compagni letterari

pubblicato da: admin - 13 Settembre, 2010 @ 5:13 pm

Non ricordo di aver letto “Un cuore semplice” di Flaubert, neppure negli anni della  lettura rifugio, salvezza, fuga dalla realtà  di quando, adolescente,  salivo le scale rinascimentali del Castello dei Pio a Carpi dove aveva sede la polverosa e magica biblioteca. Mi sarei senz’altro ricordata di Felicité.

Ah, mille anni ancora per poter leggere tutto ciò che mi ingolosisce? Ma  ho letto “Madame Bovary”,  come penso l’avremo letto tutte noi “ragazze”. E gli uomini?

In fondo Emma rappresenta una gran parte intima del suo autore. Celeberrima l’enunciato  di Flaubert “Madame Bovary c’est moi“. Eppure Flaubert ce la descrive con stizza, con antipatia. Quando si notano i nostri difetti negli altri ci irritiamo, non è così?

Dacia Maraini  presenta un’ ennesima analisi critica di questo romanzo, “Emma Bovary è di casa nella nostra città interiore” scrive   e indaga sul  profondo e contradditorio rapporto che lega uno scrittore al suo personaggio più amato. Personaggio dell’immaginazione ma che fa luce anche  sulla nostra realtà più nascosta e diventa “nostro” e vero nel momento in cui il suo destino coincide con la nostra nostalgia, il nostro dolore, la nostra esperienza personale, il nostro vissuto.

Altri personaggi rimangono avulsi dalla nostra cognizione perchè troppo distanti emotivamente o intellettualmente, ma moltissimi altri rispecchiano parte di noi.  Emma Bovary è uno di questi probabilmente. Siamo noi, almeno in piccola parte.

 Questa insoddisfatta, ambigua donna  si nutre di letture mediocri  che per essa sono il veicolo per sfuggire ad una inaccettabile e squallida realtà. Nonostante le nefandezze del suo pessimo carattere, Emma persegue un sotterraneo e tenace sogno di libertà.   Sembra una “Don Chisciotte che combatte contro i mulini a vento delle eterne province del pensiero, pronta a regalare il cuore  per ogni piccolo sogno di evasione.”

Anch’io, da ragazzina, nei momenti di sconforto e inaccettazione di una realtà che non sentivo mia, fuggivo e mi rintanavo nei romanzi, ma altre eroine letterarie mi sollecitavano l’imitazione…Jane Eyre, soprattutto che lavorava e non si faceva abbindolare…che non era egocentrica come Emma.

E voi?

Perchè Flaubert sembra prendere in giro la sua antieroina? Rende grottesche le sue scontentezze, mentre noi scopriremo che sono tragiche proprio in quell’essere donna progioniera dei costumi dell’epoca.

Un uomo per lo meno è libero” dice Emma ” un uomo può viaggiare per paesi e passioni, può superare gli ostacoli, affondare o denti nella felicità lontana. Una donna è continuamente impedita. Inerte e flessibile, ha contro di sè le mollezze della carne con le dipendenze dalla legge. La sua volontà, come la veletta del suo cappello trattenuto da un cordoncino, palpita a tutti i venti, c’è sempre qualche desiderio che la trascina e qualche convenienza che la trattiene. “

Interessante leggere le lunghe e corpose lettere  che Flaubert scrive a Louise Colet  ” Tu non capirai, tu che sei tutta d’un pezzo, come un bell’inno d’amore o una poesia. Io sono un arabesco di intarsi, ci sono in me pezzi d’avorio, pezzi d’oro e di ferro. Ci sono anche pezzi di cartone dipinto. Ci sono diamanti.  Ma ci sono pure pezzi di latta.”

In Emma ci sono moltissimi pezzi di latta fasulli ma anche la durezza del diamante tanto da farla divenire un archetipo della rivendicazione femminile alla libertà nel bene o nel male. Per sua scelta.

E’ lontano da noi questo personaggio? Se noi crediamo di discostarcene troviamo invece somiglianze in altri ? Sentiamo l’impulso a scendere  nel nostro inconscio e capire che siamo sempre “Uno, nessuno, centomila”?

Questo lungo post è stato sollecitato sia dal commento di Camilla sulle  due donne eccezionali come Emerenc e Felicité, sia dall’uggiosa mattinata autunnale che mi tiene in casa, e  che  mi piace perchè mi permette di scrivere, bere caffè in deliziose tazzine colorate con il coperchio, ricevere una affettuosa telefonata da Rosetta, una e-mail da Donatella e godere dell’incontro ravvicinato con la scrittura e la mia sete letteraria.

Basta però. Domani per controbilanciare la mia prolissità spedirò un post di un uomo, del nostro  Riccardo che non credo si senta Emma Bovary… Oppure?

Inoltre ci sarà, dietro richiesta di  Enza,  la foto di Dorian, il suo gatto assistente…

  

 

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TSUGUMI, di Banana Yoshimoto

pubblicato da: admin - 12 Settembre, 2010 @ 8:01 pm

“Le parole tra noi leggere” - ma non troppo  – come appunto sono quelle di Lalla Romano, ci sollecitano a cercare altri  libri, ricondurci a filosofi, poeti, autori particolari come hanno scritto Valentina e Miki.

 Un libro tira l’altro. La felicità nelle piccole cose mi ha fatto pensare alle due adolescenti giapponesi descritteci da Banana Yoshimoto. Sembra proprio che la prima giovinezza non si accontenti dei piccoli piaceri,  ma desideri  ed insegua “il miraggio di felicità intensa” che è  il patrimonio per poter “tirare avanti  e invecchiare”. 

 Ognuno di noi ( “grandi” ) avrà gioito e sofferto gli eccessi di speranze, delusioni, sentimenti, per arrivare ad una placida baia di ragionevolezza o quasi…

Forse la abbiamo raggiunta  giorno dopo giorno o forse abbiamo iniziato a “crescere”, a cambiare,  in un momento particolare come capita a Maria e Tsugumi, le due cugine che si ritrovano a trascorrere una magica, forte, emozionante, risolutiva estate al mare.

La narratrice è Maria, tranquilla, buona che subisce il carattere ribelle, egocentrico, “cattivo”  della cugina che ci  viene descritta così: ” Senza dubbio  Tsugumi era una ragazza impossibile… Era cattiva, maleducata, sboccata, capricciosa,viziata e  sleale…”

Ma Tsugumi è fisicamente fragile e il suo destino sembra segnato. Forse per questo tutti sopportano il suo pessimo carattere.

Nella bellissima estate trascorsa sulla costa della pensiola di Izu con la cugina e altri coetanei, Tsugumi conosce anche  l’amore e riesce finalmente a far trapelare la sua vera natura sensibile.

Racconto scritto nel 1989 quando la Yoshimoto non era ancora trentenne.

Nella vita di ognuno ci sono periodi in cui avvengono quelli che io chiamo  “salti” di qualità o scatti in avanti,  e con questo intendo la capacità di conoscersi, stare bene con se stessi, tollerarsi maggiormente, migliorare.

Credo che non si smetterà mai di voler “saltare” in avanti.

Ma ora ricordo  un’estate al mare e un momento risolutivo per la mia insicurezza,  la scarsa autostima, il timore di non sapermi rapportare con gli altri quando feci la scoperta che potevo essere simpatica e ciarliera. Serata a Gabicce Mare con un’amica più estroversa di me che già ballava sulla “rotonda”con il ragazzo più bello. Io, “imbalsamata”con l’altro amico al tavolo. Ragazzo non molto alto, biondo, soprannominato Titta, ma  simpaticissimo…riuscì non solo a  farmi parlare, ma mi fece  ridere come non mai. Due ore consecutive di risate e  battute come palline da ping pong. Ma ero io quella ragazza  così allegra spiritosa, divertente?

 Grazie Titta, hai fatto uscire prepotentemente, in una calda serata sotto la luna,   il mio senso dell’umorismo !

Anche voi ricordate momenti topici?

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POEMETTI, e il segreto della "felicità bambina"

pubblicato da: admin - 11 Settembre, 2010 @ 6:46 pm

liguria 2010 027scansione0005Il post di ieri ha sollecitato  riflessioni importanti sia per noi over 60 sia per le giovani visitatrici come Miki, Raffaella, Valentina… Parliamo sempre di vita, della nostra vita che come ci consiglia Maria Teresa  si può vivere con più ottimismo.  Le piccole cose di cui parlava anche Gozzano, non necessariamente un “Loreto impagliato”, sono i puntelli strategici per tradurre lo spleen in una  “felicità bambina”.

Scelgo ancora una volta  Katherine Mansfield proprio per la sua ardente sete di vita e di felicità. Felicità che provava nei piccoli piaceri quotidiani, nell’amore, nell’amicizia e nell’abbandonarsi alla bellezza della natura.

“In riva al Mediterraneo c’era Villa Pauline, un cottage di quattro stanze” ci scrive John Middleton Murry, marito della Mansfield spiegando che entrambi vi abitarono  nel 1916. Ricorda che  si dedicarono una settimana intera alla poesia “Dopocena, sedendo insieme a una minuscola tavola da cucina, abbiamo scritto versi intorno a un tema che sceglievamo al momento”

In questi Poemetti  di Katherine Mansield troviamo anche i ricordi della lussurreggiante Nuova Zelanda, il suo amore per l’Amore, le sue immagini più colorate, la sua forza di veleggiare ad ogni costo verso la Felicità.

 

“Un golfo di silenzio ormai ci separa;

 Io su una sponda e tu all’opposta vivi,

 Non ti vedo nè ti odo, a stento so che ci sei…

A varcarlo forse c’è modo? Mai con la parola

O il senso. Così di pianto lo potremmo colmare.

 Ma ora voglio frantumarlo con un’altra risata.

La Mansfield nei suoi diari scrive che il dolore può essere vinto, a patto di non resistergli, concedendogli una parte di noi. “Tutto quanto accettiamo effettivamente dalla vita, subisce una trasformazione. In questo modo la sofferenza deve diventare l’Amore. Ecco il mistero. Ecco ciò che debbo fare. Devo passare da un amore personale a un amore più grande. Devo dare al tutto ciò che ho dato ad uno solo.”

Che sia questo il segreto delle felicità?

Scrive nei primi versi di “Villa Pauline

Eppure, prima che egli venisse,

eri soltanto un nome:

quattro stanze nane, un cassettone

senza nemmeno un osso dentro,

ed ero sola!

Dalle vaste finestre

ora l’aperto intero

di sole e fiori e canto

a nascondersi viene,

ardente e sulle sedie ridente,

per afferrare d’improviso

la nostra felicità bambina“…

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L'AUTUNNO DELLA SIGNORA WAAL, di Nico Orengo

pubblicato da: admin - 10 Settembre, 2010 @ 6:53 pm

waal[1]Oggi la parola scritta a Maria Teresa con una storia che è il prosieguo dei nostri  pensieri sull’Autunno.

 

 Libro che comincia e finisce con una foglia di eucalipto.

Qualche giorno fa il clima autunnale, la pioggia e il cielo così gonfio di nubi grigie mi hanno riportato alla mente il titolo del romanzo di Nico Orengo “L’autunno della signora Waal”, anche se tra gli uni e l’altro non c’è corrispondenza meteorologica, perché quello della signora Waal è l’autunno della vita.

Siamo in terra di Liguria, non quella di levante che accoglie la carissima Mirna in estate, ma quella di confine con la Provenza. Eppure, rileggendo proprio in piena estate questo libro, ho pensato molto a Mirna: certamente gli ulivi, gli eucalipti, gli oleandri, il basilico e mille altri aromi sono gli stessi che addolcivano l’aria respirata da lei e dalla sua Mimilla! 

Autunno della vita: voglio subito sgombrare da questa espressione ogni connotazione malinconica! Io ci sono dentro, e con me molte mie carissime amiche. È bellissimo esserci: è il pieno della vita, è poter fare affermazioni ed esprimere giudizi con una certa sicurezza, perché supportate ormai da tanta esperienza, è poter fare bilanci, è concedersi piccoli privilegi e dedicarsi di più a se stesse e a ciò che piace senza sentirsi in colpa, è non avere sempre orari da rispettare… è tante belle cose! È tutta da godere questa nostra età!

Anche le decisioni che a volte si devono prendere a questa età si affrontano con maggior calma, con trepidazione sì, ma mitigata dalla consapevolezza che comunque non casca il mondo, che una soluzione si trova sempre, che la vita continua e forse può persino migliorare anche dopo grandi cambiamenti. Almeno, per me è così. 

Questi ed altri pensieri mi sono venuti alla mente durante la lettura di questo breve e bellissimo libro. Lo consiglio a chi ama fiori, profumi e colori e a chi ama le piccole cose, come il caffè con l’amica, lo scambiare due chiacchiere in salotto o sul terrazzo, le coccole al gatto, un lavoro manuale …

Intendiamoci, “L’autunno della signora Waal” è anche molto altro (compreso un notevole mistero), ma al molto altro si viene condotti attraverso continue atmosfere fatte di freschi profumi, aromi, colori. A costo di ripetermi, devo dire che non c’è alcuna scena senza colori e/o profumi! 

È un libro di donne: molte, moltissime donne! C’è la matura signora Waal, olandese trapiantata in Liguria con i suoi pensieri, e ci sono le giovani locali (credo di averne contate più di quaranta) che costituiscono un gioioso, disordinato, vivace coro in cui nessuna ha una funzione precisa, ma tutte insieme sono un piacevole rifugio in cui l’anziana può sentirsi sollevata dai suoi affanni.

La signora Waal deve prendere una importante decisione e sa che il sospendere per qualche momento quel pensiero, rifugiandosi nelle piccole cose come gli argomenti che le portano le giovani amiche, può aiutarla. 

Sono convintissima anch’io che le piccole cose difendano dai grandi affanni, perché consentono quel distacco che poi permette una valutazione più ragionata. Per me rimandare un pensiero a domani non è fare lo struzzo. Se ci si distacca un po’, poi si vedono le cose diversamente, forse meglio. È una prassi che si può ripetere più volte, anche sullo stesso problema. A volte continuare ad arrovellarsi non serve. Il tempo che passa, il riprovare a pensare porterà in seguito una soluzione. Per me è ok mettere da parte un affanno e riprovare a pensarci in un secondo momento, e poi ancora un terzo se è necessario. Nel frattempo, la vita andrà avanti lo stesso. 

Dimenticavo una cosa carina: uno dei pochi maschi del libro è il gatto della signora Waal. Ma ha un nome femminile e aromatico: Fragola!

 

Maria Teresa L.

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AUTUNNO, di Philippe Delerm

pubblicato da: admin - 9 Settembre, 2010 @ 5:50 pm

th_millais_foglie[1]scansione0003Autunno, la mia stagione preferita che lentamente sta avanzando mitigando il calore del sole, ma accendendo del suo fuoco i colori della natura. Rosso, arancione, giallo, violetto, verde, bluette, ecco il cromatismo dei giardini, parchi, campagna. In autunno si concentra tutta l’estate appena passata, c’è l’ultimo grande bagliore della vita allo zenith. Io adoro questi mesi, mi sento meno violentata dall’eccesso estivo,  più incline al rientro in me stessa e proiettata verso un’intimità più profonda.

Scriveva Ruskin in una delle molte lettere indirizzate a Dante Gabriel Rossetti” Gli uomini avranno sempre bisogno d’autunno, e del piacere malinconico di finire…”

Siamo nell’ Inghilterra vittoriana di metà Ottocento, nell’ambiente di giovani artisti, prevalentemente pittori, antesignani di una nuova corrente artistica rivoluzionaria: i preraffaelilti.  Oltre a Rossetti, la sua musa-modella Elizabeth Siddal, dalla chioma fiammeggiante, incontriamo  Millais, Swinburn, Deverell,  Algernon e Waterhouse (del quale avete visto il dipinto  “La bora” sulla copertina del libro sulle sorelle Bronte).

Philippe Delerm, con una scrittura calda e avvolgente come la luce dell’autunno, ci porta in quell’ambiente particolare facendoci partecipi dei rapporti tra anime inquiete, tra drammi, esaltazioni artistiche, dolori, nostalgie.

La storia si intesse soprattutto tra Dante Gabriel Rossetti, figlio di un rifugiato del risorgimento italiano e la sua bellissima moglie Elizabeth Siddal, modella ispiratrice non solo per il marito, ma per altri pittori, primi fra tutti Millais che la ritrae come Ofelia annegata. Per dipingerla la fa stare ore e ore nella vasca da bagno facendola ammalare seriamente.

Quando faccio il bagno ricordo sempre questo episodio tanto mi è rimasto impresso come il dipinto stesso,  quadro che con immensa gioia vidi pochi anni fa alla Tate Gallery di Londra. Non è un piacere immenso fare il compendio di tutte le nostre conoscenze in pochi minuti? Shakespeare, pittura, letteratura in genere…

Elizabeth Siddal era di umili origini, per questo Rosssetti prima di sposarla attese molti anni per timore delle critiche della sua famiglia. Lo stesso Ruskin, strenuo difensore del movimento pittorico, spingeva i  due giovani al matrimonio. Si sposano nel 1860. Elizabeth è di temperamento sensibile, un po’ instabile,  scrive  poesie come il marito, è di salute cagionevole aggravata dalla  seria bronchite contratta posando nella vasca da bagno per Millais. Fa uso di laudano. Dà alla luce un bambino morto e molto presto la depressione si impadronirà di lei spingendola infine al suicidio.

Dante Gabriel Rossetti è sconvolto, la fa seppellire con le sue poesie manoscritte avvolte nei suoi meravigliosi capelli.

Anni dopo, anch’egli in preda a furori e depressioni dovuti ad alcool e droga, vorrà riprendere le poesie della moglie dalla tomba  per pubblicarle insieme alle proprie.

Decadenza, sensibilità estrema, amore per le cose che se ne vanno. “La malinconia del finire. Addomesticare il male di vivere. Amare la pioggia, le viti canadesi rosseggianti, i percorsi attenuati…” questi sono i pensieri di Millais poco prima di iniziare un altro celebre dipinto “Foglie d’autunno“. “Esiste sensazione più squisita di quella risvegliata dall’odore delle foglie autunnali che bruciano? Per me niente evoca memorie più dolci dei giorni che se ne vanno; è l’incenso offerto al cielo dell’estate morente; e porta la felice convinzione che il tempo metta un sigillo di pace su tutto ciò che se ne va.”

Libro particolare, poetico che io comprai nell’autunno 2002 e  che lessi con grande entusiasmo tanto che decisi subito di intressarmi alla pittura preraffaelita. Che piacere immenso la conoscenza!

Ma qual è la vostra stagione preferita?

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"IL MIO VECCHIO ED IL MARE", raccontato da Riccardo

pubblicato da: admin - 8 Settembre, 2010 @ 6:40 pm

                                                                 di David Hays e Daniel Hays

Ringrazio Riccardo che con passione ed entusiasmo ci rende partecipi  delle sue avventure libresce e marinare. E’ bello sentir parlare  di barche, navigazione e mare e di quel fluire di sentimenti unici che è il rapporto fra genitori e figli.

Nato a Genova, cresciuto “in mare”, giovanissimo lettore accanito di Salgari
… forse è per questo che l’amore per il mare l’ho nel sangue e che amo
tanto i libri di Alberto Cavanna! Io, le  mie vacanze (anacoluto manzoniano) sono

 sempre state in mezzo alla natura,al mare, anzi “in acqua”
(ma anche sui monti) e da quando “abito” nei monti, il richiamo ed il
desiderio del mare si è fatto più forte, nonostante l’età (66 anni) che –
dicono – affievolisce i desideri (!?)
Due uomini, padre e figlio, 54 e 24 anni, 317 giorni, da New London (a nord
della Florida), attraverso il Golfo del Messico, Panama, l’Oceano Pacifico,
Capo Horn (per noi velisti, semplicemente “l’Horn”), l’Atlantico sino al
punto di partenza,17.000 miglia marine (circa 32.000 Km)su di una barca a
vela di nemmeno 8 metri, senza motore né radar.
La barca è un “Vertue” ancora oggi in fabbricazione,carena di tipo “vecchio”
cioè marino, dislocante, quattro tonnellate di cui due in chiglia, cinque
diverse vele di prua (da 23 a 2 metri quadri) ed una randa con quattro
riduzioni possibili da 17 a 3 metri quadri). La prima barca (e forse anche
l’unica, ma dovrei verificare) sotto i 10 metri ad avere doppiato l’Horn.
Sicuramente anche il primo gatto ad avere doppiato quel capo. Infatti, i
nostri due amici non erano soli: a bordo c’era con loro, per
assisterli moralmente, anche il gatto Tiger (e qui ritorna il mio amore per
i gatti, ed in particolare per il mio birmano “Dorian”: ciao Dorian! Hai
visto di cosa siete capaci voi gatti?)
Il solito libro di viaggi … dirà forse qualcuno … No, amici, non è così.
Si tratta di un resoconto di vita vissuta fra padre e figlio, un confronto
ed una comprensione fra due generazioni di fronte ad una sfida che non
consente reticenze o riserve mentali e che fa emergere solo sentimenti veri.
Inoltre il libro è una ricca fonte di nozioni e “segreti” marinareschi che
appassionano gli addetti ai lavori ed aprono nuovi orizzonti ai “non
addetti”.
Sono certo che, leggendolo, non vi annoierete.
Ora vi lascio perché nel frattempo Dorian si è venuto ad accccocccolare
sullla tastierrra del comppputer …!!///&%kll…
Buon vento a tutti! XXXccc666&&…..

Riccardo Lucatti,

 

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I SOGNI PERDUTI DELLE SORELLE BRONTE, di Syrie James

pubblicato da: admin - 7 Settembre, 2010 @ 6:38 pm

scansione0002Pomeriggio piovoso nel quale ci si rifugia in un libro conforto. Che cosa meglio che entrare nella vita di Charlotte Brontè e delle sue sorelle Emily ed Ann? Tornare nella loro casa nella brughiera e leggere di incontri, viaggi, lavoro,  famiglia e, soprattutto, di come è iniziata la grande avventura della scrittura.

Syrie James ci presenta questa sua opera come un diario segreto tenuto da Charlotte. Il diario non esiste, ma esistono documenti, lettere alle quali la James  ha attinto meticolosamente. Ciò che leggiamo quindi è vero, ma presentato con la voce narrante della creatrice  di “Jane Eyre”. Riusciamo ad entrare nei suoi penseri, ricordi e  segreti più nascosti..  

Mi è stato donato da Renata che mi conosce bene. Ed ecco la prima riflessione: di quanti possiamo dire che ci conoscono profondamente? Io posso dirlo di mia figlia, di qualche amica sebbene anch’esse non sapranno mai fino in fondo chi sono. Talvolta non lo so neppure io. 

So per certo che questo tipo di letture mi allieta, mi arricchisce, mi interessa.

A tett” diceva mia madre quando una cosa le dava un immenso  piacere. E’ un’espressione  dialettale che significa pieno benessere come quando si succhiava il latte materno.

“La vita di Charlotte è così affascinante che sono riuscita a narrarla basandomi quasi esclusivamente sui fatti” ci dice Syrie James che è stata ovviamente nello Yorkshire, al Museo di Haworth dove ha potuto visionare tutti i manoscritti della famiglia Brontè e dove ha visto  i vestiti di Charlotte, quelli pronti per un suo matrimonio. Eh, sì perchè Charlotte che ricevette quattro proposte di matrimonio forse sposò alla fine il reverendo Arthur Bell Nicholls, coadiutore del padre…

Il diario segreto di Charlotte inizia così ” Ho ricevuto una proposta di matrimonio….Chi è quest’uomo che osa chiedere la mia mano?…Come diavolo ha fatto, mi domando, a sfuggirmi così di mano la situazione? Ho scritto delle gioie dell’amore. A lungo nel mio cuore, ho sognato di legarmi intimamente a un uomo; ogni Jane credo, merita il suo Rochester…o no? Eppure da tempo avevo perso ogni speranza di provare quell’esperienza in vita mia. Al suo posto mi sono dedicata alla mia professione e ora che l’ho trovata dovrei abbandonarla? E’ possibile che una donna si doni completamente sia a un lavoro sia a un uomo? Possono la sua mente e il suo spirito coesistere in pace? Così dev’essere, perchè la vera felicità, ne sono sicura, non la si può raggiungere in altro modo.”

Un’altra riflessione attuale ancor oggi!

Dopo questo incipit si ritorna al  21 aprile 1845,  quando Charlotte compie 29 anni.  Nel resoconto giornaliero conosciamo meglio la sua famiglia, il padre che sta diventando cieco e che ha bisogno di un aiuto per dirigere la canonica, di Emily che scrive poesie stupende in segreto, di Ann che sta per tornare dal suo lavoro di isitutrice e del fratello Branwell già schiavo dell’alcool e dell’oppio.

Presto incontreremo il giovane reverendo Nicholls,  irlandese come il padre, (Brontè è una storpiatura del cognome irlandese Brunty) che susciterà irritazione per le sue idee maschiliste. Ci viene raccontato  di un pranzo durante il quale si svolge un’ accesa discussione  sulla differenza uomo-donna.  Un ospite, un altro reverendo,  si appella alle teorie di Alexander Walker : “ L‘uomo possedendo facoltà dialettiche, potenza muscolare e il coraggio di impiegarla, ha i requisiti per essere un protettore; mentre la donna essendo poco incline al ragionamento, debole e timida, richiede protezione. Stando così le cose, l’uomo per natura comanda, la donna per natura obbedisce.”  (Tratto dalla trilogia del fisiologo scozzese Alexander Walker sulla donna “Woman”, 1840). !!!

Naturalmente Charlotte ed Emily sono furenti, tanto che lasciano la sala da pranzo.

Tutti in famiglia scrivono, anche il fratello che ha già pubblicato alcune poesie.  Per Charlotte vivere un giorno senza mettere qualcosa di nero sul bianco è una vera tortura per l’anima.  Finalmente le sorelle decideranno di pubblicare un libretto di loro poesie e di mettersi tutte e tre a scrivere un romanzo. Sappiamo già di “Cime Temnpestose” di Emily, di “Agnes Grey di Ann” e delle opere di Charlotte. Molto di quello che scrivono ovviamente si riferisce ad avvenimenti, ricordi, suggestioni autobiografiche.

Quando Charlotte è in visita ad una ex-amica di collegio va a prendere il tè al castello degli Eyre.  ” Mentre scendevamo, dopo la visita al tetto merlato, passammo davanti a una pesante porta di legno che, ci spiegò il giovane padrone di casa, conduceva agli appartamenti della servitù all’ultimo piano. – Si dice, – ci raccontò, – che la prima padrona di North Less Hall fu rinchiusa là sopra in  una stanza imbottita perchè era diventata matta. Dicono che morì in un incendio-” Che storia fantastica, pensai. ”

Presto sarebbe nata Jane Eyre.

 Eyre dalla famiglia del grande maniero, Jane perchè era il secondo nome dell’amatissima sorella Emily.

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VERGOGNA, di John Maxwell Coetzee

pubblicato da: admin - 6 Settembre, 2010 @ 6:03 pm

Incredibile come la Lettura e i suoi luoghi, i rimandi, lo slancio o l’abbandono ci portino chi in una libreria, chi in un magico festival letterario ad “accoppiarci” con viscerale necessità a  uno scrittore, una terra lontana, una tematica e una storia che ci accompagnino per ore e giorni in un’altra dimensione.

Oggi è  Raffaella che ci scrive di un libro forte, da conoscere.

 

Un sabato pomeriggio d’agosto mi trovo improvvisamente presa dalla voglia irrefrenabile di fare visita ad una libreria; così, senza un preciso scopo né titoli da acquistare mi tuffo tra gli scaffali della Ubik, sezione lingua originale.Una copertina mi colpisce, è quella del romanzo Disgrace ( Vergogna) del premio Nobel per la letteratura nel 2003, John Maxwell Coetzee. Non esito a comprarlo, e sin dalle prime righe, il libro mi cattura.

In realtà, mi cattura ma mi lascia anche la sensazione di un pugno nello stomaco perché l’amarezza e la disillusione sono presenti fin da subito, accanto ad un realismo che non lascia scampo.

Siamo in Sudafrica, paese di Coetzee. Il protagonista è professor David Lurie,bianco, studioso di poesia inglese, insegnante ormai demotivato all’università di Cape Town, un “everyman”, antieroico, che privo di legami affettivi significativi ( divorziato per ben due volte con una figlia che non frequenta da anni), trascina la sua vita scandita dagli appuntamenti fissi del giovedì con la prostituta Soraya. Il suo quotidiano viene scosso dalla fugace relazione con Melanie, una giovane studentessa di colore. Ed ecco la prima “disgrace”, la vergogna. David, accusato di molestie sessuali da Melanie, viene giudicato da quello che sembra un tribunale d’inquisizione composto dai suoi stessi colleghi che vorrebbero una sua confessione e soprattutto una dichiarazione pubblica di pentimento ma egli rifiuta di confessare la sua colpa, o meglio preferisce non difendersi e lasciare l’università.

Si rifugia quindi dalla figlia Lucy,ormai adulta, che gestisce una fattoria lontana dalla metropoli, in un ambiente ostile, crudo ed inospitale ma a cui lei è legata perché viverci diventa la dimostrazione che ha saputo cavarsela da sola. David deve adattarsi e cerca di aiutare come può, assistendo una veterinaria, coltivando la terra, assecondando Lucy nelle sue scelte. Un altro evento sconvolge l’esistenza di padre e figlia , la seconda “ disgrace”. La fattoria viene rapinata da una gang di neri, David selvaggiamente picchiato, Lucy violentata dal gruppo. Quest’ ultima però si rifiuta di sporgere denuncia e tace la grave violenza. Per integrarsi in un ambiente che vive il post-apartheid in modo contraddittorio, ella accetta questa umiliazione. Accetta di provare vergogna, quasi che il suo accettare potesse sanare, almeno in parte, il male fatto dalla società agli uomini di colore negli anni precedenti, una sorta di “ riparazione collettiva”…  Il padre invece non resiste , non condivide questa scelta e torna in città ,poiché il conflitto tra i due è ormai insanabile.

David si aggira come una fantasma per Capetown, i vecchi colleghi lo rifuggono, ed egli prova inutilmente a riallacciare il rapporto con la sua studentessa. Alla fine torna all’unico legame che veramente lo abbia fatto sentire “ vivo”, quello con Lucy che trova incinta dopo la violenza subita e decisa a tenere il bambino.

Il romanzo termina con David, trasformato in uno psicopompo. Aiuta infatti una veterinaria amica di Lucy ad abbattere animali affetti da malattie inguaribili. “L’insistenza di Coetzee sulle procedure per la uccisione di animali affetti da malattie inguaribili, fino alla meticolosa descrizione del trasporto e dell’incenerimento  delle  carcasse, non è deriva maniacale né del racconto né del protagonista. David è ormai solo, isolato dal mondo degli uomini  trova conforto nel fiato d’un cane azzoppato, nella fisicità di quella lingua che gli insaliva la mano mentre egli intona due note demenziali ad un vecchio mandolino,  simbolo d’una creatività che non cresce, d’una vita che non palpita più, della sua vecchiaia che sente incombente, ineluttabile”. E’ con l’animale che muore tra le sue braccia che si chiude l’ultimo capitolo.

“Vergogna “ è un romanzo amaro quanto profondo, ben scritto e ricco di spunti e tematiche, la crisi dell’uomo di mezza età, la crisi di un paese, la catarsi attraverso il dolore… Un libro che ancora una volta consiglio alle lettrici e ai lettori del blog.

 

Raffaella M.

 

  

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RITRATTO DI SIGNORA, di Henry James

pubblicato da: admin - 5 Settembre, 2010 @ 3:27 pm

Il capolavoro di Henry James è senz’altro un romanzo, come molti altri, da rileggere. Fa parte da tempo della mia biblioteca come parecchi altri libri che raccontano storie di donne. E’ un argomento che mi tocca da vicino, non solo come donna , ma come testimone di un mondo in cui il nostro sesso ha combattuto a lungo ed ancora combatte per raggiungere pari dignità e importanza del  mondo maschile.

 Ecco la  risposta a Cristina: il nostro cammino come donne protagoniste e come narratrici sono le mie prime scelte in fatto di lettura,  ovviamente poi  amo gli autori, non importa se maschi o femmine,  che si pongono le grandi domande sul senso della vita umana. Mi piacciono i libri gialli, i libri divertenti, quelli in cui, pur nella semplicità, hanno qualcosa in cui io posso ritrovarmi e rinnovarmi.

Dai post o commenti che invierete si evinceranno anche le vostre letture preferite. E il confronto sarà senz’altro proficuo.

“Ritratto di signora” mi è venuto in mente leggendo il libro appena regalatomi da Renata dove alcune importanti future scrittrici ( vi saprò dire più avanti chi sono) si pongono l’eterna domanda del perchè le donne sono considerate meno importanti dell’uomo.

Isabel Archer potrebbe finalmente dare una svolta al percorso femminile di fine Ottocento, ma non ci riuscirà. Eppure sembra la vera Ragazza Americana Moderna piena di desiderio di libertà ed indipendenza e pronta ad affrontare la vita con coraggio. Rimane invece forse perchè vittima di un’ Europa retrograda e subdola o forse per ferrei rigori morali personali, prigioniera di se stessa. Un critico ne parla come di “una sorta di personaggio pirandelliano in cerca di un autore”.

Che cosa ci suggerisce Henry James  dall’animo così sensibile ed empatico e che riesce ad  entrare nei meandri più nascosti della psiche femminile? Che Isabelle non era libera anche se  credeva di esserlo. Alla fine sembra ribellarsi all’odioso matrimonio con Osmond, ma non se ne andrà. E’ come se si trovasse davanti a un vicolo senza uscita. Dalle pagine della veglia notturna di  Isabel, nel magnifico capitolo XLII,  l’immagine del “muro cieco” ritorna ossessivamente.

Insomma noi donne possiamo vivere la nostra vita senza sensi di colpa, senza rigori morali introiettati da secoli, senza  rinunce o  senza compromessi? Oggidì è possibile nel nostro mondo occidentale reputarci veramente libere delle nostre scelte? O dobbimo rinunciare a una parte importante della nostra esistenza come fa la Nora di Ibsen?

L’incanto di questo romanzo è  amche portarci anche in ambienti affascinanti e  particolari come quello descritto nell’incipit : “In circostanze adatte, poche ore nella vita sono più piacevoli dell’ora dedicata alla cerimonia col nome del tè del pomeriggio.” Siamo su un prato inglese, in un dorato tardo pomeriggio d’estate “L’ora vera e propria del crepuscolo era ancora lontana; e tuttavia il torrente della luce estiva aveva cominciato a calare, l’aria si era fatta tenue, e sull’erba fitta si allungavano le ombre.”

Non solo, leggendo andremo a Venezia, Firenze, Roma, gusteremo la descrizione di opere d’arte, percorreremo  le stanze del clustrofobico Palazzo Roccanera, che ha “un milione di finestre” le possibilità di fuga e libertà, ma che Isabel non è ancora pronta ad attraversare completamente. Perchè?

                                                                                                                                                         *   *   *   *

E’ una settembrina domenica pomeriggio. Mi è venuta un’urgente necessità di dolce; ho infornato una tortina con le pèsche, poi mi dedicherò (prima di andare al cinema a vedere Somewhere) a una lieve cerimonia del tè.

Ringrazio Cristina e Donatella per le poesie inviatemi, Miki per il saluto di bentornata, Klaudia che ha commentato Lila Lila, Raffaella e tutte gli altri…

Buona rentrée come dicono in Francia!

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ANGELI A QUATTRO ZAMPE, di Allen & Linda Anderson

pubblicato da: admin - 4 Settembre, 2010 @ 6:09 pm

liguria 2010 092No, non sono blasfema. E’ il titolo del libro trovato stamattina nella biblioteca di Trento. Ho trovato  anche  (finalmente)  un romanzo di Doctorow e uno di una scrittrice italiana. Ve ne parlerò più avanti.

Avete capito che ogni tanto devo leggere e parlare di gatti. Questo libro racconta 35 storie vere in cui un gatto “si trasforma nell’angelo custode del proprio padrone“.

Come non pensare alla mia Mimilla che nel solitario mese di Borzonasca mi ha fatto compagnia, mi ha consolato, divertito, e forse anche curato… Sappiamo tutti ormai, noi gattofili, che esiste una pet- teraphy e che la vicinanza di un gatto che fa le fusa abbassa la pressione sanguigna, attenua la depressione e allunga la vita.

 Ecco riportato dai due coniugi Anderson il racconto di Carol Smith, del Maine, in cui troviamo una gattina-infermiera  che le ha praticamente salvato la vita. Sofferente di cuore veniva svegliata regolarmente dalla gatta quando nel sonno una fortissima aritimia sembrava potesse femarle il cuore. Quando il cardiologo venne a conoscenza di ciò le disse che la gatta si era comportata come un vero pacemaker. Da quando ha lo stimolatore cardiaco  non viene più svegliata.

Di nuovo, oltre tutto quello che so circa i miei amati piccoli felini, apprendo della loro natura spirituale. “Perche ci affascinano tanto?” si chiedono gli Anderson “Sono forse messaggeri giunti fino a noi come strumenti di Dio, per confortarci attraverso le tempeste della vita? Con la loro disponibilità ad ascoltare in silenzio ed il loro sguardo franco ed esente da critiche, chissà se sono lì ad assicurarci che, a prescindere da quanto possa accadere, tutto si svolge secondo un ordine divino?”

Non va dimenticata la leggenda secondo la quale al momento della nascita di Gesù, sotto la mangiatoia c’era una gatta che diede alla luce i suoi piccoli. Questa allegoria compare a più riprese in diversi dipinti che rappresentano la Natività, tra cui uno di Leonardo da Vinci.

Ecco nella foto la mia intrepida Mimilla che come un piccole custode, non so se “angioletto “nero, mi  ha sempre sorvegliato sia dalla terrazza, dal giardino, in casa, di giorno e di notte. La sua affettuosa attenzione non è mai venuta meno, e come un lare domestico,  ha accompagnato sia nella sua veglia che nei suoi riposi beati i miei pensieri lieti o ombrosi.

Scrive Eugenio Montale in “Liuba che parte“:

Gatto del focolare /or ti consiglia / alla dispersa tua famiglia. /Rechi con te ravvolta, / gabbia o cappelliera? / Sovrasta i ciechi tempi/ come il flutto arca leggera/ e basta al tuo riscatto.”

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