PORTAMI A CASA, e la ricerca di un nuovo equilibrio

pubblicato da: admin - 19 Settembre, 2010 @ 7:31 pm

E’ il secondo libro di Jonathan Tropper che leggo, il primo è “Tutto può cambiare” ed entrambi si focalizzano sulla ricerca di “amalgamare”, come scrive Cinzia” i vari ingredienti della vita”. Riordinare con calma il disordine .

Sempre la famiglia al centro di tutti noi, quella d’origine, quella che abbiamo o non abbiamo creato… Questo microcosmo, cellula vitale della nostra società, può essere  terreno di perfetta, vera o presunta, armonia o terreno di rapporti conflittuali irrisolvibili. Nonostante tutto, con pazienza, prendendo un “ingrediente” alla volta si può capire, tollerare, perdonare o recidere, ma trovare alla fine un nuovo equilibrio.

In questo romanzo, ormai bestseller negli States, troviamo una famiglia in frantumi costretta a ritrovarsi nella casa paterna  per celebrare la Shiv’à, ultima volontà del capofamiglia defunto. La Schiv’à è il periodo di lutto prescritto dalla religione ebraica: per sette giorni consecutivi tutta la famiglia dovrà riunirsi sotto lo stesso tetto e ricevere le visite di condoglianze e ricordare episodi della vita dello scomparso.

Quattro figl, tre maschi e una femmina ritornano dalla madre in lutto, una famosa psicologa autrice di libri di consigli per l’infanzia. Una donna appena over 60 che mostra con orgoglio il suo seno rifatto, le gambe ancora belle e che  cerca di riagganciare  i fili spinosi, contorti, usurati dei rapporti fra i  fratelli.

Il racconto, scritto con acume, calore, realismo e umorismo graffiante  fa vivere anche a noi lettori  questi sette giorni di obbligata convivenza in cui riaffiorano vecchi rancori irrisolti, passioni ancora vive, segreti inconfessabili. Sembra di essere seduti su una polveriera.

Judd è il protagonista narrante, è lui che sta vivendo una drammatica separazione dalla moglie, ma è lui che ricorda gli avvenimenti che hanno disgregato la sua famiglia. Il lontano ricordo del rottweiler che ha dilaniato il braccio del fratello maggiore Paul, il preferito del padre, lo sportivo vincitore di borse di studio gli aveva già  fatto capire  allora“…che fosse rimasto menomato il fratello sbagliato. All’epoca non lo sapevo, ma quella fu la notte in cui andammo in frantumi, e negli anni a venire i frammenti dai contorni irregolari di noi tutti avrebbreo continuato ad allontanarsi sempre più gli uni dagli altri, pezzettini essenziali che andavano persi qua e là, finchè non rimase la benchè minima speranza di poterci mai rimettere insieme.”

Ma la vita è piena di sorprese, “tutto può cambiare”. La moglie fedigrafa può riservare delle sorprese, antiche amicizie ritrovate si possono rivelare la spinta ad abbandonare la commiserazione, il perdono  regala imprevedibile forza,  sepolti ricordi fanno riaffiorare una tenerezza dimenticata.

E’ un racconto di un uomo, scritto da un uomo, che sembra  attingere alla nostra capacità femminile sottolineato da Cinzia, di “affrontare una cosa alla volta” di “aiutare lo zucchero ad amalgamarsi con il burro e il cioccolato…” di ritrovare la “nostra casa interiore.”

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VERGOGNA, di Taslima Nasreen

pubblicato da: admin - 18 Settembre, 2010 @ 6:11 pm
 Ho letto i commenti condivisibilissimi di Enza e Raffaella su Proust.
Ho chiesto a Donatella il permesso di trascrivere la sua e-mail perchè, oltre alle sue care e rassicuranti parole per il mio lavoro, c’è un commento sul libro presentato da Riccardo e un nuovo post dal titolo uguale a un romanzo presentato da Raffaella.
Una tematica da ampliare questa che ci propone Donatella, sorprendente, angosciante, da non dimenticare
 
 
Carissima Mirna,
devo proprio riconoscere che questo tuo blog mi prende tantissimo. Ogni giorno sono curiosa di accendere il pc per vedere cosa c’è di nuovo. Mi tenete tutti compagnia, una compagnia discreta, quasi confidenziale. Mi è piaciuto tantissimo vedere il parere delle persone sulle stagioni. Quello che io penso in proposito lo sai già, visto che ne abbiamo già parlato, ma ti dirò di più. Parlando di tazze di tè e dolci, mi hai fatto venire una voglia tremenda di fare torte. Era una cosa che amavo molto fare, proprio in questo periodo. Mi ero presa un sacco di ingredienti, sembrava che dovevo fare chissà quante torte… poi, quattro anni fa, la mia vita è drammaticamente cambiata da un giorno all’altro, quindi niente più torte. Gli ingredienti sono rimasti lì in fondo all’armadietto, non avendo il coraggio di riannodare quel filo del mio passato. Grazie al tuo blog l’altro giorno mi sono decisa a rimettere mano fra queste cose.Ho fatto una grande pulizia e ho ripreso gli ingredienti, pochi questa volta, per scaramanzia, solo lievito, zucchero a velo, cacao. Sono contenta di averlo fatto è stato un po’ come rimettere a posto la casa dei miei: con dolore, ma con la consapevolezza che rimettere ordine fa bene, sia fuori che dentro di noi. E adesso posso rimettermi a fare torte, GRAZIE MIRNA!
Ho letto il libro “Il mio vecchio e il mare” il libro in sè mi era piaciuto perchè molto avventuroso, ma la storia di Tiger, il gattino di bordo, mi ha lasciato l’amaro in bocca. Infatti ho ritrovato immediatamente quelle pagine:
“ieri notte Tiger è caduto fuoribordo e oggi la mia mente pullula di sue immagini. Ho questo vuoto dove prima c’era lui: niente miagolii nè fusa nè carezze, niente giochi. Tante cose racchiuse in quel batuffolo di pelo…”
… mi tormenta l’immagine di Tiger nel freddo oceano, mentre vede la Sparrow allontanarsi. Una sagoma nera nella notte, che non aveva mai visto da quella prospettiva. Per quanto tempo avrà nuotato? Avrà capito che cosa gli succedeva?” Ecco per una come me, un po’ chioccia, che adora gli animali questa scena mi ha fatto male e a distanza di anni me la sono ricordata.
Avete parlato anche in un libro intitolato “Vergogna“, che io non ho letto, ma ne ho letto uno con lo stesso titolo ed è della collana Voci di donne – testimonianze di vita al femminile. La scrittrice Taslima Nasreen, dopo avere scritto questo libro è stata costretta a vivere in esilio in Europa perchè minacciata di morte in quanto considerata infedele. La storia si svolge nel 1992, ma ad oggi niente è cambiato, vedi la storia di Sakineh che è proprio di questi giorni…  Questo è un romanzo verità in cui l’autrice narra come testimone le atrocità dell’integralismo religioso. In nome della diversità religiosa si massacrano gli innocenti, si spezzano antiche amicizie e si rinnegano i sentimenti più forti.
 
Mi è piaciuta tantissimo la tua poesia su Settembre: regalacene qualcuna un po’ più spesso! Mi fanno compagnia. Le ricopio su un foglietto che poi metto nello specchio della mia camera… così ti sento vicina.
A presto carissima
 
Donatella

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DALLA PARTE DI SWANN, e nostalgia del suo Tempo

pubblicato da: admin - 17 Settembre, 2010 @ 3:41 pm

cat,sp,colombia[1]scansione0009Quando piove sembra che il tempo si fermi. Passato e presente riuniti in un continuum. Non posso fare a meno di scrivere tutto ciò che la vita mi regala, mi sollecita, mi intriga. Come diceva Charlotte Bronte una giornata senza aver messo qualcosa di nero sul bianco di una pagina è una giornata persa.  Un vortice di impressioni, vibrazioni, piacevolezze, “intermittenze”, spingono i grafomani a esternare per iscritto il proprio vissuto per capire meglio e ampliare il proprio tempo. Schnitzler aggiungeva, forse, per un senso di solitudine. Parlare di noi, ma  anche degli altri, questi nostri vicini di viaggio che si  devono “leggere”come libri, con attenzione, interesse, empatia.  Prima di affondare nuovamente in  Proust è doveroso parlare dei commenti dei visitatori che ieri sono stati prodighi di sè. L’interesse per gli altri, non è curiosità, è un togliersi dall’autoreferenzialità, è un arricchimento prezioso, un aiuto reciproco.

 Piacevole dunque conoscere parti del passato di Cristina, ricordare  familiari intenti o no alla lettura, insomma condividere pezzi della nostra vita.

Che dire ancora di Proust? Per me è una necessità ricorrente. La sua Recherche, romanzo di memoria,  di filosofia, una ricerca della verità propria e degli altri, della forza costruttiva dell’arte è impastata con il mio essere Lettrice. Non solo l’analitico contenuto sul Tempo, su una società, sugli impulsi  positivi e negativi di noi essere umani, ma maestoso arazzo geometrico e musicale.

Leggere Proust  per me è ascoltare musica: bisogna essere un po’ preparati però  per addentrarsi nel vortice sinuoso dei suoi periodi che si attorcigliano, scendono e risalgono con fluidità fino a un punto che sembra un vicolo cieco , ma soltanto per accorgersi che invece  sono pronti per deflagrare con improvvisa fluidità nel compiuto. E con la placidità di un lago congiunzioni, parentesi, pronomi relativi si rincorrono, e sembrano vivi e formano in questa geometria grammaticale  un’intera società, un mondo intero, una sinfonia indimenticabile.

Torniamo a Combray, noi tutti, suoi amanti, riassaggiamo nei nostri pomeriggi piovosi e forse aridi per fraintendimenti, delusioni, la piccola madeleine intinta nel tè. E subito la consolazione del conosciuto, dell’intrecciarsi delle nostre  fasce nervose del cuore e dei sensi all’essenza stessa della nostra anima spiegataci mirabilmente da Marcel.

Ma come Marcel, solitario nel suoi ultimi anni nella stanza rivestita di sughero, dobbiamo toglierci le maschere per vederci veramente chi siamo, senza la impalcature superficiali che talvolta indossiamo per  sembrare chi vorremmo essere, dobbiamo ascoltare anche gli altri e non solo la Contessa di Guermantes , gli arricchiti Verdurin, Odette, ma proprio, come ci insegna Proust, la voce della cuoca “que vous impressionne agréablement parce que le bruit de voix c’est un chose qui est”.  Perchè “Les chose sont si belles d’etre ce qu’elles sont”!. E la verità nuda è bella e voluttuosa.

L’attesa del bacio materno del piccolo Marcel è un altro dei frammenti di questo primo libro, insieme ai ricordi dei turbamenti e delle inquietudini dell’adolescenza. E’ qui che si delineano i personaggi di Odette, di Charles, e si entra nei due mondi, quello dell’alta borghesia di Swann e quello dell’aristocrazia all’inizio della sua decadenza.

Sappiamo che la Recherce è la storia di una vita, che assomiglia molto a quella di Proust, ne viviamo trepidanti insieme al protagonista la vocazione per la scrittura che sembra non potersi realizzare, ma che infine lo sarà, come per un miracolo necessario,   ma non è un’autobiografia. E il Narratore non è Proust, come i suoi personaggi non sono mai esistiti. E’ il puntiglioso sguardo proustiano che riesce a staccarsi dal sè verso l’altro, verso l’intensa appassionata investigazione del mondo e della sua variegata popolazione. Tutti i suoi personaggi inventati hanno però corrispondenze con la vita reale. Insomma sembra tutto falso quando invece risulta tutto vero. Proust è un fine psicologo e sa  che l’uomo è complesso e molteplice, semplice e contradditorio. E che muta con il trascorrere del tempo. Il grande Tempo proustiano che rivive  e legittima la Realtà ricordandola. Perchè non entrare dunque, in questo pomeriggio piovoso, nel boudoir di Odette de Crécy vestita all’orientale, in attesa con finta trepidazione di Swann e delle sue orchidee Catlleya? O nel salotto di Madame Verdurin tra i suoi “fedeli” per ascoltare  un giovane violinista?

Proust sembra descrivere un’isola felice, una società che si autoesalta, si incensa, ma in realtà  ci svela con leggera tristezza  la visione pessimistica  e controversa  di questo mondo così attento alle apparenze e poco propenso alla comprensione.

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L'UOMO CHE SMISE DI FUMARE, di P.G.Wodehouse

pubblicato da: admin - 16 Settembre, 2010 @ 4:04 pm
uomo[1]Rimaniamo in Inghilterra anche oggi, ma con spirito più lieto, insieme ad uno scrittore che anch’io amo particolarmente. Mi piacciono le metafore con le quali Valentina, che oggi ci scrive il post, accosta la sua lettura ad ogni racconto di Wodehouse.
 Si ha bisogno anche degli spicchi lieti e dolci della vita e perchè no? di quelli che ci fanno sorridere e ridere. La gioia, così rara, occorre afferrarla in ogni sua manifestazione, sia nell’amore, sia nei piaceri materiali, sia nella lettura, questo Motore che ci unisce e ci fa parlare di noi e del mondo.
Inoltre se a farci conoscere un autore è una persona cara il piacere sarà raddoppiato. Anche di questo potremmo parlare.
Ti ringrazio carissima Valentina perchè il tuo post mi permette di andare a vedere il terzo film della saga di Millenium di Stieg Larsson…
 
Cara Mirna,
ho appena finito di leggere ‘L’uomo che smise di fumare’ di P.G. Wodehouse.
In realtà forse non si discosta molto da altre raccolte di racconti di questo secondo me grande scrittore, ma ugualmente vorrei parlarne. Sarà che lo ho conosciuto perché lo leggeva il nonno Furio, di cui ho un ricordo meraviglioso. Ma sta di fatto che lo adoro. Leggere Wodehuse per me è come avere freddo e mettersi un maglione caldo, è qualcuno che passa con un vassoio di dolcetti e mi càpita di pescare il più buono, insomma è sempre quello di cui ho bisogno. Fa ridere senza essere volgare, è raffinato, prende in giro i suoi personaggi e i loro crucci dando a tutto una ridimensionata ed una soluzione sempre sorridenti. E poi mi sembra di essere in Inghilterra, e di sorseggiare un tè… e secondo me non è poco, grazie ad un libro, sorridere, e pensare che anche se il proprio “cruccio” del momento non è precisamente un cilindro ammaccato, forse ad esso molto si avvicina per reale importanza. Mi fanno impazzire questi lord che si proclamano innamorati pazzi della splendida fanciulla di turno per poi scordarla ed anzi giustamente detestarla non appena costei li molla al cinema con due cugini mocciosi e se la squaglia con una amica. Ma loro non si abbattono! Se ne vanno al club, o partono per Montecarlo, magari con un cilindro nuovo in valigia.
Un bacione,
 
Valentina

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UNA LEZIONE DI STILE, di Marta Morazzoni

pubblicato da: admin - 15 Settembre, 2010 @ 6:22 pm

Dopo l’intermezzo gattesco che ha suscitato commenti, poesie e riflessioni  divertenti e interessanti (il mondo futuro non sarà dei gatti e dei cani come paventa la mia cara amica Renata?) ritorno alla narrativa degli umani. La settimana scorsa decido che è ora di leggere un romanzo italiano. In biblioteca  vedo un libro dalla bella  copertina blu, un titolo accattivante, un’autricre vincitrice di un premio Campiello,  Marta Morazzoni .

E’ ora, mi dico, di lasciare la mia amata Inghilterra per il nostro paese…ma non è così! Perchè ” Una lezione di stile” si svolge in Inghilterra, nei pressi di Londra, precisamente nel maniero di Lord e Lady Blands.

Non l’ho fatto apposta. Ma entrare di nuovo in una casa dell’aristocrazia terriera inglese, fra ritratti di antenati, giardino e parco con gloriette,  riti per il tè, ecc. mi piace. Attenzione però, qui non c’è la descrizione serena e invidiabile alla Jane Austen o quella simpatica e divertente alla Wodehouse. Qui ci sono vicende drammatiche vissute soprattutto dall’io narrante, colui che si sente alle dipendenze del signore-padrone di Ashbery House.

E’ una strana storia, talvolta mi sono chiesta perchè è stata scritta, perchè la scelta di una così particolare vicenda. Che cosa spinge gli scrittori a soffermarsi su alcune tematiche peculiari? Necessità di autobiografismo, invenzione, spinta alla pubblicazione?

 Ciononostante, sebbene sentivo delle forzature, la storia mi ha avvinto. E’ il protagonista, insegnante senza più scuola, in fuga da se stesso che si rintana, grazie a un lavoro di precettore per la figlioletta muta di Lord  Blands, nell’isolamento della campagna  di  Asbery House, che incuriosisce e intriga.

Egli si sente vivere in “seconda fila” e da masochista spia, invidia, si immedesima nella vita del gentiluomo di campagna la cui vita non è in ogni caso idilliaca. Moglie gelida e lontana, figlia muta, lui che ama tanto la musica anche nel suono delle voci, madre odiata  al manicomio. Ma egli risulta ugualmente vincente, ha un’amante deliziosa, la modista Rose ed è circondato dalla sicurezza economica e di rango che lo consola degli avvenimenti negativi. 

Non così per il nostro precettore sempre in bilico dal vorrei e non posso.  Vorrebbe entrare nella vita di Lord Blands, essere assimilato nella sua famiglia, godere della facilità della ricchezza, del rispetto servile, avere un pubblico sempre pronto ad approvare.

Egli si sente invece attore e pubblico di se stesso, insignificante, solo. Ma soprattutto spettatore e non interprete.

 Ancora in evidenza le distanze sociali: il mondo dei  privilegiati per nascita e ricchezza e il mondo degli altri. Qualche tentativo di comunicazione, ma alla fine risultano mondi distanti e incomprensibili l’uno all’altro.

E’ così non è vero, ovunque?

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SHANTARAM, uomo della pace di Dio

pubblicato da: admin - 14 Settembre, 2010 @ 5:59 pm

Dorianrcop[2]Gregory David Roberts
“Shantaram”
Neri Pozza Ed., Ottobre 2005
1174 (millecentosettantaquattro) pagine, €22,00

Come promesso ecco una presentazione di Riccardo che controbilancia l’effluvio di introspezioni e confronti con eroine letterarie tipicamente femminili.  E naturalmente come richiesto ecco  l’immagine di Dorian dall’occhio azzurro intenso,  gatto che io definisco “imperiale”.

Dopo tanta storia, amori, viaggi, mare e vela, gattini e gattine, ecco un romanzo di avventure moderne.
Australia. Un uomo, dai 20 ai 25 anni leader del movimento studentesco. Prima rapina in Australia a 25 anni con una pistola giocattolo. Catturato tre anni dopo, scappa dal carcere. Si reca a Bombay e quindi si arruola nei combattenti mujaheddin in Afghanistan. Viene ferito e trasportato in Pakistan. Due anni dopo viene arrestato a Francoforte e imprigionato nel carcere di massima sicurezza di Preungeheim. Viene quindi estradato in Australia dove sconta due anni di confino e quattro di reclusione.
No, amici, questa non è la trama del romanzo, ma la vita del suo autore, nato a Melbourne nel 1952 e autore quasi autobiografico di un libro con un ottimo rapporto prezzo/prestazioni: infatti le pagine sono tante. Al riguardo, quando entro nella mia libreria “del cuore” (Il Papiro, Via Grazioli, Trento) talvolta apostrofo il mio amico titolare con “Per piacere, un libro di non meno di 400 pagine”. Lui sorride, perché conosce la velocità (elevata) con cui divoro i libri. Solo che i clienti presenti si girano per vedere chi è che acquista libri “a peso”!
Non aggiungo altro se non che i diritti di riproduzione cinematografica del romanzo dono stati acquistati da Johnny Depp
Dimenticavo: “shantaram” in una delle tante lingue indiane, significa “uomo della pace di Dio”,forse perché oltre che a recitare nei film di Bolliwood e di stringere relazioni pericolose con la mafia indiana, il protagonista (o il suo autore?) allestì anche un ospedale per i mendicanti e gli indigeni … o forse perchè egli (o il suo autore?)aspirava a diventare un vero uomo della pace di Dio, topo tante peripezie …

Buona lettura!
Riccardo Lucatti,

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CERCANDO EMMA, e i nostri compagni letterari

pubblicato da: admin - 13 Settembre, 2010 @ 5:13 pm

Non ricordo di aver letto “Un cuore semplice” di Flaubert, neppure negli anni della  lettura rifugio, salvezza, fuga dalla realtà  di quando, adolescente,  salivo le scale rinascimentali del Castello dei Pio a Carpi dove aveva sede la polverosa e magica biblioteca. Mi sarei senz’altro ricordata di Felicité.

Ah, mille anni ancora per poter leggere tutto ciò che mi ingolosisce? Ma  ho letto “Madame Bovary”,  come penso l’avremo letto tutte noi “ragazze”. E gli uomini?

In fondo Emma rappresenta una gran parte intima del suo autore. Celeberrima l’enunciato  di Flaubert “Madame Bovary c’est moi“. Eppure Flaubert ce la descrive con stizza, con antipatia. Quando si notano i nostri difetti negli altri ci irritiamo, non è così?

Dacia Maraini  presenta un’ ennesima analisi critica di questo romanzo, “Emma Bovary è di casa nella nostra città interiore” scrive   e indaga sul  profondo e contradditorio rapporto che lega uno scrittore al suo personaggio più amato. Personaggio dell’immaginazione ma che fa luce anche  sulla nostra realtà più nascosta e diventa “nostro” e vero nel momento in cui il suo destino coincide con la nostra nostalgia, il nostro dolore, la nostra esperienza personale, il nostro vissuto.

Altri personaggi rimangono avulsi dalla nostra cognizione perchè troppo distanti emotivamente o intellettualmente, ma moltissimi altri rispecchiano parte di noi.  Emma Bovary è uno di questi probabilmente. Siamo noi, almeno in piccola parte.

 Questa insoddisfatta, ambigua donna  si nutre di letture mediocri  che per essa sono il veicolo per sfuggire ad una inaccettabile e squallida realtà. Nonostante le nefandezze del suo pessimo carattere, Emma persegue un sotterraneo e tenace sogno di libertà.   Sembra una “Don Chisciotte che combatte contro i mulini a vento delle eterne province del pensiero, pronta a regalare il cuore  per ogni piccolo sogno di evasione.”

Anch’io, da ragazzina, nei momenti di sconforto e inaccettazione di una realtà che non sentivo mia, fuggivo e mi rintanavo nei romanzi, ma altre eroine letterarie mi sollecitavano l’imitazione…Jane Eyre, soprattutto che lavorava e non si faceva abbindolare…che non era egocentrica come Emma.

E voi?

Perchè Flaubert sembra prendere in giro la sua antieroina? Rende grottesche le sue scontentezze, mentre noi scopriremo che sono tragiche proprio in quell’essere donna progioniera dei costumi dell’epoca.

Un uomo per lo meno è libero” dice Emma ” un uomo può viaggiare per paesi e passioni, può superare gli ostacoli, affondare o denti nella felicità lontana. Una donna è continuamente impedita. Inerte e flessibile, ha contro di sè le mollezze della carne con le dipendenze dalla legge. La sua volontà, come la veletta del suo cappello trattenuto da un cordoncino, palpita a tutti i venti, c’è sempre qualche desiderio che la trascina e qualche convenienza che la trattiene. “

Interessante leggere le lunghe e corpose lettere  che Flaubert scrive a Louise Colet  ” Tu non capirai, tu che sei tutta d’un pezzo, come un bell’inno d’amore o una poesia. Io sono un arabesco di intarsi, ci sono in me pezzi d’avorio, pezzi d’oro e di ferro. Ci sono anche pezzi di cartone dipinto. Ci sono diamanti.  Ma ci sono pure pezzi di latta.”

In Emma ci sono moltissimi pezzi di latta fasulli ma anche la durezza del diamante tanto da farla divenire un archetipo della rivendicazione femminile alla libertà nel bene o nel male. Per sua scelta.

E’ lontano da noi questo personaggio? Se noi crediamo di discostarcene troviamo invece somiglianze in altri ? Sentiamo l’impulso a scendere  nel nostro inconscio e capire che siamo sempre “Uno, nessuno, centomila”?

Questo lungo post è stato sollecitato sia dal commento di Camilla sulle  due donne eccezionali come Emerenc e Felicité, sia dall’uggiosa mattinata autunnale che mi tiene in casa, e  che  mi piace perchè mi permette di scrivere, bere caffè in deliziose tazzine colorate con il coperchio, ricevere una affettuosa telefonata da Rosetta, una e-mail da Donatella e godere dell’incontro ravvicinato con la scrittura e la mia sete letteraria.

Basta però. Domani per controbilanciare la mia prolissità spedirò un post di un uomo, del nostro  Riccardo che non credo si senta Emma Bovary… Oppure?

Inoltre ci sarà, dietro richiesta di  Enza,  la foto di Dorian, il suo gatto assistente…

  

 

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TSUGUMI, di Banana Yoshimoto

pubblicato da: admin - 12 Settembre, 2010 @ 8:01 pm

“Le parole tra noi leggere” - ma non troppo  – come appunto sono quelle di Lalla Romano, ci sollecitano a cercare altri  libri, ricondurci a filosofi, poeti, autori particolari come hanno scritto Valentina e Miki.

 Un libro tira l’altro. La felicità nelle piccole cose mi ha fatto pensare alle due adolescenti giapponesi descritteci da Banana Yoshimoto. Sembra proprio che la prima giovinezza non si accontenti dei piccoli piaceri,  ma desideri  ed insegua “il miraggio di felicità intensa” che è  il patrimonio per poter “tirare avanti  e invecchiare”. 

 Ognuno di noi ( “grandi” ) avrà gioito e sofferto gli eccessi di speranze, delusioni, sentimenti, per arrivare ad una placida baia di ragionevolezza o quasi…

Forse la abbiamo raggiunta  giorno dopo giorno o forse abbiamo iniziato a “crescere”, a cambiare,  in un momento particolare come capita a Maria e Tsugumi, le due cugine che si ritrovano a trascorrere una magica, forte, emozionante, risolutiva estate al mare.

La narratrice è Maria, tranquilla, buona che subisce il carattere ribelle, egocentrico, “cattivo”  della cugina che ci  viene descritta così: ” Senza dubbio  Tsugumi era una ragazza impossibile… Era cattiva, maleducata, sboccata, capricciosa,viziata e  sleale…”

Ma Tsugumi è fisicamente fragile e il suo destino sembra segnato. Forse per questo tutti sopportano il suo pessimo carattere.

Nella bellissima estate trascorsa sulla costa della pensiola di Izu con la cugina e altri coetanei, Tsugumi conosce anche  l’amore e riesce finalmente a far trapelare la sua vera natura sensibile.

Racconto scritto nel 1989 quando la Yoshimoto non era ancora trentenne.

Nella vita di ognuno ci sono periodi in cui avvengono quelli che io chiamo  “salti” di qualità o scatti in avanti,  e con questo intendo la capacità di conoscersi, stare bene con se stessi, tollerarsi maggiormente, migliorare.

Credo che non si smetterà mai di voler “saltare” in avanti.

Ma ora ricordo  un’estate al mare e un momento risolutivo per la mia insicurezza,  la scarsa autostima, il timore di non sapermi rapportare con gli altri quando feci la scoperta che potevo essere simpatica e ciarliera. Serata a Gabicce Mare con un’amica più estroversa di me che già ballava sulla “rotonda”con il ragazzo più bello. Io, “imbalsamata”con l’altro amico al tavolo. Ragazzo non molto alto, biondo, soprannominato Titta, ma  simpaticissimo…riuscì non solo a  farmi parlare, ma mi fece  ridere come non mai. Due ore consecutive di risate e  battute come palline da ping pong. Ma ero io quella ragazza  così allegra spiritosa, divertente?

 Grazie Titta, hai fatto uscire prepotentemente, in una calda serata sotto la luna,   il mio senso dell’umorismo !

Anche voi ricordate momenti topici?

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POEMETTI, e il segreto della "felicità bambina"

pubblicato da: admin - 11 Settembre, 2010 @ 6:46 pm

liguria 2010 027scansione0005Il post di ieri ha sollecitato  riflessioni importanti sia per noi over 60 sia per le giovani visitatrici come Miki, Raffaella, Valentina… Parliamo sempre di vita, della nostra vita che come ci consiglia Maria Teresa  si può vivere con più ottimismo.  Le piccole cose di cui parlava anche Gozzano, non necessariamente un “Loreto impagliato”, sono i puntelli strategici per tradurre lo spleen in una  “felicità bambina”.

Scelgo ancora una volta  Katherine Mansfield proprio per la sua ardente sete di vita e di felicità. Felicità che provava nei piccoli piaceri quotidiani, nell’amore, nell’amicizia e nell’abbandonarsi alla bellezza della natura.

“In riva al Mediterraneo c’era Villa Pauline, un cottage di quattro stanze” ci scrive John Middleton Murry, marito della Mansfield spiegando che entrambi vi abitarono  nel 1916. Ricorda che  si dedicarono una settimana intera alla poesia “Dopocena, sedendo insieme a una minuscola tavola da cucina, abbiamo scritto versi intorno a un tema che sceglievamo al momento”

In questi Poemetti  di Katherine Mansield troviamo anche i ricordi della lussurreggiante Nuova Zelanda, il suo amore per l’Amore, le sue immagini più colorate, la sua forza di veleggiare ad ogni costo verso la Felicità.

 

“Un golfo di silenzio ormai ci separa;

 Io su una sponda e tu all’opposta vivi,

 Non ti vedo nè ti odo, a stento so che ci sei…

A varcarlo forse c’è modo? Mai con la parola

O il senso. Così di pianto lo potremmo colmare.

 Ma ora voglio frantumarlo con un’altra risata.

La Mansfield nei suoi diari scrive che il dolore può essere vinto, a patto di non resistergli, concedendogli una parte di noi. “Tutto quanto accettiamo effettivamente dalla vita, subisce una trasformazione. In questo modo la sofferenza deve diventare l’Amore. Ecco il mistero. Ecco ciò che debbo fare. Devo passare da un amore personale a un amore più grande. Devo dare al tutto ciò che ho dato ad uno solo.”

Che sia questo il segreto delle felicità?

Scrive nei primi versi di “Villa Pauline

Eppure, prima che egli venisse,

eri soltanto un nome:

quattro stanze nane, un cassettone

senza nemmeno un osso dentro,

ed ero sola!

Dalle vaste finestre

ora l’aperto intero

di sole e fiori e canto

a nascondersi viene,

ardente e sulle sedie ridente,

per afferrare d’improviso

la nostra felicità bambina“…

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L'AUTUNNO DELLA SIGNORA WAAL, di Nico Orengo

pubblicato da: admin - 10 Settembre, 2010 @ 6:53 pm

waal[1]Oggi la parola scritta a Maria Teresa con una storia che è il prosieguo dei nostri  pensieri sull’Autunno.

 

 Libro che comincia e finisce con una foglia di eucalipto.

Qualche giorno fa il clima autunnale, la pioggia e il cielo così gonfio di nubi grigie mi hanno riportato alla mente il titolo del romanzo di Nico Orengo “L’autunno della signora Waal”, anche se tra gli uni e l’altro non c’è corrispondenza meteorologica, perché quello della signora Waal è l’autunno della vita.

Siamo in terra di Liguria, non quella di levante che accoglie la carissima Mirna in estate, ma quella di confine con la Provenza. Eppure, rileggendo proprio in piena estate questo libro, ho pensato molto a Mirna: certamente gli ulivi, gli eucalipti, gli oleandri, il basilico e mille altri aromi sono gli stessi che addolcivano l’aria respirata da lei e dalla sua Mimilla! 

Autunno della vita: voglio subito sgombrare da questa espressione ogni connotazione malinconica! Io ci sono dentro, e con me molte mie carissime amiche. È bellissimo esserci: è il pieno della vita, è poter fare affermazioni ed esprimere giudizi con una certa sicurezza, perché supportate ormai da tanta esperienza, è poter fare bilanci, è concedersi piccoli privilegi e dedicarsi di più a se stesse e a ciò che piace senza sentirsi in colpa, è non avere sempre orari da rispettare… è tante belle cose! È tutta da godere questa nostra età!

Anche le decisioni che a volte si devono prendere a questa età si affrontano con maggior calma, con trepidazione sì, ma mitigata dalla consapevolezza che comunque non casca il mondo, che una soluzione si trova sempre, che la vita continua e forse può persino migliorare anche dopo grandi cambiamenti. Almeno, per me è così. 

Questi ed altri pensieri mi sono venuti alla mente durante la lettura di questo breve e bellissimo libro. Lo consiglio a chi ama fiori, profumi e colori e a chi ama le piccole cose, come il caffè con l’amica, lo scambiare due chiacchiere in salotto o sul terrazzo, le coccole al gatto, un lavoro manuale …

Intendiamoci, “L’autunno della signora Waal” è anche molto altro (compreso un notevole mistero), ma al molto altro si viene condotti attraverso continue atmosfere fatte di freschi profumi, aromi, colori. A costo di ripetermi, devo dire che non c’è alcuna scena senza colori e/o profumi! 

È un libro di donne: molte, moltissime donne! C’è la matura signora Waal, olandese trapiantata in Liguria con i suoi pensieri, e ci sono le giovani locali (credo di averne contate più di quaranta) che costituiscono un gioioso, disordinato, vivace coro in cui nessuna ha una funzione precisa, ma tutte insieme sono un piacevole rifugio in cui l’anziana può sentirsi sollevata dai suoi affanni.

La signora Waal deve prendere una importante decisione e sa che il sospendere per qualche momento quel pensiero, rifugiandosi nelle piccole cose come gli argomenti che le portano le giovani amiche, può aiutarla. 

Sono convintissima anch’io che le piccole cose difendano dai grandi affanni, perché consentono quel distacco che poi permette una valutazione più ragionata. Per me rimandare un pensiero a domani non è fare lo struzzo. Se ci si distacca un po’, poi si vedono le cose diversamente, forse meglio. È una prassi che si può ripetere più volte, anche sullo stesso problema. A volte continuare ad arrovellarsi non serve. Il tempo che passa, il riprovare a pensare porterà in seguito una soluzione. Per me è ok mettere da parte un affanno e riprovare a pensarci in un secondo momento, e poi ancora un terzo se è necessario. Nel frattempo, la vita andrà avanti lo stesso. 

Dimenticavo una cosa carina: uno dei pochi maschi del libro è il gatto della signora Waal. Ma ha un nome femminile e aromatico: Fragola!

 

Maria Teresa L.

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