TI-PUSS, ou En Inde avec ma chatte

pubblicato da: admin - 31 Luglio, 2010 @ 5:55 pm

Si può abbinare la filosofia indù con una gattina? Certamente. Questo ce lo racconta Ella Maillart, grande viaggiatrice ed esploratrice , giornalista e scrittrice.

Comprato nella libreria Viaggeria di Trento, questo libretto con in copertina una gatta con turbante (ed. EDT) appartiene ad Enza che vuole presto visitare l’India. (senza gatta, I suppose). Lettura deliziosa, interessante, su cui soffermarsi a lungo. Ella Maillart ci descrive infatti gli anni trascorsi in India, per studiare la filosofia indù e cercare la Verità. Delusa dal Cristianesimo cerca un misticismo più convincente chiedendo aiuto ai vari saggi della penisola indiana, fra cui il Maharishi, che la indirizzano alla meditazione. “Se penso alla presenza del soggetto cosciente che illumina ogni esperienza, il “mio” istante raggiunge la pienezza e non sono più separata dal vero”Io””  Ricorda ciò che il giovane Maharishi aveva scritto da giovane in versi tamil :”Luce della coscienza che tutto abbraccia, è in te che si forma l’immagine dell’universo, che vi dimora e si dissolve, mistero che possiede il miracolo della verità. Tu sei il Sè interiore, l'”Io” che vibra nel cuore. Cuore è il tuo nome, o Signore.”

Metacognizione perciò nel vedersi mentre ci si vede in intensi istanti felici . “Gioia di sapersi felici e di esserne coscienti”

E la gatta? E’ un incontro e un amore a prima vista quando un cuoco le affida una gattina che la madre non può più nutrire.  Si chiamerà Ti-Puss e seguirà la nostra viaggiatrice-studiosa attraverso luoghi torridi, boschi ameni, nell’arco di due anni. Insiema Ella e Ti-Puss viaggeranno su treni affollatissimi, dormiranno in stanzette infestate da cimici ed affini, ma il loro percorso spirituale sembra andare di pari passo. L’innocente animaletto è un validissimo  sostegno per la sua meditazione. La gatta intuisce quando la sua  compagna è attenta alla vita che la  circonda perchè è nella sua stessa indole ricercare  la pace e l’armonia. “Il gatto” si domanda Ella  ” non è forse l’emblema della spontaneità, della grazia nata dalla concentrazione, della pienezza di chi vive il presente che altro non è se non l’eternità ?”

Come non essere d’accordo con lei, io che vivo quasi sempre sola con Mimilla? Mentre stamatttina salivo verso la splendida Abbazia di Borzone (ve ne parlerò presto) pensavo alla mia gattina, al suo amore per me ed al mio per lei. Rileggo le parole di Ella a tal proposito. Si chiedeva se la gattina soddisfacesse un suo bisogno di amare, e se la sofferenza temendone la perdita fosse un passo indietro proprio ora che un saggio la stava guidando sulla strada della libertà assoluta…”Che cosa illogica! Non cederò la gatta per rinuncia…La natura di un attaccamento può essere trasformata, se tende costantemente verso l’amore infinito – sorgente delle nostre gioie e dei noistri destini – verso quella totalità d’Amore che, si dice, costituisce la nostra essenza.”

Lettura speciale, bellissima. Amo i viaggi esteriori ed interiori, mi piace conoscere nuovi paesei, abitudini, Weltanschauung. Ho scoperto che questa interessante donna nata in Svizzera nel 1903 è stata anche una bravissima atleta, è stata in Iran con Annemarie Schwarzenbach ! (ricordate il libro della Mazzucco, “Leri così amata”, di cui ho scritto mesi fa?).

E soprattutto amo sentir parlare di gatti, questo meraviglioso animale che ci osserva e capisce…e ci ama.

Ieri, mentre cenavo, arriva Mimilla con un dono…un’enorme cavalletta zampettante in bocca…la deposita sul pavimento e mi guarda. Io urlo e sbatto il dono fuori dalla porta con la scopa . Chiudo la porta finestra. E lei, il mio tesoro nero, da fuori si alza in piedi e attraverso il vetro mi guarda incredula con la cavalletta di nuovo in bocca. Ho smesso di cenare (bene per la dieta), poi ho “salvato” il mio dono scaraventandolo lontano e ho subito il “muso” di Mimilla per tutta la serata.

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I MALAVOGLIA, antitesi della cugina Bette?

pubblicato da: admin - 30 Luglio, 2010 @ 5:27 pm

Non sapevo di che romanzo parlare stamattina, ma appena mi sveglio i pensieri “libreschi”si mettono in moto: in cerchi concentrici, a zig zag, in un alternarsi di avanti e indietro. Mi distraggo, apro gli sportelli sbagliati in cerca del caffè…ma mi sento subito “vitale”. Poi leggo la posta e a seconda  delle e-mails e dei commenti ricevuti lentamente si forma nella mia mente il post giornaliero. Più facile sarebbe avere tra le mani sempre libri nuovi ( mi manca la biblioteca di Trento!), ma mi accontento di quelli prestatimi dalle amiche, alcuni comprati e non ancora letti e di tutti quelli che trovo in casa. Meno male che Camilla ci consiglia spesso “roba fresca” o chicche di riserva, come Trollope o Madame de Duras. E questo Doctorow che spero mi presterà!

Ho pensato a “I Malavoglia” come “risposta antitetica” alla cugina Bette, così sordida, che fa rabbrividire anche Camilla e Raffaella, senza morale nè amore come aggiunge Michela,  (grande amante delle letteratura francese. Ah, Eugénie Grandet!)

Come Lisbeth anche i Malavoglia sono poveri, anzi vengono definiti i vinti perchè per loro non ci sarà risposta di un miglioramento sociale ed economico in un mondo dalle prime irrequietezze di benessere e fiducia nel progresso della seconda rivoluzione industriale. Qui però non siamo a Parigi, ma ad Aci Trezza, distanti non solo come spazio, ma anche come tempo. E l’Italia del sud è in grande ritardo rispetto al nord, anzi sembra  immobile. Siamo già verso la fine dell’Ottocento e il romanzo narra le vicende di una modesta famiglia di pescatori proprietari però sia del peschereccio La Provvidenza che della Casa del nespolo.

La sfortuna sembra spezzare questa famiglia che vive in un microcosmo ritratto  “fotograficamente”   da Giovanni Verga . Sentiamo “parlare” la plebe siciliana, conosciamo i loro sentimenti espressi, l’invidia, l’avidità mirata ad una mera lotta per i bisogni materiali. Ci rimangono  impressi i soprannomi: La Longa,  compare Cipolla, la Zuppidda, ma soprattutto quel padron ‘Ntoni Malavoglia, custode di valori che cementa la famiglia, nonostante i lutti e la  sventurata Lia. In lui fierezza, amore, inflessibile senso morale, in conflitto con la cupidigia e l’indiffernza dei nuovi strati sociali che lentamente sembrano formarsi. E’ un vinto, ma lo è da eroe, come dice Luigi Capuana che cita a paragone Ettore, Socrate, Gesù.

Che differenza dunque con la cugina Bette che non lascerà nulla dietro di lei, solo aridià; mentre padron ‘Ntoni con la sua serena fiducia nel bene, nel lavoro assegnato dalla sorte,  nel giusto,  farà riacquistare dai nipoti più giovani la casa del nespolo perduta, simbolo della famiglia, delle radici ancestrali, di ciò che il destino ha dato.

Come sappiamo il grande Balzac era tormentato, era sceso negli “inferi” umani, era  fine conoscitore, prima di Freud (come ha sottolineato Camilla) del nostro animo. Giovanni Verga non interviene. E’ fuori dal racconto, descrive, documenta ciò che si vede.

I Malavoglia sono un grande manifesto della corrente del Verismo, un critico lo ha  anche  definito romanzo-poema perchè le voci che si alzano in quel lembo di terra e mare dimenticati sono vere, pure, sincere.

Giovanni Verga osservava con occhio penetrante ciò che vedeva intorno. Nel “ Mastro Don Gesualdo”  entrerà con più forza nell’animo umano e la visione dell’ambiente sarà più varia ed ampia. Certo Verga era un ricco borghese, lontano dalla miseria di tantissimi siciliani. Si trafserisce anche a Milano dove, ricordo di aver letto “passeggiava con il naso in aria”.

Verga mi piace perchè ha guardato gli altri. Non era un indifferente. E pur se ne “I Malavoglia” non “interviene” , come si insegna a scuola nell’analisi del testo, percepiamo il suo grande  rispetto ed ammirazione per i suoi fieri personaggi.

 Comunico, soprattutto a Donatella che ha apprezzato il c0ntenuto del  libro “Una manciata di sogni”,  che Maria Wanda Caldironi ha scritto qualcosa per noi. Per leggerlo occorre tornare sul suo post .

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LA CUGINA BETTE, di Honoré de Balzac

pubblicato da: admin - 29 Luglio, 2010 @ 5:43 pm

Piove qui nel paesello chiuso tra i due fiumi, il verde, le chiesette, strada principale e due vicoletti antichi.  Ho da fare in casa oggi, è venuto un signore magro magro, ma forte a tagliare un limone e un fico seccati, ma si pensa già ad allargare la crescita del lussurreggiante glicine.

Che farò oggi oltre alla pasta al pesto? (pesto dei consuoceri chiavaresi). Leggerò, scriverò, penserò.

Quando nel tardo pomeriggio mi metto seduta sulla terrazza della cucina ad ammirare le rondini, qualche poiana e gli …aironi faccio  scendere il mio sguardo estasiato dal cielo per osservare ciò che mi sta attorno. Intanto il cortiletto del mio vicino che ha sbaragliato l’altra notte i “ruggeri”. A tal proposito mi ha raccontato che la missione è iniziata alle 22, che ha indossato un passamontagna per difendersi da eventuali attacchi, poi su una scaletta già preparata anzitempo ha spruzzato, a debita distanza,  il micidiale preparato anti vespe e calabroni. Lui e sua moglie sono proprio angeli custodi, ci controllano il giardino quando non ci siamo e ci aiutano quando arriviamo.

Più oltre c’è un’alta casa grigia dalle piccole finestre dove, qualche volta, vedo passare figure lontane e indistinguibili. Comincio ad immaginare la loro vita che mi sembra sempre misteriosa e ripenso alla nostra vita in generale, alla Comédie Humaine raccontataci così spietatamente dal grande Balzac. Forse perchè quella che vedo non è una casa allegra, ma chiusa in se stessa ricordo per associazione “La cugina Bette.”

Libro comprato durante un viaggio, ma che ora è alloggiato qui a Borzonasca. Che terribile personaggio questa Bette, zitella brutta, povera, invidiosa a tal punto della sua antitetica cugina Adeline da fare del suo odio vendicativo lo scopo della sua vita, la sua autorealizzazione. E ci riuscirà non svelando a nessuno, proprio per la durezza dei suoi sentimenti di rivalsa, la sua vera anima. Anzi continua ad incarnare il prototipo della zitella “angelo della famiglia” che si sacrifica per il bene degli altri.

Romanzo scritto nel 1846 quando lo stesso Balzac proietta con visionaria lucidità le sue amare delusioni sulla vita e sugli uomini.  Lisbeth Fischer, si sente vittima di parenti ricchi, dell’intera società fondata sul valore unico del denaro e del possesso delle cose. In questo perfido personaggio sembra confluire anche il noto odio che Balzac provava per la madre, “un mostro” la definisce infatti  in una lettera all’amata Madame Hanska.

In una Parigi borghese di metà Ottocento, Lisbeth riesce a dirimere intrighi, menzogne, “crimini privati” sorretta da un titanico risentimento verso i parenti ricchi. Ma ciò che ci mostra questo odioso personaggio, sembra suggerirci Balzac, lo ritroviamo nelle nostre più oscure pulsioni di invidia, sopraffazione,ambiguità di intenti verso l’altro? Sembra una riproposta in chiave moderna del mito di Caino e Abele, quando l’odio per l’altro non riesce a trovare argini. Bette odia la bella e buona e ricca Adeline “Era bella come sono le donne tanto belle da rimaner tali anche dormendo: è l’arte che invade la natura, è come un quadro vivente.”

Niente può fare contro la grigia pietra della sua anima, deve solo distruggere, è il suo imperativo categorico.

Ci chiediamo perchè ebbe ed ha tanto successo questo romanzo? La risposta potrebbe essere inquietante. Ma per fuggire da questa amara convinzione  senza speranza delle miserie umane di Balzac dobbiamo aspettare le giornate rivoluzionarie del 1848 e una nuova “bandiera al vento“. Come suggerisce Lanfranco Binni nell’introduzione . Vent’anni dopo arriverà Rimbaud “che ci fa intuire vie di fuga dal grigiore dell’inferno sociale” .

Rimbaud era poeta.

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LACRIME DI COCCODRILLO, di Valeria Corciolani

pubblicato da: admin - 28 Luglio, 2010 @ 6:27 pm

Dopo il cedimento  pascoliano di ieri, eccomi pronta per un nuovo tipo di lettura. Un giallo che si svolge proprio qui in Liguria, tra Genova e Chiavari. “Lacrime di coccodrillo” è pubblicato da Mondadori. Ha una copertina nera con la silouhette di tre ragazze alla Charlie’s Angels. E proprio tre amiche sono le principali protagoniste di questa storia che io trovo oltremodo divertente. Ne è autrice Valeria Corciolani, giovane e bella signora chiavarese, amica di mio genero Marco.

Il linguaggio è svelto, breve, conciso , le immagini simultanee, da ciò ne deriva una  lettura dal ritmo incalzante , moderno, attuale, si può dire…tecnologico? In fondo, nella storia,  molta importanza hanno gli sms dei cellulari, le e-mails, la televisione…più citazioni cinefile e canzoni che accompagnano continuamente le osservazioni personali del commissariio Lenzi trasferitosi da poco a Chiavari.

Insomma questo romanzo mi ha catturato e consolato per la partenza di Stefania.

 Ma qualcosa ho fatto anch’io per distrarmi: stamattina ho preso la mia UNO scassata e sono scesa (forse a 20 all’ora!) a Chiavari. Mi sono sistemata su un comodo lettino in una deliziosa spiaggetta con sabbia, ho fatto due bagni e ho continuato la lettura di questo romanzo, sbottando spesso a ridere da sola.

Beh, in fondo cercare di “colpire” un marito e amante fedigrafo (sempre lo stesso uomo) con del Guttalax è esilarante. Anche perchè ad un certo punto lo sventurato bello “sciupafemmine” (soprannominato anche  “fecalomo”) sparisce, pur sembrando già morto, dal salotto di Betti, una delle tre amiche sopracitate. Si innesca una serie di avvenimenti avvincenti.

Dei gialli non si può raccontare molto, ma dei personaggi sì. Le tre amiche sono molto unite e si aiutano a vicenda. Mi ha divertito leggere delle piccole manie di ognuna di loro: Guia, per esempio, l’unica sposata e con due bambini (assomiglia forse un po’ a Valeria Corciolani con in suoi occhi color savana?) deve stendere i panni con le mollette appaiate dello stesso colore… Inoltre è sinestetica: ha una particolare capacità di percepire insieme con fatti, persone o oggetti un colore. Suo marito, per esempio è sempre visto nei toni del blu, sua figlia Emma …rosso carminio. E’ lei che avrà delle interessanti intuizioni su un caso che sembra collegato a quello in cui si trova coinvolta Betti.

E l’altra amica, definita super “gnocca” dagli uomini? E’ la bionda Lucia tormentata dal suo amato Arnaldo protettivo che le vuol far sempre mettere la maglia di lana…

Il lessico non è pascoliano, ma siamo quasi adusi a certe parole così frequentamente usate anche dai mass media e in questo contesto si inseriscono adeguatamente.

Mi è piaciuto molto vederee Chiavari attraverso gli occhi dei personaggi: ho riconosciuto dalla descrizione una deliziosa vecchia libreria situata al primo piano di un edificio antico in cui si entra dai portici. Quante volte ho esplorato le sue stanzette colme di libri!

E attraverso gli occhi del commissario Pietro Lanzi mi sono soffermata sulla bellezza nascosta di questa antica cittadina : la passeggiata a mare gustando l’inimitabile focaccia ,l’odore di limone e basilico dei piccoli negozi, il fascino discreto delle antiche confetterie.

Sempre amici i libri, consolatori, impegnativi, per far riflettere, per divertire.

Tornata a casa dal mare abbronzata e fiera di me, ho voluto finire il libro della Corciolani mentre mi gustavo una caprese. 

 Allora mi sono ricordata della sera quando io, Stefania e Marco andammo a cena sotto i portici. Ad un certo punto al tavolino accanto arriva un signore che chiede se può sedersi. “Sapete, io sono mono…” “Monoteista?” chiedo . “Sì” risponde ridendo ” ed ancora, mono, mono” .Poi, in attesa del fritto misto apre davanti a sè un libro giallo e sorridendo compiaciuto  si mette a leggerlo.

Libro anche interlocutore, dunque.

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PIANTO DI STELLE, Messaggi in poesia

pubblicato da: admin - 27 Luglio, 2010 @ 7:01 pm

Poesia che fa rima con nostalgia, quella di un tempo passato e quella di qualcosa che vorremmo e che non otterremo mai. E Giovanni Pascoli è maestro nel rimescolare sentimenti forti, delicati,  di crisi dell’uomo. Fatto sta che pur preferendo Montale ed altri poeti, Pascoli mi è però “entrato dentro” ed i suoi versi sono  come canzoni malinconiche e nostalgiche che “canto spesso”.

Non  passa inizio di primavera che io non declami dentro di me o ad alta voce “C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole…”, il X Agosto guarderò il cielo e sussurrerò “San Lorenzo, io lo so perchè tanto / di stelle per l’aria tranquuilla / arde e cade, perché sì gran pianto / nel concavo cielo sfavilla. Oppure reciterò : E s’aprono i fiori notturni / nell’ora che penso ai miei cari, sono apparse in mezzo ai viburni / le farfalle crepuscolari…”

Il volumetto azzurro, qui accanto a me, e che non posso farvi vedere perchè non ho lo scanner fa parte della Collana Acquerelli e ha accompagnato me e mio marito in uno di quei viaggi “letteraturizzati ” che eravamo abituati a fare partendo da questa nostra casa ligure. Dopo Arles alla ricerca dei colori di Van Gogh, le Langhe di Pavese, ecc. il 3 agosto 2002 partimmo per  Barga per ascoltare il rintocco delle ore del campanile cantato dal poeta. “E suona ancora l’ora, e mi manda / prima un suo grido di meraviglia / tinnulo, e quindi con la sua blanda / voce di prima parla e consiglia, / e grave grave grave m’incuora: / mi dice, E’ tardi; mi dice, E’ l’ora.”

Prima però  Piero ed io, sorridenti e curiosi,visitammo a Castelvecchio  la sua casa con giardino,  poi pranzammo all’Osteria del Platano dove lo stesso Pascoli era abituato ad andare.

Che nostalgia di quella giornata felice, così nitida nella mia memoria!

Sono pascoliana in questo pomeriggio in cui comincia la mia “cattività” borzonaschina: Stefania riparte per gli States ed io mi ritroverò per un mese  in questa casa sola con Mimilla.

 Reciterò sconsolata ” Lasciami immoto qui a rimanere / fra tanto moto d’ale e di fronde; / e udire il gallo che da un podere / chiama, e da un altro l’altro risponde…0 invece siederò languidamente sulla sedia a sdraio  sotto l’amareno appagata d’estate e libertà pensando …Ma un poco ancora lascia che guardi / l’albero, il ragno, l’ape, lo stelo, / cose che han molti secoli o un anno / o un’ora, e quelle nubi che vanno.”

Il bello del nostro animo è la sua variabilità; io stessa spesso non riesco a prevedere come mi sentirò l’indomani. Una cosa è certa: io parlo con me stessa, voglio capirmi e il più delle volte, con me, non mi annoio.

La poesia in ogni caso è sempre un valido sostegno.

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MESSAGGIO D'AMORE, anatomia di un matrimonio

pubblicato da: admin - 26 Luglio, 2010 @ 5:22 pm

Mi sveglio presto al suono delle campane della chiesa e non sono di buon umore perchè c’è ancora freddino. Questo paese mi piace quando splende il sole, l’aria è teneramente fresca e le farfalle piroettano attorno ai fiori. La gatta vuole uscire sulla terrazza della cucina, ma vuoi per un gatto minaccioso  in cima alla scaletta , vuoi per la temperatura frigida ritorna immediatamente dentro. Caffè doppio e apertura PC che per me è una finestra sul mondo. Leggo subito le righe di Camilla, mattiniera anche lei! e le disavventure circa l’acqua mancante! E della sua “relazione sentimental libresca” con Doctorow assunto in questi giorni come marito immaginario.

E a proposito di coppia oggi parlerò proprio di un matrimonio “reale”, come viene raccontato nel romanzo di Somerset Maugham.

L’ho scovato ieri pomeriggio, a lazy Sunday afternoon, tra i vari libri dimenticati qui a Borzonasca. A me sembrava di averlo letto con un altro titolo ” Mrs.Craddock“, ma sono stata contenta di sfogliarlo e ricordare questo ritratto di una coppia apparentemente felice, ma spietatamente individualista, sola e senza quella capacità di crescere insieme per amarsi anche dopo l’affievolirsi della passione .

E’ soprattutto il punto di vista della signora Berta Craddock che l’autore ci fa conoscere in una sorta di spregiudicato, divertito e segreto dialogo fra di loro.

E’ una lettura deliziosa, pur nella sua amarezza, sia per le descrizioni paesaggistiche inglesi a me tanto care: viali di olmi in autunno,  passeggiate nella campagna, il rito del tè. E la genesi dell’innamoramento  di Berta per  Edwuard, il classico gentiluomo di campagna. “ Egli si stava avvicinando: si trattava di un uomo alto di circa ventisette anni, dalla taglia massiccia e dall’ossatura forte, con lunghe gambe e lunghe braccia, e un meraviglioso torace…il tutto era intensamente virile! Odorava di campagna ed anche la misura degli stivali mostrava un carattere deciso ed una grande sicurezza.”

Presto si sposano, ma pur continuando ad ammirare il suo fisico “ella amava le sue mani. Erano grosse, abbastanza rozze ed indurite …robuste e maschie…le facevano tornare alla mente una mano in porfido rimasta incompiuta che aveva visto in un museo italiano…”, Berta inizia a lamentarsi del poco tempo che  il marito le dedica, della sua praticità campagnola, della mancanza di sensibilità. E’ anche gelosa dell’attenzione che egli riserva al vicinato, soprattutto femminile. Gli fa delle scenate, lui si stufa e spesso esce esasperato dopo aver ascoltato le sue lamentele. Un giorno Berta vorrebbe seguirlo, ma lui le sbatte la porta in faccia. Berta scoppia in singhiozzi sul divano. Il dolore viene dissipato dall’ira e dall’umiliazione, “All’improvviso sentì un sentimento di odio contro di lui; l’amore che fino ad ora era stato fermo come una torre di bronzo, cadde a pezzi come una costruzione di carta. Adesso non cercava di nascondere a se stessa i difetti d lui…Berta spogliava con gusto amaro il suo idolo di tutti gli orpelli dei quali lo aveva addobbato con la propria fantasia…”

Eccoci al dunque…tipico di molte donne non “vedere” com’è veramente il proprio uomo, idealizzarlo, pensare eventualmente di modificarlo secondo i propri romantici desideri…ed infine rimanere amaramente deluse.

Berta è in ogni caso sì capricciosa, ,ma anche decisa e testarda, si crea un suo mondo consolatorio in cui vivere con tranquillità, tenta persino una relazione amorosa con un giovanotto ( un po’ Madame Bovary).

E quando Edward muore lei non lo ama già da molto tempo. “Si fermò di fronte al corpo esanime del marito e lo guardò. Il ricordo di Edward giovane sparì, ed ella vide il marito come era stato realmente, grassoccio e rubicondo”

Mestamente progetta il suo futuro, viaggi per dimenticare…forse l’Italia, ma subito anche la consapevolezza di essere finalmente libera. Riflette che “marito e moglie non sanno assolutamente nulla dell’altro; per quanto appassionatamente si amino, per quanto la loro unione sia stretta, non riescono mai a essere una sola persona.”.

Ma è proprio così?

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UNA MANCIATA DI SOGNI, di Maria Wanda Caldironi

pubblicato da: admin - 25 Luglio, 2010 @ 4:09 pm

Ho avuto in prestito da Emanuela questo libretto di racconti pubblicato da La Riflessione – Davide Zedda Editore -nel giugno del 2010. E’ scritto da una sua nuova amica, un medico che vive a Padova. Dalla copertina scelta  – una delicata immagine di un bosco in autunno – possiamo già intuire la personalità di Maria Wanda Caldironi.  E lo stesso titolo dato alla raccolta ci fa capire che cosa  leggeremo. Sogno, realtà, autobiografia, immaginazione… e la  stessa personale visione del mondo dell’autrice ci introducono innanzitutto nel  bisogno della CASA della quale innamorarsi e poi viverci.

E’ così avviene che Maria Wanda ritiratasi a vita privata dopo molti anni di lavoro in ospedale, insieme al marito acquisti e ristrutturi una vecchia casa di campagna di cui si è innamorata a “prima vista”. Nel primo suo racconto è dunque la casa che parla, o meglio i suoi antichi abitanti: conosceremo l’ultimo proprietario, il conte Giacomo che ancora non sa che nascosta tra le pietre della casa c’è per lui un’importante lettera d’amore mai letta.

 Soprattutto avvince la storia di Carlo, appresa attraverso le pagine del  suo diario, che vuol far vivere alla sua figlioletta appena nata  l’emozione incantata che lui prova tra la natura, lontano dalla fretta e dai rumori della città.

La protagonista trova il diario di Carlo proprio nel bosco  grazie a uno dei suoi cani che fiuta e poi dissotterra un quaderno giallo. Questo inizia il 12 aprile 1981 e racconta la gioia di un padre nel vedere nascere e crescere Viola, poi la sistemazione nella casa tra i fiori dove egli sogna di poter continuare a vivere per sempre come nelle fiabe, trasferendo sulla piccola tutti i suoi desideri.

E’ la narratrice dunque, l”ultima proprietaria, che snoda, dirime, riannoda vecchie e lontane storie ancora in parte irrisolte. E la CASA dei sogni, quella che si incarna in noi è di nuovo il punto portante di un racconto. L’appagamento di Maria Wanda nell’averla trovata si sente come un leggero mantello di felicità sulle spalle: lei ci parla di boschi, di fiori, cani, vicini socievoli con i quali sorseggiare un buon vino novello, di stagioni decise delle quali si vedono e si sentono i colori, gli odori. Foglie gialle, ortensie, gelsomini, la brina, la prima neve. Credo che molte di noi troverebbero delle consonanze con  questa signora forte e sensibile  che ha deciso di scrivere di getto delle sue sensazioni perdute, dell’amore per la natura  rivissuta finalmente con un tempo calmo, fluido e di riaprire il cuore “all’incanto della creazione” per osservarlo con occhi nuovi. “Urgenza di voler vivere“  scrive Maria Wanda nella prefazione.

Ho terminato il terzo racconto poco fa, distesa nella mia cameretta blu mentre ascoltavo il frinire delle cicale…e sentivo il vento di rosmarino e lavanda che asciugava il mio bucato. E proprio VENTO è il titolo del racconto, nome di un bellissimo purosangue che ha condiviso con l’autrice 14 anni di vita. Il suo vero nome sarebbe stato Vento di San Martino…”Solo chi ama il suo cavallo può comprendere” scrive la Caldironi circa il legame affettivo che si instaura tra padrone e animale. Ci vengono raccontati aneddoti, passeggiate, paure, gioie condivise e soprattutto una speciale complicità che mi ha commosso più volte… Quando entrambi, cavallo e cavallerizza riescono a fronteggiare il rumoroso impatto con una fiera di paese, o quando VENTO riesce nitrendo a difendere entrambi da due agguerriti cani abbaianti…E il loro suardo in questi frangenti, il loro sguardo fermo di intesa e così ben descritto che mi fa venire ancora voglia di piangere. E’ una bellissima storia d’amore.

Grazie Maria Wanda, che ce l’hai raccontata.

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DODICI RACCONTI RAMINGHI, e le voci del vento

pubblicato da: admin - 24 Luglio, 2010 @ 10:50 am

Mi sveglio e sento il vento: la sua voce fresca  fa frusciare le fronde che si riflettono arabescate nella cucina. Fa anche cadere le piccole prugne ( caterinette) in testa ai gatti che vorrebbero corteggiare Mimilla.

 Io leggo i vostri commenti, care Camilla e Raffa, e mi si apre il cuore. Qui il fresco è assicurato, almeno alla sera e nelle prime ore del mattino, ma poi ci saranno tanti giorni di forzato eremitaggio. Leggerò, scriverò, mi godrò le rondini del tramonto…Mio genero però ieri sera, mentre a Chiavari gustavamo una cenetta a base di pesce, ha aperto le scommesse dicendo che senza la visita quotidiana di Stefania durerò da sola nel paese fino al 10 agosto! 

Si vedrà. Intanto, come dice Camilla, sono fuggita dal caldo surriscaldato della città e posso ascoltare voci nuove. Come quelle dei “Dodici racconti raminghi”di Gabriel Garcia Marquez che tanto piace a Raffa. Questo libro è sul comodino di Stefania, sopra a Moby Dick( quest’ultimo…mai finito di leggere….dopo dieci anni)|

Questo libro di Marquez, edito da Arnoldo Mondadori Editore, stampato nel 1992,ha una lucida copertina con una coloratissima begonia dipinta. Qualche volta, mi piacciono i racconti, anche se io tendo ad amare i  romanzi che mi tengono legata per giorni e giorni. Ma di questi “raminghi” mi piace parlarne per la loro particolarità. Lo stesso Garcia Marquez confessa che essi sono stati scritti per raccontare delle cose strane che succedono ai latino-americani in Europa, soffermandosi sugli eterni temi del sogno, della solitudine , della magia, dell’amore e della morte.  Sembra che per l’arte di Marquez  “il mondo non sia altro che un immenso giocattolo a molla con cui si inventa la vita”.

“Gli spaventi d’agosto” mi ricordano un po’ Poe per il fantasma sanguinario che si aggira nel castello rinascimentale di Arezzo dove una famigliola sudamericana viene ospitata dal proprietario, lo scrittore venezuelano Otero Silva. Nessuno crede che il fantasma del folle Lodovico che pugnalò la moglie dopo una notte d’amore  e che poi si fece sbranare dai suoi cani da guerra, sia veramente presente nelle 80 stanze.  Tranquillamente i due ospiti accettano di passare la notte nel castello…ma al mattino si risveglieranno nella stanza nuziale di Ludovico, l’unica a non essere stata ristrutturata,…e nello stesso letto ancora impregnato dell’odore di sangue dell’uxoricidio..

Ed ancora sangue nel delicatssino ultimo racconto che parla della sposa che si è ferita un dito con una rosa. Proprio il dito con l’anello matrimoniale. E’ Nena Daconte ancora una bambina”con certi occhi da uccello felice e una pelle di melassa che irraggiava ancora il solleone dei Caraibi nel lugubre imbrunire di gennaio”. Siamo in Francia, ma nessuno riesce a frenare questo sangue che continua a sgorgare e a lasciare tracce sulla neve. “A Parigi, il dito era una sorgente incontenibile, e lei sentì davvero che l’anima stava uscendole dalla ferita”.

Gabriel Garcia Marquez nell’introduzione ci spiega la genesi dei suoi dodici racconti raminghi: ricordi, notizie lette sui giornali, sogni, argomenti per sceneggiature…tutti “redenti dalla loro condizione mortale grazie alle astuzie della poesia”.

Racconti raminghi perchè nella mente e sulla scrivania dello scrittore andavano e venivano, ma poi tutto viene risolto. Il rarefatto capovolgimento stupefacente di antiche suggestioni, i fantasmi della memoria, diventano il puro piacere della narrazione, che “è forse la condizione umana che più somiglia alla levitazione.”

“Chi li leggerà saprà cosa farne” conclude Garcia Marques, e noi lettori golosi lo sappiamo…per essere più felici.

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AUTOBIOGRAFIE, di W.B.Yeats

pubblicato da: admin - 23 Luglio, 2010 @ 6:03 pm

Forse, grazie all’aiuto della mia preziosa Stefania che mi ha installato un suo vecchiotto PC portatile qui a Borzonasca, riuscirò a scrivere il mio blog. Non è facile, ci vogliono tempi lunghi per la connessione, e sono scomodissima senza mouse e con la tastierina a cui manca anche la lettera G!

Ma andrò avanti con coraggio. Meno male che ieri  in mio soccorso, come una fatina, è arrivata  Camilla.

Trovarsi dopo un anno in un’altra casa, pur se propria, è sempre un faticoso assestamento. Avrei sempre bisogno di avere accanto le consuete cose . Ma qui sul comodino della mia camera rimane  ann0 dopo anno un libro, già letto, ma che per la sua delicata bellezza lascio sempre in vista. Copertina verde acqua e il ritratto di Yeats, il famoso poeta irlandese, disegnato a carboncino  da J.S. Sargent.

Mi fu regalato nel 1998 da un ex alunno, amante anch’egli delle vite dei poeti.

 Leggiamo dunque della sua  vita che inizia nella “scabra e sanguigna Irlanda nativa ” per passare alla Londra vittoriana ed arrivare nel 1923 in Svezia dove gli viene conferito il premio Nobel.

Nelle sue poesie, visioni e realtà, elfi, faerie,fate. Conosciamo così terre sperdute, boschi magici, quella particolare atmosfera irlandese che io ho adorato nel viaggio fatto sei anni fa. Ricordo che a Sligo, (pr.Slaigo) davanti alla sua tomba, rimasi per un po’ in attenta ed estasiata concentrazione. Bellissimi versi incisi sulla lapide che non ricordo benissimo ma che consigliavano di andare avant nella vita, come cavalieri…

Scrive Yeats nelle sue Autobiografie : ” Nella mia vita sono diventato di anno in anno più felice, come se poco a poco andassi conquistando qualcosa in me stesso; di sicuro, infatti, le mie angosce non erano opera d’altri, ma parte della mia mente.”

Questa è una riflessione importante che dovremmo ripeterci costantemente per non colpevolizzare mai gli altri della nostra infelicità, siamo noi gli artefici del nostro destino?

Ed io dovrei ripeterle in continuazione, ora che devo prendere decisioni importanti che tendo invece a demandare in parte a mia figlia. “ Ci vogliono tanti anni prima che si possa credere abbastanza a fondo in ciò che si sente per sapere almeno che cos’è quel sentire” ci dice W.B.Yeats.

Questo è il mio primo post da Borzonasca, fresco paesello dell’entroterra ligure, il mio giardinetto pensile ha qualche rosa sbocciata e il cespuglio di lavanda fiorito ( non la distesa dove la cara Donatella mi immagina!). Anzi, prima che Stefania riparta per gli Usa, dovremo sconfiggere una temibile banda di calabroni, chiamati “ruggeri” che hanno fatto il nido nel muro della prima balza del giardino.

La campagna è bella, adoro i fiori e le farfalle, ne scrivo poesie…ma mi accorgo di essere un “animale cittadino”.

Mimilla è invece felicissima ed ha già adocchiato  due bei gattoni…

A domani e un affettuoso saluto a tutti…

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IL TEMPO DI UNA CANZONE, di Richard Powers

pubblicato da: admin - 22 Luglio, 2010 @ 8:40 pm

Sono veramente contenta che Camilla mi abbia inviato oggi il suo post perchè non solo mi ha salvato da un momento difficile di riorganizzazione computer ma mi ha donato una bellissinma suggestione di lettura.

IL TEMPO DI UNA CANZONE di Richard Powers Ed. Mondadori Pub. In Italia 2006 The Time of our Singing (pag. 83) Richard Powers affronta l’immensità di questo romanzo con piglio da storico, con la capacità che hanno solo i grandi di farci avvertire il respiro del tempo collettivo, il muoversi di una intera società, di un mondo, attraverso centinaia di anni, di eventi, di luoghi.La musica è la prima protagonista, ma certo anche il tempo è protagonista: Powers è uno scrittore filosofico e scientifico, colto e intellettuale; i suoi romanzi sono sempre esperimenti letterari in cui la narrazione si intreccia alle grandi questioni del sapere. Mi sembra che in questo romanzo anche il tempo sia da considerare come materia in cui vive la musica, grande passione dei protagonisti, in particolare dei fratelli, Jonah e Joey che da un lato fanno i conti con l’enorme patrimonio della musica europea, dal canto Gregoriano alle sperimentazioni del ‘900, dall’altro devono confrontarsi con tutta la tradizione di gospel, blues, jazz, giù, giù fino alle martellanti ritmiche dei rapper.Un omaggio alla musica, tutt’altro che celebrativo e superficiale, basta seguire il sogno di Jonah,( ed è Jonah il vero , grandioso talento vocale e musicale, è lui la luce sfolgorante del romanzo, è lui che ci farà battere il cuore, durante tutto il lungo viaggio, affascinante , tra la storia che vive fuori dal palcoscenico e quella davvero splendida, a cui darà vita sulle scene dei grandi concerti europei e americani). Il sogno di Jonas è quello di tornare “a un mondo anteriore alla dominazione” , cioè di formare un gruppo musicale-vocale che esegua la musica medievale e rinascimentale, la musica dell’Europa che non si era ancora scatenata nella guerra di conquista mondiale. E’ il tentativo di un ragazzo di immenso talento musicale di ritrovare l’innocenza del mondo. Ma è anche , per Richard Powers, l’opportunità di ripercorrere una stagione della musica colta europea, la riscoperta della vocalità antica, l’approccio filologico ai grandi maestri prebarocchi. E mi fermo qui : chi vorrà buttarsi in questa grande avventura, chi vorrà leggere Il tempo di una canzone, più che una canzone, una poderosa e trascinante sinfonia, da ascoltare fino all’ultima nota, ne uscirà tanto arricchito, per sempre……….. ”Jonah Strom…Lui era il ragazzo dalla voce magica………” Ho letto pagine di questo libro, ad alta voce, per chi voleva commuoversi con me, ripercorrendo le vicende dei nonni di Jonah, dei genitori, del pesce e dell’uccello?. “L’uccello e il pesce possono innamorarsi. Ma dove costruiranno il loro nido?”Questa è anche la storia della progenie del pesce e dell’uccello che provarono a mettere su famiglia: la narrazione appassionata dell’incontro di un fisico ebreo tedesco, David Strom Emigrato negli Stati Uniti per sfuggire ai massacri nazisti e Delia Daley , cantante afroamericana, figlia di un medico: Per l’america dell’epoca sono un pesce e un uccello:due creature la cui unione sembra impensabile. Ma sarà una delle famiglie più indimenticabili, con i loro stupendi figli musicisti, della storia della letteratura. Pagine magnifiche dove la voce di Jonah e la musica sembrano uscire, potenti, dal libro e così le vicende di una magnifica famiglia, la famiglia Strom, raccontate dalla voce del fratello di Jonah, Ioey, un fratello di poco maggiore che lo accompagna al piano nei concerti e che cerca di tenerlo per mano nella vita. Per quanto può.Una tempesta di emozioni, una grande avventura che non si potrà più dimenticare. Richard Powers, Illinois, 1957. E’ considerato uno dei maggiori scrittori americani contemporanei e autore di numerosi e pluripremiati libri.

Camilla Pacher

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