GUARDATEMI, di Anita Brookner
pubblicato da: admin - 9 Novembre, 2010 @ 8:21 pm Sono contenta che Enza ci presenti questa  scrittrice perchè sto leggendo anch’io uno dei suoi ultimi romanzi …che  mi prende, mi trafigge, mi piace.
Questa è la storia della solitudine di una donna, raccontata da Anita Brookner, nata nel 1928 e vivente a Londra, scrittrice, critica d’arte e saggista.
In Inghilterra per dire del senso di solitudine e di desiderio infinito infuso nei suoi romanzi, hanno coniato l’espressione ‘Brookner Experience’: un viaggio interiore nell’isolamento, nella perdita delle emozioni, nella difficoltà di misurarsi con la società .
Il romanzo s’intitola “Guardatemi†del 1983 e suona come un’invocazione sconfinata che si sente ad ogni pagina.
Troviamo atmosfere d’attesa e solitudine, che rendono evidente un personaggio, che pur formato da un’educazione impeccabile ne è nello stesso tempo impacciato.
La protagonista, Frances Hinton, – io narrante – è una bibliotecaria che racconta la sua vita. La biblioteca ne occupa una gran parte – e una parte importante – per cui ritorna molto spesso nella narrazione.
Il suo è un lavoro di routine, che svolge con lo stesso rigore con cui affronta il resto della vita, anche se ogni tanto deve lottare per tenere lontano da sé un certo sconforto.
A volte vorrebbe essere diversa da com’è, diventare irresistibilmente bella, pigra e viziata, una di quelle persone, che si distinguono per garbo, disinvoltura, avvenenza e buone conoscenze, qualità che assicurano immancabilmente il successo.
La sua solitudine viene brevemente interrotta dall’incontro con Nick ed Alix, miraggio di una nuova vita sociale fatta d’ilarità , leggerezza, e illuminata da un sogno d’amore, ma nell’istante in cui decide di abbandonare la sua riservatezza e aprirsi al mondo, va incontro alla più brutale delle umiliazioni.
Frances tornerà così nel suo primario isolamento, rifugio sicuro che l’intuizione le aveva consigliato di non abbandonare, perché ciò le avrebbe potuto comportare rischi con la conseguente perdita del proprio equilibrio. I suoi piedi torneranno là dove il cammino è già tracciato da un pezzo, senza sbalzi improvvisi, senza destabilizzanti sorprese con in più il disinganno che le ha tolto ogni speranza di provare emozioni. Tutto ciò che è avvenuto è solo un ricordo che forse un giorno non sarà più doloroso.
Un romanzo, dunque, sulla solitudine,. che si pensa sia una malattia moderna e nuova. Sicuramente la solitudine è antica, maschile e femminile, solo che le cause della solitudine di oggi non sono sempre evidenti e quindi comprensibili.
Quando si sa una cosa è impossibile non saperla. Si può solo dimenticare. Finché la si ricorda, vincendo il tempo, sarà a segnare il futuro. In ogni circostanza è più saggio dimenticare, coltivare l’arte dell’oblio. Ricordare è affrontare il nemico. La verità sta nel ricordo.
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Enza
"Teatro nel teatro" nei Sei personaggi in cerca d'autore di Pirandello
pubblicato da: admin - 8 Novembre, 2010 @ 8:08 pmLascio la parola a mia figlia Stefania che come consanguinea ha la precedenza nell’aiutare la neo-pensionata… di nuovo in pista. Ma con grande sollievo accumulo posts di Riccardo, il quale intanto fa divertire tantissimo Camilla e gli altri lettori amanti del dialetto piemontese. 

Quando si avvicina l’inverno e l’autunno e’ in pieno svolgimento penso sempre al teatro. Fisicamente – il teatro con le sue poltrone comode imbottite e la sua intima atmosfera – e idealmente – luogo che fa emergere dal buio della scena storie e rappresentazioni su cui riflettere ognuno a suo modo. Ancor piu’ del teatro sono sempre stata affascinata dal “meta-teatro” e piu’ in generale dalla meta-arte, dove cioe’, appunto arte e teatro mettono in scena loro stessi, riflettono su problematiche estetiche ed etiche facendone l’oggetto del loro esistere.
Questo e’ il caso dei “Sei personaggi in cerca d’autore” di Pirandello, opera buia, cupa, ma di grande impatto emotivo ed intellettuale, una mia grande passione adolescenziale di cui vi parlero’ ora.
Nonostante siano tre le opere in cui Pirandello adotta la tecnica del “teatro nel teatro” (con i Sei personaggi, anche “Ciascuno a suo modo” del 1924 e “Questa sera si recita a soggetto” del 1929), quella di oggi e’ la prima opera – 1921 – a segnare la svolta decisiva verso questa nuova poetica. Costituisce la tipica situazione metateatrale con la rappresentazione di una vicenda con personaggi attori/gente di teatro e lo spazio per contenerne al suo interno un’altra. Precedenti di Pirandello, che sviluppa pero’ per primo l’aspetto quasi surreale di questa tecnica, sono Goldoni e Shakespeare.
La trama e’ abbastanza complessa e presenta moltissimi piani interpretativi, dato che anche il pubblico si trova di fronte ad un luogo scenico del tutto anomalo. Il palco e’ nudo e pronto ad accogliere le prove per la rappresentazione del Gioco delle parti dello stesso Pirandello, affidata ad una Compagnia di Attori. Gli Attori sono seduti in platea e con le prime battute fra macchinista, direttore di scena e capocomico su questioni tecniche, si ha l’impressione della piu’ “vera” realta’. La seconda rottura della “quarta parete” (la prima avviene con la presenza della Compagnia degli Attori in platea) sopraggiunge con l’entrata in ritardo della Prima Attrice dalla porta di fondo, ma costituisce di fatto un’innovazione parziale. Infatti, gli Attori ignorano completamente la presenza del pubblico seduto nella stessa platea e portano avanti una rappresentazione autonoma.
L’idea fondamentale del lavoro e’ quella di pensare che un autore abbia creato con la fantasia sei personaggi, legati in una vergognosa vicenda familiare, e che poi abbia impedito loro di vivere perche’, disprezzando il loro dramma, si sia persuaso a non scriverne il romanzo o la commedia. Nella Prefazione all’opera, nata con la necessita’ di chiarire al pubblico la genesi e la natura dell’operazione culturale ed artistica compiuta, Pirandello scrive:
Quale autore potra’ mai dire come e perche’ un personaggio gli sia nato nella fantasia? Il mistero della creazione artistica e’ il mistero stesso della nascita naturale. Cosi’ un artista, vivendo, accoglie in se’ tanti germi della vita e non puo’ mai dire come e perche’, a un certo momento, uno di questi germi vitali gli si inserisce nella fantasia per divenire anch’esso una creatura viva in un piano di vita superiore alla volubile esistenza quotidiana. Posso soltanto dire che, senza sapere d’averli punto cercati, mi trovai davanti, vivi da poterli toccare, vivi da poterne udire persino il respiro, quei sei personaggi che ora si vedono sulla scena. E attendevano li’ presenti, ciascuno col suo tormento segreto e tutti uniti dalla nascita e dal viluppo delle vicende reciproche, ch’io li facessi entrare nel mondo dell’arte, componendo delle loro persone, delle loro passioni e dei loro casi un romanzo, un dramma o almeno una novella. Nati vivi, volevano vivere.
Cosi’, questi sei personaggi, il Padre, la Madre, il Figlio, la Figliastra, il Giovinetto e la Bambina si presentano nello stesso teatro dove quella Compagnia degli Attori provava per rappresentare Il Gioco delle parti e chiedono che il loro dramma sia rappresentato dagli Attori, in modo che essi raggiungano la completa esistenza di personaggi. Dapprima la proposta viene accolta ironicamente, ma anche con curiosita’ e sgomento, finche’ la Compagnia accetta, non senza perplessita’, di vivere la nuova esperienza. A questo punto si sviluppa una situazione totalmente innaturale, poiche’ i “legittimi” Attori diventano spettatori di fronte ad altri “attori” che non recitano su copione, ma cercano di rappresentare la parte della loro vita. La vicenda e’ in parte raccontata e rappresentata con anticipazioni e flashback, con salti di tempo che la scompongono ed attraverso le confessioni e le analisi dei Personaggi stessi che, entrando nel teatro, sconvolgono questa “finzione della realta’” creata dagli Attori.
Non vi raccontero’ della storia che, pur appassionante e tragica, e’ incidentale. Accanto ad un apparente affondo di Pirandello alla borghesia del suo tempo , si celano almeno tre pilastri ideologici:
1. l’inganno della comprensione reciproca fondato irrimediabilmente sulla vuota astrazione delle parole;
2. la molteplice personalita’ d’ognuno secondo tutte le possibilita’ d’essere che si trovano in ciascuno di noi;
3. il tragico conflitto immanente tra la vita che di continuo si muove e cambia e la forma che la fissa, immutabile.
Molte riflessioni quindi e, pur con il distacco dell’autore, un vago senso di commozione nel vedere questi sei personaggi orfani che cercano il loro posto nel palcoscenico della vita. Non apparteniamo forse anche noi a questa categoria?
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Stefania
GAS ESILARANTE perchè ridere fa bene alla salute!
pubblicato da: admin - 7 Novembre, 2010 @ 8:16 pmAvevo in mente di presentare il bellissimo libro sulla solitudine  che sto terminando, ma…dopo aver letto le righe divertite di Camilla in risposta a quelle divertenti di Riccardo ( Maria Teresa…attenta a quei due!) ho pensato di continuare …allegramente. Star bene, ridere, sorridere, sbellicarsi come starà ancora facendo Camilla sollevata di essere guarita dall’influenza .
Wodehouse ed altri scrittori ci aiutano in questo senso. In Bliblioteca c’è un settore dedicato alla letteratura comica, la mia amica di Aquileia predilige spesso questo tipo di letture e mi suggerisce titoli su titoli.
Gas esilarante è delizioso perchè vi è uno scambio d’identità tra due persone  in una improbabile “quarta dimensione”, mentre entrambe si trovano in uno studio dentistico  sotto l’effetto anestetizzante del gas esilarante. Parliamo di  Lord Reginald Havershot appena arrivato dall’Inghilterra negli Stati Uniti  con il compito di ricondurre sulla retta via il cugino ubriacone e un giovane attore di Hollywood, dai riccioli d’oro, che stanco della vita frivola del mondo cinematografico desidera  soltanto tornare dalla sua  mamma nell’Ohio.Â
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Altri ameni personaggi si insinuano nellla storia come una diva ambiziosa in cerca di gentiluomini blasonati, attoruncoli da strapazzo, ubriaconi. Una lettura di completa evasione.
Ci sono altri autori che riescono a divertirmi ancora; come non nominare Jerome K. Jerome e i suoi “Tre uomini in barca” “Tre uomini a zonzo” ecc. e spesso anche in libri ritenuti seri vi sono delle situazioni che sollecitano la mia ilarità .
Ma che cos’è che ci  fa ridere? Non tutti hanno lo stesso senso dell’umorismo. Io mi ritrovo a ridere, spesso a sbellicarmi dalle risate con mia figlia, con Giuliana, con Renata e qualche altra persona; ridiamo di piccole cose inconsuete, prendiamo in giro noi stesse e gli avvenimenti particolari.
Siamo molto ironiche ed autoironiche.
 Ma per sapere di più sulla differenza tra atteggiamento umoristico e quello ironico si dovrebbe rileggere il magnifico saggio sul L’umorismo di Luigi Pirandello. Mia figlia dovrebbe aggiungere qualcosa, mi sembra di ricordare che l’abbia studiato per un suo esame di Letteratura.
Si ride per l’inadeguatezza di un comportamento, quando ne avvertiamo il contrario…se uno inciampa ci fa ridere perchè succede qualcosa che non dovrebbe succedere. Se uno si comporta diversamente dal suo “ruolo” predefinito socialmente ne ridiamo. Ridendo condanniamo perciò le apparenze che si difformano dal vero.
Pirandello prende in prestito dalla letteratura due grandi poemi : L’Orlando furioso di Ariosto e il Don Chisciotte di Cervantes.  Ci guida all’analisi del comportamento di questi due personaggi che portano inevitabilmente al riso, anche se talvolta amaro come in Don Chisciotte.
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Incollo il commento di Loredana al post su  Chatwin “In Patagonia e il respiro della libertà “. Naturalmente le auguro uno splendido viaggio!
Sto per partire per la Patagonia. un viaggio sognato da anni proprio per il sentimento si liberta’ che mi ispira. Anch’io ho un po’ di difficolta’ ad eliminare oggetti perche’ mi ricordano spesso persone e†pezzi†della mia vita.
Loredana
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UN MONDO D'AMORE, di Elizabeth Bowen
pubblicato da: admin - 6 Novembre, 2010 @ 8:02 pmMi rituffo con più tempo nel mio blog e quale libro poteva essere “onda” per me?
 Una bellissima storia di una narratrice anglo-irlandese. Siamo a Montefort, una elegante casa di campagna nel verde dell’Irlanda dove insieme alle passioni presenti  vivono ancora i ricordi di quelle passate. Un mondo d’amore avvolge strettamente la casa nel cui cuore, a testimonianza di ciò, si ritrovano le solite lettere nascoste in un vecchio abito di mussola. Ritorna alla ribalta  Guy, un ragazzo morto durante la guerra del ’15-18 in Francia e che aveva lasciato una promessa sposa senza futuro  e Montefort in eredità  alla cugina Antonia.
Legami sottili di parentela, piccoli accadimenti, amori impossibili, vita quotidiana da gestire con prosaico buon senso, questi gli ingredienti che creano un’atmosfera suggestiva e godibile.
Non è un romanzo rosa.
 A monte una estenuante  tessitura narrativa che la Bowen aveva già  sperimentato cercando forme di romanzo modernista come fece  nel 1935 con “La casa di Parigi”, modellato come un duplice viaggio, al largo e nel profondo cella coscienza.
Il motore segreto di “Un mondo d’amore” è proprio costituito dal pacchetto di lettere, forma letteraria per eccellenza, che avvia nel testo la catena di riferimenti “metaromanzeschi”. ” Da lì, dove era stato in qualche modo infilato, cadde il pacchetto di lettere; caddero ai suoi piedi, avendo loro trovato lei, anzichè lei loro.”
Da grafomane convinta adoro il tema della lettere dove si trova scrittura d’amore e…amore della scrittura. Il mondo d’amore primario per lo scrittore è dunque l’atto della scrittura. La parola della Bowen in questo romanzo  evoca le  lettere rubate di Poe, i carteggi di James e si arricchisce anche  di echi di altri generi come il saggio critico e la memoria autobiografica…
Una piccola chicca per i lettori tanto più che si viene coinvolti insieme ai sei protagonisti in un confronto continuo con la nostra pulsione di scrivere e di leggere.
Nella prefazione ci viene fatto notare la compattezza dell’azione scandita su rigide coordinate spazio- temporali ( L’Irlanda, tre giorni, una sola big-house) che consente l’emergere di un’unica crisi: il ritrovamento di un “oscuro” oggetto, le lettere, che lentamente accenderà lo sviluppo romanzesco.
Se avessi il tempo lo rileggerei!
Ma come sapete sono nella full immersion dell’insegnamento agli adulti stranieri. Un mondo particolare, se non ancora d’amore, di rispetto reciproco, di interesse e motivazioni. La conoscenza di  tante persone diverse mi fa “viaggiare” lontano…imparo così anch’io tantissimo.
Ringrazio gli amici che scrivono post, ne ho già due di Riccardo che “andranno in onda” la prossima settimana quando sarò talmente stanca da essere appena in grado di accendere il PC  (avrò giornate di 8 ore, su due sedi!). Attendo  ansiosamente  anche  quello di Raffaella dopo l’incontro con il suo amico Affinati, poi ancora Enza e Camilla…a proposito mi piace molto leggere le “conversazioni virtuali” di Camilla e Riccardo!
EÂ … last but not least mia figlia, naturalmente.
Grazie a tutti che fate sopravvivere questo blog!
HANNO TUTTI RAGIONE e altri assaggi di lettura
pubblicato da: admin - 5 Novembre, 2010 @ 7:42 pm La mia gentile e simpaticissima collega Daniela S., interpellata urgentemente per il solito “sostegno” al mio insegnamento agli stranieri, mi ha scritto delle sue ultime letture. “Ecco un nuovo post!” mi sono detta in questi giorni di lavoro intensissimo. Daniela ci parla di libri ricevuti con varie e interessanti motivazioni o in regalo dal marito e  dalla figlia o perchè consigliato dalla zia.Â
 Io non li conosco ancora, ma sono andata velocemente a cercare su Internet “Hanno tutti ragione” del regista Paolo Sorrentino, candidato al Premio Strega.
Chissà se Camilla l’ha letto e che cosa ne pensa!
Ho visto moltisimi commenti circa questo romanzo che racconta di un cantante melodico napoletano che ritorna dall’America a Napoili, (tanto per restare nel Sud)  e ciò che è emerso e la cotradddizione enorme tra  giudizi critici  di grandissima ammirazione e altri invece di altrettanto grande delusione. Forse proprio per questo sarò un libro da leggere?
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Ciao Mirna!!
 …..  sono in fase di ripresa dopo una settimana di malattia (incominciano i malanni di stagione!) e domani rientrerò a scuola. Ne ho approfittato per leggere: “Hanno tutti ragione” di Paolo Sorrentino. Era l’ultimo di tre libri che Serena e Vittorio mi avevano regalato per il compleanno.
Il primo era “Mutandine di chiffon” di Fruttero (bello e divertente, e riesce a rendere periodi, ambienti e personaggi in modo semplice, immediato e affettuosamente ironico) scelto perchè Fruttero è simpatico e “vorrei arrivare anch’io alla sua età e con la sua lucidità ” (questa è la motivazione di Vittorio).
 Il secondo era “Il tempo invecchia in fretta” di Tabucchi (qualche pagina sì, qualche pagina … faticosa e densa, insomma non una lettura da mare..) scelto perchè “la copertina poteva rientrare tra quelle che ti incuriosiscono” (questa è la motivazione data da Serena).
 E infine Sorrentino scelto perchè consigliato dalla zia lettrice. Non so se la lettura sia stata influenzata dal mio non stare bene ma alla fine del libro ….. mi è rimasto un po’ di amaro in bocca e non per il mondo dello spettacolo a cui si rimanda ma per il quadro del mondo politico che viene suggerito e che normalmente viene visto come “normale.
Daniela S.
TERRONI, di Pino Aprile
pubblicato da: admin - 4 Novembre, 2010 @ 7:58 pmSo0no grata a Riccardo che ci offre un post interessantissimo…
 Tutto quello che è stata (mis – n.d.r.) fatto perché gli Italiani del Sud diventassero meridionali
PIEMME Ed. 2010
Pagine 303, €17,50
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E’ strano. Subito dopo “Eva dorme†(Francesca Melandri, ed. Mondadori) che mi ha indotto a riflettere sulla storia dell’Alto Adige, ecco che mi sono imbattuto in un libro che induce a riflettere sul nostro meridione.
E lo faccio da italiano, visto che mamma era agrigentina (1904), babbo (1912) Toscano anzi Senese anzi Montalcinese anzi Santangiolese, loro si sono fidanzati a Bolzano, io sono nato a Genova (1944) ed ho vissuto e lavorato a Genova, Reggio Emilia, Monza, Torino, Carrara, Pisa, Teheran, Beyrouth, Roma, Milano (con qualche puntata a Palermo), Trento, Riva del Garda.
Non sono un revisionista. Solo amo completare le lacune che di cui la storia che mi è stata somministrata ha “casualmente†architettato un “bel tacer†che, come ci insegna Dante, “non fu mai scrittoâ€. Forse è per quello che … Ma tirem innas …
Ho cominciato con i nuovi film western, che finalmente spiegavano come gli in Indiani d’America non fossero “i cattivi†che ci avevano propinato i filmetti dei cinema parrocchiali, i quali oscuravano la scena di un bacio fra due fidanzati ma esaltavano l’arrivo dei “nostri†a sciabolare pastori e cacciatori nomadi che cercavano solo di difendersi dalla “conquista†delle loro terre e dalla distruzione della loro cultura.
Ho proseguito con Boris Pahor, sloveno triestino, che mi ha raccontato cosa fecero i fascisti all’etnia slovena. E ancora, con Gianpaolo Pansa quanto alla guerra civile “di fatto†la quale ha sfregiato il nostro ultimo dopoguerra.
Per puro caso poi, mi sono arricchito di una rilettura dei rapporti fra L’Alto Adige Sud Tyrol e l’Italia di lingua italiana (Eva dorme, op. cit., scritto da una autrice romana).
E infine (infine sino ad oggi, s’intende) eccomi qui con i Terroni.
Il mi’ babbo, un po’ per celia e un po’ per … (lasciamo perdere per cosa) si dichiarava nostalgico del Granducato di Toscana e dello Stato Pontificio, regionalista ante litteram, ma si sa … questi Toscani, linguacce “maledette†(Curzio Malaparte docet).
Ma la conoscenza del problema meridionale di cui ancora oggi siamo nutriti per endovena mediatica è assai vaga, unilaterale, imprecisa anzi fuorviante. Figuriamoci quale poteva essere – cinquant’anni fa – quella di un maresciallo dei carabinieri, il mi’ babbo appunto, della Legione Territoriale di Genova Ufficio Matricola, trasferito in Trentino (Cles) negli anni sessanta dal generale De Lorenzo, potenziale tassello come tanti altri dei suoi (di De Lorenzo) particolarissimi “progettiâ€.
In realtà , caro babbo, ci sarebbe ben stata la convenienza nella non riunificazione del sud al nord, ma a vantaggio del sud, non del nord. Questo il succo dello studio di Aprile. Ed io comincio a crederci …
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E questo è solo l’inizio.
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Pino Aprile (non Primo Aprile, non è uno scherzo!) è un Velista. Come me. E’ stato direttore della rivista “Fare velaâ€. Io no. Chiarito questo … tutto inizia dall’esame di come era il meridione ante 1860. Regno ricco, all’avanguardia europea per cultura, agricoltura, commercio, assistenza sociale e – udite udite – finanza e industria. In poche parole: quello era il Nord, mentre il Regno di Sardegna era sull’orlo della bancarotta finanziaria.
“Poi†(rectius: “Pertantoâ€) sono “arrivati (al Sud) i nostriâ€: “Cavalli bianchi, poncho, sciabole puntate verso il sole, occhi azzurri, capelli biondiâ€. Stragi (peggio che alle Ardeatine) violenze (stile pulizia etnica), distruzioni (peggio che a Marzabotto), furti (stile napoleonico con particolare attenzione alle riserve auree del regno borbonico), distruzione della CCIAA: Cultura, Commercio, Industria, Artigianato, Agricoltura. Per portare tutto al Nord, Nord che poi rimprovera al Sud di non essere quello che il Nord stesso aveva distrutto.
Ciò determinò, negli anni, fra le altre sciagure, una emigrazione biblica (si tratta di milioni di persone), sia interna che estera: la Francia ricevette Algerini e Tunisini; la Germania, Italiani e Turchi; l’Italia (del nord) i Meridionali.
La cronaca, testimoniata da precisi riscontri storici e documentali. parte dal 1860, è completata da precisi e numerosi riferimenti alla politica del nostro ieri ed oggi, (e qui viene il bello!) con nome e cognome dei responsabili delle decisioni più attuali.
Ne risulta una realtà completamente ribaltata rispetto alla comune accezione dell’attuale modo di leggere il rapporto nord-sud ed il suo stesso modo di essere.
Ho letto questo libro con la matita in mano, di volata, in un solo giorno. Mi sono “crocettato†decine e decine di passaggi ognuno dei quali da solo è sufficiente ad indurre una lettura, anzi, un attento studio dell’opera. Scoprite anche voi, direttamente, questi passaggi.
Di qualunque parte voi siate, “nordistiâ€, “suddisti†o “indifferentiâ€, dovere leggere questo libro. Dopo ne possiamo, anzi ne dobbiamo discutere. Solo dopo.
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Riccardo Lucatti
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LA MENNULARA, di Simonetta Agnello Hornby
pubblicato da: admin - 3 Novembre, 2010 @ 7:34 pmSono grata ad Enza che ci presenta questa storia interessante e che mi viene in aiuto in occasione di un’altra giornata particolarmente intensa. Aspetto sempre anche nuovi posts da tutti voi, non solo per “alleggerire” il mio novembre impegnativo ma anche per rafforzare la nostra rete di rapporti letterari ed umani.
 Qualche anno fa mi ha incuriosito la biografia di un’autrice che fino a quel momento aveva svolto attività giuridica e cioè Simonetta Agnello Hornby.
Leggevo infatti che era nata a Palermo nel 1945, che dopo il dottorato in giurisprudenza, conseguito nel 1967, aveva sposato un inglese dal quale aveva avuto due figli, che, lasciata la Sicilia, aveva iniziato a vivere negli USA e in seguito in Zambia e che nel 1970 si era stabilita definitivamente a Londra, dove più tardi aveva fondato uno studio di avvocati dal nome Hornby e Levy specializzato nel diritto di famiglia e nel diritto dei minori. Le sue conoscenze giuridiche l’avevano portata verso l’insegnamento universitario. All’università di Leicester infatti ha insegnato diritto dei minori e per otto anni ha ricoperto anche la carica di presidente del Special Educational Needs and Disability Tribunal. Inizia a scrivere romanzi solo nel 2000 e nel 2002 scrive il suo romanzo d’esordio “La Mennularaâ€.
La storia si svolge in Sicilia e inizia il 23 settembre 1963, con la morte di Rosalia Inzerillo, detta la Mennulara, per essere stata in gioventù raccoglitrice di mandorle.
La Mennulara, domestica a servizio della famiglia Alfallipe fin dall’età di 13 anni, aveva ricoperto un ruolo ben più importante di quello di cameriera, in quanto, grazie alla sua brillante intelligenza, era stata anche l’amministratrice di tutti i beni della famiglia. Infatti, nonostante non fosse in grado di scrivere ma solo di leggere, la Mennulara era diventata il cardine centrale della famiglia Alfallipe sia dal punto di vista affettivo che da quello economico: le sue capacità nel gestire i beni della famiglia Alfallipe avevano consentito ad ogni componente della famiglia di continuare a fare ciò che ognuno preferiva, senza preoccupazioni materiali. Allo stesso tempo, l’intelligenza e la caparbietà della Mennulara erano riuscite nel tempo a sfruttare le non-occasioni della sua vita, trasformando in elementi positivi e a suo favore tutte le grandissime disgrazie incorsele fin dalla fanciullezza, che avevano fatto sì che fosse circondata da una cappa di apparente freddezza che incuteva timore e rispetto reverenziale. Tutti in paese parlavano di lei, favoleggiando sulla ricchezza che avrebbe accumulato in modo non chiaro, forse addirittura grazie ai suoi rapporti con un mafioso.
Il racconto è vivacizzato attraverso una lingua molto ricca, in cui la Sicilia, e in particolare il paese di Roccacolomba, è forse la protagonista più vera. La lingua è utilizzata anche per esaltare l’humour che permea tutto il romanzo, che è molto divertente e al contempo amaro e si legge tutto d’un fiato.
Attraverso gli abitanti del paese, il racconto si sviluppa di capitolo in capitolo e si svolge attraverso un diverso io narrante, in cui la figura della Mennulara emerge al di sopra degli altri personaggi. Le passioni, la violenza, la malattia, le amanti, la vita e la morte ma anche il pettegolezzo, che tutto porta e tutto trasforma, impregnano il romanzo leggermente e vivacemente. Non manca la successione di colpi di scena che sempre più trasformano la figura della protagonista da carnefice a vittima.
“La chiamavano “la mennulara” perché da bambina era velocissima a raccogliere le mandorle, con quelle ditina sottili.â€
Enza
TROVIAMO LE PAROLE, lettere tra Bachmann e Celan
pubblicato da: admin - 2 Novembre, 2010 @ 8:27 pm
E’ sempre un cercare la parola che definisca un sentimento o un incontro o scontro con l’altro da sè. Che cosa di più vero che le parole scritte ?
Verba volant, scripta manent era l’intestatzione di un pacco di carta da lettere regalatami da Santo Versace…ma vi racconterò  come mai  nel mio prossimo blog …
Per questo adoro leggere gli epistolari soprattutto quelli di vita vera. Le lettere tra Ingeborg Bachmann e Paul Celan scambiate dal 1948 al 1970 sono la testimonianza non solo del loro particolare amore intenso, perso e ritrovato, ma della loro “vita senza pelle“, straziati,abbagliati dalla loro graffiante sensibilità  e dal loro doloroso passato che forse non sono riusciti, come il Pietro di “Ogni promessa”, a sconfiggere.
Nel 1951 Ingeborg scrive e Paul “…se oggi mi chiedi quali sono i miei desideri, i miei veri desideri, mi è difficile trovare immediatamente una risposta, può anche darsi che sia arrivata alla convinzione che non spetta a noi desiderare, che a noi spetta soltanto un determinato lavoro, che qualunque cosa facciamo non serve a nulla...”
Dal canto suo il grande poeta Paul Celan, figlio di genitori ebrei-rumeni morti in un lager nazista e sopravvissuto lui stesso a un campo di lavoro e che non riuscirà a ritrovare la strada di sè tanto da suicidarsi nel 197o, le risponde  da Parigi  :”Triste ritorno a Parigi: ricerca di una stanza e di essere umani – deludenti l’una e l’altra. Solitudini piene di chiacchiere, liquefatto paesaggio di neve, segreti personali bisbigliati alla gente. In breve, un gioco divertente con ciò che è oscuro, al servizio, si capisce, della letteratura. Talvolta la poesia sembra essere una maschera, che esiste soltanto perchè gli altri di tanto in tanto hanno bisogno di qualcosa dietro cui nascondere le proprie santificate smorfie quotidiane.”
Due persone eccezionali che hanno sofferto e dalla cui sofferenza riescono a trarre la spinta per la ricerca della propria identità  spezzata nel passato. Vivere di letteratuyra non è facile, le difficoltà economiche sono grandi, si devono accontentare di piccole cose, poche poesie pubblicate, qualche radio dramma, la felicità in un pacco dono per Natale, quasi sempre si tratta di libri o di un lume, o di fiori.
Due outsider nel dopoguerra europeo che non riescono a seguire la carreggiata, ma che si stringono accanto appassionatamente anche nella lontananza e pur avendo altre storie amorose sono sempre avvinti  in un abbraccio di piene affinità elettive. “Tu sai anche: quando ti ho incontrato, eri per me l’una e l’altra cosa: il Senso e lo Spirito: Essi non si separano mai, Ingeborg…poter pronunziare e scrivere il tuo nome, senza prendermela con il brivido che mi assale – per me è, nonostante tutto, un’immensa gioia.” confida Paul in una lettera del 1957.
Da Vienna la Bacmann gli scrive: “La vanità delle aspirazioni – ma sono davvero tali? – intorno a noi, l’industria culturale, della quale adesso anch’io faccio parte, tutto questo disgustoso darsi da fare, i discorsi insolenti, la smania di piacere, l’oggi pieno di sè, – questo ogni giorno mi diventa più estraneo, io ci vivo in mezzo ed è ancora più impressionante vedere gli altri vorticare soddisfatti.”
Occorre sempre trovare le parole per definirci, per definire la nostra vita.
Ieri sera Stefania riordinando l’armadio dei diari e delle foto, ha trovato un mio vecchio quaderno del 1970, scritto a quattro mani da me e da Piero. L’abbiamo riletto insieme: i primi turbamenti, le sofferenze di una storia d’amore  dall’inizio travagliato, il mio desiderio di fuggire da una Carpi vuota, le giornate gioiose con le amiche di Londra, e sempre quella serpeggiante ansietà per trovare l’equilibrio sereno. Equilibrio che continuo a cercare.
Ho ripensato poi, a letto, Â proprio a una frase della Bachmann ” Noi siamo sempre ora, quello che siamo stati.”
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OGNI PROMESSA, di Andrea Bajani
pubblicato da: admin - 1 Novembre, 2010 @ 8:40 pm
 Mi sembra adatto in questi giorni piovosi, grigi, malinconici proseguire con una storia dove non mancano le tenebre. Ma, fortunatamente, è una storia d’amore a lieto fine.
Camilla, con la sua particolare sensibilità ce la presenta:
 Ogni promessa di Andrea Bajani ed. Einaudi ottobre 2010
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Pietro si chiama il protagonista, Pietro ci racconta, come una favola, con un ritmo musicale e magiche parole, ci racconta una storia di amore. E come tutte le storie di amore non possono mancare anche le tenebre. La paura, il dolore i sensi di colpa che si annidano nel passato col loro nero carico, sono tutti lì, come bestie rabbiose fanno soffrire sua madre, suo padre e lui stesso.
Pietro ha una giovane moglie, Sara, e la ama, Pietro è generoso di amore, chi gli passa vicino, anche il lettore, se ne sente illuminato.
Il nostro Pietro non può sopportare tutta quella sofferenza e decide di affrontare i draghi, di snidare il male. Vincerà su tutta la linea del fuoco, salvando tutti, lettori compresi.
Le vittime e i colpevoli sono nel passato, un orrendo passato, ma Pietro ( è un giovane molto alto e sorride molto, fa il maestro elementare, noi lettori comprendiamo immediatamente che quel maestro è il migliore e vorremmo tornare bambini pur di avere un maestro come lui, che capisce tutto dei bambini, capisce tutto).
Aggrappato alla roccia della memoria, Pietro inizia la sua scalata : i luoghi dei delitti, tutti gli indizi le persone informate dei fatti. La vita continua nel frattempo, Sara e Pietro desiderano ardentemente un figlio che non arriva, mese dopo mese, il dolore di Sara sembra incontenibile, la delusione, la poca stima di sé, un segreto ancora nascosto, Sara se ne va di casa. Intanto arriva l’estate, la scuola finisce e Pietro ha tutto il tempo per la sua indagine. Le tenebre si annidano, principalmente, nella storia di Mario, il nonno materno: vittima della 2^ guerra mondiale, il nonno era tornato dalla Russia impazzito. Un nonno di cui Pietro ha poche notizie, un nonno nascosto, di cui non si deve parlare.Il nonno Mario, proprio nei giorni dolorosi della fuga di Sara, muore, come muoiono coloro che non sono più vivi da troppi anni. Pietro andrà fino in Russia, sui luoghi dei massacri, il suo viaggio ha un significato simbolico ed epico, un significato catartico: parte attorniato dall’amore dei suoi genitori, a cui ha già dato una serenità nuova , stracciando i neri veli stesi sulla vita di Mario, parte con il viatico di Olmo, un alter ego del nonno Mario, un personaggio indimenticabile. Riuscirà a lasciare il segno della sua irresistibile mitezza, che chi lo incontra accoglie come un dono, anche sulle rive del Don, dove chi è rimasto a ricordare lo accoglie tra le sue galline impazzite (e la descrizione di queste galline non si potrà che rileggersela, nei momenti di malinconia), e persino una ragazza Olga, che gli ha fatto da guida nella sua indagine russa, con la sua bimba Saska , lo vedrà partire con tanto, troppo dispiacere. Pietro , il nostro principe della favola magnifica, torna a casa e ad abbracciarlo all’aeroporto, ci sarà la fragile Sara.
Scrittura originale e poetica, essenziale e immaginifica. Un romanzo magnifico.
Camilla
FIABE INGLESI DI SPETTRI E MAGIE
pubblicato da: admin - 31 Ottobre, 2010 @ 8:09 pm
Pomeriggio buio e pioggia fredda che cade nella incipiente notte di Halloween. Che piacere stare nel salotto caldo con luci soffuse, foglie arancioni attaccate alla finestra, bere il tè con mia figlia e parlare un po’ di fantasmi. Ho trovato questo libro di fiabe inglesi dai titoli “invitanti” e adatti a questa vigilia .
Halloween festa anglosassone, secoli fa si chiamava Hallowmas (messa in onore dei santi), poi il nome si tramutò in All Hallows Eve fino a diventare Halloween. So che Raffaella potrebbe raccontarci bene la leggenda di Jack-o’lanterns e del perchè le zucche sono diventate i simboli di questa notte di “paura”.
Dai druidi, dai celti, alla nostra antica civiltà contadina le origini di questa ricorrenza? Per noi Ognissanti e la commemorazione dei defunti sono vicine e so che in molte regioni italiane c’è la tradizione di festeggiare i morti, i fantasmi, i santi, insomma tutto ciò che sta al confine tra la vita e la morte.
In questo libro curato da Lorenzo Carrara viene citato il pensiero di Plutarco : egli pensava che le anime degli illuminati, dei saggi tornassero sulla terra per fare da guida ai vivi. E le fiabe popolari possono essere ritenute degli spiriti guida che ci indicano verità riposte e dimenticate. La nostra epoca che vuole far chiaro su ogni aspetto non è però riuscita a far svanire i dubbi, le inquietudini e le paure che da sempre si nascondono in noi. Nel mondo incantato delle fiabe riusciamo a chiamare per nome tutto ciò che si aggira in quel territorio magico e misterioso nel quale non vorremmo mai entrare.
Anche oggi  il genere soprannaturale, horror, vampiresco attira moltitudini di giovani, quasi esistesse la necessità di provare brividi ed emozioni paurose  per esorcizzare la paura stessa.
L’ Inghilterra è sempre stata patria di presenze magiche, fossero esse elfi, folletti e fate dei boschi o spettri, spiriti e fantasmi. La storia e la letteratura inglese sono piene di racconti riguardanti fantasmi di ogni tipo. Alcune famiglie ospitano fantasmi che vengono trattati con familiarità …la mia amica Janette che viveva in una casa vittoriana a Notting Hill mi assicurava che con lei viveva il fantasma di una gentile signora la quale aveva però  un pessimo rapporto con il gatto di casa.
E poi streghe, magie e sortilegi. Non abbiamo appena parlato di Shakespeare? Ricordiamoci le streghe che  Macbeth incontra nella paurosa brughiera scozzese.
In questo volumetto dall’innocente copertina bianca ci sono storie che fanno rabbrividire: “Il fantasma di Lady Hobby” ci racconta di una dama bella e orgogliosa che viveva a Bisham ai tempi della regina Elisabetta I. Era ambiziosa, altera e voleva che tutto ciò che le apparteneva fosse perfetto. Capitò che il suo giovane figlio non eccellesse nello studio. Ciò feriva il suo orgoglio di madre che ad un certo punto, visto l’insuccesso di svariati isitutori, decise di educarlo ed istruirlo personalmente convinta che la sua severità lo avrebbe fatto divenire meno svogliato. Punizioni durissime, ore e ore di compiti e vergate erano all’ordine del giorno fino a che avvenne che il povero bambino un’ultima volta colpito stramazzò al suolo privo di vita. La madre capì con orrore ciò che aveva fatto e molto presto anch’essa morì. Ma il suo spirito non trovò mai pace, nè sollievo, nè perdono e vaga tuttora inquieto per quella antica casa soffermandosi più a lungo dove il piccolo Hobby era stato picchiato a morte. Molte sono le persone che hanno testimoniato di aver visto il fantasma della crudele madre, uno spirito orribile e severo che scivola lungo i corridoi. La sua vista fa gelare il sangue nelle vene, perchè la stoffa del vestito emana una pallida e spettrale luminosità , mentre il viso e le mani sono neri come l’inchiostro, come la macchia d’inchiostro fatta dal suo bambino sul quaderno, quella che scatenò l’ultimo fatale eccesso di collera violenta. Ella protende in avanti le mani per raggiungere un catino d’acqua che fluttua a mezz’aria poco più avanti, nel quale vorrebbe immergerle per poterle lavare. Ma non ci riesce mai!
Circa cento anni fa , nell’antica dimora vennero fatte delle riparazioni. Nella stanza in cui l’infelice scolaro aveva trascorso tante giornate piangendo davanti alle lezioni che avrebbe dovuto apprendere si dovette rimuovere un’imposta della finestra…Infilati tra l’imposta e il muro gli artigiani trovarono diversi quaderni del tipo usato durante il periodo elisabettiano. Tra questi uno pieno di macchie, ditate , schizzi d’inchiostro e righe scritte  lavate dalle lacrime.
Vi sono venuti i brividi? Spero solo che una madre così crudele non sia esistita, ma posso tentare di credere a qualche spettro che gironzola qua e là .
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P.S. La foto è stata scattata da Stefania lo scorso Halloween negli Stati Uniti.


















