CATULLO, LE POESIE
pubblicato da: admin - 19 Novembre, 2010 @ 8:05 pm                                                                              Che sorpresa graditissima il ritorno di Luigi!
 E che ritorno!
 Sospeso momentaneamente  l’argomento Grande guerra la nostra matricola universitaria ci presenta oggi un post  che parla di poesie d’amore. E’ intrigante come  ciò che avviene intorno e dentro di  noi ci spinga a leggere o rileggere determinati libri. E la spinta dell’innamoramento è travolgente!
Rieccomi (finalmente!) a collaborare ancora per questo blog. Non ho avuto più il tempo da dedicarci che avevo un tempo, anche e soprattutto a causa dell’università e del lavoro. Devo dire che in questi ultimi mesi sono stato più in giro che a casa. Ma nonostante tutto, mi ci sono abituato e mi piace anche questo tran-tran giornaliero.
In questi miei mesi di “assenza†ci sono stati anche (finalmente di nuovo!) importanti sviluppi sentimentali; ma è proprio quello che sto provando in questo periodo che mi ha suggerito il tema per questo mio intervento: Catullo e le sue poesie, soprattutto quelle d’amore.
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Ma chi era Catullo? Cominciamo con una breve nota biografica: Nasce intorno all’84 a.C. a Verona da famiglia benestante e in rapporti di stretta amicizia con Cesare. Dopo essere stato preparato dai migliori grammatici della Cisalpina, forse dopo aver indossato la toga virile (17° anno), si portò a Roma per raffinare, con i tradizionali studi di retorica, la propria preparazione culturale.
A Roma conobbe importanti personalità del mondo culturale: tra esse lo storico Cornelio Nepote, al quale è rivolta la dedica del carme 1. Ma, certo, ai fini della carriera poetica, si rivelò importante l’incontro con altri giovani, prevalentemente provenienti, come lui, dalla Gallia Cisalpina, interessati alla proclamazione di nuovi ideali di poesia, in aperto conflitto con la tradizione precedente. Tra essi, definiti sprezzantemente poetae novi da uno strenuo difensore della tradizione letteraria quale fu Cicerone, furono particolarmente cari a Catullo, Licinio Calvo ed Elvio Cinna. Accanto al poeta stava sempre, però, l’uomo, con i suoi affetti. Importante fu quello che lo legò al fratello, alla morte del quale (avvenuta nella lontana Troade intorno al 60 a.C.), per circa due anni, abbandona la dimora romana per far ritorno a Verona, presso la sua famiglia.
Importante -centrale si potrebbe dire, alla luce della traccia che ha lasciato nell’opera poetica- risultò certo l’incontro con Lesbia, la donna del cuore. Nel 57 andò in Bitinia, al seguito del governatore Gaio Memmio: l’anno dopo, sulla strada del ritorno, nella Troade, per la prima ed ultima volta, rese omaggio alla tomba del fratello (carme 101). Un paio di anni dopo, a trent’anni di età , la morte.
Particolarmente famose sono le sue poesie d’amore. Desidero prenderne in considerazione una, la più famosa probabilmente: Odi et amo (carme 85 del suo Liber). Ne riporto il testo:
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              Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio et excrucior.
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Odio e amo. Forse mi chiedi come io faccia.
Non lo so, ma sento che ciò accade, e ne sono tormentato.
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È incredibile come con la poesia bastino due semplici versi per invocare un universo di richiami e di sensazioni. Una lunga serie di immagini e sensazioni che altalenano e a volte sposano gli opposti eccessi dell’animo umano, della passione allo stato puro. Miele e fiele, lacrime e baci, bile e seme nelle sue parole, che nascono dal cuore e rifiutando la salita verso la rielaborazione cerebrale, precipitano giù giù per le interiora, il basso ventre, gli intestini, per farsi viscerali e carnali, crude e dirette come lo sono state per chi le ha provate sulla propria carne. Uno stile dunque fortemente evocativo ed efficace, schietto e ardito, e ciò nonostante finemente cesellato, curato, attento, raffinato.
Nei versi di Catullo ritroviamo l’amore e l’odio, sentimenti contrastanti ma che convivono. È questa la bellezza dell’animo umano, e la bellezza sta anche nel fatto che non sono bastati duemila anni e più (forse) di poesie, di innamoramenti, di discussioni, di ragionamenti, per capirlo. Perché è anche difficile spiegarlo: conosciamo il momento in cui stiamo vivendo quei sentimenti, ma non riusciamo a comprendere perché o non riusciamo a spiegarlo, ci rifugiamo dietro ad un nescio: non so; fieri sentio et excrucior: sento ciò che accade e ne sono tormentato.
Ha ragione Roberto Benigni nel suo film La tigre e la neve che ho già nominato in questo blog a proposito della poesia, quando parla dell’amore: “Innamoratevi! Se non vi innamorate è tutto morto!â€.
Questo è l’amore, il più bel sentimento che l’animo umano e l’uomo possa provare: amare e odiare allo stesso tempo, e non saperne il perché. Sentirlo sulla propria pelle, sentirlo nel proprio cuore, essere felicissimi nel sapere di aver trovato “l’altra metà della melaâ€, ma anche essere tormentati, passare notti insonni (chissà quante ne ha passate il povero Catullo per la sua Lesbia!).
E questo è anche il potere della poesia: sentimenti e sensazioni immutate nel corso dei secoli, perché dopo duemila anni, l’uomo non sembra essere cambiato.
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Luigi
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CHARLESTON, di Cinzia Tani
pubblicato da: admin - 18 Novembre, 2010 @ 7:54 pm
In questi giorni di pesante impegno ho potuto leggere solo di sera.  Sono stata accompagnata da uno scorrevole romanzo di Cinzia Tani, giornalista,  scrittrice e inoltre autrice e conduttrice di programmi radiotelevisivi. Non la conoscevo; dalla foto in retro copertina vedo una serena giovane signora dai lunghi capelli biondi che chissà perchè mi rimanda al suo modo di scrivere pacato e chiaro. In copertina invece il famoso ritratto di Tamara de Lempicka ” Jeune fille en vert” che ci introduce nei ruggenti anni ’20.
L’inizio della storia è intrigante: Claire, la giovane protagonista un po’ viziata, gelosa del padre vedovo con il quale conduce una vita dorata a Cannes (un po’ come in “Bonjour tristesse”) crede, teme, ma desidera..di aver sparato a Stella , la sua maestra di danza assunta dal padre . “Mentre prende la mira con il fucile del padre, Claire è ancora innocente. Fra pochi secondi si chiederà se voleva colpire il bersaglio di sughero o la donna vestita di giallo …”
L’avrà uccisa? Non si saprà che alla fine. Intanto il padre seriamente invaghito della misteriosa e affascinante danzatrice italiana la cerca insieme a Michel, un sassofonista siriano che vive a Marsiglia e che  fa parte di un’organizzazione che mira  all’indipendenza della Siria.
Stella è una creatura libera, imprevedibile, che non si vuole legare a nessuno. “Spesso sparisce per un po’ di tempo” riferiscono il  fratello e la madre che tutto sommato non l’hanno mai capita e forse neppure amata.
Ma chi è Stella? Nella stanza della villa di Cannes dove veniva ospitata durante la  fine settimana per dare lezioni di danza, Claire trova un suo diario.
Lentamente conosceremo meglio tutti  i personaggi ed insieme alle loro vicissitudini  attraverseremo periodi storici ed ambienti particolari. Dagli anni folli della Cote d’Azur alla grande depressione di Wall Street, passando per Damasco ed agli anni bui della rivolta per arrivare infine  al novembre del 1963 a Dallas.
Ma prima eravamo partiti  da San Remo alla ricerca di Stella fuggitiva, – ancora viva – ?
Per Claire, piena di sensi di colpa per l’inconfessabile segreto, inizierà un lungo percorso di formazione. Intanto il padre perderà ogni suo avere con il crollo della borsa del 1929, ma questo avvenimento di cesura sembra rinvigorire e cambiare la ragazza che nella ricerca – e di Stella e di se stessa – si ritroverà nei vicoli ripidi e colorati di Marsiglia e in altri luoghi e altre situazioni e giungerà a scoprirsi forte e coraggiosa.
Cinzia Tani è minuziosa e precisa nella ricostruzione degli avvenimenti storici, dei luoghi, della moda del tempo per cui il piacere della lettura è assicurato: ripasso della nostra storia più recente e intreccio romanzato.
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ARIA DI TEMPESTA, di P.G.Wodehouse
pubblicato da: admin - 17 Novembre, 2010 @ 8:42 pmCommento:
L’ho letto quest’estate. Un libro affascinante, moderno. Un giallo che fa riflettere parecchio. I personaggi femminili sono finalmente donne forti ed intelligenti. Da leggere.
STANZA, LETTO, ARMADIO, SPECCHIO, di Emma Donaghue
pubblicato da: admin - 16 Novembre, 2010 @ 7:29 pm Un ultimo best seller della scrittrice irlandese Emma Donaghue ci viene presentato da Camilla, sempre molto attenta alle novità librarie. Ancora una volta il rapporto primario madre-figlio ci fa scoprire inimmaginabili grandezze di amore e protezione.
“Oggi ho cinque anni. Ieri sera quando sono andato a dormire dentro Armadio ne avevo quattro, ma adesso che mi sono svegliato su Letto, al buio, abracadabra : ne ho compiuti cinque: Prima ancora ne avevo tre, poi due, poi uno, poi zero. “sono mai andato sotto zero?†– “Eh?†Mà si stiracchia tutta. – “Lassù in cielo avevo meno un anno, meno due, meno tre?†–“No, no, il conto è cominciato solo quando sei atterrato quiâ€
Questo è l’incipit del romanzo. L’io narrante è il piccolo Jack, il racconto comincia il giorno in cui compie cinque anni. Il bambino vive in una stanza dove gioca, si rotola su Tappeto, tira fuori la lingua davanti a Specchio e crede che quello che vede in un vecchio televisore , alberi, persone e animali non esistano nella realtà . Tutti i giorni lui e sua madre seguono una routine inflessibile,le stesse filastrocche, gli stessi pochi libri, la stessa ginnastica e lo stesso gioco di trascinare un serpente fatto di gusci d’uovo. Jack è felice in quel microcosmo dove è nato e da dove non ha mai immaginato di poter uscire, dove i pochi vecchi oggetti sono amici e la mamma è l’unico essere umano che abbia davvero conosciuto. Il lettore però precipita ben presto in un racconto dell’orrore. La stanza di Jack è una prigione sotterranea di tre metri per tre dove è incarcerato con sua madre. E c’è un uomo, uno spaventoso uomo che Jack chiama Old Nick, che viene la notte e porta il cibo indispensabile, le medicine, le cose. Ma Jack, chiuso nell’armadio, non l’ha mai visto. “Quando Old Nick fa cigolare il letto, tendo l’orecchio e conto sulle dita: questa volta arrivo a 217 cigolii. Devo sempre contare fino a quando lui fa quel suono strozzato e si ferma. Non so cosa succederebbe se non contassi, perché tanto conto sempreâ€.
Ben presto ci si trova incatenati non già alla storiaccia orrenda , che diviene quasi un espediente narrativo, ma alla rappresentazione sapiente di quella zona grigia, quasi un tabù, della maternità in cui è difficile stabilire dei confini fisici o emotivi tra sé e i figli. E si comprende fino in fondo quanto mamme e bambini siano indissolubilmente legati e quanto questo legame porti con sé logoramento e tensione, così come il suo romanticismo e la sua gloria.
Riusciranno a fuggire Jack e Mà ? Ci riusciranno e il fuori, necessario, assolutamente necessario, non sarà subito una bella avventura. Ma il rapporto tra la madre e il bambino trascende completamente il romanzo e ci lascia colpiti e sbalorditi.
Camilla
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NEL SONNO NON SIAMO PROFUGHI, di Paul Goma
pubblicato da: admin - 15 Novembre, 2010 @ 7:57 pm
Mi sembra interessante continuare con lo sguardo sugli altri da sè,  sia  vicini che lontani.
 Il titolo è bellissimo e Riccardo ci spiega con la sua naturale chiarezza e trascinante simpatia sia un’infanzia a Mana che  una parte della propria, quella trascorsa  nel delizioso paese toscano del nonno.
Titolo originario “Din calidorâ€, “Dalla verandaâ€Â .  Un’infanzia in Bessarabia
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La Bessarabia, questa sconosciuta! Il villaggio Mana, dove nasce Paul nel 1925, si trova nella regione Bessarabia, in Romania. A chi apparteneva la Bessarabia?
Inizialmente ai Turchi.
Poi, Bes Arabia, senza Arabia, allo Zar di Russia
1940: all’Unione Sovietica alleata della Germania nazista
1941: alla Romania, alleata della Germania nazista
1944: all’URSS, nemica della Germania nazista
1991: alla neo Repubblica Moldova
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Paul è profugo in Romania per sfuggire ai sovietici. Universitario, entra in conflitto con le autorità comuniste rumene e viene incarcerato. Deluso da Ceausescu che non si sgancia dal Cremlino, promuove il movimento Charta 77. Viene arrestato e poi esiliato a Parigi. Autore autobiografico e “carcerarioâ€.
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Il libro non narra tutto ciò, bensì la sola infanzia dell’autore. Per dimensione, per i caratteri di stampa, per la descrizione della repressione da parte di una o di molte dittature, per lo stile, volutamente “a scattiâ€, salterino, con molti incisi, interruzioni. questo libro mi ricorda le “prugne verdiâ€.
Il messaggio principale che mi ha trasmesso è che nei paese bessarabi … “eravamo tutti figli di contadini …avevamo i nostri Greci, i nostri Russi, i nostri Ucraini, i nostri Zingari, i nostri Ebrei … erano diversi da noi, ma erano nostri … gli uomini, se non possono amarsi, devono almeno sopportarsi …†Vi pare poco? E invece è una ricchezza. Una prova? Io sono nato ed ho vissuto a Genova. Mio nonno paterno era operaio comunale a S. Angelo in Colle, Montalcino (Siena), un gioiello medievale in pietra che dal suo trono senese di 450 metri di alteutudine troneggia sulla Valle dell’Orcia, 250 anime allora e 50 oggi. Mio nonno, gli volevo bene, ci si parlava, ma i nostri discorsi erano molto più semplici (poveri) di quelli che Paul descrive di aver avuto con il suo di nonno … il mondo al di fuori del suo mondo paesano toscano era quelli degli altri, ma gli altri erano semplicemente i contadini, che abitavano in poderi distanti, molto distanti … una o due ore di … ciuco (!) o di cammino di un lento carro agricolo, carico, trainato da una coppia di buoi maremmani! Tutto qui. Invece il mondo di Paul è stato assai più vasto. Inoltre, purtroppo, molto, molto più triste. Infatti lui con i suoi, di “linee del fronte†ne ha vista passare tante, troppe!.
L’adulto Paul ricorda il Paul bambino e riesce a riprodurre, con naturalezza e freschezza infantile, i sentimenti di allora, compresa la “vergognosa e imbarazzante†(per i benpensanti di ieri, forse oggi non più, speriamo bene!) scoperta del sesso. Tizio “guasta†Caia (cioè, fa all’amore con Caia. Vale anche il viceversa). Tizio e Caia si siedono (idem come prima). “Dai, siediamoci … siedtiti con meâ€. Curioso, no? D’ora in poi, quando sentirò che fra due persone si sono “gustati i rapporti†cosa dovrò pensare? Oppure, quando sul bus o in treno cederò il posto ad una Signora (possibilmente bella), nel dire “Signora, prego, vuole sedersi? Si sieda. Prego†mi illuminerò di una luce nuova: hai visto mai che abbia letto anche lei questo libro?!
Torniamo seri. Vasilij Grossman, nel suo Vita e destino (che Mirna ha “postato” alcuni giorni fa) dice fra l’altro “il bene è una bontà senza voce, istintiva, cieca, fino a quando non diventa strumento e mercanzia di predicatoriâ€. Aggiungo io: “e di politici, di militari, di dittatori, di chi vieni qui che ti insegno io la democrazia, ti spiego chi è il vero Dio, ti spiego la fede, ti insegno come si fa. Impara bene tutto che poi ti interrogoâ€.
Dio ce ne scampi! Quale Dio? Il Dio che tutti noi “cercatori di Dio ricerchiamo continuamente†come dice Don Farina, sì … proprio Lui, per favore, quel “nostro†Dio …ce ne scampi! Ecco, l’ho detto … ora sto meglio.
E poi il mi’ babbo diceva “un mi date consigli che so sbagliare damme (da solo)†…
E poi (ancora?) taluno ce l’ha con gli immigrati! Ma se – se non altro – ci stanno aprendo lo sguardo su un mondo nuovo con il qual confrontare la nostra storia, la nostra civiltà , un mondo e una storia che spesso hanno fatto da sponda alla nostra storia, sponda che abbiamo ignorato, che non ci è stato dato di conoscere, di capire, di condividere!
Ma se una forza compie un lavoro è perché ad ogni azione corrisponde una reazione! Non esiste vento che spinga una vela se non aderisce alla vela stessa, se non vi si “scontra†per così dire e ne viene deviato (azione). Se il vento passasse assolutamente indenne sulla vela, la sua direzione non ne fosse deviata, la vela non compirebbe alcun lavoro e la barca non avanzerebbe (reazione).
Ormai lo sapete, sono un velista! E ben? (E ben? Tipica locuzione ligure).
Così anche le civiltà : si sono evolute una rispetto all’altra, molto meglio quando, pur mantenendo ognuna pieno rispetto delle proprie origini, si sono conosciute e quindi integrate sulla base dei loro valori migliori. Utopia? Forse, ma, sempre per citare Don Farina, dobbiamo sempre coltivare un’Utopia!
Continua Paul: … “io Moldavo, faccio il pane ed il formaggio: tu Lipovano, fai le salcicce e la capcioanca (prosciutto); tu Ebreo, tieni il negozio del paese: tu Greco … e così via, come si dice adesso, la ripartizione internazionale del lavoro, o come si direbbe, i nostri interessi non collidono. Anche se al mercato, sulla stessa strada, trovavamo in concorrenza il Greco con l’Armeno, con il Giudeo …si badi bene, nel villaggio erano il “nostro†Greco, il “nostro†Armenoâ€. La parola “Giudeo†non era per nulla offensivaâ€. Mi sembra di sognare …
Ritorno a Grossman: un nemico è tale fino a quando ti spara addosso. Ma quando giace a terra ferito, o quando – paracadutato – viene catturato e disarmato, non è più un nemico: è un uomo che ha bisogno del tuo aiuto. Così anche nel libro di Goma.
Condivido e vi lascio alle vostre riflessioni.
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Riccardo Lucatti
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P.S.: Mirna, GRAZIE! Con il tuo blog hai esaltato in me il desiderio ed il piacere di leggere, conoscere, riflettere, confrontarmi, comunicare, condividere. Ti pare poco?
IL CAPPOTTO, o "un sorriso fra le lagrime"
pubblicato da: admin - 14 Novembre, 2010 @ 8:25 pm
Come non pensare a questa straordinaria novella di Nikolay Gogol in questi giorni in cui incontro tante persone russe e non, con e senza cappotto?
G. una paffuta e bionda signora armena cinquantottenne  arriva spesso in classe con una valigia. Non oso chiederle come mai, ma le chiedo se ha dormito bene. E lei invariabilmente risponde “Quattro ore perchè ho troppe preoccupazioni”. Ma sorride e mi parla dei suoi desideri: vorrebbe una collana d’oro e riuscire a tornare dai suoi figli a Yerevan. Scherza molto Con Y. e con  il signor S., uno moscovita, l’altro georgiano, che riescono nonostante le difficoltà a ridere e a far ridere. Il signor S. è minuto,  ha un giacchino di finto montone e un berretto sulla testa semicalva. Ha una voce bassa e gradevole, parla con amore della moglie ed è l’unico che non ha voluto “accettare” un caffè offerto da me. E’ lui che me l’ha offerto.
E po c’è A. che ha solo una giacchina di cotone bianco. Lui è somalo. “Hai freddo?” Gli ho chiesto l’altro giorno. “Un po’, ma questa giacca è così bella!”. E’ semianalfabeta ma ha una grandissima voglia di imparare l’italiano. E’ educatissimo e dolcissimo.
Chissà se possiede un cappotto per combattere il nostro inverno. O come Akà kii Akà kievic patirà il freddo.
“Il cappotto” esce nel 1842, sulle prime passa inosservato, ma poco tempo dopo, mentre il suo autore “stava levando il tragico stormo delle anime morte”, viene amato con rispetto filiale. Ogni vero scrittore russo vi si riconosce, vi ritrova qualcosa di atavico. “Noi siamo tutti usciti dal cappotto di Gogol” dirà Dostoièvskij.
Che cosa ci racconta questa operetta? La vita di un un modesto impiegatuccio che già dal nome sembra un soccombente, un ingenuo, un semplice : Akà kii Akà kievic. L’etimologia può essere ricondotta al greco a-kakos, innocente, ignaro del male. Lavora nel “dicastero di…” a San Pietroburgo. La mansione destinatagli è ricopiare. Sempre. Un “invariabile impiegato che ricopiava; tanto da radicarsi in seguito l’opinione ch’egli fosse venuto al mondo matematicamente già bell’e pronto, così, con la bassa uniforme e la sua giusta calvizie in testa.”
Ma non è il passivo Bartleby che non ha possibilità di salvezza. Al contrario Akà kii Akà kievic trova nel ricopiare la sua ragione di vita. Egli si esprime in tutto ciò che fa: il suo lavoro è umile, anonimo, ma ardente come l’amore originario. “Attende al suo lavoro di volta in volta come un vegetale tende alla luce per rigenerarsi.” spiega Clemente Rebora  nella postfazione di questo libretto.
Si rifugia tra le sue righe ricopiate. Cerca un angolino caldo in cui stare tranquillo. Non si concede nessuna distrazione. Ma nulla può contro l’ennesimo inverno incipiente. “C’è a Pietroburgo un aspro nemico di tutti coloro che riscuotono suppergiù quattrocento rubli l’anno: alludo al nostro gelo nordico…”
Dopo l’impossibilità ormai di rammendare il vecchio e liso cappotto Akaà kii Akà kievic si permette il lusso di “innamorarsi” dell’idea di farsene uno nuovo, caldo e comodo. L’attesa, pur piena di ulteriori sacrifici, lo riempie di gioia. Si sente meno solo. Vive con rinnovata energia la sua vita che agli occhi degli altri appare umile e meschina.
Farsi un cappotto, spiega Rebora, assume ai suoi occhi l’importanza di un fatto spirituale supremo, gli fornisce un nuovo mezzo per farsi valere.
E’ un progetto che per lui diventa quasi la riprova e  il coronamento della propria vita.
Quando infine avrà materialmente la calda presenza del cappotto ecco che lo stesso comincerà a perdere di valore. “Una cosa ottenuta è una cosa perduta”. Gli sembra di aver esaurito il suo compito, si sente più indifeso e presto cadrà nelle mani di coloro che gli ruberanno il cappotto. Protesta presso l’alto funzionario, ma viene deriso e umiliato. Si ammala e muore. Akakii Akakievic è uno strumento impersonale sfruttato dall’ordigno sociale che dall’alto lo tratta con brutalità . Â
Ma Gogol non si sbarazza del suo personaggio. Il suo esempio di bontà dovrà essere d’esempio, perciò ci fa assistere agli effetti morali e soprannaturali della sua anima. “Chi ha saputo ospitare la luce non va perduto nelle tenebre”.
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UNA VITA A PARTE, una "Brookner experience"
pubblicato da: admin - 13 Novembre, 2010 @ 8:14 pmRiprendo con gioia la “penna” in mano. Sento la mancanza dello scrivere quasi esso fosse una parte vitale di me. Scrivere è parlare con me e con immaginari interlocutori che, grazie a questo blog, diventano reali e corrispondenti. Si sciolgono nodi, si sedimentano vecchi pensieri, si accolgono e sistemano le nuove esperienze. Queste ultime modificano sempre un po’ il nostro ricordo dell’ieri e la nostra prospettiva verso il domani,  nell’eterno gioco di riflessi di altri sguardi che danno e prendono.
Monologhi interiori, dunque, come sistemazione del flusso di coscienza e incoscienza.
Anita Brookner con il suo romanzo “Una vita a parte” mi ha accompagnato in questo ultimo lavoro forte e impegnativo.
Di che cosa parla il suo libro? Di un romantico deluso, ormai oltre la settantina, che sente prepotente il senso della solitudine familiare. Non è sposato, non ha figli, nè fratelli, nè parenti prossimi.
 ” Sturgis aveva sempre saputo di essere destinato a morire in mezzo agli estranei.” “Aveva letto da qualche parte che Stendhal era caduto riverso per strada e poi era stato portato a casa di un cugino, dove in seguito era spirato”.
Cerca dunque di coltivare seppur con fatica e noia un rapporto sporadico con l’unica parente acquisita, Helena, la vedova di un suo cugino. Gli piace, nelle rare domeniche pomeriggio in cui la va a trovare, farsi servire una tazza di tè, invece che prepararsela da solo come sempre. Percepisce però, da acuto osservatore solitario, che l’accoglienza è doverosa, formale e frettolosa.
Quando si ritrova  nel suo piccolo appartamento londinese più forte diventa la consapevolezza della sua solitudine, del suo lento  staccarsi dalle vecchie amicizie e dai colleghi di lavoro, ripensa con nostalgia alla casa dell’infanzia nonostante i genitori l’avessero resa fredda e cupa. Prima del sonno ama ritornarvi, risalire le vecchie scale, fermarsi nella grande cucina e, come Proust, riviverne appieno le sensazioni.
Non ama più il piccolo appartamento dove abita che al momento dell’acquisto e dell’affrancamento dai genitori rappresentava ai suoi  occhi e a quello degli altri una “bella sistemazione”. Lo sente non-casa e ricorda che esiste un eccellente termine freudiano per definire la sua sensazione: unheimlich.
Tenta di legarsi a una nuova persona incontrata a Venezia, la signora Gardner, una vivace cinquantenne, ma di lei dice, come Swann diceva di Odette, che non “è il suo tipo“. Ritrova per caso Sara, una sua vecchia fiamma, malandata fisicamente e che non ha voglia di riallacciare nessuna relazione se non per un rapporto utilitaristico.
In realtà anche  Sturgis vorrebbe avere qualcuno vicino per motivi di opportunismo, per non morire solo, per essere aiutato in caso di malattia. Da tutti i suoi pensieri emerge invece quanto la solitudine gli faccia assaporare più intensamente ogni istante.
Ama passeggiare, leggere i suoi giornali, pranzare fuori. Si compatisce un po’, ma  ogni qualvolta si trova in compagnia di qualcuno non vede l’ora di tornare nel suo guscio per sviscerare la vita in ogni suo aspetto.
Anche se “Una vita a parte” viene presentato come una “ feroce analisi della solitudine assoluta della condizione umana” e “uno scongiuro contro la notte incombente” il ripegamento su se stesso di Sturgis, vuoi per vecchiezza vuoi per indole introspettiva, non mi ha rattristato. Secondo me il vero solitario è colui che non vuole rimanere solo per non parlare con se stesso. Spesso non ci parliamo per non soccombere all’angoscia o alle verità scomode.
Le sue giornate lente e riflessive, i suoi momenti di angoscia,  i suoi tentativi per uscirne ed infine  la soluzione trovata, mi hanno reso comprensibile e amico questo personaggio.
Che decide?
Che andrà ad abitare in un piccolo albergo dove sentirà il rumore della vita degli altri attorno a sè, dove  la sua solitudine sarà protetta, ma dove ci sarà qualcuno in caso di necessità .
Pensa che “L’albergo rappresentava il simbolo di un’esistenza transitoria e dunque realistica“
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GOMORRA, un pugno nello stomaco
pubblicato da: admin - 12 Novembre, 2010 @ 7:46 pm                                                                   La parola a Stefania:
Cari lettori, ho scelto per oggi un volume famosissimo, criticatissimo ed esaltatissimo allo stesso tempo, un reportage crudo e sconvolgente di quello che accade dietro la porta di casa di noi Italiani.
So che sara’ una scelta criticata ma mi interessa stimolare un’eventuale discussione che esuli dal libro stesso e proceda sulle strade della cronaca, dell’etica, del rifiuto del “non parlare.” Mi interessa anche riflettere con voi sul confine – labilissimo – fra estetica e realta’ di morte e violenza; ovvero se e’ lecito fare estetica su sparatorie, smistamento di cadaveri e reclutamento di baby-corrieri. Fin dove possiamo spingerci a “creare” usando la materia della morte e dei soprusi? E in che cosa la cronaca e’ diversa dalla scrittura creativa in questa attivita’?
Una volta, dopo aver visto il film di Milcho Manchevski “Before the rain,” ne parlai con un amico filosofo. Mi ricordo l’entusiasmo mio e di mamma verso quest’opera esteticamente meravigliosa che si svolgeva peraltro in Macedonia, durante la recente guerra di Bosnia. Il mio amico mi smonto’ richiamando la mia attenzione sul problema: ma e’ giusto romanzare sulla morte di qualcuno quando si sa che questa e’ o e’ stata reale? A voi la parola su questo.
Senz’altro “Gomorra” va letto. Conosco tante persone che non l’hanno aperto, qualcuno per paura di leggere di stragi, altri per dubbi, ma i piu’ per la paura di provare rabbia. E certo rabbia ce n’e’ da provare tanta, di fronte al Sistema economico ben oliato della camorra che si infiltra negli spazi del sistema legale e lo fa scoppiare dall’interno. L’abuso dei giovani senza prospettive legittime e con molte prospettive di fare “carriera” nei ranghi del criminalita’ organizzata, l’abuso delle minoranze etniche per scopi disumanamente solo economici come la confezione di abiti griffati a costo quasi nullo, l’abuso del terreno della nostra Italia per riempirla di spazzatura a prezzo d’oro e per sommergerla di cemento fino a farla collassare.
La rabbia, Saviano l’ha provata in loco e canalizzata altrove. Si e’ fatto da testimone a reporter ed ha accettato di vivere sotto scorta e nell’anonimato piu’ stretto fin dalla giovane eta’. Pochi giovani d’oggi l’avrebbero fatto. Con tutte le critiche che gli si possono fare, questo certo salta all’occhio e spezza molte lance a suo favore.
E tuttavia, Saviano non ha semplicemente ritratto per punti l’operato della camorra in Italia e all’estero. Ne ha tratto passi di autentica poesia, una poesia naturalmente amara, deflagrante, urlante se vogliamo, ma portatrice di piccole “contemplazioni” estetiche, a prescindere dalla nostra  intenzione di autorizzar(ce)le o meno. Almeno cosi’ per me e’ stato.
Ci sono due passi che voglio citare. Il primo in apertura, ritrae il porto di Napoli nella sua grandezza perversa:
Tutto quello che esiste passa di qui. Qui, dal porto di Napoli. Non v’e’ manufatto, stoffa, pezzo di plastica, giocattolo, pantalone, trapano, orologio che non passi per il porto. Il porto di Napoli e’ una ferita. Larga. Punto finale dei viaggi interminabili delle merci. Le navi arrivano, si immettono nel golfo avvicinandosi alla darsena come cuccioli a mammelle, solo che loro non devono succhiare , ma al contrario essere munte. Il porto di Napoli e’ il buco nel mappamondo da dove esce quello che si produce in Cina, Estremo Oriente come ancora i cronisti si divertono a definirlo. Estremo. Lontanissimo. Quasi inimmaginabile. (…) Qui l’Oriente non ha nulla di estremo. Il vicinissimo Oriente, il minimo Oriente dovrebbe esser definito. Tutto quello che si produce in Cina viene sversato qui. Come un secchiello pieno d’acqua girato in una buca di sabbia che con il solo suo rovesciarsi erode ancora di piu’, allarga, scende in profondita’. (…) E’ una stranezza complicata da comprendere, pero’ le merci portano con se’ magie rare, riescono a essere non essendoci, ad arrivare pur non giungendo mai, a essere costose al cliente pur essendo scadenti, a risultare di poco valore al fisco pur essendo preziose. (…) Nel silenzio del buco nero del porto la struttura molecolare delle cose sembra scomporsi, per poi riaggregarsi una volta uscita dal perimetro della costa. La merce del porto deve uscire subito. Tutto avviene talmente velocemente che mentre si sta svolgendo, scompare. Come se nulla fosse avvenuto, come se tutto fosse stato solo un gesto, Un viaggio inesistente, un approdo falso, una nave fantasma, un carico evanescente. Come se non ci fosse mai stato. Un’evaporazione.
E poi la descrizione della fine del ciclo produttivo, gli appalti tramite stakeholder (“scommettirori”) per smaltire la spazzatura (p.320):
Col tempo ho imparato a vedere con gli occhi degli stakeholder. Uno sguardo diverso da quello del costruttore. Un costruttore vede lo spazio vuoto come qualcosa da riempire, cerca di mettere il pieno nel vuoto; gli stakeholder pensano invece a come trovare il vuoto nel pieno. Franco, quando camminava, non osservava il paesaggio, ma pensava a come poterci ficcare qualcosa dentro. Come vedere tutto l’esistente a mo’ di grande tappeto e cercare nelle montagne, ai lati delle campagne, il lembo da sollevare per spazzarci sotto tutto quanto e’ possibile. Una volta, mentre camminavamo, Franco noto’ la piazzola abbandonata di una pompa di benzina, e penso’ immediatamente che i serbatoi sotterranei avrebbero potuto ospitare decine di piccoli fusti di rifiuti chimici. Una tomba perfetta. E cosi’ era la sua vita, una continua ricerca di vuoto.
Stefania
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IL MIO QUADERNO DI POESIA
pubblicato da: admin - 11 Novembre, 2010 @ 7:58 pmUna pausa poetica tra due libri impegnativi come quello di Grossman e quello di cui domani ci parlerà Stefania (ma che non anticipo!) .
 Deliziosi i libri-quaderno di cui ci racconta Daniela!
 Mi piace leggere del suo lavoro con i bambini stranieri. Ne ricordo anch’io la soddisfazione. Ora sto vivendo un’ esperienza analoga  con gli adulti; vi racconterò. Per ora posso anticipare che è come fare un grande viaggio tra sete orientali, spezie e pensieri ricchi…
 Ciao Mirna,
non so se può servirti comunque ecco qui.
Ti ricordi la mitica IIID? Bene, venerdì ho ripreso in mano un piccolo
libro viola usato già con i nostri cinesini. Le dimensioni sono
esattamente quelle di un quaderno, etichetta incollata sulla copertina
tipo quelle che gli scolari (quelli bravi ed ordinati) mettono sui
quaderni per indicare la materia. Sull’etichetta c’è scritto “Il mio
quaderno di poesia – dell’alunno Vittorio Caratozzolo” …. (Adesso
avrai già capito in che occasione avrò utilizzato questo libro. Avevi
letto in classe “X Agosto” e nel gruppo dovevo riprendere l’argomento
con i ragazzi). … Ma a dissipare i dubbi c’ è l’ndicazione
“Kellermann editore”. Il libro si presenta proprio come un quaderno di
1^ o 2^ elementare. La prima pagina riporta anche l’indicazione
dell’anno scolastico! C’è, dopo una breve introduzione, l’elenco
delle poesie con l’indicazione del relativo autore il tutto scritto in
Bella Calligrafia. E poi ci sono le poesie: quelle che da bambini, poi
da adolescenti, quindi da adulti, “ci sono passate sotto gli occhi
innumerevoli volte”:Â Il sabato del villaggio, Pianto antico, A
Zacinto, X Agosto, Meriggio, Alle fronde dei salici, I pastori,
Natale, La fontana malata, Cantico delle creature. Quelle poesie ,
insomma, che fanno parte della nostra memoria comune. Ogni poesia è
ricopiata in “bella calligrafia”, ognuna ha il titolo circondato
dalla sua bella “cornicetta”, ognuna è accompagnata da una serie di
disegni nati, secondo l’autore, da una domanda fatta al suo Io-bimbo
“cosa vedi?”. Sono disegni che mi richiamano alla mente quelli che
chiudevano le pagine del mio quaderno delle elementari. Solo che
questi si allargano, invadono i bordi delle pagine per spiegare e
illustrare ciò che le parole significano.
Ai cinesini era piaciuto e avevano riempito la fotocopia con disegni
che integravano quelli copiati dalla lavagna (avevi utilizzato il
sistema anche tu?…).
Venerdì ero alle prese con il Cantico delle creature che mio nipote
doveva imparare (ne abbiamo studiato una/due strofe alla settimana) ed
eravamo difronte a frate focu bello et iocundo et robustoso et forte.
E il disegnino è stato gradito per fissare il tutto.
A proposito Caratozzolo è un nostro collega in servizio a Trento
Ciao
Daniela
VITA E DESTINO di Vasilij Grossman
pubblicato da: admin - 10 Novembre, 2010 @ 8:59 pm Ospite assiduo del mio blog è il vulcanico  Riccardo che oggi ci propone un’altra interessantissima lettura.Â
Sono contenta che scriva di un autore ucraino perchè proprio in questi giorni sto approfondendo la conoscenza con le persone straniere del mio corso… fra cui alcuni simpatici russi e una deliziosa  armena. Persone appassionate e socievoli. (Sono già stata invitata a mangiare una loro specialità  gastronomica: le foglie di cavolo ripiene di carne!)
  Vasilij Grossman (Ucraina 19905, Mosca 1964)
827 pagine, €34,00
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2010, centenario della morte di Leone Tolstoi.
Guerra e pace … famiglie russe durante la campagna napoleonica di Russia …
Vita e destino … famiglie russe durante la campagna nazista in Russia …
Ma non solo famiglie russe. Anche, di nazisti e di stalinisti, lager, apparati politici, sistemi militari, sistemi polizieschi, lavanderie dei cervelli, storie di donne e di uomini.
Grossman si è concesso molte pagine. Ben 827. Ne aveva bisogno per delineare caratteri, situazioni, processi di formazione mentale di ragionamenti morali, altruistici, umani, filosofici, culturali, politici, egoistici, militari (li elenco in ordine di merito decrescente, n.d.r.).
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Caratteristica della prima metà del XX secolo fu la remissività , afferma Grossman (pagg. 196-197). … per sopravvivere l’uomo scende patti con la sua coscienza … le forze che agiscono sono: istinto di conservazione, fascinazione delle teorie, paura di una violenza così grande da divenire essa stessa oggetto di culto.
Le assemblee umane hanno lo scopo di conquistare il diritto ad essere diversi …ma spesso dall’unione nasce paradossalmente la violazione del singolo uomo che “deve†essere uguale agli altri (pag. 211).
Majakovskij è lo Stato fatto carne, sacrifica l’uomo all’umanità ; per Dostoevskij l’uomo è tale anche quando è dentro lo Stato. Per lui in Russia gli uomini non sono tutti uguali; Tolstoj ha reso poetica la guerra del popolo, ha in mente Dio, non l’uomo; Cechov è un autentico democratico russo, vuole che Dio si faccia da parte per lasciare spazio all’uomo (pagg. 264 e sgg.)
La piaggeria … o un’audace, pericolosissima battuta: “Le leggi sulla gravitazione universale non sono di Newton ma di Stalin†(pag. 272).
La difficile soluzione di un complesso problema scientifico fu improvvisamente trovata dallo scienziato mentre egli non vi pensava, bensì mentre a guidare le sue parole su tutt’altri argomenti era solo libertà … (pag. 274).
Di fronte a più donne, automaticamente ogni uomo, nel suo intimo, è portato a fare la sua scelta …; instaurare con una donna un discorso che fa venire il brivido lungo la schiena, l’unica conversazione che conti fra un uomo ed una donna …; ogni volta gli sembrava la prima, l’esperienza non era diventata abitudine, da questo si riconoscono i veri dongiovanni; l’amore è come il carbone: scotta quando arde e sporca quando è freddo (pagg. 279 e sgg.) (e qui il discorso è di tipo completamente diverso, n.d.r..)
… occhi intelligenti come acqua fredda e torbida d primavera pag. 281).
La mostruosa disumanità di Stalin lo ha reso successore di Lenin (pag. 284).
Il bene e il male, da pagina 384 a pag. 390 …il bene è una bontà senza voce, istintiva, cieca, fino a quando non diventa strumento e mercanzia di predicatori … la storia degli uomini non è la lotta del bene che cerca di sconfiggere il male … è la lotta del grande male che cerca di macinare, senza riuscirvi, il piccolo seme dell’umanità .
A chi prendeva atto de propri successi di fronte ai propri superiori: â€Lei è come quel personaggio di Mark Twain che si vantava dei propri guadagni con un ispettore delle tasse†(molto, molto attuale, non credete? N.d.r.).
Un Russo ad un subalterno che lo aveva criticato: Tu quoque Brute, fili mi? (pag. 439). (E noi aboliamo il latino dalle scuole … vergogna … questo libro è stato scritto nel 1960, da un Russo! N.d.r.).
Il dirigente arriva prima degli altri ed esce per ultimo … ciò gli procura rispetto … ma maggior rispetto ha chi in due settimane si fa vedere solo una mezz’oretta (sic, pag. 441) (Quanta saggezza attuale! N.d.r.).
Gli scienziati si dividono in classi alimentari, a secondo del tipo di razione di cibo cui hanno diritto (pag. 442).
Non potendo essere sempre nobili, si è spesso meschini (pag. 443).
Secondo un commissario delle SS i capi si dividono in quattro categorie:1) Uomini tutti d’un pezzo che si rifanno tout court ai comandi di Hitler, senza i quali non sono nulla. Tenore di vita modesto. 2) Cinici intelligenti, Spiritosi, critici, credevano nell’esistenza della bacchetta magica. Tenore di vita elevato. 3) Gruppi da sette a ventisette persone, l’empireo, niente ideali, solo numeri per uomini potenti e spietati. 4) Gli esecutori, privi di qualsiasi capacità analitica (pagg. 458-459).
L’antisemitismo? Da pagina 460 in poi.
Il terrore? Una moglie che non denuncia il marito è condannata a 10 anni di galera (pag. 504).
Il partito? Mi sottometto alla decisione comune, obbedisco la partito di cui sono membro (sempre, n.d.r.) (pag. 506).
Persone in passato assolutamente normali gestivano le camere a gas, con assoluta indifferenza (pagg. 509-510) (in modo normale, d’altra parte, non trovate che fossero coerenti? N.d.r.).
Esiste il giudizio divino ed esiste il giudizio dello Stato e della società ma esiste anche un giudizio supremo: quello di u peccatore su un altro peccatore … (pag. 511).
Il destino prende per mano l’uomo, ma è l’uomo che decide di seguirlo … pag. 512).
La moglie? Poco prima del forno crematorio …come soffocare il ricordo di una moglie che ti mette in mano un involto con la fede,qualche zolletta d zucchero e un pezzo d pane duro (pag. 516).
Le camere a gas (pag. 524).
Pag. 542: campagna d fedeltà al partito in ambito scientifico? Basta prendere il migliore scienziato e dargli addosso: Cosa di meglio di un simile capro espiatorio? (Attuale anche questa, in diversi ambiti, n.d.r.).
Pag. 558: nella vita chi a ragione non sempre sa come comportarsi: è irascibile, indelicato, impreca,è intransigente e di solito si vede accusare d ogni colpa. Chi ha torto è logico, posato, ha tatto e sembra sempre avere la ragione dalla sua (attualissimo, n.d.r.).
Pag. 606: dicesi colpevole colui per il quale è stato spiccato un mandato d’arresto. Chiunque, in pratica.
Pag. 660, nazismo come stalinismo.
Pag. 698, la sconfitta di Stalingrado fa tornare normali le belve umane.
Pag. 720: le fasi della programmazione: entusiasmo, perplessità , ritorno alla realtà , ricerca del colpevole, punizione dell’innocente, lode ad estranei. Il “colpevole†viene isolato, emarginato, privato del lavoro. Ma serve ancora, quindi na telefonata diStalin lo riporta a galla ….
…quindi da pagina 794 in poi l’ex colpevole scende a compromessi con se stesso e firma certe carte, vergognandosene.
Pag. 801 Il potente emana ordini crudeli e quando taluno glie ne chiede conto, egli accusa i propri incaricati: “Ma cosa avete fatto, birichini? Ora vi castigo ioâ€. Firmato Stalin. (Anche questa è attuale, non credete? N.d.r.)
Pag. 803 e sgg.: la teoria del lager dentro il lager e del lager fuori del lager: due entità destinate a fondersi.
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Fine
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E’ un libro che impegna e che merita.
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Riccardo Lucatti



















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