GULLIVER'S TRAVELS, il capolavoro di Jonathan Swift

pubblicato da: admin - 9 Dicembre, 2010 @ 8:29 pm

240px-Gullivers_travels[1]Molti libri per ragazzi, soprattutto quelli dei secoli scorsi, sono insegnamenti e reprimende anche per gli adulti. Continuerei con  questo filone oggi perchè mi è venuto improvvisamente in mente  quando acquistai I viaggi di Gulliver, versione illustrata.

Avevo forse 11 anni. Era il giorno dopo l’Epifania. Secondo me i miei genitori, pur avendomi fatto i regali per Santa Lucia e per Natale avrebbero dovuto farmene uno anche per la Befana.  Perorai a lungo la mia causa dicendo che dovevo avere assolutamentte un libro visto nella vetrina della piccola cartolibreria sotto i portici. La copertina raffigurava un gigante legato e tanti piccolissimi esseri intorno a lui. Che incentivo all’immaginazione!

 Mio padre, esasperato, mi diede i soldi. Che felicità. Corsi a comprare il libro dei miei desideri. Appunto I viaggi di Gulliver (pronunciato all’italiana con la U). Che immagini straordinarie  ! E che storia! Soprattutto la parte dei Lillipuziani, come mi piaceva! Il fatto di immedesimarmi nel protagonista viaggiatore, grande e grosso mi dava sicurezza. Beh, questo libretto è andato perso. E proprio perchè non l’ho più tra le mani il suo ricordo è più intenso. Valutavo che i miei oggetti preferiti, quelli che mi riportano momenti lontani ed emozioni perdute sono quelli che non …ho più!

Era una versione per bambini, breve, ma sufficiente per quell’età a farmi “viaggiare” e meravigliarmi. Quando invece lessi la versione integrale che sorpresa! Altro che narrativa soltanto per ragazzi.

Il corrosivo Swift non risparmia la sua società inglese degli inzi del Settecento e in generale tutto il genere umano constatando alla fine che molto superiore alla nostra sarebbe la società dei cavalli, quella degli Houyhnhnms, esseri razionali e saggi, che non conoscono il concetto di guerra e violenza. Tanto che essi  non possono accettare di inserire nella loro società un essere umano. Gulliver torna perciò a malincuore in Inghilterra dove farà molta fatica persino a sopportare l’odore della propria razza.

Ma torniamo a quando il nostro navigatore di mezza età, borghese, esperto in medicina, che  ricorda un po’  “Robinson Crusoe” ,  approda nell’isola di Lillut. Ma Gulliver è ben diverso da Robinson e le sue esperienze, contrariamente a quelle dell’eroe di Defoe, cambiano gradualmente e in modo pessimistico il suo carattere  tanto  che alla fine  lo troviamo  disgustato dal genere umano.

E’ una grande opera satirica, dunque, contro l’uomo e la civiltà. L’intento di Swift è quello di mortificare l’orgoglio umano presentandoci l’ostentazione e la vacuità delle umane pretese, le vanità, le cerimonie, gli slogan dei politicanti, le controversie assurde che caratterizzano la società umana. E proprio a Lilliput se ne evidenzia la meschinità e l’insignificanza. 

A Lilliput Gulliver è come fra un popolo di bambole mentre a Brobddingnag è fra giganti alti 22 mt. I Lillipuziani  invece sono alti 15 cm. Queste situazione descritta con minuzia ha sempre attratto i bambini per i quali le bambole e gli oggetti riprodotti in scala ridotta hanno  un fascino particolare.

Ma anche a Lilliput ci sono fazioni e controversie  fra i partiti dei tacchi alti e quelli dei tacchi bassi…!

Gulliver riuscirà a fuggire sebbene condannato per tradimento  e dopo il soggiorno fra i giganti approderà su Laputa, la terra volante che si libra nell’aria e dove tutti si dedicano alla matematica e alla musica. (Stefania?….?)

Il lungo viaggio di Gulliver, come già detto, si conclude nella regione dei superiori e saggi cavalli. In uno scritto  Orwell critica questa società  perchè essi “sono esenti dall’amore, dall’amicizia, dalla paura, fatta eccezione per il disprezzo per gli Yahoo- gli esseri umani – . …Gli houyhnhmn non dimostrano alcun affetto per i loro piccoli e i puledri; la ragione infatti esclude ogni dimostrazione d’amore che non sia un’astratta benevolenza universale… E’ una “tetra utopia” la loro, e si ha la senzasione  che nel concepirla Swift sia stato ispirato più dal disprezzo per gli yahoo che dall’amore per gli houyhnhnm.

 

Quanto ci sarebbe da cercare, da scrivere su questo libro, e su tanti altri  libri per ragazzi che fra le righe si  rivolgono anche a noi adulti per scuoterci, consigliarci, farci capire.  Non a caso Fruttero dice che il libro da leggere e rileggere  è Pinocchio.

Jonathan Swift nasce a Dublino nel 1667 da genitori inglesi. Parente povero di Sir William Temple, lavora come segretario e inizia a scrivere ben presto dei pamphlets, spesso corrosivi, a volte inquietanti. E’ un misantropo, è un deluso,  un pessimista anticonformista, un severo idealista.

Alla fine del libro Swift ci lascia con le parole di Gulliver ritornato controvoglia in Inghilterra:

“La mia riconciliazione con la stirpe degli Yahoo non sarebbe tutto sommato troppo difficlie, se essi si accontentassero di quei vizi e di quelle follie cui la natura dà loro diritto.Io non mi irrito minimamente alla vista di un avvocato, di un borsaiolo, di un colonnello, di un buffone, di un pari d’Inghilterra, di un giocatore, di un politicante, di un ruffiano, di un medico, di un testimone, di un traditore o di altre simili persone. Tutto ciò rispecchia il naturale corso delle cose; ma quando io contemplo un cumulo di deformità e di malattie fisiche e morali, e lo vedo pervaso dall’ORGOGLIO, allora le mia capacità si sopportazione vengono subito meno; nè riuscirò mai a capire come simile animale e simile vizio possano andare d’accordo.”

Libro da regalare, pardon, da far comprare ai nostri politici?

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L'ISOLA DEL TESORO e Poesie di Stevenson

pubblicato da: admin - 8 Dicembre, 2010 @ 9:19 pm
scansione0005 Riporto subito un nuovo commento a un mio post su “Qualcuno da amare” di Barbara Pym che potete rileggere  cliccando Search nella colonna dell’archivio dopo aver messo il titolo del libro.

“Gentile signora anch’io adoro la Pym praticamente ho quasi tutti i suoi libri ed era molto amata anche dalla mia adorata mamma….
mi farebbe piacere scambiare tanti pensieri con lei perchè è così raro trovare persone che amano le stesse letture almeno per me…

In questa solitudine dell’intelligenza…

Giovanna”

Tanti libri, tanti gusti letterari, diverse esigenze. Ne parliamo spesso. 

 “Fidati di chi ama leggere, fidati di chi porta sempre con sè un libro di poesie.” scrive Cotroneo nel  libro indirizzato a suo figlio Francesco  “Se una mattina d’estate un bambino”. E’ una lunga lettera di un padre che lavora tra i libri. Il bambino all’epoca (1994)  ha solo due anni e  mezzo. La leggerà poi. Ma non è mai troppo presto per instradare i figli alle lettura –  pensiamo noi Lettori accaniti – convinti di quanto  aiuto essa  possa dare alla formazione dell’essere umano.

Vengono citati libri importanti per l’autore ed insieme ad essi le tematiche esistenziali che scaturiscono dalla loro lettura. Un po’ com’è la filosofia di questo blog. Non mera recensione che dipende sempre dai gusti e dal vissuto personale, ma  sollecitazione a capire noi stessi e ciò che ci circonda.

E’ un invito per raggiungere il mondo dei versi e delle narrazioni.  Anche Cotroneo sceglie come letture importanti “Il giovane Holden”, le poesie di Eliot, i romanzi di Virginia Woolf, ma si sofferma soprattutto su “L’isola del tesoro” di Stevenson.

Ricordo lo sceneggiato televisivo visto con mia mamma. Insieme ripetevamo la terribile canzone: ” Quindici uomini, quindici uomini / sulla cassa del morto/ Yò-hò-hò – e una bottiglia di rum”.

I pirati , quelli veri, non scherzano.

 Ci sono capitoli che possono incutere paura, ci sono personaggi cattivi, “sbagliati”.

Jim è il protagonista positivo, buono, simpatico che ha sempre vissuto in modo normale finchè un giorno alla porta della sua locanda arriva  il Capitano, con il suo codino incatramato, il suo baule, il coltello e la sua canzone. E’ un  vecchio lupo di mare :” il Capitano Bill ha le mani rugose e ragnate di cicatrici, le unghie rotte e orlate di nero; e attraverso la guancia, il taglio del colpo di sciabola d’un bianco livido e sporco.”  Ormai Bill è però uno straccio d’uomo, ha navigato con Flint, il più temibile pirata di tutti  i mari e ha con sè una carta molto importante, una mappa , nascosta nel baule, per ritrovare il tesoro di Flint.

Il Capitano Bill beve troppo, ha un carattere rissoso, non paga i conti alla mamma di Jim. Ma è un pirata banale. Egli non è altro che il tramite perchè Jim diventi un uomo, perchè attraversi l’adolescenza con il dolore e i danni inevitabili.

 Dopo morte del Capitano  e dopo quella  quasi contemporanea del padre, Jim scoprirà nel misterioso baule la mappa del tesoro  sepolto in un isola del Mar dei Caraibi.

Questo romanzo è una sorta di iniziazione alla vita, è la spinta per perdere l’ingenuità, è un libro per ragazzi certamente, ma si può rileggere  da grandi per  “tarare” le  sensazioni e le paure provate con la figura sinistra di Pew il cieco, di Cane-Nero e di Silver John.

Pew può spaventare il giovane lettore; il lento ticchettio del bastone, la voce melata, e lo scatto che attanaglia il braccio del giovane Jim “Conducimi difilato o ti rompo il braccio.” fa rabbrividire.

Pew è un pirata terribile, ha perso la vista in un arembaggio, lo stesso in cui John Silver ci ha rimesso la gamba. Navigavano con Flint ed ora rivogliono l’oro nascosto.

Jim, se vuole crescere, deve andare all’isola del tesoro, fidarsi di John Silver, ambiguo , contradditorio, il suo vero antagonista. L’avventura non è altro che un rito di passaggio, serve a diventare grandi, costi quel che costi.

Per questo trovo che L’isola del tesoro sia un romanzo importante. Jim scoprirà  la violenza, la crudeltà, il tradimento. Avrà a che fare con la propria indecisione, con i sentimenti di colpa. Saprà che tutto è appeso a un filo, un filo casuale.

L’arrivo nell’isola per Jim è pregna della felicità dell’esploratore, ben presto però  rovinata dalla violenza di Silver  che uccide un marinaio onesto. “con gli occhi piccoli come capocchie di spillo nalla larga faccia, scintillanti come pezzetti di vetro.” E’ lo sguardo dell’odio.  E Jim non regge, sviene. Sviene e diventa grande.  Perchè di fronte a lui c’è Silver, l’imponderabile. 

 Ciò che  anche noi  attualmente  purtoppo vediamo e  sentiamo  intorno a noi.

Per Jim la caccia al tesoro diventa un viaggio tra il bene ed il male che, fortunatamente, ci lascerà alla fine un po’ di speranza. Ottenuto l’oro il ragazzo  si distaccherà dal  suo semplice valore materiale per interessarsi alla storia delle monete.

Robert Luis Stevenson,  scozzese, nato nel 1850 e morto a soli 44 anni a Samoa, è uno dei più grandi scrittori di tutti i tempi. Ricordiamo Lo strano caso del dottor Jeckill e Mr.Hyde, parabola  sulla doppia natura dell’uomo.

Ma conoscete Stevenson poeta? Poesie-diario scritte quasi quotidianamente a commento delle sue giornate:

“Lascia la rapsodia, il sogno,

ad uomini di più vasta gittata,

la nostra meta sia un argomento semplice,

la devozione alla parola.

* * *

Finito è il destino, e verso l’ultimo degli anni,

maestro e allievo, amico, amante, genitore, figlio,

ognuno cammina vicino e separato, guarda

gli amati splendere oltre se stesso, come stelle.

Mi sono accorta che ho parlato di più di un libro…è vero…i libri sono come le ciliegie…uno tira l’altro!

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SULLA TORRE DEL CASTELLO IL TRICOLORE, di Luigi Sardi

pubblicato da: admin - 7 Dicembre, 2010 @ 9:39 pm

1821926[1] Ieri sera non sono potuta andare alla riunione mensile dell’Accademia  tenuta, come sempre, nel luminoso salotto di Cristina Endrizzi. 

Pigrizia, troppo freddo e troppa neve, fatto sta che mi sono rinchiusa “a riccio” nel mio caldo e colorato nido. Ma ho pensato ai cari amici che si saranno dilettati con musica, poesie, racconti.

Fra loro anche Luigi Sardi autore del libro che ci presenta oggi  Riccardo 

 

Tipografia Editrice Temi s.a.s., 2008

Oltre 300 pagine, €18,00

 

Mirna mi ha invitato a segnalare un altro libro impegnativo. Eccomi qui.

L’altra sera, nel Palazzo del Maffei (ex convento) a Lavis, in una serata organizzata dall’Associazione Culturale Lavisana, accompagnato da mio genero Lavisano Daniele Donati (il papà di Sara, per intendersi: Nel frattempo, a qualche decina di metri, a casa sua, “Sara dorme”!), ho assistito alla presentazione del libro da parte del suo Autore. Nell’ulteriore frattempo, ho letto il libro.

Cronaca puntuale di quella parte dell’armistizio che ha riguardato il Trentino.

Ma soprattutto riflessioni sul fatto che – sempre – la Storia è scritta dal vincitore. Solo che dopo un po’ di anni, la Storia si riscrive da sola, e questa volta è quella vera, non quella del vincitore. Ricordate il Manzoni? La realtà è tale per cui non la si può tagliare col coltello per cui la verità resti tutta da una parte ed il torto dall’altra …

Così è andata, ad esempio, per la cosiddetta “conquista del West” (almeno quella l’hanno sempre chiamata conquista e non liberazione).

Liberazione o conquista? Liberazione di etnie e territori “italiani” o conquista del ruolo di grande potenza europea?

La stessa domanda mi si è posta a proposito del nostro Risorgimento, almeno dopo la lettura di “Terroni” di Pino Aprile, per quanto ha riguardato la liberazione/conquista del Meridione.

La stessa domanda me l’ero posta leggendo “Il fuoco nel porto” di Boris Pahor, documentandomi sugli “interventi” dei fascisti contro gli Sloveni di Trieste.

La stessa domanda può sorgere alla lettura dei libri di Pansa … almeno nel senso che se le idee e gli ideali giustamente restano diversi fra loro, gli uomini morti sono tutti uguali … ma qui la storia è ancora troppo recente per essere ripresa senza strumentalizzazioni politiche.

Non si tratta di revisionismo, ma di completare le lacune che la storiografia ufficiale post eventi bellici ci ha lasciato.

Nel bel libro di Luigi troviamo gli Alpini. Io stesso lo fui, prima alla Taurinense (sergente) e poi alla Tridentina (sottotenente). E troviamo anche gli Alpini austriaci nati in Trentino. Uomini contro …è’ stato il titolo di un bel film, se non ricordo male. Nel libro di Luigi … Italiani contro, purtroppo.

Troviamo ufficialetti che diventeranno famosi. Fra in tanti, tale Sandro Pertini, che fa accampare il suo reparto in Piazza Pasi e ordina di distribuire rancio e provviste alla popolazione ed agli ex nemici (in divisa, disarmati) affamata. Troviamo Piero Calamandrei, poi padre della Costituzione Repubblicana dopo la seconda guerra mondiale, toscano doc., del quale ricordo un intervento la cui registrazione ascoltai da studentello di legge: “Quello che si disinteressa della sua Costituzione, della sua Patria è un po’ come quel passeggero di una nave al quale stavano comunicando che la nave stava affondando e che rispose: “E che m’importa? Un è mica mia!”.

Alto Adige terra di confine e Trentino no?

Trentino … I Trentini della zona occupata dagli Austriaci furono deportati in Boemia. Quelli della zona occupata dagli Italiani, nel sud Italia. Più terra di confine di così!

Il caos e le inutili morti generate dalla improvvisata modalità di definizione dell’armistizio che pose fine alla prima guerra mondiale, almeno per il Trentino richiamano alla mente ciò che accadde – sempre per lo stessa causa – dopo l’8 settembre del ’43 … ma la Storia non dovrebbe essere Maestra di vita?

Mi sto dilungando. Devo concludere.

  1. Le popolazioni, in armi o meno, sono condotte alla guerra da “altri”. Alla fine, nei vincitori e nei vinti, quando non vi è più “l’ordine di odiare il nemico”, in una certa misura resta l’inerzia della gestione di un ruolo che era stato loro imposto. Ciò non deve accadere. Né la guerra né questo “dopo guerra”.

  2. Paul Goma, nel libro da me citato su questo blog “Nel sonno non siamo profughi”, scrive che un nemico ferito non è più un nemico, ma un uomo che ha bisogno del tuo aiuto.

  3. Nello stesso libro leggiamo la tragedia di una terra di confine, la Bessarabia, nella quale il fronte di nazionalismi diversi è passato molte volte.

  4. Nel bellissimo libro “Eva dorme” di Francesca Melandri, leggiamo la nascita e l’evolversi, dalle cause agli effetti, dei problemi della nostra terra di confine, l’Alto Adige.

Ebbene, riflettiamo insieme al libro di Luigi Sardi su tutte queste diverse esperienze, cogliamone i tratti comuni: potremo capire come i corsi storici tornino, in veste di ricorsi. Tutto questo ci deve insegnare a non ripetere gli errori del passato e a convivere in pace.

 

Mi permetto qui di offrirvi una mia poesiola:

 

Alpini in Adamello

 

E’ notte in trincea.

Il freddo

sconfigge un cuore

troppo stanco

per riuscire ad odiare.

Il vento fa il resto

e trafigge

gli ultimi avanzi

di una volontà

arruolata con la forza.

Pensa l’Alpino:

“Dov’è tutt’Italia che al fianco mi sta?”

Se almeno sparasse il cecchino

sarei meno solo …

Se almeno cadessi per terra

colpito …

sarebbe finita

la pena

dei giorni di guerra”.

Ma sotto la luna

gli parla in dialetto

la Cima Presena:

“Schersuma pais?

Coraggio,

Vedrai che ci torni

alla tua Pinerolo!”.

 

Ce la vedete la Cima Presena (m. 3068, n.d.r.) che parla in dialetto piemontese?

Riccardo

 

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LA CONTROVITA, di Philip Roth

pubblicato da: admin - 6 Dicembre, 2010 @ 7:44 pm

Ho appena iniziato la lettura di questo corposo romanzo . Fra l’altro è la prima volta che mi avvicino a Philip Roth, famoso e prolifico autore americano vincitore del Pulitzer nel 1997 e di tanti altri premi.

Sono un po’ diffidente, ma mi intriga moltissimo la tematica dell’esistenza alternativa. Quella che è, ma che poteva esere cambiata.  “L’attuale e il potenziale”: Realtà che si intrecciano, si specchiano, si cancellano.

Ci sono cinque storie incentrate sui fratelli ebrei  Zuckerman: Henry che all’inizio muore per essersi sottoposto ad un’operazione chirugica tesa a fargli riacquistare la potenza sessuale e Nathan, lo scrittore che spia e analizza la vita del fratello. La riscrive anzi, facendoci conoscere però quale potrebbe essere lo scotto del cambiamento della sorte personale.

I nostri destini sono reversibili? Che cosa occorre fare per cambiare?  Piccole o grandi mosse?

So che “entrerò” in esistenze parallele degli stessi personaggi che si svolgeranno dall’iniziale ambiente del New Jersey per arrivare a Londra e persino in un insediamento desertico in Israele.

Scelgo di parlare di un libro appena iniziato per poter rispondere alle righe di Camilla, puntuale  e preziosa commentatrice del blog. Parto proprio dall'”immersione”che il lettore fa nel mare della letteratura. E Camilla, con la sua scrittura scintillante,evocativa ed ammaliante parla di scrittori  poco conosciuti, ma eccezionali.  Perchè le piccole case editrici passano inosservate pur pubblicando libri eccezionali?

Anche il mondo dell’editoria è risucchiato dalle aride leggi del mercato dove conta la visibilità mediatica e il prodotto “facile”, adatto a tutti ? Se ripenso a “Va’ dove ti porta il cuore”… L’unica consolazione è che i lettori esigenti, sicuri dei propri gusti e di ciò che vogliono vadano alla ricerca, un po’ come cani da tartufo, nelle librerie o  in biblioteca del libro per sè, quello che si accoppia come un amante alle proprie esigenze ed aspettative.

Come sapete ormai vado solo in biblioteca (salvo le perlustrazioni senza acquisti in libreria – finiti i tempi in cui ogni volta che vi entravo uscivo con un libro o due – ); generalmente trovo sul tavolo all’ingresso libri che mi attirano. Altre volte li cerco o li ordino perchè ne ho sentito parlare per Radio Tre  o dagli amici e dai giornali.

Insieme a “La controvita” ho trovato amche “Tutti i viventi”, forte, struggente bello. Ma…la copertina  della ragazza che di spalle, vestita con l’abitino da casa, si incammina tra prati secchi del Kentucky, l’avevo già vista. Ma l’ho già letto? penso. Eppure  l’iniziale storia di Aloma sfortunata, ma che ama la musica e per amore va a vivere con Orren triste e solo, in mezzo al nulla mi attrae. Cerco nel mio archivio…sì, c’è. Ne ha scritto un post la nostra Camilla! E a proposito, di Banville…sono riuscita trovare due suoi libri “veri”, Ve ne parlerò . 

Ma consultando una mia rubrichetta rossa  ho trovato che avevo già letto anche un suo giallo qualche anno fa. “Dove è sempre notte” Gli avevo assegnato 10 come voto, aggiungendo”prosa eccezionale”.

Dopo la morte di mio marito mi ero buttata a capofitto nella lettura, credo proprio di aver letto un libro al giorno, riuscivo a tenere lontano il dolore, anche se non completamente, mentre ero immersa in un libro; ma mi abbuffavo, leggevo velocemente,  e poi non riuscivo a ricordare completamente. Per questo scrivevo il titolo e l’autore nella rubrica.

L’atto della lettura come  il salire verso l’alto, l’immergersi e il nuotare in un mare di sensazioni, l’abbandonarsi completamente, il vivere un’altra vita  e qualsiasi altra metafora ad esso relativo ci sottolineano che ogni qualità della mente e dello spirito, ogni percezione nostra ne sono  catturate.

E dalla lettura le nostre storie di lettori, di persone. Qualche pennellata e l’affresco si completa.

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L'ORATORIO DI NATALE, di Goran Tunstrom

pubblicato da: admin - 5 Dicembre, 2010 @ 8:10 pm

scansione0004Che il titolo non tragga in inganno: questo libro non è sospeso verso la serenità mistica  delle cantate sacre di J.S. Bach, è piuttosto un doloroso percorso di ricerca delle proprie radici e di risposte a quesiti “congelati”. Dove comincia un essere umano, fino a dove risale la sua storia, quali avvenimenti, quali passioni gli “hanno aperto i canali dell’anima?”

Tutto si dirimerà nella finale esecuzione de “L’oratorio di Bach” nella chiesa del villaggio di Sunne, in Svezia, quando Victor , ormai musicista affermato, vuole saldare un debito con il passato. Si ritorna quindi alla stessa composizione sacra di Bach quando la nonna di Victor, Solveig, leggera e fluttuante come un quadro di Chagall, muore in un incidente mentre si sta dirigendo verso la chiesa per farla eseguire, dopo quasi dieci anni di progetti e organizzazione.

La sua morte annienta il marito e i due figli Sidner e Eva Lisa, e il senso di perdita e di mancanza assale anche Victor, l’ultimo discendente, figlio di Sidner.  E’ una sua estrema necessità dirigere la corale di dilettanti di Sunne, suo luogo natale,  per rinsaldare quella tenerezza che si è persa con la morte di Solveig, per riannodare i legami affettivi che ne sono usciti lacerati.

E’ la storia di tre generazioni che va dagli anni’30 ai giorni nostri, che si sposta dalla Svezia alla Nuova Selanda; è un  racconto di una graffiante nostalgia che raggela anche i sussulti di creatività.

I personaggi sono tanti, c’è persino “in carne ed osssa” la scrittrice svedese, Selma Lagerlof, premio Nobel 1909.

Goran Turnstrom l’ha conosciuta personalmente  quando bambino la  ascoltava  durante  le letture collettive organizzate dal padre.

Nel folle inseguimento di amore e tenerezza perduti, nel desiderio di riappropriarsi di  quella gioia per la vita e per la  musica che Solveig aveva fatto risplendere, si snoda il cammino di Victor fino alla scoperta epifanica della musica- cattedrale sulla quale arrampicarsi sempre più, verso l’alto, verso una pacifica consapevolezza.

Non è un libro facile. E spesso angosciante, oscuro. Io lo lessi  nel 2000, durante giorni dicembrini di angoscia per la mia salute. La sua lettura forte fu catartica.

Lo stesso Turnstrom rispondeva alle critiche sull’oscurità di certi brani del romanzo “Per quel che riguarda la difficoltà di comprensione, la vita contiene molte cose incomprensibili che accettiamo e che ci rendono curiosi. L’arte non deve essere una conferma ma una porta su un mondo nuovo.”

Ogni periodo della nostra vita di lettori predilige un certo tipo di libri – non trovate ? – e perciò sottolineo ancora una volta come la nostra vita è strettamente intrecciata all’arte che ne è specchio,  rappresentazione e porta d’accesso verso un “mondo nuovo”.

L’Oratorio di Natale non è soltanto un susseguirsi e un intrecciarsi di episodi o esperienzi visionarie – si parla delle visioni di Emanuel Swedenborg, tanto ammirato da Jung – è anche un labirinto di linguaggi e un intrico di citazioni letterarie.

La parola in questo testo fa tutt’uno con l’anima di chi la pronuncia. Nella Bibbia dabhar significa sia “parola” che “cosa” che “fatto”.

Turnstrom fa dire a Sidner mentre si rivolge al figlio Victor ” Bisogna fare attenzione a non sporcare in giro con le nostre parole. ” E descrivendo le letture infantili di Sidner, il narratore commenta :

Aprire un grosso libro e immergervisi! Una giungla in una pagina, un fiume impetuoso nell’altra. Nessuno ti può raggiungere sulla cornice rocciosa tra il Punto e la Lettera maiuscola.”

 

 

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LA FUGA DELL'AMORE, una geografia del sentimento

pubblicato da: admin - 4 Dicembre, 2010 @ 7:57 pm

scansione0003Ed ecco César Antonio Molina, nato a La Coruna nel 1952, direttore dell’Istituto Cervantes e del Circolo delle Belle Arti di Madrid, per due anni ministro della Cultura, saggista, romanziere e grande poeta che ci offre una personalissima mappa dell’Amore. Immagini, ricordi di incontri fugaci e relazioni amorose platoniche con tante donne da lui incontrate nei suoi viaggi.  Egli stesso si definisce un “pellegrino del desiderio”e in queste sue pagine può con la serenità del distacco, rivivere a tutto tondo il suo “viaggio”nella terra dell’Amore.

Venti quadri per tratteggiare donne diversissime l’una dall’altra, ma capaci di accendere dello stesso fuoco l’animo del protagonista.

E’ interessante leggere di luoghi lontani,  di descrizioni artistiche, di riflessioni culturali e di squarci di tante altre vite. Ogni nuovo incontro evoca  in Molina versi di poeti, egli stesso ne scrive, affiorano analogie lontane, domande esistenziali.

Andiamo in Bolivia, in Cile, in Argentina e in Italia  e ancora in Francia e  a Corfù,  e nel raccontarci  ogni suo viaggio o lungo soggiorno, Molina riesce a catturarci completamente estendendo a raggiera il suo approccio con la vita.

Incontra Maud in cerca di documentazione relativa alla pittura angelica barocca per la tesi. Si trovano entrambi a Cuzco e i giorni trascorsi insieme sono intrecciati agli sfondi dorati della pittura del luogo. Condivisione estetica, culturale, piacere dello stare insieme e scoprire insieme   il Machu Picchu.  

 Ci parla poi di  Lola, una ragazza che lo accudisce da piccolo quando i  genitori sono lontani.  Molina e la sorella si trovano Caldebarcos, in una casa di pietra con galllerie pensili che davano sulla strada e sulla spiaggia. Lola, giovane, bella rossa e determinata  si è appena sposata con Estratis, un marinaio greco che presto se ne andrà per sempre. Lola abbandonata, si sente vedova, e i suoi protetti cercano di consolarla.  “Per questo il monte Pindo e le colline di Muros divennero le nostre mete abituali…Ci avventurammo su per la montagna attraverso quelle rupi. Ho sempre pensato che questo paesaggio non sia poi così diverso da quello del Purgatorio descritto da Dante nella Divina Commedia.”

 Molina va a Perugia per seguire l’amica Queta che segue un corso di etruscologia. Ma lei è impegnata e lui passa le giornate ad ammirare l’arco etrusco o se ne sta adagiato sugli scalini della cattedrale, dinanzi alla Fontana Maggiore. Una sera va a vedere “Amarcord” da solo, perchè Queta nel frattempo si è innamorata di un altro…E’ complicato questo rapporto ed alla fine Molina si ritrova a Irùn e   per consolarsi rilegge tutto il Sentimento del tempo di Ungaretti.

Per chi è goloso di vita, di emozioni, di nuovi incontri le occasioni ci sono. Occorre guardare con attenzione intorno a noi. E viaggiare. 

 In quei giorni sarei andato ovunque. Non avevo niente da fare e niente a cui pensare. Mi succedeva come a Massimiliano d’Asburgo “Vivo, e non so quanto/ muoio, e non so quanto/ vado, e non so dove/ mi meraviglio di essere così felice.”

Città, ancora città. Ogni città un ricordo d’Amore.

Pagine interessantissime sia per i viaggi esterni che per quello interiore. Mi piace il suo “collezionare” persone care, persone che gli hanno svelato qualcosa d’altro, che gli hanno aperto sguardi più ampi e  gli hanno dato risposte a mille interrogativi.

Provo anch’io a ripensare agli incontri con ragazzi, uomini  che mi hanno “accompagnato” o affascinato per alcuni tratti della vita. Ci metto un po’ di tempo.

Intanto provate a pensarci anche voi.

Senz’altro il caro amico Vincenzo, vicino di casa, primo amore, ma non solo. Compagno di chiacchierate vicino al muretto che divideva i nostri cortili, appassionato come me delle figurine degli animali. L’introvabile opossum fu una gioia grandissima quando uno di noi riuscì ad averlo.

E poi Titta che mi fece ridere e scoprire come ci si poteva divertire anche  soltanto parlando .

Se volessi troverei anch’io una “mappa”  – se non proprio e sempre dell’Amore –  , delle consonanze di simpatia e stima verso gli uomini.

 A Londra l’amico Mauro, romano,  voleva proteggere me e le amiche dai Turchi “Attente a li Turchi” ci ammoniva…soprattutto perchè io mi ero interessata a un ragazzo di Istanbul, un certo Sel, che si dava molte aria da intellettuale, e parlava di teatro guardando per aria e fumando…

In Germania Bernhard,  il doce ragazzo di Hannover, non sapeva nè inglese, nè italiano ed io non ancora il tedesco… Ma in un Fashing party eravamo bellissimi: io vestita da zingara e lui da Robin Hood.

E sulle navi… beh, è meglio che mi fermi!

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LE COSE, una poesia di Jorge Luis Borges

pubblicato da: admin - 3 Dicembre, 2010 @ 8:40 pm

Le monete, il bastone, il portachiavi,
la pronta serratura, i tardi appunti
che non potranno leggere i miei scarsi
giorni, le carte da gioco e gli scacchi,
un libro e tra le pagine appassita
la viola, monumento d’una sera
di certo inobliabile e obliata,
il rosso specchio a occidente in cui arde
illusoria un’aurora. Quante cose,
atlanti, lime, soglie, coppe, chiodi,
ci servono come taciti schiavi,
senza sguardo, stranamente segrete!
Dureranno piú in là del nostro oblio;
non sapran mai che ce ne siamo andati
.

L’ispirazione oggi  mi viene da  Jorge Luis Borges il grande scrittore e poeta argentino che si proclamava  “sì, cieco

e ignorante, ma che intuiva che ci sono molte altre strade.”  Soy ciego y nada sè, pero preveo que son màs los caminos.

Nei suoi splendidi e rapaci racconti fantastici c’è  la sua filosofia: la tematica del doppio, le realtà parallele al sogno, gli slittamenti temporali e il suo pensiero, ormai proclamato “borgesiano”, sulla concezione della vita che altro non è che fiction.

Un po’ come Calderòn de La Barca che  nel suo dramma seicentesco  “La vida es sueno”  fa dire a Sigismondo che ormai non riesce a distinguere tra il sogno e la realtà  “Que toda la vida es sueno y los suenos, suenos son”.

Siamo forse pedine predestinate? Tutto ha un suo disegno tracciato? Noi…, ma forse anche gli oggetti che ci sopravvivranno hanno un loro percorso?

Quante cose elenca Borges nella sua poesia, non manca naturalmente  lo specchio che insieme ai libri e ai sogni sono i temi ricorrenti dei suoi scritti.

Il suo primo libro di poesie “Fervore di Buenos Aires” viene pubblicato nel 1923. Bellissimi versi in cui perdersi e fermarsi.

Ma è “Le cose” che oggi mi intriga. Cose che ci “servono come taciti schiavi” e “stranamente segrete“, ma che mi convincono che esse hanno vita propria e un cammino preciso.

Da sempre ho provato insofferenza verso le cose, anzi spesso sono io che mi sono sentita “schiava” di esse. Ogni oggetto con la sua storia e i ricordi incollati addosso o racchiusi nel profondo mi hanno sempre dato una sensazione di soffocamento, di prigionia. Eppure, come un contrappasso, sono stata destinata dai membri della mia famiglia a diventare come   Tony Buddenbrook, una sorta di depositaria dei ricordi della nostra famiglia. Forse perchè ho sempre scritto il diario?

Ed ecco che in tempi diversi mi sono giunte  le lettere, le foto, gli oggetti che le persone che se ne andavano si  lasciavano dietro. Borzonasca divenne  presto il “centro di raccolta” di tantissime cose :  quelle di  nipoti, figliocce, persone che care  se ne andavano per sempre o  prendevano altre strade.

 Quando morì mio padre però non avevamo ancora ristrutturato la casa di Borzonasca ed io ricordo che non avevo spazio e dato il mio scarso attaccamento alle cose  ero già pronta a disfarmi di tutto. L’ho fatto in gran parte, ma alcuni parenti hanno voluto prendere mobili, servizi, ecc. Ne fui felice. E dimenticai.

Ma sapete che  cosa sta succedendo ora che in sostanza siamo rimaste io e Stefania  che  dobbiamo assolutamente sistemare tutto ciò che l’estate scorsa abbiamo trovato nella soffitta della casa ligure?  E cioè scatoloni sigillati, libri, oggetti vari  spostati da una regione all’altra, da una casa all’altra  Beh, questi …arrivano, non si sa perchè,  sempre ed ancora qui, vicino a me!

La settimana scorsa Stefania   arriva per portarmi i cachi maturi del nostro albero e… alcune scatole chiuse. “Dobbiamo sistemare anche queste cose” mi dice.”Ma non ho avuto il tempo di controllare”. Troviamo un ennesimo  servizio da caffè, specchi, borsette, soprammobili e  cinque bicchieri da vino e tre da cognac, sfaccettati, eleganti…ma di chi sono?…non so dove metterli…eppure li ho già visti….come mai erano a Borzonasca? Ed allora ricordo…sono i bicchieri di Carpi, quelli che usava ancora mio padre e che non so per quale misteriosa strada furono prelevati da un parente e poi “ricondotti” al centro…cio a me!!! Che non sono attaccata ad essi!!! E questo andare e venire per vie tortuose delle “cose ” che hanno sicuramente una vita propria sembra non finire. E’ come se degli innamorati respinti continuassero ossessivamente a corteggiare chi non li vuole.

Non oso aprire bauli, armadi e cercare, perchè sono certa che le “cose” sono là che mi aspettano forse trepidanti e in attesa di farmi rivivere pezzetti di passato, emozioni sopite. Eppure io riesco a farlo anche senza di loro! E fra l’altro non rompo mai nulla! Soltanto qualche volta qualcosa cade giù dalla finestra mentre scuoto il copridivano o la tovaglia. Recentemente infatti è caduto sulla tettoia a vetri del ristorante dabbasso un tagliacarte d’argento. Non si può andare a recuperalo, occorre aspettare l’impresa di pulizie. Il tagliacarte però ci occhieggia dal basso e vibra di luce metallica. Ed ieri sera, mentre la neve gelata, picchietava sui vetri Stefania ha mormorato ” Che bello essere tutti in casa…però il tagliacarte è giù, al freddo!”

Sono riuscita a convincerla a non andare con la scala sulla tettoia scivolosa con il rischio di precipitare all’interno del ristorante. Ma il suo sguardo era triste.

 

 

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L'ULTIMO DEI ROMANTICI, di Andrea Bianchi

pubblicato da: admin - 2 Dicembre, 2010 @ 9:19 pm

scansione0002L’ultimo dei romantici – Vita e ideali di Spiro Dalla Porta Xydias di Andrea Bianchi

 Nuovi Sentieri Editore – Belluno (2006).

 

E’ stato un fatto lento, per cui sono arrivato fino a ieri prima di pensare di avere concluso la mia ricerca del perche’ ho arrampicato, del significato dell’arrampicata. Sono passato per tante cose.

Primo momento, il piacere fisico.

Secondo, poteva essere il ritorno alla natura.

Terzo, il fatto dell’esplorazione.

Quarto, puo’ essere stato anche il fatto artistico.

E quinto, oggi, il senso metafisico.

Ho conosciuto Spiro Dalla Porta Xydias il 29 ottobre al Centro Yoga Sattva. Per l’anniversario dei 25 anni dalla nascita del centro ero stata invitata a scegliere una musica adatta ai vari momenti della serata e a suonarla al pianoforte. Spiro era stato invitato a leggere poesie Sufi.

Andrea Bianchi – allievo “storico” del Centro – era anch’egli là.

Mirna ha parlato  recentemente di lui come creatore di Trento Blog (www.trentoblog.it), sito “ospite” del blog “Un libro al giorno.” Così le strade si intrecciano e producono contatti e riflessioni. Avrei voluto scrivere di questo libro, biografia di Andrea su Spiro Dalla Porta Xydias, tempo fa, appena dopo l’evento al Centro Sattva, ma solo ora trovo ispirazione (e con l’ispirazione, il tempo). Mi trovo tuttavia in una posizione complessa, non voglio “scrivere” troppo ma solo dare qualche spunto già “scritto” per appassionare alla lettura di questo libro denso e profondo.

Spiro è difatti non solo scalatore – o meglio, alpinista – ma anche uomo di teatro e scrittore prolifico. Il pudore di parlare di una persona – uno scrittore – ritratta da un altro scrittore – Andrea – mi detta la forma di questo piccolo post. La magia delle parole di Spiro e le acute riflessioni di Andrea mi convincono a riportarle a voi cari amici, intonse.

 Scrive Spiro: Non esiste passato – siamo anche quello che siamo stati. Non esiste futuro – è già tale, nel continuo divenire del presente. Le cime superate, I passaggi superati si compendiano in una sola, grande parete, che culmina in un’unica vetta. Più alta di tutte. Dove possiamo finalmente sostare. Sentire sotto di noi le ascese finalmente compiute. E guardare in alto. Intuire la dimensione dell’Infinito (da Oh come è bello…., ed. Nuovi Sentieri, Belluno 1985).

 Spiro è un alpinista metafisico, una persona che aspira all’infinito e all’ “oltre.” La sua vita, fatta di grandi conquiste alpinistiche, esistenziali e artistiche è puntellata da eventi drammatici, legati anche alla sua grande passione. Particolarmente toccante il suo volo – raccontato da Andrea – dalla Torre Cordai (Monte Civetta):

 Improvvisamente un grido dall’alto (…) un grande masso scivola lento, poi precipita verso il basso. Spiro è subito sotto. Nel camino. Non ha spazio. Si butta a destra, si afferra spasmodicamente alla roccia. Il suo unico pensiero diventa quello di resistere al colpo imminente. Il colpo è violento, insostenibile (…)

 “Sono per aria. Volo. La fine. (…) Sono in un altro spazio (…)”

 Le mani si aggrappano ferocemente a qualche sporgenza. Fino ad arrestare il corpo. Fermo (…) Il respiro rantolante.

 “Non posso respirare, non ce la faccio. Soffoco (…) Muoio.” (da La montagna per me).

Per Spiro l’arrampicata non è uno sport, ma un modo di vita, una scelta esistenziale che unisce etica ad estetica.

 Nella pittoresca biografia di Andrea Bianchi, Spiro emerge come una figura mitica, un uomo a tutto tondo – complici anche le rievocative fotografie – un campione di vita. La decisione di scrivere questo libro nasce ovviamente dal rapporto personale che si instaura presto fra Andrea e Spiro quando quest’ultimo legge in pubblico il racconto premiato di Andrea al concorso nazionale “Putia” per la letteratura di montagna. Scrive Andrea:

 Quello che accadde poi nel mio animo non posso tutt’ora esprimerlo a parole, per quanto forti furono le emozioni che mi suscitò l’ascoltare quello parole scritte da me, ma lette con una forza evocative e una capacità di immedesimazione che potevano derivare solo – lo avrei capito anni dopo – da una vita intera vissuta come un’unica “scalata all’Infinito” (14-15).

 In piccolo, vicino alle informazioni tecniche del libro nel retro copertina, Andrea ha incluso una nota interessante e che mi tocca in particolar modo:

 Questa biografia è stata scritta ascoltando Beethoven, concerti per pianoforte n. 4 e 5 e W. A. Mozart, sonate per pianoforte K.333, K. 545, K. 475 (Fantasia) e K. 457.

 Come dire, le vette e gli abissi improntano tutte le meravigliose attività dell’uomo.

 

Stefania Neonato

 

 

 

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EPISTOLARIO RILKE -SALOME' 1897-1926

pubblicato da: admin - 1 Dicembre, 2010 @ 8:19 pm

scansione0001Durante l’inverno 2002 – 2003 trascorsi parecchi pomeriggi in compagnia di Rainer Maria Rilke e Lou Andreas Salomè. Ricordo la luce soffusa dell’abat-jour accanto al mio divano azzurro, la tazza di tè  fumante e un sottile piacere che mi prendeva quando mi accostavo alle lettura della corrispondenza fra un mio amato poeta e una donna speciale e straordinaria ( e di cui vi ho già parlato).

Lou Salomè nasce nel 1861 a Pietroburgo. Si trasferisce in Svizzera dove studia filosofia, filologia, religione comparata, storia dell’arte. Conosce Paul Rée e  Nieztsche con i quali coabita per un po’ di tempo. Sia Nietzche che Rée si inamorano di lei  e le propongono il matrimonio. Lei rifiuta.

Si sposerà invece con F.Carl Andreas, studioso delle lingue orientali, di quindici anni più vecchio di lei. Lou impone però un “matrimonio in bianco” ed esige per sè la più ampia libertà di movimento nonchè l’impegno ch’egli non interferisca nella sua vita sentimentale.

Lou viaggerà, scriverà, incontrerà Freud del quale seguirà ed eserciterà  il metodo psicoanalitico.

E poi nel 1897 a Monaco incontra  il ventiduenne Rilke. E’ proprio lei, figura importante, maestra di vita, che gli cambierà il nome  da René in Rainer.  Diventano amanti, vivono insieme  per quattro anni e compiono viaggi importantissimi in Russia.

Per Rilke lei rappresenta la “madre”, il faro, l’equilibrio interiore, la saggezza.  Appena conosciuta le scrive  che lei ha espresso “con magistrale chiarezza ciò che le mie fantasie epiche riportano in visioni….Vede, gentilissima Signora, grazie a questa inflessibile essenzialità, grazie all’incredibile forza delle Sue parole, la mia opera ha avuto nel mio animo una consacrazione, una sanzione.”

Pensa a lei; ogni  paseggiata nell’Englisher Garten di Muenchen è occasione per dedicarle  versi su versi : “Ho trovato le rose / sui sentieri lontani. / Io ti vorrei incontare / col ramoscello / che appena so tenere./ E’ come ti cercassi insieme / a errabondi pallidi fanciulli, / e tu saresti madre / alle mie povere rose.

Ed ancoraCiò che mi fa essere, – sei tu.”

Lou Salomè cerca di guidare con il suo buon senso, la sua estrema positività questo giovane poeta pieno di ansie e timori, ancora non consapevole del proprio talento.

Gli scrive nel febbraio 1901  in risposta ad un ‘ennesima lettera piena di panico ed incertezze: “Puoi capire la mia angoscia e la mia violenza quando sei rimasto di nuovo vittima di questi attacchi e io ho riveduto di nuovo una volontà paralizzata e contemporaneamente sussulti nervosi e subitanei che dilaniavano la tua unità organica, ubbidivano volubilmente alle suggestioni e non si immergevano nella pienezza del passato per assimilare in modo sano, per elaborare, per costruirsi delle fondamenta!”

Se Lou sente che il rapporto figlio-amante sta diventando debilitante e costrittivo, il sentimento di  natura unica che lega i due non viene mai meno per un quarto di secolo. E’ sempre a Lou che Rilke scrive da Duino, luogo privilegiato per la composizione delle sue splendide Elegie. Ed è sempre a lei che il poeta sul letto di morte indirizzerà le ultime parole, memore della promessa della sua mentore di essergli vicino nell'”ora peggiore”.

“Cara, vedi, era dunque questo cui da tre anni mi preparava, mi preavvertiva la mia vigile natura: che ora deve lottare duramente, duramente, per farcela…E ora, Lou, non riesco a contare gli inferni, tu sai che ho collocato il dolore, quello fisico, quello veramente grande, tra le mie gerarchie…E ora. Mi copre. Mi subentra. Giorno e notte. Da dove trarre coraggio?. Cara, cara Lou…Addio mia cara”

*           *            *

Leggevo questo libro… e aprivo le Elegie Duinesi. Che momenti bellissimi! Centellinavo parola per parola, entravo nelle loro lettere,  aperta ad ogni suggestione e piena di aspettative mai deluse. Ripensavo intanto alla passeggiata Rilke da me fatta parecchie volte , quella che da Sistiana va verso Duino e termina con il castello dove venne appunto ospitato il poeta.

La mia piccola foto del blog è scattata proprio a Duino.

E a proposito del blog. Oggi ho parlato con Andrea, il creatore di Trentoblog. Tutti gli spam che mi arrivano , ha detto, sono la prova di un’ampia visibilità!

Insomma vuol dire che i posts,  i commenti vengono letti da moltissime persone.

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L'UOMO CHE AMAVA LA CINA, di Simon Winchester

pubblicato da: admin - 30 Novembre, 2010 @ 8:02 pm

Riccardo ci presenta un altro interessantissimo libro, per amanti della storia e dei viaggi, ma non solo…

 Adelphi, 2010

Pag. 350, €30,00

Passeggiavo in libreria (e dove altro, sennò?). L’angolo Adelphi mi attrae sempre. Scorgo il nome di Simon Winchester. Sarà che Winchester era la marca della carabina dei cow boys ed anche quella della carabina in mia dotazione quando ero allievo ufficiale …

Già una volta Winchester mi aveva catturato, quando lessi il suo “Il fiume al centro del mondo” (già oggetto di un mio post) cioè lo Yangtze, che nasce tra le montagne ai margini del Tibet e percorre circa 6300 chilometri di terra cinese prima di sfociare nelle acque del Mar Cinese Orientale. Quel libro ci narra gli eventi accaduti sulle sue sponde: gli anni dei difficili rapporti tra le compagnie commerciali europee e mandarini Manchu, l’atmosfera peccaminosa della Shanghai dominata dai gangster, lo stupro giapponese di Nanchino del 1937, le feroci lotte all’interno del Partito Comunista durante la Rivoluzione Culturale, la straordinaria caccia ai baiji (i delfini del fiume), la lotta immane per arginare le grandi piene estive, il tentativo di dominare lo Yangtze erigendo una nuova Grande Muraglia sulle sue acque, etc..

 Visto che ormai “la Cina è vicina” ho comperato anche questo suo libro, che sembra scritto dal personaggio di cui l’autore descrive vita e opere, cioè da Joseph Terence Montgomery Needham (Londra, 9 dicembre 1900 – 24 marzo 1995), storico della scienza, biochimico e orientalista inglese, eletto membro della Royal Society e della British Academy, conosciuto come autorità preminente nella storia della scienza e tecnologia in Cina.

Needham, mente enciclopedica, uomo di sinistra (fu definito “comunista buono”), conoscitore di molte lingue fra cui il cinese, grande amatore (perché no?), attraverso il proprio contributo personale elargito in viaggi estremamente avventurosi e pericolosi attraverso la Cina assalita dai giapponesi, si impegnò per evitare la distruzione del sistema universitario e della ricerca cinese da parte dell’invasore.

A seguito di ciò, s’innamorò oltre che di una bella cinesina, la quale fu legata da una sincera reciproca amicizia con la consapevole moglie dell’autore, s’innamorò – dicevamo – anche soprattutto della storia della scienza, della scienza stessa e della cultura cinese, traducendo il tutto in un’opera enciclopedica: “Scienza e Civiltà in Cina”.

Nella parte seconda del settimo volume di tale “panonto” egli elenca, datandole, le principali scoperte ed invenzioni cinesi, con il che ci dimostra come molti degli “inventori” occidentali in realtà fossero stati preceduti di anni, decenni e secoli da oscuri inventori cinesi. Ve ne cito alcune:

Deriva mobile (per barche a vela) 751 d.C.

Anemometro III° sec. d.C.

Armonica a bocca IX° sec. a.C.

Bussola magnetica per navigazione 1111 d.C.

Camera oscura 1086 d.C.

Contachilometri (carro a tamburo, che segna la

distanza percorsa) 110 a.C.

Cartamoneta IX° sec. d.C.

Coordinate polari-equatoriali I° sec a.C.

Cuscinetti a sfera II° sec. a.C.

Declinazione magnetica 1040 d.C.

Fiammiferi 577 d.C.

Gioco degli scacchi IV° sec. a.C.

Imbarcazioni con ruote a pale 418 d.C.

Libro a stampa 847 d.C.

Mappe topografiche III sec. a.C.

Composizione di melodie 475 d.C.

Mulinello per canne da pesca III sec. d.C.

Operazioni con numeri negativi I sec. d.C.

Orologio astronomico 120 d.C.

Paracadute VIII sec. d.C.

Spaghetti (!!) 100 d.C.

Pastorizzazione del vino 1117 d.C.

Razzi a due stadi 1360 d.C.

Rotore da elicottero 320 d.C.

Filatura della seta 2850 a. C.

Spazzolino da denti IX sec d. C.

Tè (bevanda) II sec d.C.

Timone assiale per la navigazione I sec d.C.

Niente male, non vi pare?

Ed ora, per finire, brani di un colloquio fra Mao Zedong e Needham:

Mao. “Lei è l’unico occidentale che io conosca al quale possa chiedere se permettere al popolo cinese di motorizzarsi o se per loro non sia meglio la bicicletta”

Needham: “Signor Presidente, se devo essere sincero, trovo che lassù, a Cambridge, dove vivo, la mia vecchia bicicletta soddisfa perfettamente quasi tutte le mie esigenze”

Mao: “D’accordo, allora. Bicicletta sia!”.

 

Ebbene si, lo confesso, sono un appassionato ciclista!

 

Riccardo Lucatti

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