JUDE THE OBSCURE, di Thomas Hardy

pubblicato da: admin - 19 Dicembre, 2010 @ 8:25 pm

Finalmente ieri sera, a letto, apro un libro del “vero” Banville ( come dice Camilla), “Eclisse”. Mi immergo nel suo racconto che già  mi appare doppio, triplo nella sua ricchezza di suggestioni, sogni, realtà  e visioni. Ve ne parlerò quando l’avrò finito di leggere.  E dopo alcune pagine, solo dopo alcune ripeto, leggo che in sogno il protagonista sale una collina e dalla cima di essa guarda verso il basso una città …quest’immagine io da Lettrice patologica l’ho già introiettata, cioè fa parte del mio vissuto letterario, della mia vita parallela. Mi appare dunque Jude, il ragazzo povero della contea di Wessex ( antico nome del Dorset dove nacque Thomas Hardy) quando  un giorno,verso il tramonto, va alla ricerca  della città di Christminster, sua città ideale e sua speranza per riscattarsi da una vita dura di lavoro nei campi. E’ appena stato licenziato perchè¨ non è deciso nello scacciare i corvi dai campi coltivati. La zia, presso cui abita, è¨ insofferente nei suoi riguardi.

Lui vuole vedere Christminster. Chiede informazioni, si allontana dal suo villaggio e cammina, cammina.

A qualche distanza dall’estremo limite dell’orizzonte brillavano dei punti luminosi come topazi. L’atmosfera si fece più trasparente e i punti di topazio si rivelarono guglie, finestre, tetti spiventi,chiazze luminose dei campanili, cupole, cornicioni e altri contorni svariati e appena percettibili. Senza dubbio era Christminster; vista o forse immaginata in quell’atmosfera eccezionale.”

Anche Banville avrà certamente letto Jude l’oscuro, oppure l’immagine delli scorgere dall’alto di un crinale  una città sognata, ideale e forse salvezza delle proprie miserie fa parte del nostro inconscio collettivo.

Thomas Hardy pubblicò questa sua ultima opera nel 1895. E’ senz’altro la più pessimistica, anche se “Tess dei D’Ubersvilles” che sfida il Fato nella speranza di elevarsi socialmente non è certo allegra.

Tess e Jude ricordano i Vinti del Malavoglia, relegati per nascita al proprio ceto senza speranza di riscatto. E  Jude inoltre  non è accettato dalla società perchè non appartiene ad alcun ceto. Egli ha lasciato  il suo villaggio per elevarsi culturalmente. Desidera ardentemente , raggiunta Christminster (città   inventata su modello di Oxford), studiare greco e latino e frequentare l’università , accontendadosi nel frattempo del lavoro di scalpellino. Ma agli occhi degli altri egli “è un abitante nè tra gli uomini nè tra i fantasmi“,  e quindi  oscuro  perchè non percepito.

Sembra di muoversi in un antica tragedia greca  dove è il destino ostile e quasi maligno ad annientare ogni speranza di felicità.  L’uomo così piccolo, non ha potere sull’universo e questo destino immanente si ricollega anche alla visione pessimistica di  Schopenhauer.

Thomas Hardy, non credente, che collega l’epoca vittoriana e il modernismo novecentesco, rivela qualcosa di sè in questo romanzo che suscitò molto scalpore. Anch’egli come Jude Fawley ebbe il grande  inappagato desiderio di frequentare l’Università,  anch’egli sposò una donna sempre più religiosa .

E’ una storia anomala: d’amore senza vero amore, di  un insistente anelito religioso senza più religione alcuna, sconfitte, contraddizioni e una corsa di tutti questi personaggi verso la distruzione.

La  vita  di Jude a Christminster, dopo uno sfortunato matrimonio  fallito con Arabella da cui avrà un figlio prosegue con fatica e speranze disilluse. Incontra però l’amore in Sue Bridehead, una sua cugina. La loro convivenza che suscita scandalo e li emargina ancor di più è sofferta. Per molto tempo il sesso non è vissuto con naturalezza e gioia, anzi viene respinto in nome di una masochistica religiosità di Sue, figura femminile indipendente e contraddittoria. Alla fine però avranno alcuni figli e porteranno in seno alla famiglia il bambino avuto da Arabella, soprannominato Padre Tempo (Little Father time) per via della sua curiosa fisionomia di bambino  precocemente vecchissimo e che farà concludere  tragicamente il destino della famiglia.

“Le nostre idee erano in anticipo di cinquant’anni” dice Jude prima di morire  alla vedova Edlin, parlando anche a nome dell’assente Sue, risposatasi con Phillotson. Il diritto all’istruzione per tutti, anche per i più poveri,  l’attacco all’istituto matrimoniale sono senz’altro idee moderne, ciononostante il romanzo è pieno di contrasti “Lo so, il libro è tutto un contrasto” scrive lo stesso Hardy, infatti pagina dopo pagina si respira quasi fisicamente un’atmosfera di una cupezza archetipica che non ha nessuna possibilità di essere scardinata.

Un romanzo che cattura e che ti rimane impresso, quasi che le sue parole vengano incise a forza in noi, scolpite come  Jude  scolpisce i pinnacoli della Cattedrale .

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LA PAZIENTE DELLE QUATTRO, di Noam Shpancer

pubblicato da: admin - 18 Dicembre, 2010 @ 7:26 pm

Mi piace conoscere i meccanismi della mente mia e altrui. Trovo misteriosa e affascinante la costruzione della personalità di ognuno di noi. Per questo molti miei libri sono testi di psicologia e psicoanalisi. Se trovo poi un romanzo scritto da uno psicologo, docente universtario e clinico al Center for Cognitive and Behavioral Therapy di Columbus che unisce teoria psiconalitica a una storia romanzata il mio piacere è assicurato. Se poi si parla di trattamento dei disturbi d’ansia il mio interesse è alle stelle.

Accanto al racconto dell’amore contrastato dello psicologo, protagonista del racconto, c’è l’accurata descrizione dell’analisi a una nuova paziente, una spogliarellista che non riesce più a esibirsi in pubblico perchè soggetta a ripetuti attacchi di ansia.  

 L’incontro con questa particolare paziente, Tiffany, avviene sempre alle quattro del pomeriggio. Come spesso succede nella terapia emergono transfert e controtransfert, tanto che i confini tra vita professionale e personale dello psicologo si assottigliano pericolosamente. Nel risolvere i conflitti di Tiffany anch’egli si confronta con la propria fragilità e con certi nodi irrisolti della sua vita.

Noam Shpancer in questo suo primo romanzo ci dà anche lezioni di psicologia spiegandoci il Cognitivismo e i principi del Comportamentismo quando il  protagonista impartisce le  lezioni  a un gruppo di universitari.

Sono parti veramente interessanti.  Gli argomenti spiegati a Jennifer, a  Eric, alla ragazza dai capelli rosa, a  Nohan e alle due ragazze dai denti smaglianti sono una guida  alla conoscenza del proprio sè. La vita è una ricerca, lo diceva anche Socrate. Ed allora concentriamoci sulla maniera di pensare e promuoviamo il pensiero corretto, quello che ci fa stare meglio. Scegliamo i nostri pensieri, come se fossimo in un negozio di scarpe.”Il pensiero corretto è un’abitudine che si può acquisire, ma soltanto con l’esercizio quotidiano” come imparare a stere dritti quando si è seduti.

Sempre comunque essere pienamente consapevoli e raccontarlo, a se stessi nell’interrotto monologo interiore che dovremmo avere e agli altri.

Molte sue terorie mi intrigano; egli si discosta spesso da Freud che chiama con epiteti talvolta un po’ pungenti come  l’anziano viennese. Soprattutto si discosta da lui circa la “tirannia dell’infanzia”. Per Freud ogni disturbo della personalità, ogni psicosi o nevrosi, o disturbi d’ansia deve essere ricondotta all’infanzia e dunque ai genitori. Per i cognitivisti e comportamentisti non è così. Certo che l’infanzia conta, ma non è determinante. Istruttiva, ma non decisiva. Insomma siamo noi adulti che dobbiamo “risolvere il problema”. E’ sempre difficile un cambiamento psicologico, E’ chiaro che, prima o poi, capita a tutti di mostrarsi ciechi e deboli di fronte a qualcosa. E gli unici rimedi a questo ostacolo sono “la consapevolezza, l’indagine, la perseveranza e il coraggio.”

Parole sagge!!! Mentre leggo mi sento risollevata e capace di attuare ogni”problem solving”. Non sempre succede, ma ci provo. Altrimenti c’è  LA LETTURA!

*      *     *

Fra un mese l’appuntamento non sarà più quotidiano, ma leggermente diluito nel tempo. Ritroverò più tempo proprio per leggere. Da tanto non faccio le “maratone” che fa Camilla ogni giorno.

Mi rendo conto che nonostante la fatica, l’impegno,  le arrabbiature con il PC, la cancellazione degli spams ecc. scrivere ogni giorno di ciò che ho letto è un grande piacere. So che molti leggono e conservano questi posts sia come consigli di letture, sia come piccolo aiuto per “camminare insieme”.

Trovo inoltre che lasciare spazio anche agli altri Lettori sia stato ed è molto proficuo: altri interessi, altri gusti, altri punti di vista…

Sì, è  auspicabile che altri uomini scrivano i commenti, soprattutto  per non lasciare “isolato” Riccardo, Gran Collaboratore e fucina d’idee!

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UN MONDO CHE NON ESISTE PIU', di Tiziano Terzani

pubblicato da: admin - 17 Dicembre, 2010 @ 7:55 pm

Longanesi, 2010

Riccardo ci illustra con passione  un libro colmo  di significative  immagini  dei tanti viaggi che Tiziano Terzani fece nella sua vita. “L’immagine è un’esigenza” sosteneva infatti lo stesso Terzani.

 

Toscanaccio doc, anzi Fiorentino, 1938-2004. Viaggiatore, giornalista, scrittore, esploratore, fotografo, reporter? No, soprattutto filosofo, amante del sapere!

A cura del figlio, nel 2006 è stato pubblicato postumo “La fine è il mio inizio”. Per il 2010 era prevista l’uscita dell’omonimo film. Mi è sfuggito o è slittato al 2011? Chi mi sa aggiornare?

Il nostro amico Accademico (Accademia delle Muse, Trento) Enrico Fuochi, fra le tante sue iniziative, ha scritto e “fotografato” il libro “Foto Storie”, già tradotto in un post. E’ stato proprio lui – inconsapevolmente ed incolpevolmente – ad attrarre la mia attenzione su questo libro.

Influenzato poi da Fazio/Saviano, ecco l’elenco di alcune foto, tutte rigorosamente in nero e bianco ivi raccolte (noi le facciamo in bianco e nero, ma le sue sono veramente diverse!):

Vietnam 

La carcassa di un elicottero ed una mucca magra che pascola, la contraddizione fra una società semplice, antica e la modernità della guerra …le armi non c’entravano proprio niente …

Due soldati che dormono a terra, a fianco dei loro mitragliatori … la guerra è una cosa triste, ma la cosa più triste è che ci si fa l’abitudine …

I Vietcong … ragazzini, donne giovanissime con i fucili, sviluppavi una grande simpatia per questi qua …

L’Hotel Continental di Saigon, dove ero rimasto con pochi altri giornalisti …

I primi Viet che entrano in Saigon gridando “Giai Phong, Pace!

La folla nei primi momenti della rivoluzione, quando gli eroi non sono ancora stati rimpiazzati dai burocrati del terrore …

Cina

 

Fare jogging di fronte ai templi … ci arrivai nel 1980.

La statua di Mao … Mao era stato il genio impegnato nel più grande esperimento di ingegneria sociale della storia: la ricerca di una società più giusta ed umana. Morì nel 1976. Io ero fra i primi giornalisti che entravano in Cina dal 1949. Era tutto nuovo (rispetto al pre Mao o a Mao? N.d.r.)

I ritratti di Marx, Engels, Stalin, Lenin, come è possibile che alla ricerca di un modo migliore di vivere la Cina dalla immensa cultura millenaria si sia rifatta a due tedeschi e a due russi di cui uno certamente fra i più grandi assassini della storia?

Volti cinesi, mi aspettavo di trovare l’uomo nuovo e invece trovavo l’uomo vecchio, il Cinese della vecchia Cina, che era meraviglioso …

La vecchia Pechino, ogni edificio “giaceva” in una posizione studiata …dal 1949, quando i comunisti la presero, Pechino non è più così, via le vecchie mura, via i vecchi edifici, via i templi, per far posto ai casermoni …

Le gabbie cinesi per uccellini non hanno altalene, è il padrone che fa oscillare gabbia e uccellino …

I piccoli mercati … dove si vendono anche grilli vivi … tenere un grillo significa regalarsi la gioia di sentire l’estate anche durante l’inverno …

I treni a vapore, coni sedili “duri”, quelli della povera gente, ed io con la bicicletta a bordo per scoprire posti nascosti ….

I vecchi templi erano belli, una bellezza distrutta “per far posto al nuovo” …

La statua di un Budda alta venti metri con quarantotto braccia … ecco il vecchio che Mao voleva distruggere per far posto al nuovo …

Facciate di vecchie case e di nuovi casermoni … per costruire il nuovo occorreva distruggere il vecchio …

Xuankong Si, il Tempio che vola, da millequattrocento anni, in alto mille metri di rocce affilate, in basso cento dirupi che fanno tremare, tendi la mano e tocchi la luna mentre nuvole bianche scivolano sulla tua manica …là, dove si sale per scoprire il significato del “Tao”, “La Via” …

La prateria … è senza fine e il treno sembra condannato a non raggiungere mai quel lontano orizzonte …

La via della seta … la storia è passata da questo deserto …

Kashgar, qui la popolazione non è cinese … l’Iman dice: “Allah ci ha dato un cuore solo. O si ha una fede o un’altra. O si crede in Allah o nel comunismo …

Ora le città della Cina sono tutte uguali …tutte hanno la Via della Liberazione, la Via della bandiera Rossa, La Piazza del popolo con un enorme ritratto di Mao …

Un giovane alto e fortissimo mi segue ovunque, da dieci metri di distanza, pistola alla cintura sotto gli abiti … è la mia guardia del corpo …

Il volto di un vecchio … per almeno duemila anni il dovere di un mandarino mandato ad amministrare una regione era di andarsene lasciando tutto come aveva trovato. Conservare era un grande merito.

Statue del Confucio distrutte, abbattute a terra … per secoli l’idea del Confucio ha permeato la società cinese imbevendola dei valori quali la devozione filiale, la benevolenza, l’obbedienza …Mao distrusse tutto ciò.

Tartarughe di pietra in mezzo ai campi … a loro venivano affidati i messaggi per l posterità …l’antica Storia distrutta spuntava ancora dalla terra …

Nonostante il tentativo del comunismo di eliminare ogni traccia del passato … ora i mercatini sono rinati … è rinata la vera Cina. Con Mao tutto era dello stato, persino coltivare un cavolo era considerato capitalismo e condannato .. ora la gente riempie piccoli mercati e vende di tutto, questo è il dopo Mao …

Un contadino trasporta un maiale sulla propria bicicletta, gli è consentito in quanto egli è un “rivenditore di lunga distanza” …

Cinesi che trascinano pesanti carichi di legname: “Se il socialismo è così buono, perché non raggiungiamo il livello di vita degli operai del capitalismo”?

Una vecchia: “La tartaruga conosce i segreti del cielo e della terra. Il Presidente Mao ha mutato il corso dei fiumi, ha spostato le montagne ma non è riuscito a cambiare la forma della tartaruga”.

Davanti ad una ciotola di riso. .. la natura umana non può essere combattuta … tu puoi date a tutti una ciotola di riso ed una veste, ma c’è sempre chi vuole due ciotole e due vesti …

Tibet

La piana di Lhasa … da secoli pellegrini hanno viaggiato ani per visitarla , e molti sono morti prima di raggiungerla …

Si sale al santuario camminando sulle ginocchia … non abbiamo inventato nulla …

Ora la Piana di Lhasa è invasa dai supermercati cinesi …

Una foto del Dalai Lama … se c’è grandezza è nella sua semplicità …

Giappone

1985, il Giappone rappresentava l’Asia che ce l’aveva fatta a uscire dal sottosviluppo. La vita dei poveri mi attraeva … quella dei ricchi era spaventosa per orari di lavoro e ritmi di vita devastanti.

Pachinko: night club, bar, love hotel, caffè, video club, club telefonico, lupanare, bolla di sapone che cerca di distrarre dalla insopportabile qualità della vita …

In Giappone ci sono 86.552 gangster, gli yakuza, tutti conosciuti e registrati come tali …la società ci chiama banditi ma noi siamo gli eredi dei samurai …Gli altri, i normali, i sarari-man sono burocrati e politici che pensano solo ai soldi …

Unione Sovietica

Vuoi vedere la tragedia umana? Vai nelle Curili.

La statua di Lenin senza la testa … Dov’è? Nessuno lo sa.

Allah akbar, Allah è grande … e abbattono la statua di Lenin …però solo i miopi non vedono che il fondamentalismo islamico ha preso il posto del marxismo-leninismo …che era l’arma del tempo per combattere l’occidente, ora il tempo è trascorso, l’arma è diversa …

Filippine

In taxi, al tassita: “Quanti morti oggi?” Risponde: “Al deposito i “salvati” (i morti) erano due …”

Tutti contro tutti: guerriglieri comunisti, bande diverse di soldati governativi, polizia, musulmani locali, bande di destra e di sinistra, semplici ed onesti banditi …

Una vecchia macchina da scrivere, per strada, poggiata su di un otre di coccio rotto …

Cambogia

Giovani, ragazzi, allineati sotto gli alberi, cadaveri. Segui la puzza e ti ritroverai in Cambogia.

I chilometri di bassorilievi di Angkor erano una profezia, perchè rappresentano tutto quello che poi è avvenuto.

Centinaia di bonzi che escono dai monasteri di Luang Prabang … la popolazione inginocchiata sui marciapiedi offre loro le elemosine

!993: “Attento, nel 1993 corri un gran rischio di morire. In quell’anno non volare mai” disse un indovino. In quell’anno non volai. Molti aerei precipitarono. Senza di me.

Viaggiare sdraiato sulla poppa di un battello, all’aperto …Adoravo viaggiare così. Viaggiare è un’arte da praticare con amore, con passione. A forza di viaggiare in aereo l’avevo quasi disimparata e pensare che è l’unica cosa a cui tengo! E poi dovevo evitare l’aereo, me l’aveva detto l’indovino …

Foto del 1993, tutte scattate perché non avevo perso l’aereo ….

Mustang

Lo Mustang, la capitale, la “Valle di tutte le aspirazioni”, è come raggiungere un tempo che si è fermato a quel tempo …

Volti bruciati dal sole che ha scavato rughe sui visi e nei deserti …

Volti di bimbi, molti con il tracoma che li porterà alla cecità …

Piccoli bonzi in preghiera … dobbiamo liberarci da passioni quali il desiderio, la paura, l’insicurezza, l’ingordigia, l’orgoglio, la vanità. Esse generano le guerre.

Mandrie al pascolo … fra pietraie senza erba

India

Cassaforte di umanità, gigantesca Arca di Noè, stivata da creature non ancora addomesticate …

I portatori di i mattoni

Forse l’India sarà capace di resistere all’ondata del materialismo …

Un vecchio, con una lunga e folta barba bianca: Lei è malato? Si, come tutti, di mortalità.

Se le formiche ci sono, perché ammazzarle?

Nella folla c’era un uomo, con un sorriso così beato, la gente diceva: Quello sa qualcosa che noi non sappiamo”. Ho passato gli altri anni della mia vita cercando di scoprire cosa.

Se Dio è morto in Occidente, in India ha ancora mille indirizzi.

Erano tanti piccoli passi che facevo per allontanarmi dalla mia vita normale e trovare il filo di un’altra.

Himalaya

Montagne immense. Il “divino” è la bellezza del senso di grandezza, l’allusione a tutto ciò che l’uomo non può essere.

Un pellegrino sale. Non più rivoluzioni, non servono a nulla. Tu devi andare “upar”, più su, devi salire.

Da giovane guardavo le montagne per conquistarle. Ora mi piace essere conquistato da loro.

Abbandona tutto ciò che non ti serve, non aver paura di restare senza niente, rifletti: chi fa cantare gli uccellini?

Mi hanno fotografato di spalle, mentre percorro un sentiero innevato. Sento che la mia vita sfugge ma non sfugge perché diventa parte di quegli alberi che rasento … una cosa bellissima .. disfarsi nella vita del cosmo ed essere parte di tutto.

 

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HAIKU, la poesia in un frammento d'emozione

pubblicato da: admin - 16 Dicembre, 2010 @ 9:32 pm

imagesHaiku. Pennellate di poesia. Frammenti lirici dell’antico Giappone. Quest’arte iniziata nel XVII sec. ha ispirato persone sensibili e poeti. Nella sua brevità l’haiku giapponese esprime al meglio la sensibilità dell’anima, con accenni e  allusioni a momenti epifanici di scoperta interiore o di intimo afflato con la natura.

Nel frammento lirico c’è un mondo di emozioni, sensazioni, immagini esteriori ed interiori. E’ lo stupore nell’osservare la Natura nel suo ciclico alternarsi delle stagioni, con i suoi colori, il suo “vivere” ad ispirare con dolcezza, malinconia, ironia i suoi versi.

Grandi poeti giapponesi come Basho, vissuto nel XVII sec., ci hanno regalato lezioni di coinvolgimento totale con la Natura, con la Vita nel suo palpitare e grazie al loro “silenzio” di osservatori ci hanno regalato momenti di delizia.

Nel vecchio stagno

una rana si tuffa.

Rumore d’acqua.

Un tranquillo ed immoto specchio d’acqua davanti agli occhi e al cuore del Poeta. Un guizzo vitale e verde che fa scintillare visivamente e sonoramente l’acqua.

Ed ancora.

Quando l’insegui

la lucciola s’occulta

nel plenilunio.

Un piccola luce che fugge da noi per nascondersi nella pienezza luminosa dell’astro notturno. Per noi l’accettazione dell’indistinto Tutto.

Anche in Occidente questi componimenti poetici sono apprezzati. Kerouac e Borges si sono cimentati in queste composizioni.

Ci sono anche delle regole da seguire. Un Haìku dev’essere di tre versi: un quinario, un settenario, un quinario.

Come docente di lettere alle medie ho insegnato a tutte le mie scolaresche quest’arte, un po’ per abituarli ad una corretta suddivisione delle sillabe e soprattutto  per far loro  acquisire la consapevoleza della bellezza che ci circonda. Ho raggiunto esiti inaspettati, versi bellissimi. Ma come già detto nei giovanissimi c’è  il Poeta in nuce. Poeta che credo tutti possiamo essere.

Il linguaggio consueto è inadeguato nel testimoniare la Verità. Ecco l’essenzialità di poche parole  che sgorgano dall’Intuizione. Tipico della cultura Zen l’abbandono fiducioso al Cosmo.

Gli uccelli  cantano

nel buio.

Alba piovosa.

Malinconia della notte che finisce nella pioggia, ma canto garrulo di creature che accettano serenamente l’ineluttabile.

Ieri sera, nella casa di Cristina che accoglie le famose Penelopi, oltre a canti, musica e assaggio di torte ci siamo dilettate a leggere alcuni nostri haiku che hanno come filo conduttore il Natale.

 Cristina, Anita ed io.

Ve ne trascrivo alcuni, invitando anche  voi a scriverne. Osservate la notte algida, il sole sulla neve, le foglie accartocciate sul suolo gelato, il vento freddo del nord che fa tintinnare i ciondoli degli alberi decorati… ricordate il primo  e il terzo verso di cinque sillabe, il secondo di sette…mi ascolterete?

Cristina scrive

Fiocca la neve,

sotto il suo manto, noi

siamo fratelli.

  

Fermati un poco.

Così accanto al Bambino

saremo insieme.

  

Mirna scrive

 

Accendo al vento

la gioia del Presepe.

Respiro amore.

  

Rosso di bacche

tra i merli del mattino

nel bianco inverno.

  

Il fuoco che arde

e brucia i rami secchi.

Nuovo è il Tempo.

  

 

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RACCONTI LONDINESI, e l'osservazione spietata della vita

pubblicato da: admin - 15 Dicembre, 2010 @ 7:49 pm

scansione0010 - Copiascansione0008Fu la prima insegnante di pianoforte di Stefania, la simpatica scozzese Jennifer, a farmi conoscere Doris Lessing.

“Ma come, una lettrice come te, non ha ancora letto la Lessing?” Sto parlando di tanti anni fa. Subito corsi in biblioteca. Trovai “Il diario di Jane Somers”. Rivelazione, innamoramento. Le tematiche affrontate, il modo crudo e realistico del racconto mi affascinarono. Il rapporto tra la ancora giovane Janna –  Jane - appena rimasta vedova e la dispotica, vecchia , brutta e solitaria  Maude è indimenticabile. Nessuna retorica, ma la consapevolezza delle nostre miserie umane, siano esse l’egoismo e la disattenzione verso gli altri, sia l’inevitabile decadimento fisico.  Ci sono su Internet fiumi di recensioni e riassunti di questo romanzo. Ciò che mi colpì, a suo tempo, fu proprio lo sforzo che Jane si impone per aiutare Maude che  in certi momenti  risulta quasi repellente,  e quanto sia difficile, tutto sommato, aiutare e farsi aiutare.

Proseguii con la letture dei romanzi della Lessing – ne ha scritti più di 50 – entrando nel mondo di un suo  altro personaggio che vive in Sudafrica, Martha Quest.

 E non poteva mancare il suo libro sui gatti. Doris Lessing ha convissuto con gatti, come sto facendo io con Mimilla.

 L’unico libro che posseggo invece è questo “Racconti londinesi“, comprato perchè pensavo alla “mia swinging London” di fine anni ’60. Infatti, ancor prima di leggerlo, ne regalai una copia alla mia “compagna di avventure”, Giuliana.  Diversa atmosfera. Noi, spensierate ventenni alla pari, il cui solo compito era di accudire qualche bebè , di seguire un corso di lingua e poi andare alla ricerca dei Beatles, di amici, di gadget londinesi, di mostre, di tutto ciò che era il nostro vissuto  letterario inglese. Eravamo delle osservatrici ilari, gioiose, per cui tutto sembrava bello: gli speakers  nell’Hyde Park corner, il teatro, gli incontri al British Council, le passeggiate fra i monumenti di una Londra che era, e per noi è tuttora, parte di un giovanile sogno mai ripudiato.

Doris Lessing osserva con acutezza di donna matura e   di scrittrice sensibile e attenta la Londra multiculturale degli anni ’80. Non c’è più una popolazione omogenea di  puri British, però neppure quando c’eravamo noi, era così. Quanti amici indiani, cambogiani, pakistani, italiani, spagnoli incontrammo!

Qui la vita viene racchiusa in brevi mappe geografiche: un caffè, una stazione della metropolitana, qualche quartiere londinese, gli innumerevoli parchi dove passeggiare. Ci sono gestori greci, turchi, clienti tedeschi o  di altre culture.

Ma questo libro poteva benissimo avere un altro titolo.  (Infatti Giuliana rimase delusa: avrebbe voluto ripercorrere con  la minigonna  e le nostre fresche speranze Carnaby Street, Portobello…)

Ciò che  qui viene raccontato è la vita dell’umanità: diverse etnie che si incontrano e si scontrano, diversi  comportamenti sociali , difficoltà di inserimento dei nuovi immigrati, sventure del sesso più debole: ragazzine che rimangono incinte, mogli abbbandonate, bambini vittime dell’egoismo dei genitori.

Diciotto racconti, alcuni intensi e drammatici, altri che scivolano attraverso lo sguardo dell’Osservatrice che scrive la quale so trova  sempre accanto ai personaggi  che  incontra in un bar, nel parco, in metropolitana e dei quali  riesce a scoprire con scientifica perspicacia  l’evolversi delle loro situazioni.

Uno spiare empatico, attento per fare di questi avvenimenti un paradigma dell’esistenza umana. Titoli lapidari: “Passerotti”, “Leo”,”Il nuovo caffè” , “Tra le rose” “Temporali” tutti scenari o teatri di accadimenti che come frecce vanno dritti al cuore sconvolgendone le aspettative.

Acutissima Doris Lessing, che nel 2007 vinse il Nobel per la letteratura, ma che talvolta scuote il nostro”voler stare tranquilli”, non voler vedere tutte  le  scomode verità. Meglio far finta di nulla?  Meglio “veleggiare” come facevamo noi ragazzine beat, un po’ incoscienti, fiduciose  e superficiali?

 Dice un personaggio del suo ultimo raccontino: “Persone civili”:

Forse non è sempre un vantaggio essere tanto inesorabilmente perspicaci.”

*Che ne pensate?

*   *    *  

Non posso esimermi dall’aggiungere una nota della mia piccola vita di osservatrice.  Fumo la sigaretta post caffè affacciata alla finestra del mio condominio, stamattina, abbastanza presto mentre l’aria gelida mi ha convinto ad avvolgermi nello scialle rosso. Vedo il vedovo del terzo piano -ho già parlato di lui – e della sua abitudine di mettere   due grandi foto della moglie alla finestra, rivolte verso il cortile. Non riesco a togliere lo sguardo, lui non si accorge di me, tutto preso dal suo rito d’amore. Sul tavolinetto accanto al davanzale mette e rimette vari centrini, li accarezza e poi lentamente pone prima una foto, poi l’altra.  La moglie ritratta in bianco e nero è una bella signora sorridente  dalla pettinatura cotonata. Poi  sistema davanti ad ogni foto un vasetto  di fiori finti. Controlla accuratamente. Sembra soddifatto.  So che uscirà. E’ un arzillo signore ben curato che spesso vedo entrare al Centro Anziani con  il suo borsello  a tracolla e un’aria impenetrabilmente serena.

Cone la Lessing nei suoi “Racconti londinesi” non sono riuscita a staccarmi dall’empatia che provavo verso di lui. Mi sembrava  di percepire ogni suo pensiero e la sua consolazione in questo dolce e triste rituale. Potevo staccarmi da ciò? Perchè? Il mio sguardo, il mio cuore gli inviavano affetto, comprensione, tenerezza.

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DEGLI UOMINI, di Laurent Mauvignier

pubblicato da: admin - 14 Dicembre, 2010 @ 10:13 pm
 I commenti di Camilla, lettrice  che io definisco vestale e pioniera della letteratura per il suo incedere coraggioso nei meandri e delle novità e della ricerca, sono dei piccoli posts, cioè delle presentazioni dei libri che ha letto. Talvolta un po’ enigmatici, ma proprio per questo accattivanti ed ammaliatori, come tutto ciò che misteriosamente viene descritto con passione ed immedesimazione.
 Spinta dalla curiosità, ed in attesa di avere più tempo per leggerlo, ho cercato su Internet qualche notizia in più. Beh, siamo nella campagna francese e i personaggi dipinti in modo magistrale da Camilla sono senz’altro paradigma dei nostri più reconditi sentimenti.

Ecco , i miei spietati passi, riportano alla PROSA. Proseguo (e mi dispiace che lo finirò troppo presto) nella lettura di Mauvignier, : la scrittura penetra nella mente e…nel cuore (?)sì nel cuore perchè lo sento battere un poco più forte e sono lì anch’io tra Fuoco di legna soprannome di Bernard e Solange, Rabut,eNicole e tutti i compaesani i Bernard, dentro questa narrazione umana- Troppo umana.

 Questo straordinario affresco zeppo di poesie e di poeti, che ho letto con grande piacere.
Devo pur dire che ho finito il romanzo di Laurent Mauvignier, questo ancor giovane scrittore francese, dalla scrittura travolgente, sembra di stare in un teatro greco per la drammaticità e senso dell’ineluttabile, ma la ricchezza umana esplicita e splendente di verità , negata da tutti, dimenticata con la forza della volontà o della necessità di sopravivere, sorda e rabbiosa dentro le pance di ognuno, ma apparentemente silente, la verità che ha annientato Bernard, c’è questa verità, che filtra, malgrado tutto, da ogni crepa del cuore degli uomini. E’ la storia di un uomo di nome Bernard, soprannominato fuoco di legna, ridotto a un barbone, sempre ubriaco, pazzo di solitudine e pieno , ancora e ancora, di caotico amore per qualcuno di ormai perduto ma anche per Solange, una delle sorelle. E per una figurina di bimba, racchiusa in una vecchia fotografia, del passato urlante, che non può essere sopportato da un essere umano- e Bernard è rimasto un essere umano, massacrato dai ricordi che non ha nascosto.
Un libro diverso, , dalla scrittura mimetica e lirica, nitido fino all’incredibile e commovente. E ci si sente tutti, ma proprio tutti, di far parte dello stesso , immenso, popolo umano, così uguale a se stesso, ovunque. Laurent Mauvignier – Degli uomini – ed. Feltrinelli – ottobre 2010

Camilla

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CLAUDINE A L'ECOLE, di Colette

pubblicato da: admin - 13 Dicembre, 2010 @ 9:11 pm

240px-Claudine_ecole_colette[1]Avete letto i romanzi di Claudine? “Claudina a scuola“, “Claudina a Parigi” “Claudina si sposa” Claudina se ne va”. Io li comprai da adolescente, attratta soprattutto dal primo titolo che prometteva la vita dell’ambiente scolastico, da me sempre amato. Erano quattro  libretti beige della BUR, ormai scomparsi perchè sono stati da me  prestati (ahimè) e mai più rivisti.

Non immaginavo ciò che avrei letto. Io lettrice di “Piccole donne” di “Jane Eyre e di “Cuore” mi aspettavo racconti di lezioni con maestrine dalla penna rossa, qualche confidenza romantica e un po’ di “retorica” adatta a giovani fanciulle dell’azione cattolica (come ero stata io).

Che imbarazzo, che disagio, ma che curiosità leggere della selvatica Claudine, figlia di un distratto studioso di molluschi, che libera può passeggiare tra boschi bellissimi e ascoltare  e parlare dei primi  turbamenti erotici.

La descrizione del verde dei boschi mi attirava molto, la Francia della rigogliosa vegetazione  di Montigny appagava il mio desiderio di evasione e solitudine a contatto con la natura.

 Ci credete  però che qualche volta arrossivo? Succedeva  quando Claire o forse un’altra confidava le sensazioni delle prime pusioni sessuali.  Non era immorale, ma amorale.  Non sapevo se proseguire o chiudere il libro.  Beh, li ho finiti, anzi divorati.

Diventata più grande ho riletto con analisi critica  di questa ragazzina dalla spregiudicata sensualità, una attuale teen ager ante litteram.

Meno imbarazzata sicuramente, ma chissà perchè rimane sempre in me un po’ di disagio con certe letture. Mi rammento de “Il delta di Venere” di Anais Nin, certamente più sfrontato del ciclo di Claudine,  e del quali me ne disfeci.

Invece  ho apprezzato “Lady Chatterley”. Forse in Anais Nin subdoravo la mancanza di spontaneità perchè  percepivo  l’esigenza di vendere con argomenti “proibiti”quasi al limite del pornografico.

I romanzi  di Claudine furono firmati dal marito di Colette, Henry Gauthier Villars, e fu lui a suggerire di aggiungere colorazioni erotiche ai racconti, sapendo che queste  avrebbero attirato molti lettori. Romanzi anticonformisti e molto osè per l’epoca, ma per questo letti da tantissimi come appagamento della propria pruderie.

Il personaggio di Claudine divenne così famoso da ispirare persino la moda: si vendevano grembiulini  e camicette alla Claudine, cravatte alla Claudine…

Che vita anticonformista, originale, ricca, vera quella di Colette, il cui vero nome era Sidonie Gabrielle.  Tre mariti, un amante più giovane di lei di trent’anni, non solo scrittrice prolifica apprezzata persino da Proust e Gide (“Cheri”, “Il grano in erba” due  dei suoi famosissimi romanzi) , attrice di music-hall dove spesso recitava nuda; dopo i 40 anni aprì un Istituto di bellezza, divenne  estetista. Colette amò sempre  il trucco come parte di sè e forse non come maschera ma come propaggine di tutta la sua riccchezza vitale.

Ricevette molte onorificenze, tra cui quella dell’Académie Goncourt. Fu la prima scrittrice ad avere, nel 1954, funerali di stato.

Visse 81 anni, gli ultimi malata gravemente tanto da non poter lasciare la sua stanza coloratissima, ma riceveva e sempre non mancava di stupire gli amici e i visitatori.

Personaggio “moderno”? Libero. Vero.

Completo ciò che Enza ha scritto su di lei pochi post fa:

« Io voglio… io voglio… io voglio fare quello che voglio! […]. Voglio recitare la pantomima, anche la commedia. Voglio danzare nuda se il costume mi impaccia e umilia la mia plasticità, voglio ritirarmi su un’isola, se mi pare, o frequentare signore che vivono delle loro grazie, purché siano allegre, bizzarre, persino malinconiche e sagge come lo sono molte delle donne di vita. Voglio scrivere libri tristi e casti dove non ci saranno che dei paesaggi, dei fiori, della tristezza, dell’orgoglio, e il candore di animali affascinanti che si spaventano dell’uomo… Voglio sorridere a tutti i volti amichevoli, e allontanarmi dalla gente brutta, sporca e puzzolente. Voglio amare teneramente chi mi ama e dargli tutto ciò che possiedo al mondo: il mio corpo ribelle al destino, il mio cuore così dolce e la mia libertà! Io voglio… io voglio! »
 
Libertà? Verità? Viva la sincerità .

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IDA LORI, evviva la poesia

pubblicato da: admin - 12 Dicembre, 2010 @ 8:21 pm

Capisco Riccardo e la sua ansiosa ricerca del libro perduto. Ma fortunatamente la sua Antologia è stata ritrovata e si può sfogliare nuovamente e rileggere con gioia, ad alta voce. La POESIA, linguaggio privilegiato che va verso l’alto attingendo dal nostro più profondo, è la VERITA’.

Sempre accanto a noi dev’esserci un libro di versi. E’  come avere accanto la nostra ANIMA nuda.

Anch’io ricordo l’emozione provata nello studiare i poeti inglesi da Chaucer a Eliot.

 

IDA LORI   Antologia Inglese

F. Mariani Editore  –Milano, 1956

Ovvero, ricordi di uno scolaro, da un libro ritrovato.

Stampato nel 1956. Era la mia antologia di lingua straniera in quinta ginnasio, al Liceo A. Doria di Genova, nel 1959. L’avevo prestato a mia figlia Valentina diciottenne nel 1990. Me ne ero dimenticato. Due giorni fa, parlando con Valentina, ne rimpiangevo la perdita. E Valentina: “Ma ce l’ho io!”. Per me è stata una vera gioia. Infatti, “Era perduto ed è stato ritrovato” … Mi sono detto: merita un post. Del resto avevo ben suggerito “raga, diamoci un po’ più da fare con la poesia!

Qualche post fa, parlando di “L’uomo che amava la Cina” di Simon Winchester, il quale ci ha raccontato vita e opere dell’Inglese Joseph Needham, scrissi:” L’Inghilterra non è solo William Shakespeare, che pur tutti noi amiamo”. Infatti avevo in mente molti altri Poeti Inglesi e avrei voluto citarli proprio prendendo lo spunto da questa antologia, ma pochi giorni fa non ho potuto. Oggi posso. E ne sono felice. Citerò quindi alcuni autori con qualche loro passo”.

                                                                                                                            Shakespeare, 1564-1616 (tanto per non sbagliarsi!)

Il monologo di Amleto

Provate a rileggerlo alla luce del “Vado via o resto” di Fabio Fazio e Roberto Saviano. I grandi (mi sto riferendo a Shakespeare, pur senza nulla togliere a Saviano) sono sempre contemporanei (del resto, Manzoni docet).

L’Orazione di Marco Antonio dal “Giulio Cesare”.

Anche qui l’attualità la fa da padrona: “Il male che gli uomini fanno vive dopo di loro; il bene è spesso seppellito con le loro ossa”. E l’ironia, dove la mettiamo? “Bruto afferma che Cesare era ambizioso, ma Cesare ha operato esattamente in senso contrario (Marco Antonio cita fatti concreti, n.d.r.). Ma Bruto è un uomo onorevole” (oppure è un Onorevole? Oppure è un uomo d’onore? (o forse oggi vi potrebbero essere coincidenze …fate voi, n.d.r.)

 

Robert Burns, 1759-1796

Poeta lirico molto influenzato dalla rivoluzione francese, scrisse soprattutto in dialetto scozzese. Poeta della natura (scozzese) e della terra natìa, le Highlands:

 

My heart ‘s in the Highlands, my heart is not here;

My heart’s in the Highlands a-chasing the deer,

Chasing the wild deer, and following the roe,

My heart’s in the Highlands wherever I go.

Wherever I wander, wherever I rove,

The hills of the Highlands for ever I love.

 

Niente a che vedere con Shakespeare, sia chiaro, tuttavia anche questa nostalgica musicalità ha i suoi pregi … ed io ci rivedo un po’ di “Romagna” del Pascoli.

 

Thomas Gray 1716.1771

Elegia scritta in un cimitero si campagna. E qui ci rivedo un po’ i Sepolcri del Foscolo. Lo cito soprattutto in relazione al poeta successivo …

 

William Wordswoth, 1770-1850

 

We are seven (sette, fratelli, n.d.r.) … dice una ragazzina …

“una ragazzina semplice, che sospira dolcemente,

e che sente la vita in ogni suo arto

cosa dovrebbe mai sapere della morte?”

Infatti la ragazzina considera ancora presenti i suoi fratelli, sepolti nel piccolo cimitero accanto alla casa. We are seven non we was sven. Qui siamo all’opposto del Foscolo.

 

George Gordon Byron, 1788-1824

 

Non è il mio preferito, tuttavia va citato, non credete?

Vi ricordo solo il Child Harold’s adieu, per la sua musicalità:

 

Adieu, adieu! My native shore

Fades o’er the waters blue;

The night-winds sigh the breakers roar,

and shrieks the wild sea-mew.

 

Addio, addio! Mia spiaggia natìa

Sparisci dietro le acque blu;

i venti della notte sospirano, i frangenti mugghiano,

e le gazze marine gracchiano.

 

Per certi aspetti mi ricorda alcuni versi della canzone Memory:

In the lamplight the withered leaves collect at my feet

And the wind begins to moan.

 

E per concludere, passiamo agli U.S.A

 

Walt Whitman, 189-1892

 

Ricordate il film “L’attimo fuggente”? Oh capitano, mia capitano …

 

O captain! My captain! Our fearful trip is done!

…

O the bleeding drops of red,

Where on the deck my Captain lies,

fallen cold and dead.

 

Il poema fu scritto in occasione dell’assassinio del Presidente Lincoln nel 1865.

Del resto, anche il professore, nel film, oltre cento anni dopo, fu “eliminato” …

 

Chiudo qui. Grazie per la paziente attenzione. Evviva la Poesia!

Riccardo

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DEDALUS, Ritratto dell'artista da giovane

pubblicato da: admin - 11 Dicembre, 2010 @ 9:56 pm

Sì, il primo scrittore da riconoscere nel post di ieri era proprio James Joyce, morto nel 1941  a Zurigo dove la figlia Lucia era stata internata in una clinica per malattie mentali.

Esule per scelta, obbligato dalla sua ambivalenza verso L’Irlanda che ama e odia, verso la Chiesa bigotta che lo intriga  amleticamente, verso la famiglia che è necessaria ma che lo trattiene nel suo impeto verso la libertà interiore.

 Stephen Dedalus riproduce i tratti di Joyce stesso ed è facile riscontrare una corrispondenza precisa fra i dati biografici dell’autore ed episodi e personaggi del romanzo.

 Joyce, nato a Dublino nel 1882, studia presso due collegi gesuiti e di questa educazione cattolica porterà a lungo i segni che riconosciamo in questo romanzo iniziato  nel 1904 e rimaneggiato fino al 1916 anno della sua pubblicazione a New York. Anche nei nei primi episodi dell'”Ulisse” ritroviamo i suoi pensieri in termini di filosofia scolastica. Aristotele e Tomaso sono i suoi filosofi dai quali attinge per esporre la propria estetica.

Scrittore impegnativo, ma ricco, stimolante. So che Cinzia lo ama particolarmente.

 Se per leggere “Ulisse”, o meglio per leggerlo goccia a goccia ci ho messo quasi dieci anni, per leggere “Dedalus” ho impiegato pochissimo tempo. Qui si parla del tempo perduto, dei ricordi, della propria formazione, dei desideri, della vita in quanto materia d’arte per un novello artista.

Come Proust Joyce parte alla ricerca della sua “nascita” artistica, deve riesumare le fondamentali esperienze infantili e adolescenziali per raggiungere e capire la propria personalità.

Non è un sentimentale e il ripercorrere la strada dell’artista in nuce, quindi di se stesso, è di una sobria oggettività, ragion per cui tutto sembra più vero e accattivante.

E’ un viaggio per entrare nella vita, ma soprattutto per trovare gli strumenti – quindi i linguaggio e  le forme letterarie – per giungere all ‘Arte.

Alla fine del romanzo Dedalus sceglierà per sè quelle armi odisseiche che furono l’insegna di Joyce durante tutta la sua vita – esilio -astuzia.”

 All’inizio Dedalus ci appare saldamente ancorato alla famiglia e alle istiuzioni della terra natale, alle cui leggi egli si sottomette per tutto il periodo della crescita. Ma appena perviene alla scoperta che il proprio destino è quello di vivere al di fuori di tali leggi – ed è un’epifania che ispira a Joyce pagine magistrali, da brividi – egli deve apprendere a svincolarsi da esse, a vivere nella terribile  solitaria neutralità dell’artista.  Come il Dedalo del mito greco che deve fuggire dal labirinto costruito per Minosse fabbricandosi un paio d’ali , così anche Stephen Dedalus deve trovare una via d’uscita dal labirinto della vita dublinese e dalle sue imposizioni.

Si può leggere quasi come un romanzo di formazione tradizionale: dagli episodi nel  collegio, agli aspetti di vita nella nativa Dublino, dalle conversazioni intelletuali ai complessi monologhi interiori, ma certamente si capisce da squarci e  brecce enigmatici ed affascinanti che non siamo lontani dalla “grande caverna ” dell’Ulisse” e di “Finnegans Wake”.

Nulla si muoveva sulla sua anima, tranne una libidine fredda, crudele e senza amore. La sua infanzia era morta o perduta e, con essa, l’anima capace di semplici gioie, ed egli si lasciava trasportare attraverso la vita come il guscio sterile della luna.” questo pensa il giovanissimo Stephen ascoltando il padre e due suoi vecchi amici mentre bevono una pinta al pub.

E poi un giorno, passando davanti all’Ordine dei Gesuiti, in via Gardiner, Stephen si domanda vagamente quale sarebbe stata la sua finestra se fosse entrato nell’Ordine. ” Non avrebbe mai dondolato il turibolo in qualità di sacerdote…Il suo destino era di eludere ogni ordine sociale e religioso…Era destinato a farsi la propria saggezza  lontano dagli altri o a imparare la saggezza dagli altri vagabondando tra le insidie del mondo.”

Tra le ultime righe del libro, terminato a Trieste nel 1914, Joyce fa dire a Dedalus in procinto di andarsene: “Benvenuta, oh vita! Vado a incontrare per la milionesima volta la realtà dell’esperienza e a foggiare nella fucina della mia anima la coscienza increata  della mia razza.”

Ed infine si rivolge a Dio : “Vecchio genitore, vecchio artefice, fammi ora e sempre buona guardia.”

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CLASSIC PURSUIT, a cura di Giovanni Mariotti

pubblicato da: admin - 10 Dicembre, 2010 @ 9:11 pm

scansione0007In questi giorni di impegni per l’imminente Natale chi riesce a leggere un blog ? 

  Mi pare giusto lasciare un tempo distaccato  dalla lettura anche ai più affezionati.

 Però queste ultime settimane della sfida “un libro al giorno” dovranno essere foriere di nuovi pensieri e progetti.

La “finestra” aperta il 19 gennaio e che ha riscosso tanto successo dovrà rimanere aperta anche nel futuro.

Per me senz’altro: come farei se non avessi l’appuntamento virtuale con la lettura e la scrittura e  soprattutto con le persone che condividono questa passione? Anche se non mi “affaccerò”tutti i giorni credo  che il confrontare le proprie esperienze culturali,  i nostri pensieri,  la nostra concezione della vita sarà  sempre un arricchimento,  un aiuto reciproco e un diletto.  Camminare insieme, ascoltarci, svelarci, commuoverci, divertirci.

Mi piacerebbe avere qualche indicazione su come modificare leggermente questo blog che non sarà più quotidiano ma certamente assiduo come assidua è la mia golosità di letture, arte e poesia.

Per oggi ho dunque pensato ad alcuni  indovinelli tratti da questo  “concentrato” di vite d’autori.

 Cento quiz biografici su celebri scrittori d’ogni tempo e Paese, colti attraverso un lato insolito della loro vita privata.

 “…Dopo aver scritto per cinque anni nella nostra lingua, e aver collaborato assai intensamente a un giornale di provincia, a trent’anni si era sottoposto a un esame, per essere abilitato a insegnare inglese nelle scuole secondarie del Regno d’Italia. L’esame ebbe luogo a Padova nel 1912. …Due mesi più tardi il Consiglio Seperiore della Pubblica Istruzione dichiarò che l’esame non era valido, perchè il titolo ottenuto dal candidato non poteva essere “equipollente” a una laurea italiana. Mancato insegnante nelle nostre scuole medie, il giovane scrittore si trasferì a Zurigo e a Parigi, dove avrebbe trascorso il resto della vita.

Morì a sessant’anni.”

Chi è?

“Mai, durante l’infanzia e l’adolescenza, aveva sognato di diventare scrittrice, ma a vent’anni sposò uno scrittore, e questo matrimonio, avaro sul piano della felicità domestica,la avviò alla carriera letteraria. Ben presto fu lei a scivere i libri che lui avrebbe firmato. “

Ebbe altri due mariti. Tra i suoi amori anche molte donne. Recitò anche nei music-hall. Durante una tournée conobbe il giovane Maurice Chevalier che, con il nome di Cavaillon, appare in uno dei suoi romanzi.

Nonostante un grave handicap – il forte accento borgognone -,tentò anche il teatro di prosa, e a cinquantanove anni aprì un salone di bellezza.”

Chi è?

Ed ora il quiz più facile: ” La canonica dove il pastore si era trasferito, con la moglie, le cinque figlie e il figlio, era costruito sul margine di un cimitero, e sembrava che nulla fosse facile, in quel luogo, quanto passare dalla dimore dei vivi a quella dei defunti….Era timida, ma anche fiera..Più tardi il bisogno la spinse a diventare istitutrice e maestra, mestieri che non le si addicevano, perchè faticava a sopportare i bambini. …Morì a Trentanove anni.  Nel corso della sua vita si allontanò qualche volta dalla casa dov’era cresciuta, ma senza che i pensieri si staccassero mai veramente da quel tetro edificio circondato dalle tombe e da grandi distese di eriche viola.”

Chi è?

Ho parlato di due di questi scrittori nel blog.

Più che a un indovinello mi sembra di sottoporvi a una Verifica!!!   (Deformazione professionale?)

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