FANTASMI, di Vincenzo Cerami

pubblicato da: admin - 1 Gennaio, 2011 @ 7:49 pm

Ma chi sono i fantasmi di Cerami? Sono i finti compagni, le persone costruite con la  “carta”, maschere pirandelliane  che sembrano aggirarsi nel mondo di Morena, la protagonista in fuga alla ricerca di verità e libertà interiore.  In questo suo viaggio verso l’anelante sua Itaca, il porto sicuro, il luogo fisico e mentale adatto al suo Essere, Morena si inventa nuove identità, diventando così essa stessa “una, nessuna, centomila,  vagola di casa in casa, di quartiere in quartiere di una Roma pasoliniana, di città in città.

Fugge dai fantasmi del passato, dal padre, un geniale compositore, dalla madre suicida, dal compagno artista, assolutamente Narciso, che non riesce a mantenere un contatto con lei, forse dal fantasma che è in lei che non ha ancora raggiunto la sua Identità.

Altri personaggi attraverseranno le mille strade che Morena percorre nel suo Viaggio. Insieme a lei capiremo quante possibilità esistono in una sola vita e quanto coraggio occorre per provarne alcune.

Il romanzo, secondo classificato al Premio Strega del 2001, è strutturato in quattro capitoli, quattro movimenti come in una Sinfonia.

 Dall’esposizione della situazione di Morena che ha vissuto amori troppo cerebrali che non soddisfano le sue esigenze allo sviluppo della sua Fuga in un’ epoca, la nostra, mutevole e conflittuale, in cui disperatamente ricerca se stessa e un senso da dare alla propria vita.

 Ripresa del suo apparire e scomparire come un fantasma fino alla risoluzione. La sua solitudine è il punto di partenza per la ricerca del luogo reale e mentale in cui finalmente fermarsi.

E noi stessi in certi momenti della nostra vita  non ci sentiamo un po’ fantasmi?  per esempio quando  materialmente siamo in un luogo, ma la nostra mente e il nostro desiderio sono altrove? Quando non ci sentiamo “centrati” in un momento esistenziale?

La lezione caparbia di Morena è quella di non arrendersi. Pur tra difficoltà, drammi, angosce bisogna proseguire fino in fondo per trovare la Libertà, per giungere in un mondo nuovo non più governato dagli Altri,  ma in quello che noi abbiamo compreso e conquistato.

Vincenzo Cerami ha esordito nel 1976 con Un borghese piccolo piccolo.

Questo particolare romanzo è stato criticato senza mezze misure: o è piaciuto moltissimo o per niente.

Naturalmente io rimango sempre affascinata dall sfaccettature delle personalità inquiete, quelle che cercano  il “proprio abito interiore”, quelle che fanno di ogni giorno un cammino per arrivare in un altrove che si spera sempre sia la “desiderata Itaca.”

E quale migliore proponimento nel primo giorno del 2011 quello di sollecitarci ad andare “sempre a caccia della Vita“?

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POESIE, Soledades di Antonio Machado.

pubblicato da: admin - 31 Dicembre, 2010 @ 11:52 pm

Per l’inizio di un nuovo anno cosa c’è di meglio che affidarsi alla Poesia,  il linguaggio che va dritto al cuore?

Questa raccolta di Antonio Machado, il grande poeta spagnolo maestro di Garcia Lorca, sembra comunicarci l’impossibilità di comunicare con l’altro. Troviamo però già addentrandoci nei Campos de Castilla un superamento del soggettivismo lirico fino a raggiungere ciò che scrisse di lui Josè Maria Valverde come sottotitolo dell’intera opera poetica del poeta sivigliano: “Dall’Uno all’Altro“, dove l’Uno rappresenta l’Io, il romantico individuo che dal suo mondo intimo e malato si apre al colloquio con l’Altro, cioè con il mondo esterno.

In Machado i messaggi sociali  assumono una valenza profeticamente amara, ma in lui serpeggia sempre quella poesia popolare di “eterna umanità” accessibile a tutti. Questa poesia è l’unica forma possibile per non restare chiusi in se stessi” e morire a poco a poco, ma aprirsi agli altri”.

Ma anche immagini evanescenti del mondo di Castiglia, paesaggi amatissimi delle “Rive del Duero”, le fonti nel parco, i limoni nel patio e la noria più volte presente.

 

 

Ecco dell’immensa sua opera alcuni stupendi versi

Languido il limone tiene sospeso

un incolore ramo polveroso

sull’incanto della fonte limpida,

e lì in  fondo sognano

i frutti d’oro…

*   *   *

S’è addormentato il mio cuore?

Alveari i miei sogni,

niente più lavoro? E’ secca

la noria del mio pensiero,

i secchielli sono vuoti,

nel girare, pieni d’ombra?

 

E’ la noria la ruota idraulica che solleva l’acqua sfruttando la corrente. Parola che deriva dall’arabo vociare, zampillare <IV-‘-R>.

 

No, il mio cuore non dorme.

Se ne sta lì tutto sveglio.

Nè dorme nè sogna, osserva

gli occhi chiari aperti,

segnali lontani, ascolta

in margine al gran silenzio.

 

Mi piace pensare alla nostra vita che fluisce con l’acqua nell’acqua grazie a una spinta che la fa scorrere.

 

E’ il 31 dicembre.

Abbiamo vissuto un anno intero. Da domani pagine bianche da riempire , pensieri nuovi,  parole nuove…

 

AUGURI A TUTTI

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IL PRANZO DI BABETTE, dai racconti di Karen Blixen

pubblicato da: admin - 30 Dicembre, 2010 @ 8:10 pm

Ancora giorni festosi. Almeno io li percepisco in questo modo. Mi sembra di essere su una di quelle giostre lente e colorate, le vittoriane Merry goes round che talvolta si vedono nelle piazzette in occasione di qualche festività.

Mi piace osservare le persone sorridenti, incontrare amiche che vedo raramente, ricevere e-mails, bigliettini, regali, organizzare pranzetti con i miei cari, cinema e aperitivi con le amiche,  e sentire in fondo al cuore che se riusciamo ad avere momenti belli e lieti vuol dire che questi  potranno sempre  esistere ed essere ricreati.

La fine di un anno poi mi sollecita generalmente gioia perchè ho da ripensare a tante giornate vissute (scelgo naturalmente le più belle!) e assaporo con fiduciosa speranza le altre che mi si parano innanzi come in  una pagina bianca.

Penso ai preparativi per cenette e cenoni di fine anno e ricordo allora  il capolavoro del Pranzo di Babette.

 Il sapore prezioso del convivio.

Questo bellissimo racconto, tradotto in modo magistrale in un film che vinse l’oscar, è inserito nella raccolta “Capricci del destino” del 1958.

Siamo alla fine del XIX secolo in Norvegia (in Danimarca nel film)  dove due sorelle conducono una vita semplicissima e devota. Sono figlie di un Reverendo, ormai deceduto, che aveva fondato una piccola comunità religiosa improntata alla severità di costumi, alla preghiera e all’aiuto reciproco. Sono  ormai due lietamente rassegnate  signorine di mezza età la cui vita si volge al mantenere vivi i dettami del padre.

Quando erano ancora giovani e belle, circa trentacinque anni prima dell’arrivo di Babette, le due signorine erano state ardentemente ammirate una da un cantante lirico, l’altra da un affascinante militare. Ma la loro educazione, la loro purezza e il loro riserbo avevano troncato sul nascere i dolci sentimenti suscitati nei due giovanotti.

E poi arriva Babette, una vedova francese costretta a fuggire dalla Francia dopo i disordini della Comune di Parigi. Ha lasciato ogni suo avere, è disperata. Chiede alle due signorine ospitalità in cambio dei suoi servizi in casa.

La vita prosegue così nella parca semplicità di costumi e cibo tra molte riunioni religiose con i pochi abitanti del villaggio tra i quali talvolta serpeggiano malcelati e antichi rancori. 

Il destino capriccioso farà vincere a Babette una grossa somma grazie  a un vecchio biglietto  di una Lotteria acquistato prima della fuga. Babette non può ritornare in Francia pena l’arresto. Che fare dei soldi che riesce ad avere grazie a naviganti che fanno la spola tra Francia e Norvegia?

Babette che un tempo era una famosa cuoca in un elegante ristorante di Parigi vuole donare con tutti i suoi soldi (e li spenderà tutti) alle generose, semplici, pure signorine …la Gioia, il Piacere e il Gusto della vita cucinando per loro.

Chiede loro di organizzare un pranzo in ricordo del Reverendo Padre per tutta la comunità. Le due quasi ascete donne le danno carta bianca non immaginando ciò che la cuoca sopraffina ha in mente di cucinare. Questa si fa arrivare  ostriche, tartarughe, quaglie, champagne pregiato ed ogni altra preziosissima leccornia.

Regina nella piccola e povera cucina, aiutata da un “garzoncello scherzoso”, Babette in un’apoteosi di creatività cucinerà e farà servire un pasto pieno di meraviglie. Il caso, il capriccio del destino, fa sì che a tavola arriverà anche, come lontano parente, il giovane militare, ormai anziano generale, ammiratore di una delle due signorine.

E’ proprio lui che lentamente, nel crescendo del pranzo riconoscerà delizie assaggiate soltanto in un famoso locale parigino. Dal brodo di tartaruga, alle “quailles en sarcophage,” alle ostriche, ai dolci, ai vini prelibati adatti ad ogni portata.  Lui è un intenditore ed asssapora con passione sensuale ogni boccone.

E gli altri non adusi a simili piaceri? Quasi diffidenti assaggiano le prime portate, lanciandosi ancora le piccole frecciate dei loro rancori, e poi… i sorrisi si allargano, le gote si arrossano, gli occhi diventano lucidi di piacere, di delizia, di tolleranza.

Tutto ciò che era compresso nella rigida vita quasi monacale si libera in emozioni e meraviglia.  E il Cibo, il Vino, questi doni della vita  operano il miracolo della gioia dello stare insieme. La condivisione del piacere.

Sappiamo che Babette ha speso tutti i soldi vinti ma, deus ex machina di un tale “miracolo”,  essa ha ottenuto un’altra vittoria. Ha regalato Felicità.

Pranzo di Babette on YouTube

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DONNA AL PIANO, e la musica della vita

pubblicato da: admin - 29 Dicembre, 2010 @ 9:12 pm

Catherine MacKenna è  innanzitutto una musicista . Poi di lei si può dire che è irlandese, che ha lasciato la famiglia troppo repressiva nel loro bigotto cattolicesimo, che ha avuto da poco una bambina da un uomo che ha dovuto abbandonare perchè alcolizzato violento. E che è depressa.

Ma Catherine è una musicista, una compositrice e tutta la sua vita, dalle gioie, al dolore ed ora nella depressione,  ha un ritmo.

 Credo che per commentare  al meglio questo romanzo di Bernard Mac Laverty, finalista al Booker Prize 1997, ci vorrebbe una musicista  (Stefania? Cristina?) perchè  così la sua “conquista” sarebbe totale.

Che piacere comunque, anche per me, sentire parlare di musicisti, opere, strumenti. Leggere  di Vivaldi, che pur essendo sacerdote, nella Venezia del Settecento, non disse mai la messa. A lui bastava la musica e mise in piedi un’orchestra di orfanelle, tutte vestite di bianco, che diventarono la migliore orchestra di Europa.

 Un esperimento meraviglioso simile  a El Sistema adottato ora in Venezuela

Bernard Mac Laverty ci porta aventi e indietro nella vita di Catherine. Inizia quando lei parte da Glasgow dove abita con la figlioletta Anna di poco più di un anno, per tornare a Belfast, la sua città natale, per il funerale del padre.

Catherine è depressa, ha avuto un periodo difficile nell’accettare la presenza costante della piccolina mentre tenta di rimanere a galla grazie alla musica, ha abbandonato l’isola dove viveva con  il padre della bimba, deve riallacciare un rapporto profondo ma difficile con la madre che ancora non sa della bambina.

Tutto ciò che rivive in ricordi, ossessioni, depressione, timori è scandito da un suo ritmo interiore che verrà esplicitato  con una matita n.3 su pentagrammi. Talvolta è terrorizzata dai cattivi pensieri di astio verso la bambina che la limita e che la costringe a ripetere giorno dopo giorno le stesse azioni, come nelle Vessazioni  di Eric Satie, pezzo per pianoforte che dovrebbe  essere suonato 840 volte consecutivamente.(!)

Ma la depressione post partum e la sua crisi esistenziale si risolveranno. Bellissimo l’incontro a Belfast, dopo il funerale del padre, con la sua antica insegnante di pianoforte che ha sempre riconosciuto in lei un grande talento.  Si legge con estremo piacere la loro deliziosa conversazione.  Catherine spiega alla signorina Bingham che vorrebe comporre semplici pezzi musicali, come fossero  degli haiku dedicati ai dipinti di Vermeer e alle sue donne rinchiuse nelle stanze. Un suono come un colore. Le anticipa il desiderio di comporre un’opera per  “Trombettisti e trombonieri”.

Il rapporto con la madre lentamente si risolve nel ripensare al parto che  rivive e rielabora  durante il  viaggio di ritorno dalla sua bambina. Comprende quindi la meraviglia della creazione e della procreazione della vita.

Sente che il ritmo della vita di una donna è sincronizzato con la luna e la luna è sincronizzata  col mare, dunque la donna è sincronizzata con la marea.

E la  Suite che sta terminando su commissione  per un evento importante è nata durante una passeggiata con la piccola Anna lungo la spiaggia dell’isola. La sua opera si chiama “Veronica” come la medaglia dei Pellegrini medievali di Chaucer che andavano verso Canterbury.

Insomma un romanzo pieno di religiosità, di conflitti d’amore e soprattutto di creatività: la creatività artistica, ma anche la procreazione.

Mi rimane un po’ di rimpianto di non essere musicista. Avrei apprezzato molto di più questo romanzo in cui il suo ritmo d’urgenza”, le sue citazioni, i suoi rimandi avrebbero completato il mio pacere di Lettrice.

Eppure per alcuni anni ho seguito lezione di ipianoforte – “Ha delle manine delicate” diceva il mio Maestro a mia madre -  ( ma non sono quelle che servono – occorrono mani forti e larghe). Evidentemente il Talento di mio marito e di mia figlia non mi ha raggiunto  per…osmosi!

Ma chissà! La vita comincia dopo i 60…potrei anche mettermi a imparare nuovamente a suonare, visto che in casa ci sono due pianoforti!

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GIRO DI VITE, e i fantasmi interiorizzati

pubblicato da: admin - 28 Dicembre, 2010 @ 8:10 pm

Eppure nella nostra anima ci sono delle zone buie, dei recessi del nostro rimosso che ci possono incutere paura, ma anche meraviglia e persino piacere perchè ci portano nel “viaggio” dentro noi stessi e ci conducono alla scoperta degli strani legami che irrazionalmente noi instauriamo con la natura circostante, le abitazioni della nostra vita e con alcuni oggetti che fan parte del nostro vissuto quotidiano.

Talvolta quando sono sola e con la “ragione” allentata mi sento scivolare accanto ombre e sento nello spazio, che mi sembra vuoto, fremiti vitali.

Capita anche a voi?

Ripenso a “Eclisse” di Banville  e ai fantasmi che egli vede all’improvviso nella passeggiata solitaria tra i campi e alla madre con bambino che appare spesso nella casa dei genitori.

Giro di vite“- The Turn of the Screw -, è esemplare nello scandagliare inquietudini interiori, misteri inspiegabili ma quasi attesi.

Giro di vite venne scritto in un momento difficile della vita di Henry James,  un periodo lavorativo pieno di incertezze e di delusioni. Forse lo scrisse  perchè le storie di fantasmi sempre attirano i Lettori, ma la sua perfezione strutturale e contenutistica ci rivelano  un’esigenza, una speranza, un timore e il disagio dell’insondabile. Il nostro Doppio, la nostra Piccolezza, il nostro non sapere tutto si accoppia con il nostro reale e il nostro immaginario.

 In James  più che convincere il Lettore dell’esistenza dei fantasmi di Quint e della Jessel c’è l’intenzione di dimostrare la consistenza “concreta” dell’esistenza dei due domestici defunti, e di descrivere il modo in cui l’istitutrice e i due bambini percepiscono, e poi reagiscono, a questa esperienza.

E’ un racconto gotico la cui genesi è da attribuirsi a una storia di fantasmi che fu narrata allo scrittore dall’Arcivescovo di Canterbury la notte del dieci gennaio 1895. James ne parla nei suoi Taccuini.  E’ la storia di due bambini orfani, mache vivono in una dimora di campagna sotto la tutela di uno zio che però vive lontano da loro. Prima dell’arrivo della nuova governante erano  accuditi da un’altra signora  e da due domestici perfidi e depravati che nel  romanzo di James  sono chiamati la signora Jessel e  Quint, il suo amante dai capelli rossi.

 La  prima governante e i malvagi  domestici muoiono, ma le loro figure tornano a infestare la casa e sembrano far cenni e  ambigui inviti  ai bambini.

Sono quindi soltanto i due bambini, piccole prede del Male e la giovane governante, Miss Giddens, che tiene un diario, a vedere le  due sinistre figure.

James fa di questo racconto orale una magistrale novella in cui nell’atmosfera quasi pastorale e luminosa della casa di campagna inglese si insinua una vaga atmosfera malefica, non percepita da tutti gli abitanti della casa . Non scende in dettagli  particolareggiati ma ricrea perfettamente quel “clima mentale” provato dall’istitutrice, quasi un sinistro strato di “trance”, o forse come alternativa interpretazione, una proiezione “isterica” dei desideri erotici inconsci di Miss Giddens stessa.

E’ l’istitutrice che tempo dopo narrerà a sbigottiti ascoltatori l’esperienza accuratamente annotata nel suo diario. Ed è proprio lei che, volendo “stringere la vite “per arrivare  a capire  il mistero,  forse scoprirà una sorta di complicità dei bambini con i malvagi spettri. E Miles – il fratellino – diventerà un’altra vittima designata.

Pur allacciandosi ai racconti gotici così di moda, persino un po’ a Jane Eyre, James se ne differenzia perchè ci offre un terrore psicologico che nasce dalla mente del narratore  dilatandosi infine  in quella del Lettore.

Scrive James a proposito:

“Lo straordinario è tanto più straordinario in quanto accade a voi e a me, ed ha valore  (valore per gli altri) solo in quanto visibilmente sentito da noi”

E Virginia Woolf nel suo articolo “Henry James’s Ghost Stories ” sottolinea che i fantasmi di James incutono paura non perchè trascinano catene arrugginite oppure perchè vanno in giro con la testa decapitata in mano bensì perchè ” hanno la loro origine in noi.”

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JANUZ KORCZAK, e l'amore assoluto per i bambini

pubblicato da: admin - 27 Dicembre, 2010 @ 8:49 pm

200px-Janusz_Korczak[1]Quante persone si sono sacrificati con amore per gli altri! Non potremo mai conoscerle e ricordarle tutte.

Ma la vita e il lavoro  di Janusz Korczak si possono leggere  in molti testi.  Ebreo polacco, medico , scrittore, educatore, è il responsabile di un orfanotrofio in cui accoglie e cura, a Varsavia, circa 200 bambini. Durante l’invasione nazista della Polonia è costretto a trasferire la sua Casa degli orfani all’interno del ghetto, dove comunque prosegue nel suo operato. Qualche tempo dopo, il 6 agosto 1942, dovrà scortare i suoi bambini, ignari, fino al campo di concentramento di Treblinka, dove morirà insieme a loro.

Questi i brevi cenni biografici, ma la sua vita e il suo operato , la sua umanità sorridente, luminosa e soprattutto il suo amore e il rispetto per i bambini li troviamo raccontati magistralmente in un prezioso libretto di Anna T.Rella Cornacchia che io studiai per un esame di pedagogia.

Che scoperta, che emozione, che lacrime per quest’uomo fuor del comune!

 Korczak è un precursore nel campo dell’ educazione e della letteratura per bambini. Egli affronta con coraggio argomenti e problematiche educative innovative ed importanti.  “La democrazia deve essere appresa daccapo in ciascuna generazione” è il suo messaggio principale ” e va quindi posta in termini di autoeducazione; anche perchè il bambino sente la costrizione, soffre per questi vincoli, anela alla libertà…ma non la troverà…Non possiamo dare al bambino la libertà finchè noi siamo in ceppi.”

Il suo vero nome è Henry Goldszmit, nasce nel 1878 da famiglia agiata. Sceglie, meditando, il suo ebraismo. Altruistico, sogna un’infanzia felice per tutti. Scrive “Il nodo Gordiano” firmandosi Janusz Korczak, nome di un suo eroe letterario. Lavora gratuitamente nelle biblioteche e inizia il suo speciale “dialogo” con i bambini di ogni ceto sociale insegnando loro l’importanza della lettura.

Egli spiega che  il bambino è considerato NIENTE, non ha nessun DIRITTO. Gli si dà qualcosa solo per benevolenza. Quanti bambini hanno sofferto segretamente nell’infanzia! Pensiamo dunque  ai patimenti fisici e psicologici dei poverissimi bambini dei bassifondi di Varsavia che Korczak visita spesso con amici sociologi e psicologi. Nel 1901 scrive “Ragazzi di strada” per denunciare le problematiche dei bambini mal curati.

Diventa pediatra nel 1905. Scrive trattati, articoli, novelle ed anche poesie.  Studia sociologia e psicologia. Dice che occorre apprezzare il bambino per quello che è e non per l’uomo che diventerà.

Il suo grande progetto di vita diventa “La casa degli orfani” dove si attuano i principi pedagogici e sociologici volti a soddisfare i bisogni dei bambini, con particolare riguardo alla suddivisione degli spazi per le diverse attività sia personali che di gruppo. Darà ad ognuno di loro un “pezzetto di mondo da autogestire”. Dichiara “Non sono essi gli schiavi più antichi?”

L’inaugurazione ufficiale della Casa degli Orfani che ospita non solo orfani, ma anche bambini con particolari difficoltà e in stato di semiabbandono avviene il 27 febbraio 1913.

Durante molti anni ho letto dozzine di libri interessanti sull’infanzia.” scrive Korczak . Ora leggo bambini interessanti. Leggo lo stesso bambino una volta, due volte, una terza volta, una decima volta e non so ancora tutto, perchè un bambino è un mondo intero grande e vasto che esiste da sempre ed esisterà sempre.”

Dopo l’invasione della Polonia da parte dei Nazisti viene invitato da amici  ripetutatemente a lasciare l’orfanotrofio situato nel ghetto. Korczak si rifiuta categoriacamente e seguirà fino alla fine i suoi 200  bambini nel campo di concentramento di Treblinka dove morirà con  loro.

 Una persona meravigliosa.

Un libro stupendo, non solo di pedagoglia, ma di grandissima umanità.

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VIAGGI E ALTRI VIAGGI, di Antonio Tabucchi

pubblicato da: admin - 26 Dicembre, 2010 @ 9:34 pm

 Credo che il titolo del libro che ci presenta Riccardo sia  una metafora adatta anche a chi fa della Lettura un lento passeggiare, un correre anelante,  un soffermarsi pieno di epifanie ed emozioni.

I Narratori – Feltrinelli 2010

253 piccole grandissime pagine

 

Acc … sempre di più “so di non sapere”!

Avevo visto il film “Sostiene Pereira” e mi ero fermato lì.

Avevo assistito alla trasmissione televisiva “Che tempo che fa” nella quale Tabucchi era stato intervistato da Fabio Fazio, e mi ero fermato lì.

Passeggiavo in libreria, mano nella mano con Maria Teresa, la quale mi indica questo libro … ne hanno parlato a Radio tre … mi dice … Lo acquisto, inizio a leggerlo, mi cattura …

Mi mancano ancora 20 pagine alla fine, ma devo scrivere qualcosa prima che le emozioni che suscita in me si appannino anche solo un poco.

Su internet leggo la biografia dell’Autore. Altro pugno nello stomaco: è nato nel 1943, cioè solo un anno prima di me, o poco meno, visto che io sono un acquario del 3 febbraio 1944. Ma quante cose in più ha vissuto, di quante cose in più si è “nutrito” e quante cose in più sta regalando agli altri! Cosa ho fatto io nel frattempo? Quanto mi sono perso? Ora che sono in pensione devo recuperare!

Talvolta i miei post sono un po’ lunghi, tanto è il desiderio di non disperdere nulla di ciò che la lettura mi ha donato. In questo caso, se mi lasciassi andare, dovrei a mia volta scrivere un libro! Perciò ho deciso di passare da un estremo all’altro e di sintetizzare, che poi è l’arte più difficile. Soprattutto confidando che quel “ti vedo e non ti vedo”, “ti lascio intuire ma non mi mostro del tutto” che spesso viene utilizzato per suscitare pruriginose curiosità in ben altri campi della “sensibilità” umana, sia di stimolo per chi, come me, colpevolmente non conosca questo Autore. Di stimolo a eleggerlo fra i pilastri della conoscenza, riservando ai suoi Libri un posto centralissimo negli scaffali della propria libreria, della propria mente e del proprio cuore.

Tuttavia il primo a sintetizzare è proprio Tabucchi: in capitoletti brevi egli concentra sentimenti, sensazioni, storia, letteratura, viaggi, arte, musica, poesia, umanità, introspezione esterna (nel senso che sprona la nostra stessa introspezione), filosofia, spiritualità, etc..

E certe “cose” le scrive lui, cioè sono sue; altre le cita, ma anche il conoscere e citare non è da tutti. Della musica: “Oh suonatrice d’arpa (e di pianoforte, per Stefania e Cristina, n.d.r.), potessi baciare il tuo gesto senza baciare le tue mani!” (citazione); “la vita è un ospedale dove ogni malato vorrebbe cambiare di letto” (citazione); “è sempre difficile stabilire se le cose che pensiamo hanno più influenza sulle cose che facciamo o viceversa” (questa è sua).

Chiudo assumendomi un piacevolissimo impegno: rileggerò il libro, soffermandomi ad approfondire capitoletto per capitoletto, facendo ricerche (in internet, in questo caso provvidenziale) su ogni sua citazione, ripromettendomi di visitare qualcuno fra i luoghi citati, almeno quelli più a portata di mano.

 

Riccardo

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LE POESIE, di Guido Gozzano

pubblicato da: admin - 25 Dicembre, 2010 @ 10:21 pm

 

Continuiamo anche oggi, Natale,  a rimanere nell’atmosfera di quiete serena  di abbandono al tepore dell’affetto?

Accarezziamo i  ricordi che ci avvolgono, sia quelli allegri che quelli malinconici, sapendo in cuor nostro che, come dice Miki, anche “il Dolore è vicinanza e quindi Amore “.

Giornate queste in cui si  “legge” la  nostra Vita con un altro sguardo  più attento e forse con il  rinnovato desiderio di  quello stupore di cui già il figlio di Cinzia  sente  la nostalgia.

 

Ho cercato fra le poesie sul Natale qualcuna leggera come la gioia.

E ho sentito improvvisamente  giungere  dal passato  quella che le Suore delle elementari mi fecero imparare a memoria. E’ di Guido Gozzano, il poeta crepuscolare di cui mi piacerebbe parlare ancora perchè la  signorina Felicita e  l’amica di nonna Speranza mi piacciono tanto…

Parole semplici in questa poesia natalizia, ma non è la semplicità la forma più diretta della Verità ?

 “Amai trite parole” diceva anche Saba. Sta a noi lettori arricchirle con le nostre emozioni  di oggi e  le nostre lontane suggestioni.

 

E’ nato! Alleluia!

di Guido Gozzano

 

 

E’ nato il sovrano bambino,

è nato! Alleluia, alleluia!

La notte che già fu sì buia

risplende di un astro divino.

Orsù, cornamuse, più gaie

suonate! Squillate, campane!

Venite, pastori e massaie,

o genti vicine e lontane!

Non sete, non molli tappeti,

ma come nei libri hanno detto

da quattromill’anni i profeti,

un poco di paglia ha per letto.

Da quattromill’anni s’attese

a quest’ora su tutte le ore.

E’ nato, è nato il Signore!

E’ nato nel nostro paese.

Risplende d’un astro divino

la notte che già fu sì buia.

E’ nato il Sovrano Bambino,

è nato! Alleluia, alleluia!

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CANTO DI NATALE, di Charles Dickens

pubblicato da: admin - 24 Dicembre, 2010 @ 10:42 pm

300px-Charles_Dickens-A_Christmas_Carol-Title_page-First_edition_1843[1]Poteva mancare oggi questa storia di ordinaria magia come A Christmas Carol di Dickens? 

Fare l’originale e distaccarmene? No, non è possibile. Il Natale iconografico occidentale si aggira, come un’entità colma di amore e di gioia, per le strade di città innevate, fredde ma luccicanti di simboli festosi. Ripenso a York visitata da me in estate, ma raffigurata in cartoline e quadri  tra un turbinio di larghi fiocchi di neve che ricoprono le medievali case a traliccio, piccoli negozi d’antiquariato e chissà…piccole fiammiferaie desiderose di entrare nell’alone del caldo buono di una casa piena di gioia.

Retorica?

 E il messaggio religioso?

 Dall’attenzione verso gli altri che in questo periodo si fa più tangibile  - la scelta di un piccolo o grande dono, gli auguri che nell’etere volano e si incrociano, il tenace desiderio di una “zona franca” del nostro cammino esistenziale in cui fermarsi e riagganciarsi al nostro Io bambino,  ai nostri ricordi, ai nostri cari - al messaggio insito nel voler stare più vicini e condividere.

Per le strade di York, Londra, Trento – e ovunque noi uomini riusciamo a staccarci dal nostro piccolo Io –  ci sentiamo avvolti nella coralità che suggerisce letizia, affetto, gioia, solidarietà.

Charles Dickens nel 1843 pubblica questo Canto di Natale e da allora ogni anno milioni e milioni di persone lo leggono.

Nella mia scuola media era abitudine leggerla insieme ad altre storie natalizie  agli alunni, divisi in gruppetti,  talvolta raccolti in angoli poco frequentati dell’edificio. 

 Ascoltavano , questi preadolescenti dai jeans a vita bassa, i capelli irti di gel, le ragazzine con il lipgloss e le unghie nere o violacee,  con diffidente ma concentrata attenzione  i preparativi  che tutta la città inglese  ottocentesca organizzava durante la vigilia di Natale quando le strade risuonavano di allegri saluti e gioiosi auguri, i bambini si preparavano per andare a cantare le Christmas Carols davanti alle porte delle case e  i negozi brillavano tra rami di agrifoglio e golose merci. Tutto in attesa della notte più magica dell’anno: quella in cui la nascita del divino Bambino avrebbe portato la speranza della redenzione degli uomini.

Ma l’arcigno Ebenezer Scrooge, l’uomo più avaro e indifferente agli altri si allontana senza sorrisi verso la sua solitaria casa.  Nonostante suo nipote, con il viso arrossato dal freddo  e dall’aspettativa della vigilia gli auguri  allegramente “Felice Natale, zio. Dio ti benedica“ .

Scrooge, seccato, risponde “Bah! Sciocchezze!”

E nella notte più magica dell’anno tutto può accadere. Nonostante Marley, il socio di Scrooge,  sia morto “come un chiodo infisso nella porta” ecco che  durante la notte  egli appare in veste di uno dei tre benevoli Spiriti del Natale.  Quello del Passato.

Scrooge torna quindi indietro nel tempo e rivede i giorni tristi della sua infanzia, ricorda gli errori commessi da giovane e un amore perso.

E dagli altri due Spiriti, quello del Natale Presente e quello del Futuro,  si renderà conto, allora, del vuoto e della solitudine della sua vita attuale scoprendo anche ciò che il futuro gli riserverà se non cambierà atteggiamento verso gli altri, se non aprirà il cuore a chi gli è vicino.

Sappiamo che  ci sarà una  veloce crescita morale del personaggio che lo renderà consapevole che la propria gioia può essere soltanto quella che può condividere con i propri simili.

Tiny Tim , il piccolissimo figlio del suo povero impiegato sarà poi  curato  proprio da Scrooge che per lui diventerà un secondo padre.

Eduardo Sanguineti definisce questo racconto una “fiaba costitutiva” nella quale la speranza di redenzione degli uomini è al di là delle barriere sociali, politiche e addirittura religiose e si materializza grazie al fantastico e al magico.

Vigilia di Natale, tempo di attesa e sospensione.

Fra poco usciremo per visitare il Presepe nella chiesetta accanto alle Crispi – un Presepe che ti fa entrare nella sua gaia solennità fra stelle e angeli che volano, pastorelli e ruscelli che scorrono, luci che accarezzano il Bambinello sorridente nella mangiatoia.  So, per esperienza, che rimarremo incantate ad ammirarlo nel suo silenzio e nel suo millenario messaggio d’amore. So che il custode, artefice di tale lavoro, guarderà i nostri sguardi per catturare la nostra immancabile emozione.

Poi in piazza Duomo, all’imbrunire, accanto alla Fontana del Nettuno aspetteremo le luci dell’ultimo giorno dell’Avvento: il Palazzo Pretorio sarà inondato di auguri, stelle e colori in un tripudio di bifore  e trifore circondate di luminosità e di attesa.

Lo Spirito di Natale per me è sempre lo stesso di quando bambina aspettavo un cavallo a dondolo accanto all’albero,  di quando  costruivo il Presepe con carta argentata e muschio,  delle Messe di mezzanotte e di quando tutti insieme festeggiavamo un momento di quiete, di promesse, di speranze, di sorrisi.

Conserviamo questa nostra capacità di sollevarci un po’ dalle contraddizioni e preoccupazioni  della realtà quotidiana, cerchiamo  di vivere, come i bambini, l’atmosfera della fiaba.

E il vostro Natale?

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INTERMEZZO AUGURALE

pubblicato da: admin - 23 Dicembre, 2010 @ 10:13 pm

 

  

  

Cari amici del Blog, Scrittori, Commentatori e Lettori, Buon Natale!

Questo è un Post Aperto, un Libro Bianco sul quale, attraverso i commenti, ognuno di Voi o meglio di Noi, potrà formulare un pensiero, un saluto, scrivere un piccolo racconto o una breve poesia sul Natale, quale augurio ed arricchimento per tutti noi, che poi, in tal modo rafforzati, più facilmente potremo riversare il nostro affetto sugli Altri.

Mirna

P.S.: anche per i gattini ci sia un Natale! In particolar modo sto pensando a Mimilla e a Dorian, il gattone di Riccardo

 

  

P.S.  Il post del giorno, per non dimenticare la “sfida, è “Eclisse” di Banville

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