DANIEL STEIN TRADUTTORE, di Ludmila Ulitskaya
pubblicato da: admin - 17 Gennaio, 2011 @ 8:25 pm
In questi due ultimi giorni del mio anno “unlibroalgiorno” desidero parlare di due libri particolari. Quello di oggi, da leggere assolutamente da tutti – io devo ancora finirlo – perchè è un’opera immensa, grande che tocca la nostra sensibilità più ferita, e un altro che darà un po’ la linea della continuazione del nostro Blog.
Oggi vi presento sommariamente le quasi 600 pagine di Ludmila Ulitskaya, nata nel 1943, nella regione degli Urali. Vincitrice di numerosi premi letterari viene vista dalla critica come la continuatrice della grande tradizione letteraria russa.
Mi sono appena addentrata in questo monumentale arazzo di voci, lettere, registrazioni, stralci di stampa, impressioni che  ricordano la figura di  Oswald Rufeisen, un ebreo polcco che riuscì a far fuggire 300 persone dal ghetto di Mir in Bielorussia. E che poi si convertì al cattolicesimo, diventerà frate carmelitano per poi trasferirsi in Israele dove ad Haifa fonderà una comunità cristiana ispirata alla primissima chiesa, “la chiesa di Giacomo”, e dove tenterà una sintesi  di ebraismo e cristianesimo.
Inviso aigli Ebrei e  ai Cristiani quest’uomo puro, coraggioso, che grazie alla sua conoscenza del tedesco e del polacco venne impiegato come traduttore dalla Gestapo – e proprio per questo riuscì a conoscere in anticipo le nefandezze naziste – è chiamato traduttore non solo per le sue competenze  linguistiche ma per la capacità di mettere in comunicazione gli uomini e le culture.
E’ un uomo “giusto” uno di quegli uomini che in qualsiasi cultura o luogo della terra ci danno il senso e la speranza nella vita.
Consiglio a tutti di cercare le recensioni e la biografia dell’autrice su Internet ( Riccardo ha ragione, occorre conoscere la storia di chi scrive per gustare appieno un libro).
Da parte mia posso solo dire che addentrarmi in questo mondo è arricchente e magnifico, non solo per la storia, ma per il modo in cui la Ulitskaya ce la presenta. Lavoro enorme il suo, quello di raccogliere testimonianze, interviste, diari, articoli di tante persone che si snodano nel tempo e nello spazio. Da Ewa Manoukian che vive a Boston negli anni Ottanta allo stesso Daniel (Oswald) che scrive dall’Italia o da Israele. E tantissimi altri personaggi con la loro storia che si intreccia alla  vicenda di quest’uomo  eccezionale.
Io ho sempre amato la letteratura ebraica per curiosità ed empatia;  credo che tutti ci siamo sentiti aggrediti dopo la inaudita ferita della Shoa. In fondo al cuore siamo rimasti un po’ ebrei.
Ricordo quando arrivai a Londra per trascorrervi un anno come ragazza alla pari presso una deliziosa famiglia di cui conoscevo ancora poco e venni prelevata alla stazione dal capofamiglia il quale un po’ titubante, mentre mi mostrava Hyde Park,  mi disse che lui e i suoi familiari  erano Jewish.
 Sul momento mi sembrava parlasse di succo di frutta, poi finalmente capii. Ne fui felicissima. Quante cose avrei imparato da vicino sulla vita degli Ebrei dopo la lettura di tutti i romanzi di Singer! Ed infatti fu così.
Per conoscere a fondo la vita e  gli altri, quanti libri dobbiamo leggere, quante persone dovremmo ascolatre, quanta attenzione vera dovremmo porre a tutto ciò che ci arriva tra le mani, sotto gli occhi, nel cuore.
IL VIAGGIATORE NOTTURNO, di Maurizio Maggiani
pubblicato da: admin - 16 Gennaio, 2011 @ 7:55 pmÂ
Oggi la parola a Riccardo che con entusiasmo trascinante ci presenta un libro letto da poco…e che alla fine ci fa anche  …delle proposte!Â
2005, I Narratori Feltrinelli
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Di Maggiani avevo già letto e “postato†“La regina disadorna†(luglio 2010). Leggetelo, vi suggerisco, respirate i profumi dello zafferano nei carrugi della vecchia Genova … Nel frattempo, cioè ora, dopo i Viaggi di Tabucchi, mi sono rimesso in viaggio …, sì, proprio con Maurizio.
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Ma è lui stesso lo specialista di migrazioni animali che siede sulla vetta di una collina rocciosa nel cuore del deserto sahariano per studiare il passaggio delle rondini?
E’ lui stesso che segue ed insegue gli orsi della Carnia o che vive le ultime tragiche fasi della guerra in Bosnia?
E’ lui stesso, l’Autore, che studia il mescolarsi dei sentimenti e della sensibilità di popoli così diversi fra loro?
Chi mai sarà , oggi, la reincarnazione di quell’antico principe, ucciso dai suoi stessi servi che egli stava incitando a rivendicare i propri diritti, laddove essi erano gelosi della “loro†rivoluzione sociale?
A cosa o a chi sta pensando l’Autore quando ci dice che l’unica cosa che non ha prezzo è la bellezza?
Anche noi abbiamo, come lui, un amico vero, una persona che, ascoltandoti, “impedisca che le tue parole vaghino nella notte senza che nessuno le ascolti�
Siamo d’accordo con lui che “non tutto ciò che esiste è reale, ma che è reale solo ciò che resta?â€
Opere, scritti, libri .. e che dire di quel popolo che “non ha lasciato niente perché non aveva niente … aveva solo libri …â€
La Bosnia, la guerra in Bosnia … io ho vissuto personalmente solo in piccola parte l’immediato dopo guerra … cataste di legname lungo i viali non più tali, viali spogliati degli alberi per scaldare le case … case con una parete in muratura e l’altra in cellophane … stufe alimentate con antichi mobili il noce, eredità di generazioni …
Comunicazioni inesistenti, fra popoli che sono stati condotti (da chi e perché, mi domando!) a non comunicare fra di loro …
Una lettera … il protagonista ne riceve una, una di quelle “anticheâ€, di una volta … cioè di carta. Oggi, con i nostri e-mail (rectius, p-el, posta elettronica) spesso nemmeno da stampare e con i nostri telefonini, abbiamo ucciso il piacere di accarezzare le notizie. Ma … “nella carta le parole di verità durano in eterno, nel telefono si dissolvono nell’aria , fatue come il nitrito di un cavalloâ€â€¦
L’amore mercenario con la berbera Jasmina, e l’amore quasi petrarchesco (o “ dantescoâ€, ma il termine “dantesco†rievoca in me l’inferno più che il Paradiso e quindi preferisco citare Laura piuttosto che Beatrice. E poi Laura è più umana. Cosa me ne faccio di una Beatrice, in Paradiso?), l’amore – dicevo – per una donna ideale, ferita dalla guerra, raccolta, curata, e idealmente amata …
Per fortuna che esistono i puntini … (questi qui: “…â€) che mi danno un grosso aiuto in questo mio scrivere …
Maggiani scrive “una storia orale che migra di bocca in bocca, come un racconto narrato intorno al fuoco†(questa, come testimoniano le virgolette (“â€) non è mia).
Infatti, pare di leggere questo libro di notte, sotto il cielo stellato del deserto è in una radura della Bosnia, alla luce del fuoco, sorseggiando un tè … quasi per cercare di raccogliere le forze necessarie a seppellire, l’indomani, 70 ragazzi dilaniati da una bomba razzo, lanciata così, sul finire della guerra, tanto per smaltire le ultime munizioni …, o per tranquillizzarsi, tanto quei banditi non si sono spinti sino a qui, e poi non aggrediscono i Tuareg, ma solo i turisti … vabbè, allora …
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Ma come si fa, dico io, a capire un libro ed un autore senza conoscere l’Autore? Solo oggi, alla tenera età di 67 anni, capisco appieno l’importanza di studiare la vita di ciascun autore, prima di leggerne le opere. Cari professori del Liceo Classico Andrea Doria di Genova, avevate ragione …
Maggiani, chi era costui? Direbbe quel tale Alessandro …
Ed allora una proposta per Mirna: d’ora in poi, possiamo cercare di integrare i nostri post con uno studio su ciascun Autore? Sulla sua vita, la sua formazione, la sua motivazione? Cioè, leggere e cercare di capire non più soprattutto il Libro, ma prima soprattutto l’Autore? Cerco di spiegarmi meglio. Invece che intitolare il post con il titolo del libro, intitolarlo con il nome dell’Autore e poi, di conseguenza, parlare di qualche sua opera. Lo so, sto scoprendo l’acqua calda, la mia sarebbe solo un’innovazione formale ma dietro vi è il tentativo di un neopensionato da una vita prigioniero delle SpA e della finanza, di un “neofita della cultura†di vivere più consapevolmente questa nuova meravigliosa fase della sua vita di neo nonno di Sara.
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Riccardo Lucatti
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IL CIRCOLO PICKWICK, di Charles Dickens
pubblicato da: admin - 15 Gennaio, 2011 @ 7:32 pm
Non è facile in questi ultimi giorni di sfida di “unlibroalgiorno” trovare nuovi spunti di lettura perchè sono troppo  piacevolmente presa da incontri, concerti, films. Paradossalmente leggo un po’ meno proprio perchè il tempo di scrivere di Lettura mi toglie dalla mia attività preferita. E come dice giustamente Camilla si dovrebbe parlare della nuova narrativa, dei nuovi scrittori, di idee fresche.
Ho già pronto un libro nuovo ed  interessante di una scritrice russa chepotrò leggere appena  avrò più tempo.
Ma stamattina  che gradevole incontro nel bar al primo piano - quello che sembra un po’ futurista, un po’ circolo privilegiato e che guarda la piazza anni’30 – nella gloria di “un quasi disteso mezzogiorno!”
La cornice:  piccoli gelsomini bianchi sul davanzale, le rose colorate che Riccardo ci ha offerto e quelle di Alì che come un affezionato segugio appare sempre dove c’è Camilla riempiendola di altre rose.Â
(Cara Miki, saresti dovuta essere anche tu con noi nel luminoso caffè trentino!)
Cito solamente per dovere  il libro di Charles Dickens conosciuto da tutti perchè mi è venuto alla mente mentre Camilla, Maria Teresa, Riccardo ed io  parlavamo sì di Lettura, ma soprattutto di ciò che essa significa e cioè di Viaggi nell’anima e di Vita che scorre intorno a noi.
Anche il signor Pickwick fa sempre un resoconto dei viaggi che compie con i suoi amici tracciando così una mappa dell’Inghilterra del suo tempo. Lui e i suoi soci sono un po’ scombinati , ma risultano attenti ed acuti osservatori degli altri e del mondo circostante. Del Club fanno parte poeti, sportivi, donnaioli, golosi, (poche donne in verità !), ma tutti con gli occhiali rosa del senso dell’umorismo.
Io ho sempre adorato i Circoli Letterari, Culturali, Club segreti che dir si voglia.
Da quindicenne (sono sempre stata un po’ “ritardata”, pensavo a giocare e non ai “morosi” come avrebbe tanto desiderato mia nonna Bianca) avevo creato un Circolo segreto chiamato appunto  Pickwick –  ma mi rifacevo più a quello di “Piccole Donne” . Ne facevano parte mio fratello minore e un ragazzino obeso e balbuziente, G.B., che si era preso una cotta per me. Io ero la più grande, quindi ero  la “capa”, il mio nome in codice  era Hirondelle, quello di G.B. che divenne poi - persa la balbuzie e la ciccia-  un ottimo e affascinante giornalista, era “Tiger”… Ci riunivamo nella soffitta e ci scambiavamo bigliettini con commenti sui libri letti o sulle raccolte di figurine.
Ebbene, stamani,  tra caffè e rose, baciati dal sole, noi quattro Lettori e amici ci siamo scambiati i nostri pensieri e i nostri sorrisi in un improvvisato Circolo di consonanze. Â
Dai libri agli astrolabi, da Banville a “Eva dorme”, dall’amicizia spontanea alle nostre “maschere e mascherine”, molti nostri pensieri,  in un tempo chiaro e ilare sono  stati scambiati con simpatia e attenzione.
L’attenzione, ha ribadito Camilla, è quel certo ingrediente cha fa lievitare un rapporto, lo fa diventare gustoso e speciale. Ma sono certa che di questo piccolo circolo mattutino improvvisato racconteranno qualcosa anche gli altri soci…
Io cerco di concludere la mia scommessa  e poi lascerò aperta – senza orari –  la “finestra-blog” per conoscere e condividere le  suggestioni e le emozioni che un Libro dona sempre.
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P.S. La foto ad hoc mi arriva da Enza.
BIGLIETTI DEL MATTINO, di Guido Piovene
pubblicato da: admin - 14 Gennaio, 2011 @ 9:01 pm
Nella nostra bella e fornita Biblioteca di Trento trovo un libretto particolare. Guardo di che cosa si tratta e mi interessa il fatto che ci siano articoli per il quotidiano “L’Ambrosiano” pubblicati negli anni ’30.Â
Ho letto poco e  nulla di Piovene, poi capisco perchè. Per ora sono intrigata dal fatto che questi commenti siano sotto forma di lettere indirizzate  a una immaginaria signora di Amburgo nelle quali Piovene dà notizie per lo più sarcastiche degli ambienti culturali milanesi, parla dei  libri letti, degli amici o dei circoli letterari frequentati come il caffè “Theobroma”.
Mi ricordo alcune sue foto prima della sua morte nel 1974:  un signore dalla faccia larga e dai baffi come portava mio padre. A me conosciuto soprattutto per il romanzo “Confessioni di una novizia” e per “Viaggio in Italia .
Purtoppo rammento che scrisse un libello antisemita che gli costò l’amicizia con Colorni.  Sebbene sembra che partecipò alle ultime fasi della  lotta partigiana, mi rimane un po’ di perplessità nei suoi riguardi. E’ il solito discorso: possiamo scindere  lo scrittore dalla persona? Ma nella mia Antologia non c’è nessun accenno alle sue simpatie politiche. E forse è giusto così. Occorre conoscere, criticare soltanto lo scrittore, l’artista?
Comunque questi “Biglietti del mattino” sono deliziosi e scritti in una prosa limpida e scorrevole.
Ce li presenta Enzo Bettiza che riconosce nel giovanissimo irriverente Piovene, fresco di intensi studi filosofici un enfant terrible . I suoi “mattinali di servizio” sono ironici, umorali, spesso maldicenti. Il suo innato talento lo fa sentire sicuro di sè, lo fa diventare briosamente supponente. Si sente in cattedra, appoggiato da “L’Ambrosiano” per cui si permette critiche velenose anche verso i grandi scrittori dell’inizio del Novecento.
La destinataria delle sue lettere è un’ipotetica Edwige Salomon alla quale si rivolge dapprima con reverenza per poi giungere ad una più intima conoscenza
“ Gentile Signora, le piacciono le poesie? Sebbene io non scriva versi che per ischerzo, ed abbia sempre il vago sospetto che le poesie nascano per un capriccio del tipografo, che si diverte a tagliar gli scritti a fettoline, onoro i versi e brevi e lunghi, e chiari ed oscuri, con lo stesso ossequio con cui Don Giovanni onora le donne di tutta la specie.”
E poi giù a criticare la poesia ermetica di Ungaretti ” E infatti, Edvige, apro ora l’ultimo numero dell’Italia Letteraria, ed in coda d’una poesia d’Ungaretti tutta ombra e veli e chiaroscuri leonardeschi, tra cui il povero critico suda a scorgere un corpo, leggo questa invocazione alla morte ” Della grandezza umana / Atleta senza sonno…/…Valeva la pena destreggiarsi fra tante raffinatissime ombre o, com’essi dicono, frasi “squisitamente allusive”, per poi concretandosi uscire al sole con una simile statua di gesso? No, no, Edvige: retorica vale retorica: e finchè retori saremo, vedremo sempre fra tante madreperlacee evanescenze e acquatili sfumature riflettersi l’ombra dell’Arco di Genova dell’architetto Piacentini…”
Ah, potenza della gioventù talentuosa e presuntuosa! Enfant terrible! A onor del vero poi Guido Piovene riconoscerà la grandezza di tanti artisti criticati negativamente in questi suoi “biglietti”.
Ma il Guido Piovene da leggere o rileggere è senz’altro quello de “Il viaggio in Italia“ che non è soltanto una raccolta di impressioni di viaggio, ma una sorta di itinerario spirituale tradotto in una limpidissima e ammirevole prosa.
Ricopio da “La parte più dolce del Veneto”
“Questa piccola parte della terra è per me veramente il grembo materno. Trascorrevo le notti su quel pezzo di strada negli anni in cui la solitudine era ancora un piacere. Il mio pensiero era la luna, splendente, rara come non l’ho più vista dopo; balzavo, volavo con essa; candida quand’era in alto; o verdastra, rossastra, quando tramontava sul piano. Mi pareva allora di avere sotto di me gli spazi eterei, un baratro vorticoso che mi trascinava seco di là dall’orizzonte con quella faccia rilucente. Era un farnetico lunare che mi ritorna come in sogno.”
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DONNA, MASCHERE E OMBRE, sempre sull'identità femminile
pubblicato da: admin - 13 Gennaio, 2011 @ 9:41 pm
Mi perdonino i miei pochi lettori maschi se rimango nel luogo della femminilità perchè ritengo questo luogo, rimasto per millenni in Ombra, il luogo delle più grandi battaglie. E soprattutto il Luogo della procreazione, sia in potenza che in atto.
Ieri sera ho terminato il libro del danese Grondhal, uno scrittore che si è calato nel labirinto tortuoso dell’animo femminile. Virginia Woolf prende ad esempio suo padre per  descrivere la differenza intellettuale tra uomo e donna. Se suo padre ragionava abilmente, da grande accademico, partendo dalla A e finendo alla Z, sua madre, vorticava a spirale toccando però molti  punti sconosciuti e inaspettati.
Il libro che si ricollega a quello di ieri è un testo d psicologia, della mia docente Jole Baldaro Verde. Parla della “ontogenesi dell’identità femminile“. Ricordo ancora quando sostenni a Genova, in via Balbi, questo esame. (Come forse ricorderete io mi sono laureata da “grande” appena superati i quaranta.)
“Donna, maschere e ombre” e il “Manuale di Psicologia generale” mi avevano avvinto. Ero preparatissima. Ma avevo appena perso mia madre, da pochi mesi. Ero distrutta. Per il giorno dell’esame avevo indossato una sua maglietta bianca a pois neri, la sua preferita.  Ero sconvolta e orfana.  Parlare di relazioni familiari, di linee femminili, di fasi orali, edipiche, ecc. mi agitò. Non riuscivo ad esprimermi con chiarezza tanto il mio dolore si intrecciava con ciò che avevo assimilato. Il nucleo centrale del testo era “la nostra identità femminle ci è data dalla madre.”
Iole Baldaro Verde che a quel tempo aveva l’età di mia madre quando morì, circa 63 anni, era una bella signora morbida, vestita di turchese e con dei grandi orecchini in tinta. Ricordo che pensai che a Genova ci si dovesse vestire così,  con i colori del mare.
Parlai, parlai in modo confuso, volevo dire tutto dell’esame e tutto di mia madre.  L’assistente propose un voto basso, ma lei lo guardò severa: “ No, si merita  un 29”
Donne. Madri. Procreatrici non solo di figli ma di progetti di vita.
“Gli uomini devono avere sempre invidiato la capacità procreativa della donna; nel mito più arcaico la creatrice dell’Universo era la Grande Madre. Gli uomini, appena è stato possibile, hanno messo un dio al posto di una dea, e come se non bastasse hanno reso “madre” Zeus facendo nascere Atena, adulta e armata dalla sua testa.”
Ora anche le donne si sono appropriate dell’umano ingegno per cui la creatività culturale, un libro, un progetto di vita, è un figlio che nasce dalla testa..
“Purtroppo questo sganciamento dalla biologia penso sia il moderno peccato di Eva.” conclude la Baldaro Verde nella introduzione.
E proprio stamattina nel delizioso incontro con due care amiche ho ricevuto in prestito il libro “Eva dorme” e si è parlato delle nostre “maschere”. Tutti ci mascheriamo, Pirandello ce lo ha ribadito bene, ma chi lo fa di  più, chi meno. Chi si maschera di più?
Uomini? Donne?
“Userò il termine maschera per designare il vestito che, una volta indossato, costringerà l’individuo a mettere in atto comportamenti a ruoli definiti….La donna, assai più dell’uomo, è stata ed è ancora costretta dalla cultura in cui vive a recitare rigidamente il ruolo che le viene assegnato, soprattutto quello di madre, signora della vita, dispensatrice di sicurezza.”
Argomento intrigante, come  possiamo entrare in “contatto” con gli altri se indossiamo maschere? Tutto dipende dalla loro pesantezza. Se la maschera è leggera e ridente come forse quella di Arlecchino si potrà stare bene iniseme, se la maschera è di ghisa o troppo ornata di sovrastrutture non si aprirà il “canale privilegiato” della comunicazione.  Credo che il giusto equilibrio stia nella sincerità  verso gli altri, ma soprattutto verso noi stessi accettandoci come siamo, non per forza primi della classe, ma  con le nostre luci e le nostre  ombre.
Il bellissimo libro della Baldaro Verde analizza tutte le età della vita di una donna per arrivare alla mezza età , l’età della saggezza. Ma la stiamo veramente raggiungendo? A me piacerebbe. Vorrei che la stagione della saggezza fosse un tempo quieto, di olimpica serenità  alla Goethe, senza turbamenti…ma non sempre è così.
Scrive sempre Grondahl “Non c’è saggezza nel diventare vecchi, ma c’è l’autorevolezza dell’irreparabilità “.
Allora mi ricordo una frase della Yourcenar quando vecchia, molto vecchia si rese conto di quanta inutile sofferenza fosse stato il tumulto di certi periodi della sua vita,  dato che poi si giunge allo stesso punto di distacco.
QUATTRO GIORNI DI MARZO, e un universo femminile
pubblicato da: admin - 12 Gennaio, 2011 @ 8:43 pm
Scelgo di getto questo romanzo. Capisco che si tratta di una storia di donne, d’amore, di madri, di figli. Un mondo femminile messo a nudo. Uno dei miei generi preferiti.
Poi scopro che è stato scritto da un uomo: Jens Christian Grondahl, un danese nato nel 1959. Riuscirà ad entrare nelle pieghe dell’animo femminile?
Direi di sì. La lettura è avvincente, l’analisi che Grondhal fa di una “malsana” linea femminile è profonda e acuta. E’ il ruolo materno che marchia a fuoco, segnandone gli avvenimenti, le tre donne della stessa famiglia.
C’è Ada la “dominatrice” matriarca, scrittrice di una breve stagione di successi letterari, che vive aggrappata al ricordo di un tè bevuto con Karen Blixen, e  che è stata madre arida e lontana di Berthe, fragile e impacciata madre di Ingrid, la protagonista.
E’ seguendo quattro giorni intensi e decisivi di Ingrid - bella quarantottenne architetto,  divorziata, con un figlio adolescente, un amante – che anche noi Lettori ci chiederemo quali sono i punti centrali di una vita? E che cosa intendiamo per “punti centrali”?
La risposta ovvia ( o giusta?) per molte donne  è  il matrimonio, la maternità . Oppure?
Ingrid in questo pellegrinaggio a ritroso nella sua vita ritiene siano quelli dell’infanzia alcuni punti centrali  anche se riconosce come momenti topici, fondamentali la nascita di suo figlio Jonas “Finalmente l’amore si era manifestato come qualcosa di diverso dal desiderio, e c’era un vuoto nello stomaco, una gravità tranquilla e fiduciosa nel dover far nascere quel bambino e averlo voluto lei stessa.”
 E l’incontro con Frank, il suo amante per il quale otto anni prima ha abbandonato marito e figlio.
E’ con Frank, l’uomo più vecchio di lei di molti anni che lei sente di essere veramente se stessa. Solo nel suo sguardo riesce ad ancorare il suo. Riescono a guardarsi veramente nel profondo. “Vedere l’altro che vede chi e che cosa siamo.”
Ingrid giovedì si trova lontano da Copenhagen per lavoro quando riceve una telefonata dall’ex suocero che l’avvisa che il figlio è stato sorpreso dalla polizia  a picchiare insieme ad altri un ragazzo straniero. Â
 Parte immediatamente perdendo il prezioso orecchino di perle, primo regalo di Frank. (Un segno del destino?)
Il viaggio notturno diventa una feroce introspezione della sua vita, dei suoi errori, delle sue scelte. Soprattutto del suo senso di colpa verso Jonas “abbandonato” per una sua esigenza di onestà .
 Ma è quasi una “coazione a ripetere” essere una “cattiva” madre come Berthe, come Ada. “Pensa alle donne di famiglia. Lo schema che a ogni costo aveva cercato di evitare, spezzare, dal quale ha sempre voluto liberarsi. Poteva fuggire in capo al mondo, sarebbe rimasta la figlia di qualcuno.”
Perchè si è innamorata di Frank? Per la ricerca di quel padre lontano, freddo e  che ad un certo punto lei inizierà a chiamare per nome e cognome, Norman Dreyer, e non più papà ?
Negli altri tre giorni di marzo tutto di allinea e si sfalda…ma non so come finirà . Anche l’amore con Frank è a una svolta.
Mi mancano settanta pagine che mi gusterò stasera a letto, ma non riesco a prevedere se la fine sarà tragica, serena o ineluttabile.
So che Ingrid Dreyer diventerà un altro personaggio familiare del mio mondo letterario.
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LA VITA COMINCIA A MEZZANOTTE, di M.L.Linares
pubblicato da: admin - 11 Gennaio, 2011 @ 8:20 pm
 Scommetto che nessuna di voi conosce Maria Luisa Linares, scrittrice spagnola, famosa per le sue storie romantiche pubblicate dagli anni’40 agli anni ’70. Io possiedo due suoi libretti, praticamente a pezzi, tanto che credo che una parte di pagine sia qui ed un’altra parte a Borzonasca.
Le sue storie che si possono definire “rosa” perchè parlano d’amore e di avventura - ma senza alcuna connotazione erotica perchè al tempo proibita dalla censura - hanno un quid delizioso, quello dell’umorismo. Ed ancora la descrizione lieta e vivace della vita delle grandi città spagnole: Siviglia, Granada e soprattutto Madrid.
Credo di essere rimasta molto influenzata dalle sue storie tanto che quando mi trovai ad Haro, nella Rioja, ospite per un mese di un’amica conosciuta a Londra, tanto feci e insistetti che la convinsi  ad andare a Madrid. Rigorosamente in autostop.
Avevo in mente le avventure di Silvia Heredia, la protagonista de La vida empiesa a medianoche. Vittima di equivoci esilaranti per cui viene creduta una cacciatrice di dote, la giovane si ritrova nella Madrid notturna tra ristoranti, bar e teatri, a vivere avvenimenti inaspettati e divertenti – tutto in una notte –  ma con un finale romantico. I personaggi sono caratterizzati pienamente e l’allegria contagiosa di Madrid e degli spagnoli è descritta in modo ammaliante.
LA BALLATA DEL VECCHIO MARINAIO di Coleridge
pubblicato da: admin - 10 Gennaio, 2011 @ 9:55 pm
Dopo aver letto  delle ossessioni di capitan Achab raccontateci da Melville in Moby Dick - questo simbolo del Fato contro il quale l’Uomo vuole combattere caparbiamente - occorre ricordare ancora un’altra sublime opera sul rapporto Uomo- Mare. O meglio Uomo-Natura.
 Questa volta si tratta di una Ballata di Samuel Taylor Coleridge.
The Rime of the Ancient Mariner appare nelle Lyrical ballads nel 1816, ma poi Coleridge lo rivede per eliminare l’ortografia rozzamente antiquata e per apportarvi dei miglioramenti.
Si tratta di un incantato componimento di avventure simboliche narrate da un antico marinaio che sembra un Caino o un Ebreo errante, secondo alcuni critici. Il marinaio si rivolge a un invitato a nozze e gli impedisce di recarsi alla festa, raccontandogli questa storia arcana ed avvincente.
Stanno salpando verso il  mare aperto, una nave lascia il porto “gaiamente” “sotto la punta del faro” “Below the lighthouse top“.
Ma improvvisamente gli avvenimenti si fanno strani: sorge una bufera a raffiche che inclina gli alberi, sommerge la prua. Cade pioggia mista a neve e ad un tratto “crebbe un portentoso gelo: e ghiaccio a altezza d’albero venne galleggiando, verde come smeraldo” “As green as emerald”.
In questa atmosfera fredda e gelata, dove il ghiaccio è triste e bello, respinto e desiderato appare l’Albatro, uccello di buon augurio che segue la nave.
Albatro, natura amica, creatura di Dio.
Ma che fa il vecchio marinaio? Con un gesto gratuito uccide l’albatro con la balestra. L’uccisione inutile dell’uccello rappresenta dunque la Crisi. La violenza gratuita vìola una profonda santità naturale.
“God save thee, ancient Mariner!”
Ma la maledizione arriva repentina. E le descrizioni che Coleridge fa di ciò che avviene rimane per sempre nell’immaginario del lettore.
Cade il vento, “giorno via giorno, giorno via giorno, restammo lì senz’alito nè moto, / immobile la nave come dipinta nave / su un oceano dipinto:”
Che sensazione di angoscia, di prigionia, di  impotenza terrificante.
“Acqua acqua ovunque -eppure non una goccia da bere“
“Il mare stesso imputridiva …sì, limacciosi oggetti con le zampe strisciavano / sul limaccioso mare“
Queste immagini, mentre studiavo questa Ballata per un esame di Letteratura inglese ,mi pietrificavano, ancor oggi se vedo il mare piatto, foschioso, sento giungere alla mente le immagini della vita che sembra fermarsi in modo malevolo.
Non solo la Natura, ma anche i compagni, morti di sete e di paura lanciano maledizioni al vecchio marinaio.
Infine appre una vela. La salvezza?
No, orrore dopo orrore. E’ una nave fantasma, il cui equipaggio consiste soltanto della “donna -spettro” e del suo compagno Morte che giocano ai dadi l’equipaggio.
Soltanto il vecchio marinaio sopravvive, solo, disperato, per sette giorni e sette notti finchè la luna sale nel cielo stellato  e una luce di calma pietosa illumina la nave.
Dalla sua solitudine e prigionia finalmente egli riesce a pregare, e l’albatro, che gli era stato appeso al collo come una croce, si stacca e cade “come piombo nel mare“
La maledizione per il momento è sollevata in seguito al riconoscimento della bellezza del cielo notturno pieno di stelle e persino dei serpenti d’acqua che circondano la nave. Il marinaio ha riconosciuto il “principio unitario della creazione” e così ha rimediato all’uccisione dell’albatro.
Riprende a piovere, gli spiriri dei marinai morti lo aiutano a ritrovare la rotta.
La maledizone non è cancellata  completamente per il marinaio che dovrà a viaggiare di terra in terra, narrare la sua storia e indicarne la morale.
Versi di quasi duecento anni fa, vividi, visionari, ma avvincenti tanto da essere incancellabili per il Lettore.
“La ballata del vecchio marinaio” è uno dei capolavori della letteratura romantica e come suggerisce Ginevra Bompiani, curatrice della stupenda traduzione di Mario Luzi “la ballata è la storia di una vocazione poetica: il marinaio sperimenta la morte nel corpo dei marinai, nel corpo della nave e del proprio; la sperimenta nelle membra, nell’anima e nello spirito; e tuttavia rimane vivo, perchè come ogni vero poeta è destinato ad attraversare la morte da vivo.”
Ah, poesia, lettura, immaginazione! Che compagni stupendi della nostra Vita!
Moby Dick o la balena, di Herman Melville
pubblicato da: admin - 9 Gennaio, 2011 @ 9:04 pm
 E per rimanere in ambito marittimo non poteva mancare un libro sul mare presentatoci dal nostro  marinaio Riccardo. Egli ci dice che parlerà soltanto della prima parte, ma credo sia più che sufficiente per invogliarci a leggere o rileggere questo capolavoro di Melville in cui la balena bianca rappresenta nel nostro immaginario l’odio per la paura o forse per la nostra debole umanità ? Quasi una biblica sfida alla divinità , una sorta di Hybris?  Per cui anche questo capolavoro ci offre tanto tanto da scoprire e da riflettere.Â
  Ed. Gli Adelphi
Traduzione di Cesare Pavese
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Ed io che lo credevo un libro per ragazzi …
Lo confesso. Tanti anni fa ne avevo letto un estratto ed avevo visto il film. Era il 1956, avevo dodici anni e il capitano Achab era Gregory Peck. Oggi, sollecitato dalla curiosità degli accenni degli amici del blog sto leggendo il “libro veroâ€. Ho iniziato l’impresa senza avere la matita in mano. Dopo poche pagine me ne sono procurata una. Giunto a pagina 241, ho deciso di fare un pit stop e di riflettere su questa prima metà circa dell’opera.
Il racconto è come una sinfonia. Sulla melodia di base (o almeno quella che credevi sarebbe stata tale e cioè la caccia alla balena, anzi, ad una balena) si inseriscono altre scritture musicali, alcune parallele, altre trasversali, alcune che precedono ed altre che seguono il tema di base. La vita di un marinaio baleniere, piccole perle di saggezza, riflessioni introspettive, pezzi di teatro stile Shakespeare, tentativi di analisi scientifiche, elementi di marineria e di navigazione a vela, solo per citarne alcuni. So che anche Stefania, bravissima musicista, sta leggendo questo stesso libro. La vorrei invitare a tradurre in termini più corretti questa mia sensazione “musicale†che mi ricorda un po’ la tridimensionalità di “Fantasia†di Walt Disney …
La mia preparazione di base sulla materia specifica (caccia alle balene) è scarna. Potrei citare il libro di Joshua Slocum, “Solo intorno al mondoâ€, primo circumnavigatore a vela in solitario dl globo. Nato esattamente 100 anni prima di me e cioè il 3 febbraio 1844 e morto non si sa quando, visto che dopo aver salpato le ancore per l’ennesima (ultima, ma lui non lo sapeva) volta, non se ne seppe più nulla. Il particolare che cito di lui è che affermava che “fiocinare dalla barca certi squali procurava lo stesso piacere che ammazzare un leoneâ€. Mi domando: perché fiocinare gli squali? Ed anche i leoni …
Una sera poi ero a bordo di una barca a vela di 14 metri che in assenza di vento procedeva lentamente, a motore, verso sud, al tramonto, in vista di Capo Corso. Io ero mollemente appoggiato all’albero, ed avevo in mano, quasi per una dimenticanza, la cinepresa. Improvvisamente un’enorme balena traversò pacificamente la nostra rotta 20 metri oltre la nostra prua. Riuscii a filmare la scena. Mi domandai e mi domando: cosa sarebbe successo se noi si fosse stati 20 metri più avanti?
Uccidere le balene … almeno 150 anni fa lo facevano con arpioni lanciati a mano da scialuppe a remi, non come oggi, con arpioni scagliati da cannoni posti a prua di moderne baleniere diesel …
Ma forse la contrapposizione Achab-Moby Dick è solo figurativa, voluta da chi, per vivere, deve crearsi un nemico, anche se non c’è. Quale vuoto infatti ai nostri giorni tanto per fare un esempio, ha lasciato la caduta del muro di Berlino! Ed ora, con chi ce la pigliamo? Con i “comunisti� Con la magistratura? Con i Paesi emergenti?
Il marinaio baleniere Melville – che strano cognome, francese? Ma il nome Herman sembra tedesco … eppure si imbarca a Liverpool … ma allora era inglese? – dicevo, il baleniere Melville ha una morale, e nemmeno mica male:
“Su questa terra il peccato che paga può andare in ogni luogo e senza passaporti, mentre la Virtù, se è povera, viene fermata a tutte le frontiereâ€.
“Gioia a colui che nella verità non dà quartiere … e distrugge ogni peccato, anche se tratto di sotto le toghe di Senatori e di Giudiciâ€. Come è attuale, non vi pare?
“L’anima non si nascondeâ€.
“Aveva l’aspetto di chi non aveva mai strisciato dinanzi a nessuno e mai avuto un creditoreâ€.
Il nostro marinaio ha anche una fede: “Adorazione è fare la volontà di Dio, cioè fare al prossimo ciò che vorresti fosse fatto a teâ€.
E poi “Al mondo non c’è qualità se non c’è contrasto. Nulla esiste in se stesso. Il caldo esiste perché esiste il freddoâ€. Ma allora io, mi chiedo: anche l’odio di Achab verso la balena esiste in quanto c’è chi ama le balene …
Ancòra: “Oh ambizione giovanile, stai attenta, qualsiasi grandezza mortale è solo malattia: tutti gli uomini tragicamente grandi sono tali attraverso qualcosa di morbosoâ€. Qui mi pare proprio attuale, politicamente attuale, intendo io (e voi?)
E poi si interrompe, manzonianamente, e ti racconta la vita di un selvaggio diventato fiocinatore.
Riprendendo il discorso “Un uomo totalmente privo di paura è un compagno molto più pericoloso di un vigliaccoâ€. E qui mi tornano alla mente i miei tanti compagni di scalate giovanili …
“E’ cosa dolorosissima e ripugnante metter in luce il crollo del valore di un’animaâ€.
“La dignità dell’Uomo si mantiene intatta anche quando sembrai perduto ogni carattere esternoâ€.
“ Di fronte a quel negro, un uomo bianco pareva una bandiera bianca venuta a chiedere una tregua ad una fortezzaâ€.
“Ogni cosa umana creduta completa deve per questa stessa ragione essere certo difettosaâ€.
“Qualunque sia la superiorità intellettuale di un uomo, essa non può mai assumere una supremazia sugli altrui senza l’aiuto di qualche artificio basso o meschinoâ€.
“Chi ha offerto un pranzo ad amici ha assaporato cosa significhi sentirsi Cesareâ€.
“Ciò che si dice nell’ardore, si disdice da séâ€.
Quando poi viene a parlare della “testa d’albero†cioè della sommità degli alberi dei velieri, Melville supera se stesso. Le prime “teste d’albero†infatti per lui sono state la Torre di babele, le piramidi d’Egitto, le colonne degli stiliti, le posizioni occupate da personaggi che stanno in alto, molto in alto, i moderni abitatori delle teste d’albero, uomini di ferro o di pietra che mai risponderanno ad un richiamo dal basso: non vi sembra qui che Melville stia descrivendo una certa nostra classe politica?
E il capitano Achab, che impiega ben 191 pagine prima di entrare in scena: “Le onde invidiose si gonfiano ai lati per sommergere la mia traccia: facciano pure., ma prima io passoâ€. Il monologo di Achab è un po’ come quello di Amleto: essere o non essere, o come quello di Fazio e Saviano; restare o andare via …
L’immortalità … della balena o di Achab? “L’immortalità è soltanto l’ubiquità nel tempoâ€.
“Tra i Romani una pietra bianca segnava un giorno feliceâ€. Albo signanda lapillo, giornata così bella (e rara) da contrassegnarsi con un lapillo bianco (raro, in quanto normalmente è nero. Ma non era un semplice marinaio Melville?
Stante le morti che la caccia alla balena procurava fra i marinai, Melville ci invita a risparmiare l’olio delle lampade che se ne ricava, se non altro per rispetto di quelle morti. E che dire dei nostri giorni … quanti minatori devono morire prima che noi ci decidiamo ad usare con parsimonia le risorse che essi producono?
Ecco, sono arrivato a pagina 241 del libro. Ho scritto, almeno così non mi dimentico i passaggi e le considerazioni che volevo sottoporvi..
Nel frattempo … averne … di marinai come Melville!
Riccardo Lucatti
LE ONDE, e il ritmo del mare
pubblicato da: admin - 8 Gennaio, 2011 @ 8:13 pm
Penso all’acqua e al suo fluire. La nominiamo spesso parlando di libri e della nostra vita. Anche Virginia Woolf ha intessuto un romanzo intorno al mare portandoci a St. Ives, luogo delle vacanze dell’infanzia e paesaggio introiettato nella sua poetica da cui partire per raggiungere il faro, in cui fermarsi per sentire il rumore del mare che fugge e ritorna in modo ritmico.
Anche la vita è  come l’acqua che scorre, ma non è sempre uguale. Tutto è mutevole: il fluido e il  solido, basta soltanto un cambiamento della luce dei vari momenti del giorno per ritrovarci in mille attimi e percezioni diversi. Come nelle diverse cattedrali di Rouen dipinte da Monet.
E’ poesia in prosa questo romanzo del 1931, quasi un contrappunto per sei voci soliste, Bernard, Rhoda, Jinny, Susan, Neville, Louis che inquisiscono, parlano tra sè sulla vita, la passione, la morte. Gli elementi ispiratori furono i suoi amici: da Ethel, Vita Duncan a sua sorella Vanessa che le fecero vivere un’estate agitata durante la quale ebbe anche un malore fortissimo, un “breve incontro con la morte” come lo definisce lei.
Vuole dunque terminare The Waves per riepilogare “la nostra situazione. Una mappa del mondo.” Riesce a lavorare in modo regolare. Pur passando un momento di disistima come scrittrice scrive nel suo diario “sono sempre più soddisfatta della libertà di movimento, dell’autonomia, della possibilità di mangiare la mia cena a qualsiasi tavolo dopo averla preparata. Questo ritmo (dico che sto scrivendo The Waves secondo un ritmo, non secondo un intreccio) è in armonia con quello dei pittori. Tranquillità , trascuratezza, felicità sono quindi tutte assicurate.”
Il romanzo è diviso in nove parti, nove soliloqui tra cui l’ultimo, quello di Bernard sembra compendiare tutte le altre voci. Nonostante Virginia nel suo diario abbia accennato a un ritmo tranquillo di lavoro nella stesura di questo lavoro appaiono a fasi alterne i dubbi, la fatica, la febbre, lo sconforto. La coinvolge particolarmente il soliloquio di Bernard che vuole “svolgere in modo da spezzare la prosa, scavarla in profondità , farla muovere -sì, lo giuro – come non si è mai mossa finora; dalla risatina, dal balbettio, alla rapsodia…”
Che emozione leggere i pensieri della creatrice-scrittrice  che come creta prende tra le sue “mani” le parole e i sentimenti e ci dona un capolavoro!
E il momento creativo è sempre sofferenza per l’artista, ma attraverso illuminazioni, squarci, catarsi essa  riesce alfine ad esprimere la propria esaltante ed appassionante intuizione.
Sembrano qui confluire tutti i motivi della sua poetica: la lettura, frantumata in ritorni tematici, il paesaggio amato nella sua mutabilità fissa attraverso l’eterno risorgere del sole che determina variazioni gioiose e dolorose di intermittenza tra luce ed ombra; e soprattutto la “condanna” dell’ascolto delle sue “voci” interiori che la torturano nel profondo ma che a noi ci giungono ricche e poliedriche con echi femminuili, maschili , di poesia  e di follia.
E la sua luce, le sue illuminazioni che sgorgano dall’ombra, sono momenti intensi in cui, insieme a lei, anche noi Lettori riusciamo sia a scorgere l’essenza della vita  sia ad abbracciare con la sua parola l’estensione lirica dell’essere: Il “momento d’essere”. Moments of being.
Mare, onde, ritmo.
Anche noi siamo Onde che nasciamo e torniamo nell’indistinto Mare. Nostro padre, come scrive Montale parlando di Esterina? Nostra madre perchè ci dà la vita? Nostro Tutto?
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