DA QUALCHE PARTE VERSO LA FINE di Diana Athill

pubblicato da: admin - 1 Aprile, 2011 @ 4:26 pm

Dopo la divertente e amara lettura del libro “Questa casa non è un ospizio”  dove si parla di estrema vecchiaia sono stata spinta a leggere ancora qualcosa a proposito. Il tempo fugge velocemente ed in alcuni momenti giunge la prospettiva del nostro futuro. Timori? Panico? Serena accettazione? Giorno per giorno ci siamo costruiti ed ancora “i lavori sono in corso”. Ben vengano perciò racconti di esperienze autobiografiche.

E Diana Athill, classe 1917, ci offre  con garbo deciso e senza troppa retorica sulla bellezza della vecchiaia, sede di saggezza e illuminazione, questo libretto autobiografico premiato nel 2009.

Trovo le sue pagine quasi un “manuale” pieno di spunti e riflessioni obiettive. Diana Athill lo scrive a 89 anni iniziando con realismo sorridente  a dire che sarebbe inutile prendere dei cagnolini che senz’altro le sopravvivrebbero o l’amata felce arborea che forse non riuscirà  a veder crescere. Non ha preso i cani, ma ha deciso ugualmente di piantare una felce arborea e nel post scriptum  sappiamo che essa ha già  nove fronde di trenta centimetri l’una.

 “Avevo ragione quando dicevo che non la vedrò mai diventare una pianta di grandi dimensioni, ma non credevo che avrei provato tanta gioia nell’osservarla per quello che è ora, una semplice felce. E’ valsa la pena comprarla.”

Ecco gran parte della sua filosofia, del suo affrontare e godere giorno dopo giorno il dono della vita. Prende ad esempio da Jean Rhis che evitava il pensiero della vecchiaia  per non entrare nel panico e che teneva una scorta di sonniferi come eventuale kit del suicidio…ma che non usa.

“Altrettanto esemplare è stato Elias Canetti il cui sprezzo per la morte era più assurdo dello sgomento di Jean.” Ne parla con l’ amante del grande scittore ,  Marie Louise Motesizky, leggiadra ottantenne che dipinge meravigliosamente la quale dice che il diprezzo di Canetti verso la morte l’aveva quasi convinta che forse lui sarebbe riuscito a non morire!

Poi Diana Athill ci parla di lei, della sua gratitudine di discendere da una famiglia longeva e sana e dalla”morte veloce”,  analizza i suoi anni passati e presenti con la lucidità  di un chirurgo. Sembra sezionare con  il bisturi ogni aspetto o passaggio della sua vita. Come una scienziata parla della sua vita sessuale e quando  essa è¨ finita spiegando che è¨ inutuile sentirsi frustrati per  qualcosa che ormai non si desidera più.

Accettare la vita nella sua crudezza e mistero. E Diana lo fa con consapevolezza, buon senso inglese ed elasticità  mentale per cui ci suggerisce, suo malgrado, di  rivolgersi a progetti che si possono realizzare mentre è¨ più saggio lasciar perdere ciò che non si riesce più¹ a fare.

Ha lavorato nel mondo dell’editoria ed è¨ andata in pensione a 75 anni. Ma il vuoto non è¨ mai “entrato” in lei. Eppure è¨ una donna senza fede, non è¨ mai stata sposata, non ha figli, ma nuove passioni le riempiono la vita. La scrittura autobiografica, anche come “sistemazione di s訔, autocoscienza ¨ una grande risorsa, le nascono  nuovi gusti letterari, ora meno romanzi, ma più¹ saggi, anche la rilettura dei libri preferiti, ed ancora  un po’ di giardinaggio, ceramica…da non dimenticare ovviamente buone ed affettuose relazioni sociali.

E’ anche una persona sensibile e calda.

Insomma la Athill  sembra dirci che occorre sa combattere contro il soma che invecchia , cambiare gusti, attività  , …darsi anche un po’ meno rossetto (verso i novanta forse)…ma è¨ anche e soprattutto sentirsi liberi di essere solo se stessi “Da giovani molto di ciò che si è¨ dipende da come ci vedono gli altri, e spesso si continua così¬ fino alla mezza età.” Ora finalmente si può² vivere più¹ liberamente e sinceramente.

La sua invidiabile sicurezza è¨ genetica o è¨ maturata con l’età?  A me è¨ simpatica e mi ha fatto sentire “giovanissima”ed ancora piena di progetti, grandi e piccoli.

Tutti ne abbiamo, non è¨ vero?

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IL CASO MAURIZIUS, di Jakob Wasserman

pubblicato da: admin - 30 Marzo, 2011 @ 8:44 am

cop[1]Fazi Editore, 2001

 Un libro scelto e commentato da un uomo, il nostro Riccardo. Interessante la linea dei colori che sottolineano questa lettura.

 

Wassermann. scrittore tedesco vissuto a cavallo dell’800 e del 900. Ho acquistato il libro pensando fosse un giallo.

 In realtà è anche un giallo, ma i colori prevalenti sono altri. Il rosa sfumato di un racconto d’amore che, se estrapolato, potrebbe essere quasi un romanzo rosa appunto ma che – non abbiate paura – non inquina gli altri colori. Il rosso della passione giovanile per la verità di un ragazzo che la ricerca a qualunque costo; il nero dell’autoritarismo del nobile Procuratore Generale tedesco, padre del “protagonista di fatto”; il grigio di una pretesa “eminenza grigia” a metà fra il politico, il filosofo, il faccendiere, l’amatore, una sorta di Sgarbi ante litteram; il vuoto di colore delle prigioni tedesche dell’epoca … il verde della speranza di un padre che crede nell’innocenza del figlio … Molta introspezione, forse troppa per un lettore come me, avido di sapere “come va a finire”. Per certi aspetti “manzoniana” nel senso che i protagonisti, sia pure titolari di nomi difficili da ricordare, li ricordate benissimo, pagina dopo pagina, per via di come sono analizzati dall’interno.

 Romanzo d’introspezione, dunque, soprattutto maschile (si, maschile, una volta tanto, in questo blog soprattutto al femminile!), introspezione profonda, cruda ma vera. Sono 500 pagine da leggere “a piccole dosi”. Scrive Henry Miller: “Ho meditato sul caso Maurizius più che su qualsiasi altro libro … La giustizia, separata dall’amore, diviene vendetta: Wassermann sviluppa il tema fino ad un livello da dargli la grandiosità di una tragedia greca”. Altri scrive:”Romanzo giallo e di formazione, romanzo filosofico e romanzo d’amore, Il caso Maurizius rappresenta una delle più appassionate denunce dell’ingiustizia e della crudeltà borghesi che il secolo scorso ci abbia lasciato”.

Buona lettura!

Riccardo

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LEGGERE, LEGGERE, LEGGERE…per stare meglio

pubblicato da: admin - 24 Marzo, 2011 @ 9:55 am

Oggi 24 marzo è la Giornata nazionale per la promozione della lettura.

Ma come si fa a non leggere? “Leggere è il cibo della mente”, la lettura consola, aiuta, ci fa vivere due , tre mille volte, ci arricchisce, ci insegna, ci unisce…

Oggi quindi eccederò e  parlerò di ben due ultimi libri letti.

“Tornare a galla” di Margaret Atwood, scrittrice canadese, classe 1939, vincitrice di molti premi letterari, mi ha stregato.

Storia un po’ visionaria e al di fuori da canoni ritenuti nella norma  c’è  però al suo interno qualcosa che può o potrebbe accadere in ognuno di noi: il desiderio primigenio di un ritorno alla Natura feroce ma onesta  per fuggire dalla vita falsa degli umani tra i quali  sembrano prevalere falsità e violenza gratuita.

Siamo in Canada e la protagonista, di cui non si conoscerà mai il nome, torna sull’isola semideserta dove ha trascorso la sua infanzia per cercare il padre dato per scomparso.

Vi torna con tre amici, il suo compagno che parla poco e che forse potrebbe in qualche modo essere accettato, e una coppia fasulla, insincera, alienata.

Ritorna nella sua casetta sul lago ed immediatamente riprende le abitudini della vita dura dell’isolamento. Ma la ricerca del padre è soprattutto la ricerca di sè, un sè che si sente emotivamente morto per una “grande colpa”. Le manca una parte che non riesce a estrapolare dall’agghiacciante silenzio interiore.

Si battono sentieri probabilmente percorsi dal padre, si incontra una natura selvaggia , ma soprattutto le tracce della violenza di alcuni cacciatori americani che si aggirano fuori e dentro il lago. Emblematico vedere l’airone impiccato  e causa scatenante di una deflagrazione interiore di cui la protagonista sentiva fortemente la necessità.  Anche la ricerca della pittura rupestre descritta in alcuni scritti dal padre diventerà uno sprofondare nel suo vissuto rimosso, un periodo in cui si era sentita tagliare in due. Scopriremo insieme a lei, mentre decide che la pittura dovrebbe trovarsi in una falesia sprofondata nelle acque, il dolore immenso dell’aborto compiuto per compiacere l’amante sposato.  “Verde pallido, poi oscurità, strato dopo strato, più in basso di prima, il fondo, sembrava che l’acqua fosse diventata più densa…C’era, ma non era una pittura, non era sulla roccia. Era sotto di me, sospinta verso di me dal livello ancora più profondo, dove non c’era vita, una scura sagoma ovale che trascinava con sè delle membra. Era indistinta, ma aveva occhi, occhi aperti, era qualcosa che conoscevo, una cosa morta , era morto.”

Si ricompone la nostra giovane donna dopo essere   riuscita a farsi mettere incinta, in una notte di luna, all’aperto tra l’erba, dal suo compagno occasionale, o no?  si vedrà.

Subito dopo lei  non vuole più nessuno intorno a sè e per alcuni giorni ritorna alla  Natura. Si ciba di bacche, fritto, funghi, dorme all’addiaccio, si libera degli abiti , sembra purificarsi. Catarsi.

Ma poi che succederà? Indossa nuovamente  gli abiti che aveva tagliato e rivede  il suo compagno taciturno. Ma lo terrà con sè?

Romanzo straordinario scritto nel 1973 in pieno clima femminista. Vi si respira una grande rivolta verso il patriarcato, verso l’uomo capitalista, tecnologico, innaturale.

Sfogliavo queste pagine ormai ingiallite e mi chiedevo se anche gli stati d’animo cambiano di moda. In questo mondo lacustre dove l’acqua sappiamo è il simbolo della nostra nascita e della nostra vita ho ritrovato l’albatros di Coleridge, il naturalismo di Lawrence, la cattiveria de “Il signore delle mosche” ed anche le pagine finali de “La crociera” di Virginia Woolf.

Che violente emozioni, che arricchimento!

Leggere, leggere, leggere….

Il secondo libro di cui voglio parlarvi è di tutt’altro genere, ma…contagioso, nel “bene e nel male”.

Questa casa non è un ospizio” è  di Meg Federico giornalista che collabora a diverse testate tra le quali il National post, dove tiene una rubrica umoristica. Vive in Canada.

E meno male che c’è la chiave umoristica perchè la vera storia della sua mamma ottantaduenne colpita da ictus che vive da pochi anni  con il secondo marito che soffre d’Alzheimer può essere letta, per non soccombere, anche in chiave umoristica. La ricca e viziata Attie appena ricoverata all’ospedale dopo la rovinosa caduta in strada  (forse per i troppi Martini a cui è adusa) reclama a gran voce “Voglio l’autopsia!” E Walter , il suo secondo marito, la chiama la sua Sposa dimendicando spesso l’amore che prova per lei per minacciarla. Insomma i rispettivi figli che vogliono consentire ai due anziani genitori la vita agiata a cui erano abituati fanno i salti mortali per procurare badanti di tutti i tipi e cercare di donare agli ultimi anni della loro vita  una parvenza di normalità. Persino sessuale!  Ci sono episodi veramente esilaranti intrecciati purtroppo all’amarezza  del decadimento.

Ma vogliamo nascondere la testa come gli struzzi? Ad Attie e Walter, tutto sommato, è andata bene, grazie al denaro e a dei figli amorevoli.

Meg Federico con amore, “un po’ per celia e un po’ per non morir” ci racconta gli ultimi anni della sua mamma che, nonostante certi gravi difetti, è per lei “la stella polare” e ci commuove con  il suo amore tenero ormai diventato materno.

State leggendo, vero? Quanto tempo al giorno?

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PRIMAVERA E POESIA, "La presenza di Orfeo"

pubblicato da: admin - 21 Marzo, 2011 @ 9:32 am

cop[1]E’ la giornata mondiale della Poesia. Obbligatorio parlarne ed  io lo faccio come se volassi , tanto la poesia volteggia intorno a me.  E ricopio il post scritto l’anno scorso, lo stesso giorno.

Come non parlare di Alda Merini, nata il ventuno di marzo?

 Scomparsa nel 2009, ora di lei sappiamo quasi tutto. Ce n’è voluto del tempo prima che tornasse alla ribalta. Il suo primo libro di versi fu proprio questo: “La presenza di Orfeo” pubblicato nel 1953.

Non avete veduto le farfalle / con che leggera grazia / sfiorano le corolle in primavera?scriveva allora.

In giovinezza la poesia è proprio una farfalla che ci trascina in voli densi di profumi misteriosi ed Orfeo, con il suo canto, è  desiderato e necessario.

Orfeo novello amico dell’assenza, / modulerai di nuovo dalla cetra / la figura nascente di me stessa.

Nata a Milano nel 1931, apprezzata da Pasolini, Giorgio Manganelli, Luciano Erba (il mio docente di letteratura francese!), Davide Turoldo, entra presto nell’oscurità editoriale per la sua malattia mentale.  Proprio con il 1965 inizia il terribile  periodo di internamento in manicomio  che durerà fino al 1972, con parziali rientri in famiglia dal marito e la prima figlia Emanuela. Durante queste pause nascono incredibilmente altre tre figlie, tra cui l’amatissima Barbara.

Nella sua poesia fantasmi che ritornano dai luoghi frequentati dalla follia, ma  anche lucidità speciale e poetica. Quando scrive può vincere i suoi terrori e la sua diversità.  L’ultima raccolta, prima dei vent’anni di silenzio, è intitolato “Tu sei Pietro” in cui si fondono gli impulsi religiosi con quelli cristiani e pagani.

Morto il primo marito si risposa con un poeta tarantino e si trasferisce al sud. Anche qui le ombre della mente non le danno tregua, è ricoverata in un ospedale psichiatrico. Poi nel 1986 ritorna al nord dove inizia una cura con la psichiatra Marcella Rizzo alla quale vengono dedicate molte liriche:

Tu, anima / a volte mi sospingi in avanti / ancora perchè io cammini da sola, / come un bimbo che esiti a partire, / e io cigolo come l’onda…

E finalmente la notorietà, anche se non remunerativa,  degli anni Novanta. Abitava a Milano, in via Porta Ticinese 53. Conosco l’indirizzo perchè Stefania, incantata dai suoi versi, voleva andarla a trovare ed aveva trascritto l’indirizzo sull’agenda di casa.

Sono nata il ventuno a primavera / ma non sapevo che nascere folle, / aprire le zolle / potesse scatenare la tempesta…” scrive nel 1982

La poesia ti scava nel profondo, se ti inabissi in essa puoi trovare pericoli e mostri, ma essa ti può trascinare ad altezze sconosciute.

Scrivere poesie è spesso doloroso, ma la conoscenza passa attraverso siepi spinose e baratri.

Se qualcuno cercasse di capire il tuo sguardo/ Poeta difenditi con ferocia / il tuo sguardo sono cento sguardi che ahimè ti hanno / guardato tremando.” Sono i primi versi  di “Vuoto d’amore” di Alda Merini

 Emily Dickinson ,   di cui ho letto  una ennesima splendida biografia (che piacere entrare nel suo mondo !) sa lucidamente che “maneggiare” la poesia è come tenere una bomba in mano. Essa può deflagrare e ferirti, ma ti dà anche un grande potere. Insomma  essere Poeti è un dono o una sofferenza?

Per Emily (ormai siamo amiche! )  è stato un riscatto da una condizione che non poteva accettare, ma soprattutto un dono “regale” che se dapprima la  emargina nella “differenza” le permetterà, un giorno, un eterno riconoscimento:

“Mi fu dato dagli dei/ quand’ero bambina…/ Lo tenni nella mano – / senza posarlo mai/ non osavo mangiare – o dormire – / per paura che sparisse.

“Ricchi” sentivo dire / correndo verso scuola / da labbra agli angoli di strade / e lottavo con il sorriso. /

Ricchi!  Ricca  – ero io – / ad assumere il nome dell’ oro  – / a possedere l’oro –in solidi lingotti / la differenza – mi rendeva audace. “

E alle 17,30 andrò in Biblioteca ad ascoltare la lettura dei Lirici Greci …ve ne parlerò.

E perchè non mandare oggi anche le nostre poesie, sperando che G., se ancora ci legge, non ci giudichi troppo severamente criticando i nostri accenni al “sole, dolcezza e tenerezza”.

Che cos’è Poesia?  E’ quella capacità di scivolare nel profondo ed illuminare con poche parole sentimenti intimi ed universali. Perchè non ricercare il Poeta che è in noi?

Oggi, primo giorno di Primavera, mentre la Natura si risveglia  proviamo a risvegliare anche i nostri cuori?

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ALL'ITALIA…cercasi commenti per il grande anniversario

pubblicato da: admin - 17 Marzo, 2011 @ 8:55 am

Sono contenta che Cristina tra il  suo ricco “guardaroba carnevalesco” abbia confezionato anche un costume-bandiera italiana perchè durante la serata delle Penelopi, dopo il cabaret,  mi sono affrettata ad indossarlo. Penelopi carnevale 2011 037

E’ stato emozionante perchè mentre scendevo le scale (come facciamo  ad ogni cambio di costume) tutte abbiamo intonato “Fratelli d’Italia”.L’abbiamo cantato con convinzione, trepidazione, passione, fino alla fine. Una Penelope storica, ultraottantenne, ha detto che tutti dovremmo cantarlo, diffondere questo amor patrio ormai scolorito e spesso svalorizzato. E aveva le lacrime agli occhi. “Anche noi in Trentino” ha aggiunto ” sentiamo questo grande anniversario”.

Quanti libri sarebbero da citare oggi, 17 marzo 2011, dopo 150 anni dell’Unità d’Italia. Aspetto da voi…

  Nel pomeriggio accetterò l’invito di Brunella Clementel e andrò a sentire:

 

“Lo storico Nicola Tranfaglia a Trento in occasione del 150° dell’Unità d’Italia 

“Di fronte  al difficile compleanno che l’Italia celebra ricordando l’insediamento del primo parlamento italiano il 17 marzo 1861 a Torino centocinquant’anni fa nella memoria dei trentini si staglia il ricordo di due eroi che hanno segnato la memoria storica di queste contrade. Pensiamo a Cesare Battisti, il giovane socialista che il 12 luglio 1916 venne impiccato al Castello del Buon Consiglio perché amava l’Italia e voleva che il Trentino ne facesse parte. E a Giuseppe Garibaldi che trovò nella penisola mille giovani disposti a rischiare la vita per liberare la Sicilia e l’Italia borbonica da quei re  Borbone che erano diventati ” la negazione di Dio”.

Con queste parole il professor Nicola Tranfaglia anticipa il suo arrivo a Trento, per incontrare la cittadinanza trentina alle

ore 15.00

di giovedì 17 marzo  

alla Sala Rosa del Palazzo della Regione

.

Ordinario di Storia Contemporanea della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Torino, Editorialista de L’Espresso, Repubblica, Il Fatto Quotidiano, scrittore di numerosi saggi storici e storico- politici, Responsabile Dipartimento Cultura di Italia dei Valori, Nicola Tranfaglia è uno degli storici più accreditati del panorama accademico italiano. L’incontro di Trento sarà dedicato a due figure cardine,  che hanno costruito l’Unità d’Italia,  Cesare Battisti e  prima di lui Giuseppe Garibaldi, titolo dell’incontro, al quale parteciperanno anche il segretario regionale Salvatore Smeraglia e il consigliere regionale Bruno Firmani:

150

ANNI DELL’UNITA’ D’ITALIA

MEMORIA STORICA E ANOMALIA GEO-POLITICA

Le ragioni identitarie di una terra di mezzo e i protagonisti della

nascita di uno Stato da Giuseppe Garibaldi a Cesare Battisti

Che cosa accadde tra il 1860 e il 1900 in Trentino?

Quali furono le influenze, le ripercussioni nel nostro territorio di montagna delle guerre d’Indipendenza, combattute a due passi da noi e dove i nostri soldati combatterono dalla  parte degli austriaci?

Ed ancora,  come nacque in Cesare Battisti e negli altri irredentisti delle così dette “terre di mezzo”,  il sentimento di appartenenza che sfociò in azioni contro il Parlamento di Vienna e riempirono di motivazioni e contenuti un’azione di lotta  politica tanto strenua e determinata da mettere a repentaglio le proprie vite?

Di tutto questo si parlerà giovedì alla Sala Rosa, giovedì pomeriggio, un’occasione per stare insieme, rileggere la storia, senza infingimenti, lontano dalle lenti distorte di  ideologie preconcette e nazionalismi, ma per il puro piacere di contribuire alla crescita di una comunità libera, informata e consapevole. 
 
Brunella Clementel
brunella.clementel@gmail.com
http://lareteinrosa.wordpress.com ”

A me vengono in mente alcuni versi di Leopardi che mio marito recitava spesso

O patria mia, vedo le mura e gli archi 

 e le colonne e i simulacri e l’èrme 

 torri degli avi nostri

…ma la gloria non vedo…”

Io scriverò presto l’elenco per cui amo essere italiana, anche se in questi ultimi tempi neppure io ne  veda la gloria …

E voi?

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LA FIGLIA DEL REVERENDO, di Flora M.Mayor

pubblicato da: admin - 14 Marzo, 2011 @ 7:50 pm

roma marzo 2011 008roma marzo 2011 004Mai libro è stato così adatto come questo romanzo ambientato nella quieta Inghilterra durante il mio intenso e ricco viaggio a Roma. Innanzitutto  mi ha fatto una gradevolissima compagnia durante il viaggio in treno (e Cinzia sa che amica potente è la lettura quando si viaggia), ma mi ha anche calmato prima di dormire dopo tutte le emozioni provate .

La prima in assoluto ed anche in ordine cronologico è stato l’incontro con Miki, la nostra Miki!

Che emozione nell’attesa nel mio albergo – (e  purtroppo preda di un raffreddore fastidioso ). - Che rabbia -  mi dicevo – non sono nella mia forma migliore. E poi mi chiedevo – Ci piaceremo come ci piacciamo quando scriviamo? –

Ebbene sì. Anzi, per me Miki è stata ancor di più di come me l’aspettavo. Intanto più alta, bella, con un sorriso che sgorga dal profondo. Non voglio esagerare per non dare adito a G. di criticarci per i troppi complimenti, ma veramente la “scintilla” della simpatia si è confermata appieno. E non solo fra noi due, ma anche con la mia amica Renata di Recco e soprattutto con Stefania. Immediatamente il “canale” empatico già aperto dal Blog ha iniziato a spumeggiare. Tra un libro e l’altro ricevuti in dono “La notte ha cambiato rumore ” ( da Michela) e  “Lo zen del gatto” (da Renata) abbiamo parlato tantissimo. Mi sono accorta che non abbiamo neppure bevuto un caffè tutte prese dalle confidenze, dai sorrisi, dalle affinità.

Splendida Miki che mi ha dato la spinta energetica e amichevole per affrontare la magnifica, ma caotica Roma.

Ed ecco che “La figlia del reverendo” è riuscito a calmare la mia eccitazione, la mia gioia, la mia troppa ansia golosa di “assaggiare” tutto. Dopo le meraviglie dell’Ara Pacis con la mostra di Chagall, il Caravaggio, piazza Navona, il Pantheon e la tomba di Raffaello e l’allegria vitale dei Romani, dopo la pasta cacio e pepe, il buon vinello rosso e tutta la vita colorata di Roma…- “Eh” diceva Stefania ” sembra che qui nel centro si racchiuda e si senta il nostro più ampio spirito italiano” -  “entravo” in una canonica inglese in un quieto villaggio dal nome significativo Dedmayne e partecipavo alla vita scialba, noiosa di Mary che passava “inosservata come i biancospini in un aiuola“.

Figlia devota del reverendo Jocelyn, stimato e colto uomo di chiesa, Mary sta avviandosi con naturalezza verso quello zitellaggio tipico di certi villaggi inglesi la cui vita si ravviva soltanto accanto alla parrocchia. Sembra di essere in un romanzo della Austen , ma poi improvvisamente ci accorgiamo che siamo all’inizio del Novecento e in una delle poche visite a Londra ci inoltriamo in un salotto colorato, moderno, tipico della Bloomsbury di Virginia Woolf.

Il romanzo viene infatti pubblicato per la prima volta da Leonard e Virginia Woolf nel 1924 e conosce subito un grande successo. Siamo negli anni a cavallo delle due guerre , un periodo che ancora si aggancia al tema della “donna superflua”, le varie figle nubili dedite al padre o dolci istitutrici alla Jane Eyre.

C’è un mondo nel tranquillo villaggio che ricorda anche la Pym, i vari lavoretti per la chiesa, i tè, gli aiuti ai poveri. Ma improvvisamente la narrazione diventa qualcos’altro. Intanto c’è un improvviso innamoramento di Mary per Mr. Herbert, un vicario che sembra condividere con lei  lo stesso amore per la poesia, la stessa passione per il clima mutevole inglese, per le passeggiate nei boschi soffusi di bruma. E poi appaiono altri personaggi che sembrano distaccarsi dallo scenario deprimente, ma rassicurante di Dedmayne. Arriva la bellissima Kathy che toglierà Mr. Herbert a Mary, ma che poi insoddisfatta se ne andrà a Montecarlo nell’ambiente che richiama la Belle époque.

Mr.Herbert deluso si rinnamora di Mary e la bacerà.  Poi per imprevisti accadimenti tornerà con la moglie.

Mary soffre, ma vuole vivere, vuole trovare una sua felicità, ha pensieri forti e delicati alla Emily Dickinson, dimostra coraggio.

Flora M.Mayor scrive  questa storia in modo accurato,  con improvvisi e inaspettati cambi di scena che  ci riportano al fascino del  racconto orale  quando impazienti  si vuole sapere  subito ciò che succederà poi.

Questo romanzo è ora al centro di una rinnovata attenzione della critica, che non esita a porlo tra i libri più importanti della narrativa inglese del Novecento.

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LA MOGLIE CHE DORME, di Catherine Dunne

pubblicato da: admin - 11 Marzo, 2011 @ 9:37 pm

cop[2]DEVO RINGRAZIARE CINZIA CHE CI HA SPEDITO  UN INTERESSANTE POST SU UNA SUA RECENTE LETTURA . (E CHE MI LASCIA COSI’ IL TEMPO DI SEDIMENTARE IL MIO SOGGIORNO ROMANO E L’INCONTRO CON MIKI).

TROVO INOLTRE CHE I QUESITI CHE CINZIA SI PONE E …CI PONE SIANO FONDAMENTALI PER TUTTI NOI.

 

Approfittando di una splendida giornata a Venezia con Andrea e il suo migliore amico Francesco, e del fatto che abbiamo trascorso quasi sei ore in treno, ho iniziato martedì mattina, e terminato ieri, la lettura del romanzo di Catherine DunneLa moglie che dorme“. Nel blog si è già parlato della Dunne a proposito dei suoi due romanzi forse più conosciuti, “La metà di niente” e “Donna alla finestra” ( che io non ho letto)

Il titolo originale inglese è “A Name for Himself“, e la traduzione italiana mal rispecchia la tormentata e tragica vicenda del protagonista. Vincent, Vinny o Farrell? E’ appunto sull’impossibilità di questo “troppo alto” quarantenne di darsi un nome definitivo e quindi, in sostanza, di definire il suo essere uomo e adulto, che si dipana la drammatica vicenda di questo romanzo. Si seguono tre piani: i ricordi di Vinny bambino, la sua vita da giovane condotta nel tentativo di rinnegare il suo vero nome, Vincent come il padre, e la sua esistenza con il nome che si sceglie, Farrell, accanto a Grace, la donna di cui si innamora e che gli starà vicino, anzi, più vicino di quanto lui stesso possa credere o immaginare.

Vinny è un bambino di nove anni che le circostanze di famiglia, cioè un padre violento e una mamma dolce, amorevole ma spaventata e sottomessa al marito, costringono a crescere in fretta e con responsabilità troppo grandi per lui. Si prende cura amorevolmente dei tre fratellini e della sorellina finchè non vengono separati a causa della morte prematura della mamma. Il rapporto con il padre è, come si può bene immaginare, segnato dall’odio e dal risentimento. Questa relazione distorta segna Vinny per sempre: cresce “troppo” di statura ma nel suo “piccolo” io resta annidato per sempre il tarlo della sua inadeguatezza, della sua insicurezza di fronte a tutto e a tutti. Il suo tarlo cresce, a dismisura, si espande nel suo intimo fino a compromettere per sempre la sua capacità di relazione con gli altri, specialmente con la sua amata Grace: inevitabile che la paura di Vinny/Farrell di perderla, nonostante lei continui a dimostrargli il suo amore sincero e riconoscente, venga alla fine vissuto da lei come irrazionale, inutile e pesante gelosia. La mente di Farrell diventa un tunnel oscuro pieno di sospetti, teme e vede ovunque intrighi orditi contro di lui e la sua tanto agognata felicità. Che è lì, basterebbe che lui accettasse di essere amato per quello che è, che credesse all’evidenza dell’amore di Grace. E invece…..

Questo libro offre molti spunti di riflessione. Quanta importanza ha il nostro passato quando tessiamo la nostra vita futura?. Non si cresce chiudendo le porte, anche se siamo “fortunati” ci sono momenti in cui qualche lato oscuro fa capolino dentro di noi. E’ vero per tutti? Per Grace, che sembra avere avuto tutto dalla famiglia e dal padre P. J., non è così…..

Quanto possono essere influenzati (o plagiati?) i giovani (i nostri figli, i nostri alunni….) dalle convinzioni (o costrizioni?) di noi adulti, anche se proposte (imposte?) a fin di bene. Cosa significa rispettare la loro libertà di crescere? Quanto è giusto lasciarli sbagliare e soprattutto fino a che punto si può stare a guardare?n Personalmente, non posso fare a meno di pormi queste domande, come mamma di un post- e di un pre- adolescente e come “prof” di tanti ragazzi che vedo sempre più disorientati…..

Quanto “possediamo” gli altri, anche le persone più care? Quanto possono entrare nel nostro io, anche incosapevolmente, figure di genitori forti, o troppo deboli fino a far prendere strade “obbligate”‘?

Non sono esperta in psicanalisi nè particolarmente ferrata in introspezione psicologica ma questo libro mi ha fatto molto riflettere sui legami fra le persone, in positivo e in negativo, sulla libertà, sulla manipolazione della mente, sulle menzogne che si insinuano nei rapporti e che possono perfino sostenerli, fino a un certo punto. E poi?

Avviso per Camilla: se non conosci questo libro, non leggerlo! Da quanto dici, non è proprio il momento adatto. A me ha lasciato una grande tristezza dentro….perchè sono donna?!?!

Cinzia

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LA SPECIALISTA DEL CUORE, di Claire Holden Rothman

pubblicato da: admin - 5 Marzo, 2011 @ 8:43 pm

cop[1]Penelopi carnevale 2011 002Donne, donne, donne. Stiamo avvicinandoci all’ 8 marzo, festa di mimose,  di incipiente primavera e per recente tradizione di attenzione a Noi Donne. Il libro scelto è senz’altro pertinente a questa ricorrenza perchè racconta la vita di una donna speciale, antesignana di quelle donne forti, decise, che sanno quello che vogliono …che dovremmo essere noi. Lo siamo diventate?

La specialista del cuore” trae ispirazione dall’opera e dalla vita professionale di uno dei primi medici donna di Montreal, la dottoressa Maude Elizabeth Seymour Abbott (1869 – 1940), ma si snoda tra personaggi ed avvenimenti probabili e  in gran parte immaginati.

La protagonista narrante si chiama Agnes, si sente bruttina e goffa, ma ha due grandi priorità nella vita: ritrovare il padre medico patologo che l’ha abbandonata  e diventare essa stessa un medico patologo, specializzata nello studio delle cardiopatie.

Quanto un genitore amato e “sfuggente” può influenzare la scelta di vita di una persona? Per Agnes i vasetti contenenti i vari particolari cuori conservati in formaldeide sono tesori. Riuscirà, grazie ad una governanate illuminata, Miss Skarry , a perseguire la sua meta. Ma quante difficoltà! Siamo alla fine dell’Ottocento e occorre essere veramente speciali per riuscire ad ottenere qualche riconoscimento.

Nonostante l’intelligenza, i meriti, i voti altissimi ad Agnes come massimo onore sarà assegnata la cura del piccolo museo di anatomopatologia dell’Università. Spazzare, etichettare, pulire…

Ma che felicità per questa donna piena di passione per questo lavoro! E poi qualche cosa, ma non troppo , cambierà.

 La storia romanzata è avvincente: il padre è stato costretto a fuggire per un’accusa di omicidio, la madre ne muore poco dopo aver dato alla luce la secondogentita, Laure, fragile ragazza, deliziosa e  bella come un soprammobile  e  che come tale si frantumerà presto.

Ma la nostra Agnes pur tra difficoltà terribili, povertà, clima gelido canadese, solitudine, ostilità varie dei colleghi maschi riuscirà a proseguire nel suo cammino trovando persino l’amore  verso i 50 anni, e ritrovando un padre deludente senza però lasciarsene trafiggere! Che donna!

Chissà se Elisabetta e Miki, ricordano la storia della vera dottoressa di Montreal.

All’inizio della lettura speravo fosse veramente una biografia, ma tuffandomi nella trama romanzata sono stata catturata da personaggi ben costruiti, credibili che ci portano a capire le difficoltà che il nostro sesso ha sempre dovuto affrontare per raggiunegere i proprii sogni e ancor più per poter capire quali fossero.

Ma anche noi Penelopi non siamo Donne da poco! Come d’abitudine Cristina ha aperto la sua calda casa per  Carnevale e noi Penelopi “vecchie” e “nuove” ci siamo lanciate in mille travestimenti (grazie proprio ai costumi creati da Cristina , sorelle e mamma) . Così Cinzia è apparsa come uno splemdido Cardinale, Stefania, naturalmente, come un giovane Mozart, Cristina, bellissima e divertente come la ballerina russa “Galina Cocimelova” che piangeva la morte del cigno-cugino. Giovanna ha cantato superbamente Il Clarinetto di Arbore ed io e la mia “gemella”?

L’anno scorso eravamo le Kessler, quest’anno, ormai stigmatizzate come le Twin sisters abbiamo oltrepassato la “frontiera” di ogni cabaret….ci siamo “immedesimate” in Milly e Lelio Luttazzi. Sorvoliamo sul poco spazio per i nostri passi di danza e lasciamo perdere le parole dimenticate e le risate, perchè…come sempre abbiamo avuto un grande successo. O no?

Viva le Donne!

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BOBO NOVECENTO di Sergio Staino

pubblicato da: admin - 28 Febbraio, 2011 @ 11:35 am

250px-Sergio_Staino[1] Trovo che pensare un po’ alla politica in questo nostro Blog eterogeneo ogni tanto  occorra. “Basta poco per divertire gli intellettuali” recita il sottotitolo del libro letto e presentato da Riccardo.

Tutti noi vorremmo veramente un mondo migliore.

Che ne dite?

I Classici del fumetto di Repubblica

2005, 380 pagine

 

Turati, Gramsci, Togliatti, Berlinguer, Natta, Occhetto, Craxi, D’Alema, Veltroni, Fassino, riletti attraverso gli occhi di Bobo, un “borghese piccolo piccolo”, anzi un proletario, uno spirito ribelle e democratico, con un grande coraggio che possiede “a sua insaputa” e che forse proprio per questo ogni volta gli fa “perdere sempre il treno”. Perdere il treno di una vittoria solo apparentemente definitiva, ma non quello della vittoria su se stesso, sul mantenimento della speranza, sulla volontà di continuare a lottare, nel senso che egli non rinuncia alle sue idee, combatte anche quando sa di perdere (“ma almeno ci sto provando”) e porta il suo piccolo mattone alla costruzione di un mondo diverso anche se probabilmente ha capito che non arriverà a vedere. Per questo, ai miei occhi egli è un vincente. E vince nella considerazione della sua famiglia, nel rispetto verso se stesso che, malgrado mille dubbi e incertezze egli riesce a mettere a fuoco, sia pure attraverso un faticoso e complesso percorso di auto identificazione e verifica morale.

Staino, toscano anzi senese (come il mi’ babbo!) rivive la storia sociale e politica della sinistra italiana, dal 1904 al 2004, i suoi pensieri, le mode, i miti, i traumi … e la lente attraverso la quale ingrandiamo i singoli passaggi è quella delle persone comuni dell’Italia del (l’ultimo) fascismo, dell’immediato (secondo) dopogerra e del primo post fascismo, delle prime gite fuori porta della famigliola. Ad esempio in Toscana, ove gli “indigeni” sono stati sostituiti da “padroni” brianzoli, inglesi e americani e i contadini sono ormai tutti extracomunitari Nella vicenda trova spazio anche la scoperta del “sesso liberato”. Non vi spaventate! Solo qualche timido turbamento del sonno … fantasie innocenti, di sempre, del resto a noi maschietti ci hanno fatto così, eventualmente prendetevela con il Programmatore ….

Ultimo fascismo, si diceva, la piccola fabbrica artigianale dei cappelli di paglia in Firenze, le prime rivendicazioni sindacali femminili delle donne che realizzavano le treccine di paglia (le famose “trecciarole”) e tanto altro.

E poi la ripresa di alcuni importanti passaggi storici, assolutamente preveggenti. Il Processo di Verona? Eccolo! Personaggi ed interpreti: Mussolini, Silvio Berlusconi; Hitler, Umberto Bossi; Pavolini, Sandro Bondi; Ciano, Gianfranco Fini; Edda, Maurizio Gasparri; il boia, Roberto Castelli; il confessore, Gianni Baget Bozzo. Stralci di guerra partigiana nelle valli toscane, E che dire degli “arresti temporanei preventivi” dei “malpensanti” eseguiti in previsione della visita di Sua Eccellenza il Capo del Governo Cavaliere (Cavaliere anche lui … ma insomma!) Benito Mussolini’, rievocati recentemente da taluno? E pensare che questo libro è del 2004 …

E poi, fra le altre rievocazioni, l’orazione di … Antonio alla morte di … D’Alema: “Amici, compagni, uomini del centro sinistra, io vengo per seppellire … non per elogiare …”., insomma, tanta, tanta cultura …anche Shakespeare è stato chiamato in causa! Che si può volere di più?

Dice Staino: “E’ l’emozione che fa vivere Bobo, che gli fa sperare in un mondo migliore e che lo indigna per tutte le ingiustizie che ancora oggi si commettono”.

 

Riccardo

 

P.S.: avevo iniziato a leggere “La versione di Barney” di Mordecai Richler. Arrivato a pagina 100 ho deciso di smettere. Non mi piace il continuo ricorso a citazioni di nomi, situazioni e fatti dati assolutamente per scontati ma a me assolutamente sconosciuti, per cui non riesco ad “entrare” nel racconto e nei suoi personaggi, bensì potrei solo “subirli” il che non mi va. Mi vorranno scusare gli estimatori di questo libro.

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PERSEPOLIS ovvero, storia di un'infanzia

pubblicato da: admin - 24 Febbraio, 2011 @ 12:50 pm

112[1] di MARJANE SATRAPI 

I CLASSICI DEL FUMETTO DI REPUBBLICA, 2005

Prima pubblicazione nel 2000

350 pagine

Mi fa piacere lasciare la parola a Riccardo che ci porge un genere di lettura diverso, ma in un certo senso attualissimo sia per i contenuti storici, politici e sociali  che per la fruizione immediata che l’immagine suscita. Inoltre, se leggiamo con attenzione, troveremo mille e mille spunti per riflessioni, dibattiti, confronti.

Trentasei anni fa, per lavoro, ho trascorso alcuni periodi a Teheran, la città dello

شاه شاهان cioè dello Scian Scia, del re dei re, cioè di Reza Palhavi.

In quell’occasione mi piace ricordare che feci amicizia con Michele Cazzato, basso buffo che si esibì ne L’elisir d’Amore, lui che era anche Direttore del Teatro e del Coro Imperiale e con Luciana Serra, soprano oggi famosa, entrambi liguri come me. Chiusa la parentesi.

I miei partners locali, ebrei, al tempo concedevano ancora solo cinque anni al regime prima che esso, a loro giudizio, fosse schiacciato da una rivoluzione islamica che prevedevano con una sconcertante certezza.

Da parte mia osservavo aspetti molto superficiali ma significativi. Ad esempio, che per far fronte all’enorme sviluppo edilizio, erano state fatte arrivare dall’intero paese maestranze di base, operai e muratori, che poi la notte dormivano all’aperto, su cartoni, adagiati sul fondo dello scavo che stavano eseguendo, nel pieno frastuono del traffico che circondava il quartiere, mentre uno di loro, a turno, faceva la guardia per impedire che taluno, “per scherzo” tirasse sassolini ai dormienti, svegliandoli.

Il Ministero dell’Agricoltura, poi, era un grattacielo di trenta piani, letteralmente ripieno di apparecchiature elettroniche (ometto di citare il nome della più importante casa produttrice mondiale di tali apparecchiature) d’ogni tipo, perfettamente imballate, che nessuno stava usando né avrebbe mai usato. Quanto visto, mi bastava a comprendere la previsione di cui vi accennavo.

Questa è l’anteprima.

Ora, dopo tanti anni, ho letto “Prigioniera di Teheran “ di Marina Nemat (Cairoeditore) e “Mai senza mia figlia” di Betty Mahmoody e William Hofer (Sperling & Kupfer, v. sul blog, ottobre 2010) oltre il volume che sto presentando. Questi solo fumetti, che però hanno “vinto” molti premi internazionali e che esprimono tanta, veramente tanta forza!

Tutto inizia nel 1980 quando le donne in Iran sono obbligate ad indossare il foulard. L’autrice all’epoca ha solo dieci anni. Poi, cresciuta, emigra a Vienna, poi in Francia, poi rientra nella sua patria. Molti sono i piani sui quali l’azione si svolge: familiare, amicale, politico, bellico, studentesco, religioso, di costume, etc. e fortissimo è il contrasto fra di essi, fra i diversi luoghi e tempi. Lo stile dei disegni, in bianco e nero, con figure essenziali, stilizzate, lascia spazio alla riflessione sull’essenziale del messaggio che dobbiamo cogliere … si … dobbiamo … per un dovere morale verso chi ha sofferto quelle vicende e per un senso di rispetto verso tutti coloro che ancora oggi le stanno soffrendo, verso le donne in particolare, che in una “buona” (sarebbe meglio scrivere “cattiva”) parte del mondo ancòra oggi soffrono di soprusi, violenze e discriminazioni d’ogni sorta.

Altra parte fondamentale del libro è la testimonianza della crescita e della maturazione della ragazza, che deve sintetizzare la cultura familiare e sociale d’origine con la cultura (e le prassi) dei luoghi europei della sua emigrazione. Devo dire che la testimonianza sarebbe stata importante anche senza il fatto dell’emigrazione e della fuga dalla dittatura iraniana!

Infine, colpisce come quel regime (iraniano, non libico, ma il discorso si può ripeter anche in questo caso), assoluto, super organizzato, ricco di denaro e di amicizie internazionali, sia poi crollato sotto la pressione delle masse. Corsi e ricorsi di una storia ai quali taluno, anche oggi, sembra non voler mai credere …

Fumetti, si diceva, …

Riccardo

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