QUELLA SERA DORATA,ovvero il nostro luogo e il nostro tempo

pubblicato da: admin - 13 Maggio, 2011 @ 7:37 pm

scansione0002Com’è facile e consolatorio leggere Peter Cameron. Corrisponde alle esigenze del Lettore che in un libro vuole svago, impegno, consolazione e un potersi lasciarsi andare  con fiducia perchè viene guidato verso ciò che desidera e che non sa forse di desiderare.

Anche in questo romanzo noi ci addentriamo in un universo che sembra distante –  siamo in Uruguay, – ma che è invece  “dentro di noi”, nei punti nevralgici della “geografia del cuore”.  Attraverso dialoghi che scorrono come un fiume conosciamo a fondo, – e questo è la grandezza di Cameron che con elegantissima semplicità ci conduce nei più remoti recessi del nostro inconscio, -la parte più intima dei personaggi.

E così incontriamo Omar, dottorando in letteratura, distratto, poco preciso, ” che si sente affondare nelle sabbie mobili” ma che viene  pilotato energicamente da una determinata fidanzata .

Una sera, nel Kansas dove abita, Omar rischia veramente di affondare nelle sabbie mobili della palude attorno alla casa isolata prestatagli da un’amica, mentre sta cercando la cagnolina Mitizie, sempre dell’amica. 

Non è casa mia – Mitzie non è il mio cane..”E desiderò di avere qualcosa di suo, di inequivocabilmente e irrevocabilmente suo. Non gli era mai venuto in mente…”

Decide di andare in Uruguay per scrivere la biografia di uno scrittore morto suicida, Jules Gund, , come progettato per poter accedere a una cospicua borsa di studio. Ci va d’impulso  nonostante il rifiuto all’autorizzazione da parte degli eredi.

 Omar arriva faticosamente a Ochos Rios dove in una vecchia e bella villa abitano  Caroline la vedova di Jules e  Arden l’ultima giovane amante con la  figlioletta Porzia. Poco distante, nel vecchio mulino abita Adam il fratello di Jules con il  compagno Pete.

Un microcosmo circoscritto dove le giornate sono scandite da lavoretti nei campi, allevamento di api e qualche incontro con i vicini. Una vita che se per Caroline e Pete sembra stretta è invece accettata pienamente da Adam e da Arden che sanno , consapevolmente, di aver trovato il loro Luogo.

Capisco” dice Omar un giorno parlando con Arden della quale è già innamorato “Capisco perchè lei vuole vivere qui. O almeno penso di capirlo. E’ come se fosse tutto perfetto, qui.”…Tutto sembra perfetto. Ogni cosa sembra al suo posto. Anche gli alberi, il cancello, la villa, tutte le cose della villa, e il silenzio…non so.”

Già Omar, appena arrivato, aveva avuto il presentimento di essere capitato nel suo Luogo. Lo sente mentre parla con l’enigmatica Caroline che copia dipinti famosi nella Torre della casa. Nonostante il dialogo un po’ forzato  fra i due Omar “si sente teso in una sorta di potenziale follia, e con tutta quella luce che pareva sul punto di esplodere. Ma forse era lui. Sentì che stava sudando. Per la prima volta da quando era arrivato in Uruguay, si sentì presente con tutto se stesso.”

La luce dorata che Omar vede sempre intorno a sè è il segno che è arrivato. Il titolo del libro è tratto da alcuni versi di Elizabeth Bishop

Quella sera dorata non volevo proprio andare oltre;

più di ogni cosa volevo restare un po’…”

Mi chiedo se anch’io sono nel posto giusto. Mi guardo intorno e non vedo la perfezione che Omar percepisce nella villa di Arden,nel mio salotto c’è un gran caos, gli oggetti sembrano in attesa di qualcosa e la luce dorata arriva a fasi alterne. Solo la gatta, lare del focolare sembra centrata, sicura di essere dov’è.

 E voi, siete nel vostro Luogo?

 

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UN CUORE COSI' BIANCO, di Javier Marias

pubblicato da: admin - 9 Maggio, 2011 @ 9:35 pm

cop[1]Einaudi

Da Cristina V., milanese che abita per caso a Pisa, ci arriva  una minuziosa  analisi di un romanzo che ci viene presentato quasi in “vivisezione.” Il suo coinvolgimento appassionato le ha fatto scrivere moltissimo spingendola a frugare in ogni anfratto …e della storia e delle intenzioni dello scrittore. Mi permetto, dato lo spirito del Blog (più propenso a dire e non dire per sollecitare la curiosità dei lettori e a distaccarsi dai Forum letterari) di togliere qualche riga.

Ma Cristina V. ci regala, pur non parlando di sè e di ciò che il Libro ha “sollevato” dentro di lei , l’immagine di una Grande Lettrice. Grazie.

 

Tempo fa su un forum letterario ( del Corriere Sera) avevo scritto a caldo alcune righe su Marias: Eccole:

“Ho appena riletto anch’io Marias, ma Un cuore tanto bianco e ,certo, la ripetizione e l’analisi del dettaglio pare decisamente ossessiva. E’ un’analisi meticolosa, fotografica, colta da ogni punto di vista, che avvolge la scrittura e la rende molteplice alla fine. La scrittura di Marias prende i segmenti della realtà e li getta in una sorta di caleidoscopio, dal quale ogni volta escono o possono uscire diversamente assemblati e,allora,il senso degli accadimenti cambierebbe, o cambia…
Strano autore, molto cerebrale, elucubrativo, ipotizzante e ragionante e negante e ribaltante, ma MOLTO interessante e divertente…”

 Ora provo ad argomentare meglio il mio pensiero su questo libro che giudico un libro “di testa” …

 

Uno stile che a prima vista appare arduo, vagamente cervellotico o, meglio, cerebrale. Ma l’attenzione che richiede viene ripagata alla grande.

Il libro è una continua autoanalisi, auto-auscultazione e osservazione, con modalità minuziose a volte financo ossessive. Ma il dettaglio qui è sempre significativo, apre vortici di digressioni e di riflessioni e spesso un particolare ( magari accostato a un altro e a un altro) spalanca significati profondi su cui il protagonista ragiona mostrandoci il suo ragionare proprio nel suo farsi e dipanarsi.

Ciò mi ha ricordato in parte il modo di procedere – più logico ma ugualmente erratico- di Italo Calvino in alcuni suoi racconti, ad esempio La poubelle agréé, dove da un particolare di nessun conto si arriva a una serie di considerazioni socio-filosofiche di grande rilievo e profondità.

Il romanzo ha una costruzione narrativa particolare, che procede per accumulo e ripetizioni, in un modo quasi circolare-ascensionale.

Il libro è strutturato come una specie di sinfonia, con dei leit-motiv ricorrenti (i piedi puliti ben lavati, per poter essere baciati/ il cuscino dei coniugi / il viso da baciare in ogni sua parte /citazioni dal Macbeth di Shakespeare -che peraltro dà il titolo al libro /il reggiseno che tira/ l’uomo all’angolo che scruta/ e molti altri) che al lettore richiamano immediatamente “quella” pagina, e “quel” ragionamento, e “quella” vicenda, per cui basta accennarvi sempre più succintamente e brevemente per richiamarla, come un’arietta musicale che fa capolino, lieve ma incisiva.

 

Questo modo di narrare mi pare anche una specie di gioco (gioco, ma serio) che lo scrittore fa con se stesso, e con noi. Molte sono le parentesi e gli incisi, per ricordare, per sottolineare, per sospendere, per rilanciare e riagganciare: i ragionamenti – così come la vicenda- via via si intessono a formare un intreccio che diventa patrimonio per sempre di noi lettori.

Molte anche le frasi dubitative-oppositive (era questo o quello, passava il tempo oppure no, voleva quella cosa o magari un’altra), come in una sorta di grande puzzle in cui Marias scompone continuamente i pezzi della realtà, per poi rilanciarli in un caleidoscopio magico che li riassortisce e ricompone diversamente, per vedere quali altre combinazioni ipotetiche ne potrebbero nascere. La realtà, ci dice Marias, è molteplice (come in Rashomon) e contraddittoria e casuale, si avvolge e svolge in modo disordinato, e trovare il bandolo – per lui, come per noi tutti – è sempre arduo e richiede impegno.

 

Sull’impianto di una trama quasi “gialla” – ci sono diverse morti oscure in questo libro – entriamo nella vicenda di questo giovane spagnolo, interprete ad altissimo livello, appena sposato, conosciamo i suoi dubbi e riflessioni in occasione di questa importante svolta della sua vita, mentre in controluce si staglia la figura del padre, sposato prima con una sorella, morta tragicamente (è la scena iniziale -descritta al rallenti – nel primo capitolo), e poi con la minore (la madre del parlante). Ranz (il padre) è un anziano bello e affabulatore, dai molti e non sempre chiari intrighi nel mondo delle perizie d’arte, un uomo frivolo,un po’ invadente ma affascinante, che ha molti segreti.

Mentre il protagonista è un uomo che pare stare sulla soglia e vive fino al momento di sposarsi e anche un po’ dopo in una sorta di atteggiamento fatalistico, ma forse è più che altro un uomo che ha paura (paura di sapere, di trovarsi coinvolto)… , ma il libro è – di fatto – anche un percorso di crescita, di uscita dalla prolungata adolescenza e non responsabilizzazione maschile anche grazie alla bella, solare e positiva figura della moglie Luisa ( l’unica vera scelta che il protagonista fa è , infatti, quella di sposarsi).

La trama avanza lenta e tortuosa, fermandosi in molte anse per lunghissime (e ricorrenti) digressioni narrative e riflessioni e considerazioni, in una sorta di andamento carsico, un ragionamento ne chiama un altro e per contrasto o somiglianza un altro e un altro ancora, mentre la realtà viene registrata con occhio curioso e indagatore, nelle sue mille sfaccettature anche visive, come una sequenza di brevi flash fotografici. ( per certi versi il protagonista mi ricorda quello di Blow Up di Antonioni).

…Molto (e meravigliosamente) si dice circa il senso dell’amicizia e il suo (eventuale) limite, grandi pagine si soffermano sul senso del tempo (rivelando una sorta di fatalismo scettico e sconsolato), vi sono una serie di fantastiche e profonde considerazioni sul matrimonio (un’istituzione narrativa, il cuscino è “il confessionale”), viene indagato il valore della verità (e quindi l’opportunità di sapere e svelare i segreti, e le loro conseguenze).

Pagine intense e sottili riguardano il significato simbolico che in una coppia ha il reciproco spalleggiarsi ( ossia darsi/tenere fisicamente le spalle/proteggere/rassicurare l’altro), con notazioni profonde e insieme divertenti.

Infine moltissime sono le considerazioni sulle donne, il loro carattere, il loro sentire, le loro risate, i loro gesti, l’universo del femminile .

Le donne vengono sempre osservate da Marias con affetto, sorpresa, amore e quasi invidia ( il loro lisciarsi la gonna, il loro modo di camminare, il loro cantare inconsapevole mentre magari un bambino maschio malato a casa le ascolta e si incanta, quel bambino che, cresciuto, sarà per sempre escluso da quel mondo).

Per Marias, mentre le donne cantano (inconsapevolmente cantano (la vita), i maschi sono aridi, vigliacchi, meschini e soprattutto silenziosi – solo le donne li salveranno o potrebbero farlo, sembra suggerire l’autore.

“quel canto comunque intonato e che non tace né si stempera dopo che è terminato, quando è seguito dal silenzio della vita adulta, o forse della vita maschile” (così finisce il libro).

L’episodio di Berta (che colpisce fortemente chi legge) è una sorta di racconto nel racconto. Un racconto dolente eppure, ciò nonostante, pieno di vita e di profondità psicologica, di amore per questa creatura femminile piagata ma non piegata, per la sua costanza, e impazienza, e fragilità senza misura. Berta è l’amica zoppa di New York dedita a incontri al buio – alla fine sempre deludenti e frustranti – con uomini trovati sugli annunci dei giornali, che al protagonista chiederà complicità e sostegno oltre l’immaginabile.

L’episodio, narrato – come tutto in questo libro – con finezza, abilità e anche tenerezza, di fatto racconta anche di una addiction (autolesionistica come tutte le addictions), in una maniera delicatamente empatica. .

 

Ma il bello ( uno dei molti lati belli), di questo libro è che lo scrittore non emette mai giudizi morali o moralistici verso i propri personaggi (forse nemmeno verso quelli più squallidi e ambigui, Custardoy figlio o il suo segretissimo padre). Marias li comprende, li tiene dentro e, comprendendoli, ce li descrive e fa capire.

Un cuore così bianco è un libro che consente molte e diverse letture, e guadagna molto a una seconda lettura.

Infatti ha diversi piani e livelli di “degustazione”…

Non è vero alla fine che Marias non emette giudizi etici: li tiene dentro la storia, li fa sbocciare, ci rende sapienti (più sapienti), cambia la nostra prospettiva, il nostro punto di vista, fa entrare aria fresca, allarga l’orizzonte delle nostre teste ( e dei nostri cuori).

Che poi è quello che fa solo un grande libro.

A me “Un cuore così bianco” è realmente piaciuto molto, moltissimo.

 

Cristina Viani

 

 

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IL CIMITERO DI PRAGA, di Umberto Eco

pubblicato da: admin - 3 Maggio, 2011 @ 10:23 pm

IMG_1487IMG_1486Come mi piace questo post di Riccardo! Appassionato, sincero, spontaneo. Di Eco lessi a suo tempo “Il nome della rosa” e lì mi sono fermata.

Questo libro (sebbene ricordi lo struggente cimitero ebraico che dà il titolo a questo romanzo ) non entrerà a far parte della mia biblioteca. Mentre  vi è entrato l’ultimo delizioso lavoro di Alberto Cavanna,  – un azzurro Coffee table book ” -“A piccoli colpi di remo“.

Ieri sera a casa della nostra ospitalissima Cristina,  l’autore di tanti libri sul mare e sulle navi ci ha parlato affabilmente della sua vita di scrittore e della genesi dei suoi libri. E dobbiamo proprio ringraziare Riccardo che da navigante tra flutti e librerie  ha scoperto per noi un amabile e interessante autore “di bosco e di riviera”.

Lascerò spazio ai partecipanti alla serata per ulteriori ragguagli , ma inserisco due foto  dell’incontro accademico scattateci da …Riccardo.

 

Ed ecco “Il cimitero di Praga

Di “cosa parla”? Su internet trovate tanti riassunti, recensioni, critiche. Accomodatevi. All’inizio mi aveva affascinato, fino a quando cioè si parlava dei retroscena politici dei servizi segreti che stavano dietro l’impresa di Garibaldi. Ma poi … basta, per carità, vorrà dire che questa volta il blog di Mirna ospiterà un post “negativo”, di disapprovazione. Se Eco voleva farci sapere che ha una grande fantasia, una grande capacità di narrazione, una grande cultura (cultura = “insieme di conoscenze”), che conosce la storia, che sa a memoria molte ricette di cucina, che si orienta benissimo fra certe viuzze di Parigi e molto altro, c’è riuscito. Del resto lo sapevano già, nè ci sarebbe stato bisogno di questo minestrone (e ci risiamo con le ricette di cucina!) intricatissimo, sconcertante e avvelenante. Infatti, soprattutto semplicemente orrende le teorizzazioni dell’antisemitismo, cui a suo tempo attinse lo stesso Adolf Hitler. Ma che bisogno c’era di rievocarle? Rievocarle in un tempo, il nostro, in cui l’Iran sta cercando di costruire la bomba atomica per distruggere lo Stato di Israele (ma Eco voleva vincere il Premio Strega di Teheran?); in cui quest’ultimo Stato sta usando violenza al popolo palestinese; in cui altri popoli migrano spinti dalla fame e dalle guerre cui cercano di sottrarsi, sperando di essere accolti e non respinti? E poi, tutto quel machiavellismo, quella “politica” autoreferenziale che sempre giustifica stessa in nome della … “politica stessa” (ma l’avreste mai detto? Un po’ come quando membri di un Parlamento votano la fiducia al Governo, cioè a loro stessi in quanto essi sono anche membri di quel Governo!); in cui ad altri popoli (ad esempio il nostro) vengono quotidianamente servite in tavola “interpretazioni ufficiali”, barzellette e giochi di prestigio al posto di verità? Che bisogno c’era di contribuire a confonderle le idee, anziché di chiarirle? E non mi si dica, con un sorriso di indulgente commiserazione sul viso, che io “non ho capito”, che “dietro c’è ben altro”, che in realtà si voleva stimolare una reazione “contro” e non la condivisione, etc.. Il mondo non è fatto di super intellettuali che possono capire ciò che “ovviamente” sfugge ai comuni mortali. Il mondo è’ fatto soprattutto di “gente comune” (evviva la Gente Comune!”), la quale o legge molto, ed allora di fronte a questo libro si indigna, o legge veramente poco, ed allora di fronte questo libro si domanda “ma possibile che non vi sia del vero, che abbia ragion “lui”?” (“Lui” chi? Non ve lo dico. Fate un po’ voi …). Ma se la maggioranza della popolazione legge veramente “poco”, allora forse c’è la speranza che questo libro proprio non rientri in quel “poco”. Insomma, indignazione o scandalo. E le vendite del libro come stanno andando? Sinceramente mi auguro male. Se poi decidete ugualmente di leggerlo, paradossalmente spronati da questo giudizio, procuratevi un notes e una matita per annotare nomi, trame, etc. altrimenti vi perderete per strada” tanto è difficile riannodarne le fila … oppure, prima, leggete la trama e i commenti su internet … vi faciliteranno la comprensione … un po’ come “tradurre dal greco” con a fianco la traduzione interlineare. E comunque l’assassino non è il maggiordomo.

Riccardo

 

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LA STANZA DELLA MUSICA di Namita Devidayal

pubblicato da: admin - 28 Aprile, 2011 @ 8:35 am

Raffaella, appena tornata da un bellissimo viaggio a Roma, ci offre una storia che parla dell’India e della musica . Un romanzo che già dal titolo evoca atmosfere incantate.    

                                                                In queste ultime settimane sono stata letteralmente trasportata nel magico ed affascinante mondo della musica indiana grazie ad un libro molto interessante, La stanza della musica, di Namita Devidayalla_stanza_della_musica[1] ( Neri Pozza, 2009).

E’ sì un romanzo autobiografico, di formazione se volgiamo ,dove la protagonista è una bambina a cui vengono impartite lezioni di raga e taan, che cresce , diventa una giornalista negli States ma torna spesso dalla sua guru, la maestra Dhondutai Kulkarni con la quale instaura un rapporto profondo di amicizia. Ma questo brevissimo riassunto è veramente limitativo per definire un’opera così complessa ed evocativa, che descrive un mondo antico ed affascinante , un viaggio che si snoda tra ricordi personali e aneddoti, e una miriade di richiami alla storia della musica vocale indiana attraverso storie vere e leggende.

Dondhutai è una delle più importanti cantanti viventi di musica classica indiana. Appartiene alla scuola Gharana di Jaipur, fondata da Alladiya Khan e, più tardi, rappresentata da Kesarbai Kerkar. Si dice che uno scienziato americano volle una registrazione del canto di Kesarbai da mandare in orbita, insieme ad opere d’arte e formule matematiche, per salvare una testimonianza del genio umano in caso di catastrofe planetaria.
L’incontro con questa maestra plasma Namita :

“Tornai a Kennedy Bridge la settimana successiva. Durante la nostra prima lezione, Dhondutai mi invitò a chiudere gli occhi e ad ascoltare il fedele compagno dei cantanti, il tanpura.
Io ero incuriosita dallo strumento, che somiglia a un sitar, ma produce solo quattro note, ripetute senza sosta. Dhondutai passò le dita sulle corde e un suono grave, ritmico e ipnotico, prese a colmare la stanza, creando un costante mormorio di serenità. Ben presto, tutti i rumori dell’ambiente – il ronzio del ventilatore, il ticchettare smorzato dell’orologio da tavolo, le grida occasionali dei bambini e degli ambulanti per la strada, il russare sommesso di Ayi, il sibilo della pentola a pressione in cucina – trovarono il loro posto in rapporto a quel suono di sottofondo. Da allora in poi, il nostro linguaggio fu quello della musica.”

L’iniziazione alle note per Namita è un’iniziazione alla vita e Dhondutai, personaggio tragico ma incredibilmente energico, una volta cantante famosa ma ormai dimenticata, vede il lei l’allieva perfetta, la propria riflessione nello specchio della vita che sta ormai volgendo al declino. Dondhutai, forse la vera protagonista del romanzo, ha dedicato la propria esistenza alla musica, non si è mai sposata proprio per donare interamente se stessa all’arte dei raga.

Ho preso questo libro attirata dalla copertina e soprattutto perché sono affascinata dall’India e dalla sua cultura. Ci sono alcune parti dove prevalgono le descrizioni didascaliche della musica indiana e dei suoi protagonisti ma non disturbano eccessivamente la narrazione. Nel complesso di tratta di un romanzo godibile e a tratti davvero sorprendente ed evocativo tanto che i raga che cantano Namita e Dondhutai pare di sentirli davvero…So che nel blog ci sono molti estimatori di musica.

Cosa ne pensate dei libri che parlano di questa meravigliosa arte?

 O parlarne è riduttivo ed è proprio necessario immergersi nell’ascolto delle note? Chiudo con qualche frase dell’incipit, che trovo molto bella.

“ Dondhutai cantava ad occhi chiusi, carezzando ogni nota con tenerezza , quasi si stesse avvolgendo lentamente in un grande bozzolo di musica. Avvertita la presenza di una fonte innaturale di luce, aprì gli occhi , ma continuò con il suo canto, seguendo con lo sguardo il percorso luminoso nell’angolo della stanza. Giunta alla nota più alta e più sublime del raga, udì un sospiro di piacere e le apparve la dea, sorridente. Sbigottita, Dhondutai chiuse gli occhi e quando li riaprì la visione era scomparsa. Posò il tanpura e andò alla porta a ritirare la bottiglia del latte. La sua giornata era cominciata bene”.

Raffaella

 

 

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UN GIORNO QUESTO DOLORE TI SARA’ UTILE

pubblicato da: admin - 24 Aprile, 2011 @ 9:50 pm

Mi avvicino a Peter Cameron con un romanzo dal titolo tradotto alla lettera “Someday this pain will be useful“.

Si entra nella storia  in modo sommesso: conosciamo  James, il protagonista narrante di soli diciotto anni che ci presenta la madre appena tornata affranta da un altro matrimonio lampo fallito e   sua sorella Gillian, una giovane donna  piuttosto determinata.

James invece brancola nel buio: vuole innanzitutto capire e capirsi. Dice che non vuole andare alla Brown  University ma che desidera  comprare una  vecchia casa nell’Indiana per vivere un’altra vita.

Cameron è maestro nei dialoghi e leggerli è facile e godibile, ma il racconto non è così semplice come all’inizio può apparire. Lentamente apprendiamo grazie anche a minimi flashback di alcuni mesi del 2003 del profondo disagio di questo diciottenne definito  “un disadattato” da una sua insegnante che l’aveva accompagnato, insieme alla sua classe, in un viaggio premio a Washington. E’ stato questo viaggio l’esperienza topica che ha innescato  nel ragazzo la consapevolezza di un profondo malessere esistenziale. James  rasenta veramente la sociopatia, ma tutto ci viene raccontato con leggerezza e  con un malinconico sense of humor.

C’è in questo giovanissimo uomo l’angoscia di vedere le cose in un modo più inquietante di come appaiono. Per questo ed altro egli  viene mandato in analisi dalla dottoressa Adler che in una delle ultime  sedute gli chiede che cosa ha provato l’11 settembre.

E in un crescendo di eventi , di rivelazioni giungeremo alla fine a capire il  doloroso percorso di formazione che James sta percorrendo.

Egli sembra non amare le persone, ma le osserva con estrema attenzione partecipando intensamente di loro peculiari istanti.  In una notte d’estate, siamo nel luglio del 2003, James si incanta a “vivere” un momento magico  di una coppia di innamorati  “Magari si erano innamorati cenando nel giardino di un ristorante…magari non si erano ancora dati il primo bacio e camminavano un po’ staccati perchè pensavano di avere tutta la vita davanti per camminare vicino, per toccarsi, e volevano gustare quel momento prima di toccarsi il più a lungo possibile…ma qualcosa in loro mi ha intristito. La scena era troppo bella: la notte d’estate, i sandali, i visi rapiti da quella gioia repressa. Mi pareva di essere stato testimone del loro momento più felice, del culmine che senza saperlo si stavano già lasciando alle spalle.”

James vive come un vecchio, ricorda il protagonista di Senilità già in attesa della fine. Durante il suo viaggio a Washington racconta alla psicoanalista  che visitando la National Gallery si era imbattuto in una stanzetta dedicata a Thomas Cole e ai suoi celebri dipinti sul “Viaggio della vita” dell’uomo.  Navi che vanno e vengono, ma è solo nel quadro “Vecchiaia”che James sarebbe voluto entrare  perchè  la nave sta andando verso il buio. “Volevo saltare quella della Virilità. L’uomo adulto era terrorizzato e non riuscivo a capire che senso aveva il suo viaggio: perchè affrontare quelle rapide infide, su un fiume che sarebbe comunque finito nell’oscurità, nella morte? Io volevo essere nella barca insieme al vecchio, con tutti i pericoli alle spalle e l’angelo accanto che mi guidava verso la morte. Volevo morire”

E’ grazie  però soprattutto all’adorabile nonna Nanette che James supererà il momento di stand by – quello in cui non è mai pronto per cominciare  ad affrontare la vita – ; è infatti  quando sta accanto a lei, nella sua tranquilla casa che non si sente più “estraneo”, “disadattato, disturbato. E’ la nonna che in una delle ultime pagine del libro e quindi del racconto spiega a James l’importanza e l’utilità del dolore. “..io penso che le persone che fanno solo belle esperienze non sono molto interessanti…Il difficile è non lasciarsi abbattere dai momenti brutti. Devi considerarli un dono – un dono crudele, ma pur sempre un dono.”

(Credo allora che tutti noi possiamo considerarci interessanti! )

Ah, i nostri diciotto anni così lontani ! Che cosa provavate?

 

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L'ULTIMO INVERNO di Paul Harding

pubblicato da: admin - 20 Aprile, 2011 @ 8:52 pm

scansione0005Neri Pozza Editore

E ‘difficile riassumere questo romanzo, premio Pulitzer 2010, colmo com’è  di suggestioni, emozioni, descrizioni che vanno e vengono, pensieri e personaggi che  fluttuano  come i personaggi di Chagall.

Si raccontano le ultime ore di vita di George  Crosby che cerca ancora di capire il  padre Howard, padre che l’aveva abbandonato per sfuggire al ricovero coatto in una clinica per malattie mentali.

Leggiamo con trepidazione e commozione sia pezzi della vita di George che quelli del padre, un venditore di pentole e altre mercanzie racchiuse in tanti cassetti  riposti sul suo carro trainato da un cavallo, ma anche tuttofare che riesce ad essere barbiere, dentista,  sa costruire piccole cose che hanno a che fare con il mondo della natura.

Sapete come si costruisce un nido? Prendete piccole lamine e sulle vostre dita provate a costruire due parti di un becco per poter cogliere un po’ alla volta, come fanno gli uccelli, i fili giusti d’erba o i pezzetti di legno. C’è la precisa descrizione a pag.164. 

Incantevoli le passeggiate di Howard nei boschi , questo filosofo naturalista che spesso vede il mondo capovolto,  mentre  ammira la vita intorno a lui e lascia fluire i suoi pensieri. Howard soffre di epilessia che spesso lo stordisce come “il fulmine colpisce il bosco”. George ne rimane impressionato la prima volta che lo vede cadere e quando per aiutare la madre Katleeen gli mette la mano in bocca per non farlo soffocare e il padre gli morde le dita.  Dopo questo episodio la moglie fredda, poco amorevole lo vuole fare internare.

Howard fugge e si rifa una vita.

George rimane dunque con il sapore amaro dell’abbandono e con il desiderio di comprendere quell’uomo misterioso e affascinante. Lo rivedrà infine da grande ed, ora, sul letto di morte sta ricomponendo il puzzle delle loro vite che sembrano unite dal ticchettio degli orologi che George ama.

Nella stanza dove aspetta la morte gli orologi vengono fermati dagli amorevoli figli e nipoti, quasi  una prefigurazione della vita che sta per finire. Ma George li rivuole sentire e prega di ricaricarli.

Ci sono paginette tratte da “L’orologiaio ben temperato del Rev. Kenner Davenport, 1783.” Il tic tac degli orologi lo rassicurano; come tutti gli ingranaggi sono utili per far funzionare un orologio  così – pensa George -ogni elemento naturale o umano è necessario e confortante.

Così tra sogni, pensieri suoi che si intrecciano con quelli del padre si compie la vita di George Crosby . E l’ultima cosa che immagina è la cena di Natale del 1953 quando rivede finalmente suo padre.

Non è un libro triste, è una storia immaginifica, commovente e in alcune pagine divertentissima. Era tanto tempo che non ridevo così di gusto tanto che Mimilla che dormiva sulla mia pancia ha protestato perchè sussultavo.

Insomma c’è l’episodio di quando Howard toglie il dente a Gilbert il solitario vagabondo che vive nei boschi che dice di aver conosciuto Hawthorne (Avrà 120 anni pensa Howard) . Egli è sempre seguito da un nugolo di mosche che diventano attrici nel momento dell’estrazione del dente, dei successivi svenimenti di Gilbert della consegna di una lercia pelle di volpe come ricompensa… infatti esse si spostano, si allontanano, ritornano, fremono e partecipano …

E’ il primo romanzo di Paul Harding.

L’avete letto?

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L'AVVOCATO DI STRADA di John Grisham

pubblicato da: admin - 17 Aprile, 2011 @ 9:45 pm

             Finalmente un’altra voce maschile – Gianfranco - partecipa al nostro salotto letterario virtuale proponendoci  un’ avvincente lettura che  farà  riflettere .

                                                               51Dg2Sp556L._SL500_AA240_[1]   Michael Brock è un avvocato americano che lavora per un importante studio legale.

Un giorno viene sequestrato assieme ad altri suoi colleghi da un (homeless) senza tetto che si fa chiamare Mister. Quest’ultimo non chiarisce il motivo del suo gesto, solo chiede di sapere chi si occupa degli sfratti prima che un cecchino della polizia lo uccida. Michael, sconvolto da questa esperienza, si sente sempre più insofferente alla sua vita di sempre fatta di ottanta ore a settimana di lavoro e da un matrimonio che non funziona perché l’ufficio assorbe tutto il suo tempo e l’ospedale quello della moglie chirurgo. Allora inizia ad avvicinarsi a un avvocato di colore impegnato nel sociale, e una notte si reca in una casa di accoglienza per i senza tetto a fare del volontariato. Lì viene in contatto con una giovane madre tossicodipendente con 4 figli che vive in una macchina. Il giorno dopo scopre che la donna e i suoi figli erano morti durante la notte intossicati dai gas di scarico della macchina lasciata accesa nel tentativo di difendersi da una bufera di neve. Così decide di indagare sul caso e su quello di Mister e scopre che il suo studio si era reso colpevole di una grave violazione, in quanto aveva sfrattato senza preavviso dei senza tetto che vivevano in un immobile comprato da un loro cliente, una società immobiliare. Gli occupanti erano gente di strada, ma pagavano regolarmente un affitto, anche se in nero, così avrebbero dovuto ricevere un preavviso di due settimane. Michael decide così di lasciare lo studio e sottrae il fascicolo riguardante questi eventi. Si unisce allo studio di Mordecai (l’avvocato di colore) rinunciando ad una valanga di dollari, e venendo per questo lasciato dalla moglie Claire. Però alla fine riuscirà a trascinare il suo potente studio in tribunale e a ottenere un risarcimento esemplare per i suoi indigenti.

La storia ,infatti, non passa inosservata: il debole contro il sistema; i barboni contro il colosso degli studi legali. Ma non solo, è anche la storia di chi, avvocato, lascia tutto per sostenere la causa degli homeless. Un esempio di generosità, altruità, umiltà che oggi non guastano, ormai indifferenti e presi da tutti altri valori.

Interessanti le descrizioni del mondo degli homeless: l’autore stesso in una nota a fine libro, ci racconta come si sia recato alla Washington legal clinic for the homeless per conoscere meglio l’argomento. Inoltre è molto ben descritto il mondo degli avvocati che lavorano nei grandi studi, che l’autore conosce bene in quanto avvocato di medio successo, fatto di una vita dedicata al lavoro nella ricerca maniacale del successo e del denaro.

Da segnalare che in Italia nel 2001, sulla scia del libro di Grisham, è nato un progetto di volontariato che porta lo stesso nome del libro. Presso lo sportello legale le persone senza dimora che hanno bisogno di un aiuto legale, vengono ricevuti da avvocati e laureati in giurisprudenza che forniscono gratuitamente consulenza e assistenza legale. Il progetto “Avvocato di strada” in breve tempo si è affermato per la sua utilità sociale, ed è riuscito ad esportare il proprio modello in molte altre città italiane, al fine di rendere più capillare l’aiuto a quante più persone possibili.

 Gianfranco

 

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A PICCOLI COLPI DI REMO di Alberto Cavanna

pubblicato da: admin - 14 Aprile, 2011 @ 11:10 pm

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 Arte Navale 2011

DA RICCARDO:

Alberto Cavanna, Savonese naturalizzato Spezzino, ama definirsi ‘shipwriter and talebuilder’ e cioè ‘narratore di navi e costruttore di storie’. Operaio, impiegato e poi dirigente in importanti cantieri navali ha legato la sua vita lavorativa prima e letteraria poi al mare. Ha esordito con ‘”Storie di navi, di viaggi e di relitti” Mursia 2001. Fra gli altri ha poi pubblicato “Bacicio do Tin”, Mursia 2004, secondo classificato al Premio Bancarella 2004, di cui al mio post del 20 giugno 2010; “Da bosco e da riviera”, Rizzoli 2009, Premio Marincovich 2009, Premio Casinò di Sanremo – Libro del Mare 2010, di cui al mio post dell’11 agosto 2010.

“Trentinamente scoperto” da me per caso, mentre passeggiavo fra gli scaffali della libreria Il Papiro di Trento, inserito nei nostri post, ci ha telefonato ringraziandoci per l’apprezzamento mostrato nei suoi confronti e noi ne abbiamo subito approfittato, invitandolo in Trentino: infatti la sera del 2 maggio Alberto sarà ospite dell’Accademia delle Muse, a Trento, presso la casa della Presidente Cristina, ad ore 20,15, per rinfrescare i titoli “vecchi” e presentarci l’ultimo nato, finalista al Bancarella 2011: “A piccoli colpi di remo”, disponibile presso Il Papiro ed anche nella serata di presentazione, libro di cui è stato scritto:

“Gli uomini, le loro vicende, i loro sentimenti e il mare in trenta racconti scritti nell’arco di molti anni. Alcuni di essi sono diventati romanzi: “Viribus Unitis” ha ispirato “Da bosco e da riviera”; “Un corsaro” ha ispirato “Bacicio do Tin”. “Calipso” e “L’orco” stanno per ispirarne altri. Sin tratta di bozzetti, immagini, situazioni aventi tutte una carica emotiva di fronte alla quale è difficile restare insensibili. Il Mare, è il grande sfondo su cui i vari personaggi si muovono, con pochi punti fermi di riferimento: le Navi, i viaggi, la terraferma. In Mare aperto i punti cardinali sono un’entità relativa, un’idea astratta che ha riscontro solo nell’ago della bussola; il tempo stesso è un succedersi di eventi ritmati come albe e tramonti che scandiscono l’unica attività possibile:il navigare. Il resto è vento, nuvole, cielo e acqua. La sola certezza l’unico appiglio cui la sopravvivenza di ognuno si aggrappa, é la Nave, solitaria testimonianza umana in un ambiente semplice e ostile, scenario del viaggio. I secoli passano ma solo le Navi cambiano: gli uomini in viaggio, i loro pensieri, le loro paure restano sempre le stesse. I personaggi di Alberto Cavanna, colti in un attimo preciso della vita, appaiono in tutta la loro bruciante umanità, quasi liberati dal fardello di un’identità, di una provenienza, delle convenzioni della società cui appartengono e questo proprio in virtù dello spazio speciale in cui la loro semplice azione si svolge. Essi, colti in un momento emblematico della loro vita, una sorta di ‘final cut’, si liberano di ogni ipocrisia e narrano una breve vicenda, a volte solamenteuna situazione liberatoria, degna di essere rappresentata come l’epigramma di un’intera esistenza.”

Che altro dire? Ad Alberto, grazie per i tuoi lavori e grazie per avere accettato il nostro invito. A tutti noi del blog, … interveniamo alla serata! Buon vento e buona lettura a tutti

Riccardo

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I RISORTI di Michael Collins

pubblicato da: admin - 8 Aprile, 2011 @ 3:53 pm

scansione0004Neri Pozza Editore, 2003

Non è facile in un pomeriggio quasi estivo  parlare di un romanzo così intenso ed impegnativo dove gran parte della storia si svolge durante un gelido inverno del Michigan, metafora di una zona infernale dell’anima in cui il protagonista si trova intrappolato.

Frank Cassidy è un uomo che conduce una vita ai margini, una vita disperata che risente sia  del peso di un oscuro passato irrisolto e che lo ha portato, adolescente, nel baratro della follia, sia del malessere della vita politica americana del dopo Vietnam e del recentissimo dopo Nixon.

Accanto a lui la moglie Honey che di dolce sembra avere solo in nome tutta tesa a sopportare l’imminente condanna a morte del primo marito e a proteggere pur in modo severamente primitivo Robert Lee il figlio avuto da quest’ultimo.  Fortunatamente c’è Ernie il piccolo di Frank ed Honey che rappresenta l’innocenza che forse li aiuterà a risorgere dal loro inferno. E  che  sarà la loro lavagna pulita da cui ricominciare.

I loro sogni non sono stati realizzati, la loro vita si svolge parallela a quella della televisione sempre accesa tanto da portare  talvolta confusione tra la vita reale e quella dei personaggi dei telefilm, dei quiz. Sempre voci mediatiche si sovrappongono ai loro pensieri, repliche e repliche Tv  del Watergate, di sit comedies, polizieschi,  canzoni famose..

Andavamo incontro” pensa Frank” a un mondo in cui non ci sarebbe stato più nulla di reale, anzi verso una nuova definizione della realtà, dove la rappresentazione delle cose sarebbe stata più reale delle cose stesse, poichè queste ultime avrebbero smesso di esistere.”

E per Frank, che ha rimosso dolorosi ricordi neppure affiorati da adolescente durante il ricovero nella clinica psichiatrica, la vita sembra proprio sdoppiata.

Il viaggio dal New Jersey verso il Michigan dopo aver saputo della morte dello zio Ward è un viaggio verso il passato “Avevo trascorso lì insieme a lui quasi metà della mia vita. Nella mia mente quello era il luogo da cui scaturiva ogni cosa. …Ciò che compone la nostra vita è determinante durante l’infanzia dai luoghi e dalle persone che ci stanno intorno, così in qualche modo la solitaria caparbietà, l’attaccamento alle cose di mio zio avevano impresso nella mia anima un tetro marchio di follia. La vita con lui era soltanto sopravvivenza e duro lavoro.”

Lentamente il mistero della morte dei genitori di Frank, del presunto assassinio di Ward, dell’incendio della fattoria e di un uomo in coma legato a queste vicende del passato si risolverà con dolore e fatica.

Michael Collins riesce in ogni pagina a darci emozioni intense, spunti di riflessione esistenziale raccontandoci come un vecchio “giovane Holden” l’amarezza e la delusione di quella parte di America che meno ci piace, quella della pena di morte, quella dei poveracci, quella in cui l’onnipresente televisione accesa  diventa un surrogato di vita anche per i bambini che hanno come amici gli eroi del piccolo schermo.

E sembra che i momenti cruciali della storia siano commentati da ciò che viene trasmesso in TV. Bellissimo leggere di un momento di disperazione senza speranza e senza senso  e “veder scorrere” le immagini  più cruente degli “Uccelli” di Hitchcok.

Ma si può risorgere dalla desolazione, dai ricordi tristi, si può finalmente ricordare ed elaborare, diventare insomma consapevoli e più forti. Il lungo inverno finirà, l’inverno che uno dei protagonisti ricorda  –  ancora come  un  vecchio “giovane Holden” – in questo modo  “le centinaia di oche che  nel lago all’arrivo improvviso del freddo sbattevano le ali divincolandosi fra la neve, cercando di sfuggire alla morsa del ghiaccio che le aveva intrappolate.”

Non bisogna rimuovere i tristi ricordi, sembra dirci questa storia, ma affrontarli. Accettare ciò che la vita ci offre di buono o di cattivo.

Sia Honey  che io siamo laureati adesso. La cerimonia ebbe luogo, come usava da quelle parti, sul campo da football, e ciscuno dei partecipanti scagliò in aria un topolino bianco in segno di giubilo. Credo che gesto più crudele non si potrebbe associare a un giorno così bello e importante…”

Ah, America, America … dalle mille contraddizioni…ah, Mondo intero…

Michael Collins è nato nel 1964 a Limerick. Ha conseguito il titolo di Doctor of Philosophy presso l’Università dell’Illinois a Chicago. Ora vive a Seattle. Con “L’altra verità” è stato finalista al Booker Prize.

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LA VITA ACCANTO di Mariapia Veladiano

pubblicato da: admin - 5 Aprile, 2011 @ 12:28 am

scansione0003Un bravo scrittore deve essere un grande, grandissimo lettore.

 E la Veladiano ce ne dà conferma in questo suo romanzo vincitore del Premio Calvino 2010.

E i lettori accaniti se ne rendono gioiosamente conto ed entrano nella sua storia con complice attesa senza rimanerne delusi.

Appena iniziato a leggere di questa bambina bruttissima, quasi un “mostro” ho ricordato “L’homme qui rit” di Victor Hugo dove si racconta di Gwinplan, un bambino rapito  e mutilato  in modo che sul suo viso apparisse un eterno ghigno. Deriso da tutti è  da giovane adulto amato da Dea, la fanciulla cieca che “vede” la sua bellezza interiore.

E così è per Rebecca costretta a stare perlopiù nascosta in casa per non suscitare orrore e scherno ed amata solo da pochissime persone: una cara amica delle elementari, anch’essa “diversa” perchè grassissima, dalla sua tata, forse da suo padre assente, ma  –  pensa lei - non dalla madre che appena dopo il parto  entra in una grande depressione e non parla più. Della madre Rebecca non conosce persino il suo odore, mentre invece è circondata dagli effluvi di alghe e gallinelle in cova del fiume Retrone che circonda la sua casa.

Il suo affacciarsi nel mondo dopo le elementari è doloroso. Qualcosa di terribile le accade e la Veladiano è abile nel dosarci questo evento.  Ma ci fa sentire quanto terribile sia ciò che prova il diverso che sente il peso del disgusto degli altri. 

 “Avevo imparato il mio posto. Stavo seduta come una statua…una bambina brutta è grata a tutti per il bene che le vogliono, sta al suo posto…una bambina brutta è figlia del caso, della fatalità, del destino, di uno scherzo della natura…”

Ma il destino le ha riservato come compensazione un grande talento musicale riconosciuto da il Maestro De Lellis che la porterà anche nella sua grande casa a conoscere la madre, un tempo famosissima concertista.

E qui nella vecchia, ma non troppo, signora De Lellis che si veste solo di bianco come durante i suoi  passati concerti, ritroviamo un altro rimando letterario, anzi due: Miss Havisham di “Grandi speranze“, la mancata sposa che rimane per tutta la vita con l’abito nuziale dentro la sua casa preparata inutilmente per il banchetto di nozze e “La donna in bianco” un feuilleton del 1859 di Wilkie Collins, romanzo pieno di mistero e di annegamenti, di solitudine, di follia …come ne “La vita accanto“.

Rebecca dunque scoprirà misteri e segreti sia sulla signora De Lellis che su sua madre.

Un romanzo-gioiellino che sembra attuale nei rimandi all’ambientazione ma che rimane sospeso in una particolare dimensione come la nebbia che sale dal fiume onnipresente.

Un piccolo classico rivisitato.

Non racconto tutto perchè scopo del Blog è quello di sollecitare a leggere, leggere, leggere…

Posso solo dirvi che Rebecca sentirà finalmente il profumo della madre ormai morta perchè esso sarà liberato dalla boccetta della sua essenza preferita: lavanda e vaniglia.

Ciò mi ha particolarmente commossa e mi ha fatto ripensare a mia madre che profumava di geranio. Indimenticabile.

E  vostra madre?

 

P.S.

Sono andata a leggere il commento di Cristina V.  E’ interessante vedere quante diverse sensazioni un libro suscita nelle persone. Ed è proprio il bello di questo nostro confronto. Grazie Cristina.

 Ed ora aspettiamo  te, carissima Raffaella.

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