RACCONTO PER UN AMICO, o l'amore per la vita

pubblicato da: admin - 29 Novembre, 2010 @ 8:41 pm

Stamattina ho sentito per radio che stanno curando una nuova edizione de “La montagna incantata” di Thomas Mann, forse tradotta con il titolo “La montagna magica”. Un libro che segna la vita del Lettore che viene portato di peso nel mondo claustrofobico del sanatorio, metafora del malessere della civiltà occidentale dalla quale sembra non poter fuggire. Dovrei rileggerlo. Per ora è Stefania che si cimenta con quest’opera.

Il sanatorio, teatro della sofferenza umana, appare in moltissima narrativa sia come luogo  descritto da lontano, sia come esperienza vissuta.

Halina Poswiatowska l’autrice di queste pagine bellissime ne è stata testimone diretta. Vi soggiornò per parecchi mesi per curare il cuore indebolito da un’angina mal curata in tempo di guerra.

Queste pagine sono lettere, impressioni, ricordi che Halina racconta a un caro amico cieco che è stato nei brevi anni della sua vita adulta, una presenza costante, protettrice ed ammonitrice.

Halina nata nel 1935 e morta a soli 32 anni in Polonia, era anche una poetessa, venerata dai giovani del suo paese.

La sua scrittura poetica, chiara, immaginifica ci ricorda sia la Woolf che la Bachmann, dicono i critici. A me ricorda soprattutto Katherine Mansfield  sia per questo suo raccontare la vita, pur piena di sofferenza, come un luogo in cui essere felice “Fuori ogni cosa sembrava fatta d’oro. Gli alberi muoiono diversamente dalla gente, paiono quasi felici pdi morire. Forse perchè viene la primavera e rifioriscono…” sia per l’attaccamento caparbio alla vita che però soccombe   alla debolezza del corpo. Anche in Halina come in Katherine c’è un attaccamento sensuale, fisico, quasi biologico alla vita.

Ho riconosciuto un’amica in questa  donna per la quale vita e scrittura sembrano indissolubili, per la quale ogni istante di vita è prezioso come una conquista perenne e come una  nuova scoperta.

Halina ci descrive la sua infanzia, segnata dagli orrori della guerra, la scuola, gli amici, i primi amori, il tempo trascorso nei sanatori ad osservare la sofferenza altrui e a vincere la propria. Racconta del marito artista scomparso pochi anni dopo il matrimonio e del soggiorno negli USA  come ultima speranza per guarire.  Ed infine del ritorno in Polonia, dettato da nostalgia, imquietudine e disillusione.

Scrive al suo amico dal sanatorio:

Ci sono notti, amico mio, in cui il mondo finisce. Il mondo se ne va, lasciandoci con gli occhi sbarrati e le braccia inerti. Dapprima è come la coscienza di una rigida legge matematica, la consapevolezza che domani il mondo non ci sarà più. Ma in questo momento, tante volte vissuto, in questo momento che cresce e matura dentro di noi, anzi, nell’attimo finale di questo momento, com’è il mondo? Com’è, quando c’è e non c’è nello stesso tempo, quando con il respiro e con il gesto tentiamo di fermare la parte di noi che fugge senza ritorno?”

Deve scrivere, comunicare Halina Poswiatowska , perchè” il silenzio divide più della distanza, il silenzio uccide persino i pensieri “. E scrive lettere, diari, poesie.

E nelle ultime pagine del racconto per il suo amico dice: “…chissà se mai lo leggerai. Guardo con diffidenza il fascio di fogli scritti: sapranno le parole difendermi meglio del silenzio? E’ ancora possibile esprimere qualcosa con le parole? Le ho cercate con fatica, riguardandole più volte una per una, confrontandole con il mio amore e con il mio dolore. Confrontavo il desiderio con la parola desiderio, e per il mio amore più grande -quello per la vita -cercavo le definizioni più belle. Amo la vita, amico mio, …amo guardare gli alberi piegati dal vento e lo scintillio lontano del faro. “

Scrive queste righe mentre sta tornando dagli Stati Uniti verso la Polonia, con il cuore irrimediabilmente malato. E’ sulla nave:

Fuori di me sento il rombo dell’acqua schiumosa; dentro al petto sento pulsare, delicatissimo, il più sensibile degli strumenti che misurano il tempo: il cuore. E’ ancora debole, ma batte regolare e pompa, impavido, il sangue caldo.

Ascolta, amico mio: queste pagine non sono altro che il suo ritmo.”

3 Comments »

IL SENSO DI SMILLA PER LA NEVE, di Peter Hoeg

pubblicato da: admin - 28 Novembre, 2010 @ 8:20 pm

121011_BookCover[1]La terre est blanche,/ le ciel est noir, /cloches carillonez gaiement“  ecco i versi che ho recitato  stamattina aprendo la finestra sui fiocchi leggeri di questo novembre trentino mentre mi arrivava il suono lieto delle campane dell’Abbazia di San Lorenzo.

L’insegnante di francese  delle scuole media ce li aveva fatti studiare a memoria.

Subito mi viene in mente anche il libro per il post quotidiano. Un libro che parla di neve, ma quella “tosta”, quella della Danimarca e della Groenlandia dove ci sono più di dieci modi per dire “neve” a seconda della sua  corposità, del disegno del fiocco, della  sua consistenza, ecc.

E’ un libro adatto a lunghe domeniche invernali quando ci si vuole raccogliere in qualcosa di avvincente e nello stesso tempo “viaggiare” sia nell’altrove geografico che nell’altrove di nuove visioni della vita.

Smilla (nome che mi piace) è una glaciologa indipendente, scontrosa, con ricordi brucianti dell’adorata mamma Inuit morta tragicamente mentre pescava con il suo kayak in Groenlandia,  e  che deve  destreggiarsi in un rapporto conflittuale  con il padre residente a Copenaghen come lei.

 L’unico suo  intenso legame affettivo è con Esajas, figlio di una vicina Inuit.

Quando il bambino, una sera d’inverno, scivola da un tetto innevato e muore, Smilla si accorge che non è stato un incidente. E’ proprio il suo “senso per la neve” che le fa capire che le impronte lasciate da Esajas sul tetto sono sospette.

Raccontato in prima persona questo romanzo ci porta in un ambiente diverso,  in un mondo a noi lontano denso di descrizioni di paesaggi affascinanti che ci condurranno da una prenatalizia Copenaghen alla calotta polare.

C’è  un mistero intricato da risolvere in cui anche il piccolo Esajas è stato, suo malgrado, coinvolto. E Smilla comincia ad investigare. Si oppone, si ribella, com’è nella sua natura, al potere di certe istituzioni corrotte, allo sfruttamento delle risorse minerarie della Groenlandia. La sua curiosità, il suo senso di riportare giustizia, la fanno incorrere in seri pericoli.

Le autorità la minacciano, la incarcerano per una notte, cosa per lei tremenda. Il timore degli spazi chiusi per  lei,figlia delle grandi distese aperte di ghiaccio e neve, la fanno retrocedere. Ma verrà aiutata da un meccanico,  suo coinquilino,  a riprendere le indagini ed insieme infine  scopriranno un’incredibile (e un po’ confusa)  verità.

Thriller avvincente, in cui oltre la suspence c’è anche la storia di una persona che soffre, che si sente precipitare in un tunnel di depressione, una persona che si sente sradicata in un mondo di opportunismo,  di clientelismo, di possesso di ricchezze come unico fine.

“Crescere in Groenlandia ha rovinato per sempre il mio rapporto con la ricchezza. Vedo che esiste. Ma non potrei mai lottare per raggiungerla. Nè rispettarla seriamente. Nè considerarla un obiettivo”

Mi piacciono qesti emergenti scrittori scandinavi, amo entrare nel loro mondo cupo e lontano.

Peter Hoeg è nato nel 1957.  Nel 1988 venne salutato dalla critica come “il miglior narratore della sua generazione”.

Sono andata a leggere le opinioni dei lettori su Internet: ci sono estimatori osannanti  il messaggio ecologico, di tolleranza che il romanzo ci trasmette, ci sono i tiepidi che lo accettano come diversivo durante l’influenza, ci sono alcuni che lo  detestano   insieme alla persona che l’ha loro regalato…!( non è pericoloso regalare un libro a qualcuno se non si conoscono perfettamente i suoi  gusti?).

Insomma è vero che ognuno di noi legge una storia a modo suo, ne diventa co -protagonista o ne rimane distaccato,  e lo ama o non lo ama a seconda del suo vissuto, dei suoi desideri, dei suoi vuoti da colmare, dalla sua consapevolezza.

Io amo entrare in mondi nuovi, qui la Danimarca invernale, adoro entrare nelle pieghe intime delle persone, e qui Smilla, persona che ricerca la sua identità, mi ha catturato. Poi se il finale è un po’ confuso ed eccessivo, pazienza.

Durante la lettura ho avuto modo di fermarmi su molte pagine e riflettere.

 Che in fondo è, per me, lo scopo precipuo della lettura.

2 Comments »

CONGETTURE SU APRIL, di John Banville

pubblicato da: admin - 27 Novembre, 2010 @ 6:16 pm

scansione0012Narrativa, l’evocatrice dell’altrove.

 Necessaria per aiutare a ripiegarci su noi stessi e ad aprirci verso gli altri. Tante vite che si snodano parallele, quelle reali, quelle dei personaggi letterari. Così mentre insieme a John Banville ricerco April Latimer e conosco il suo approccio verso la vita, mi addentro nel suo ambiente, una Dublino invernale costretta in un abbraccio nebbioso che ricorda una poesia di Eliot. 

 Nel frattempo mi giungono i pezzi delle altre vite, quelle reali: dal cugino meranese, dall’amica lontana, da quelle vicine, messaggi, e-mails.  Persone contente, soddisfatte, altre malinconiche, altre aperte, alcune reticenti, persone che mordono la vita, altre che l’assaggiano timidamente.

Sempre nel mescolare con intensità lettura e vita mi accorgo di fare paragoni con tipologie umane che ho incontrato e che incontro.

 Questo romanzo  è definito “giallo”, sia per la scomparsa di April sia per un probabile omicidio, è in realtà una ricerca delle verità nascoste, quelle che forse ogni giorno  ricerchiamo anche noi.

Phoebe, la più cara amica di April, sembra essere l’unica persona a preoccuparsi della sua prolungata assenza. Nessun altro la cerca, certamente non la sua famiglia,  la madre, il  fratello, uno zio ministro, anzi questi  sembrano non voler sentire parlare di lei definita in coro come “la pecora nera”.

 Phoebe, nella sua ansiosa ricerca,  si fa aiutare dal padre, l ‘anatomopatologo  Quirke appena uscito da una clinica di riabilitazione per alcolisti.

Ogni ricerca  di qualcuno o di qualcosa mette in discussione parti di noi, così Phebe si interrogherà se ama Patrick, il bellissimo ragazzo africano, forse amante di April; il dottor Quirke combatterà strenuamente contro la tentazione di bere e in questa sua battaglia cederà a capricci estrosi come quello di acquistare un’auto sportiva che non sa guidare. Rafforzerà invece il suo fragile rapporto con la figlia.

La Verità è sempre multiforme, l’animo umano sfaccettato come un caleidoscopio, le maschere si sfaldano e ciò che sembrava vero risulterà  falso. Persino nel gruppo di amici Phoebe scopre rivalità  profonde, segreti e bugie.

John Banville con la “sua scrittura limpida e tagliente come una lama” ci porta attraverso una ostile e fredda Dublino alla  scoperta di un’impietosa verità, ma soprattutto ci induce  con forza a leggere l’anima degli uomini.

Ecco il vero”giallo”, scoprire la nostra e l’altrui verità. Che fascino osservare i vari comportamenti umani ed intuire da che cosa sono dettati.  Che delusione se si scoprono meschinità, ma che gioia la rivelazione di bontà, altruismo, attenzione vera verso gli altri…

Attenzione ed interesse. Tempo fa una persona sosteneva che non chiedeva mai niente agli altri per “educazione borghese”, per riservatezza, per non sembrare curiosi…io ho ribadito che l’impressione che invece dà è quella che degli altri a lei non  interessi niente… impressione di gelo.

Non vi capita di incontrare persone che parlano, parlano di sè, e non vi  chiedono mai niente? E se per caso sfugge loro una domanda su di voi … poi non vi ascoltano?

4 Comments »

IL FUOCO NEL MARE , di Leonardo Sciascia

pubblicato da: admin - 26 Novembre, 2010 @ 8:02 pm

 

Il libro che ci presenta Riccardo è affascinante.

 Leggere “tessere” varie  del pensiero di un autore come Sciascia non può che arricchire il nostro essere, sia  di Lettori che di  Persone. 

Testi sparsi, racconti dispersi, pubblicati dal 1949 al 1975

Biblioteca Adelphi 557

Pagine 179, €18

Sciascia, Racalmuto 1921 – Palermo 1989. Sciascia, tutti conoscono questo nome, come Pirandello, del resto, chi non ne conosce il nome? Sciascia, Il giorno della civetta, Todo modo, chi non li ha visti al cinema o in TV? Ma, Sciascia, chi lo conosce veramente? Andate in internet (Wikipedia) e potrete vedere come sia già un’ottima lettura leggere “l’indice” della sua vita, quasi come leggere – cercando di capirlo – l’indice di un’opera letteraria complessa e soprattutto “l’indice” di un uomo . Ricordo che da giovane studente, a Genova, il professore di filosofia del diritto, tale Luigi Bagolini, nell’interrogarmi, mi chiese: “Mi esponga l’indice del Kelsen (Hans Kelsen, Austriaco, filosofo del diritto). Cioè mi chiedeva che io gli esponessi l’indice del volume di filosofia del diritto posto a base dell’esame. Infatti, avere compreso quell’”ordine” significava avere studiato e avere assimilato i contenuti della materia. Perdonate la divagazione, ma io so resistere a tutto tranne che alle tentazioni. E questa era fortissima.

 

Sciascia, maestro elementare, romanziere, storico, saggista, commediografo, uomo politico, giornalista, sceneggiatore, uomo del sud. Personalità complessa? No, direi “ricca”, esuberante come la fioritura dei mandorli nella piana di Girgenti, il profumo delle zagare, la forza del vino siciliano, che mio nonno materno – l’unica volta che, bambino, “scesi” in Sicilia a trovarlo per accompagnare mia mamma, Agrigento classe 1904 – spillava dal fiasco “di paglia” mediante una pompetta applicata alla sua sommità, per evitare, lui così vecchio, lo sforzo di sollevare il peso di due litri di rame fuso alla temperatura di 18 gradi alcolici.

Sciascia poeta: “Sento la notte declinare nel passo profondo dei muli, nel fischio dei contadini che tra loro si chiamano …poi il silenzio raggiunge ancora i confini del sonno … il clemente naufragio dell’ora è penetrato dagli zoccoli petulanti delle donne, dal loro chiamarsi senza necessità, dal loro imprecare contro il maligno da fare che porta il giorno …

Cosa si può chiedere di più, ad uno “scrittore”?

Mio figlio Edoardo, professionista della comunicazione, mi ha appena fatto notare che ogni libro “nasce” non quando viene scritto, ma quando viene letto … quando chi lo legge lo rapporta ai propri sentimenti, alla propria sensibilità, alla propria storia.

Ed allora, anche se certamente avrete letto molto di lui, leggete anche questa raccolta. Io vi ho riconosciuto Pirandello nei piccoli grandi frammenti di assurdità (non oso arrivare a Kafka) che qua e là affiorano, secondo una ricercata causalità; Camilleri, nell’amore per la sua terra e nel poliziesco che improvvisamente conclude taluni racconti; Manzoni, per la sottile ironia che arricchisce le diverse situazioni; Shagall e Van Gogh, per l’intensità del tratto e la vivacità del colore della prosa; Richard Strauss e la sua Alpensinfonie per la ricchezza del caleidoscopio nel che consiste questa raccolta come del resto l’intera vita ed opera del suo autore.

Racconti brevi, alcuni favole pre moderne per adulti, altri quasi saggi storici, altri frammenti di costume, altri poesie, altri … fate voi, sennò vi racconto tutto, ed allora, come fate poi, voi, a “scriverla” – leggendola – questa raccolta?

 

Riccardo Lucatti.

 

8 Comments »

LA FIGLIA DI JANE EYRE, soltanto per le appassionate

pubblicato da: admin - 25 Novembre, 2010 @ 6:58 pm

scansione0011This is dedicated to the one I love” cantavano i Mamas & Papas. Potrei parafrasare i loro versi dicendo che questo libro è dedicato a coloro che amano Jane Eyre.

Quando l’ho visto in Biblioteca, nella nostra bellissima biblioteca di via Roma che presto metterà sul Bollettino anche il mio indirizzo blog, …non ho resistito.

Jane Eyre, la compagna della mia adolescenza e prima giovinezza, la ragazza che si riscatta con il suo lavoro, il suo spirito d’indipendenza, che mi ha fatto sognare e desiderare  ( e incontrare) il mio Rochester, un uomo forte come la roccia, è una cara sorella letteraria.

Non mi stancavo mai di rileggere la sua storia, soprattutto la parte dell’incontro con Rochester e  i loro dialoghi così moderni che suggerivano un modo d’approccio fra di due sessi diverso, completo, appagante soprattutto per noi donne.

Avrei voluto leggere ancora di Jane, sapere della sua vita matrimoniale ed ecco che  Elizabeth Newark  ce lo racconta. La Newark ha scritto numerosi libri per bambini e saggi su Jane Austen e Charles Dickens ed ora si è dedicata al pastiche letterario.

Ed ecco che torniamo nell’amatissima brughiera dello Yorkshire e ritroviamo  Jane e Edward con due figli: Oliver, il maggiore  e Janet di 15 anni  che vivono a Thornfield ricostruita dopo l’incendio appiccato da Berthe, la prima moglie pazza di Rochester.

Temevo in una caduta letteraria, temevo di non ritrovare la mia Jane Eyre, invece Elizabeth Newark riesce a lasciare  perlopiù intatta la figura psicologica di Jane, anche perchè la fa presto partire con il marito e il figlio più grande per la Giamaica, le terre dove Rochester ha ancora dei possedimenti.

La quindicenne Janet rimarrà invece a Londra per terminare gli studi protetta da due tutori amici dei genitori la cui assenza però  si protarrà  più del previsto…

Janet rimasta sola,  vivrà anni importanti; conoscerà l’amore avendo sempre in lei l’esempio del comportamento severo e indipendente della madre e l’ammirazione -amore  per il padre. Amore che le farà sempre cercare una figura maschile che assomigli a lui. Ed infatti la incontra…

Assicurato il romanticismo, le descrizioni deliziose dell’alternarsi delle stagioni nello Yorkshire, i preparativi per il Natale costellati da ricette di pudding e  mulligatawny …

Tante  citazioni dello stesso libro della Brontè e de “Il giardino segreto”…personaggi misteriosi che si aggirano nell’ala abbandonata della residenza dove Janet è ospitata in attesa del ritorno dei genitori, giardini nascosti da muretti e  pieni di rose inglesi dai mille colori pastello…

Che goduria!  Che vi devo dire, a me piace alternare letture impegnate a questo genere “extrememente feminine” che mi dà felicità e consolazione. Mi ritrovo spesso con un aperto sorriso stampato sule labbra!

Ma attenzione! Per le integraliste adoratrici di Jane Eyre questo pastiche può turbare…alla fine del racconto ritroviamo Jane, la nostra eroina, che torna cambiata dalla Giamaica, dove non solo nuotava e si arrampicava sugli alberi, ma aveva scoperto la parte più sensuale di sè.

Bravissima Elizabeth Newark, ma il suo tempo, il nostro tempo, è diverso da quello di Charlotte Bronte.

7 Comments »

LO STRANO CASO DEL CANE UCCISO A MEZZANOTTE

pubblicato da: admin - 24 Novembre, 2010 @ 7:58 pm

cop[3] Stasera Raffaella ci parla di un libro speciale che incuriosisce e sollecita senz’altro alla lettura.  C’è sempre una parte di noi che si svela nella scelta di un libro. E da una amorevole  giovane insegnante che ama il suo lavoro e  – gli altri – , che è attentissima e sensibile,  che cosa ci si aspetta ?

Questo romanzo ,  poi i racconti di Affinati e ancora tanto altro…

Mentre sono alle prese con “ Peregrin d’amore “di Affinati, da assaporare la sera, quando non mi si chiudono gli occhi per la stanchezza, ho pensato di mandare lo stesso un “ postino” su un libro letto in inglese quest’estate, dal titolo curioso, “Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte” di Mark Haddon.

Ecco cosa mi ha spinto a farlo. Il protagonista di questo” romanzo giallo” è un ragazzino con la sindrome di Asperger, un autistico ad “alta funzionalità” con notevoli capacità logico matematiche. Ricordate Rain Man? Il film con Tom Cruise e Dustin Hoffmann?

Io ho un ragazzino simile tra i miei studenti e proprio oggi ha preso un bellissimo voto. Non so chi fosse più contento tra me e lui. Questo ragazzo, che chiamerò Luca ( ovviamente non è il suo vero nome) è molto particolare. Sembra spesso assente, e all’inizio dell’anno aveva comportamenti di disturbo anche pesanti in classe. Non sapevo più come gestirlo, e più mi arrabbiavo, più erigeva un muro. Poi un giorno Luca mi ha visto con i tacchi alti (mi ero messa un pò elegante) e questo l’ha colpito.Lui odia le scarpe da ginnastica, lo ha detto a una collega che le indossa spesso e con la quale non ha rapporti, quindi la sua materia non la studia…E da lì è partito il suo “amore” verso di me. Spesso mi prende la mano e la accarezza, io devo dirgli di smettere anche se i suoi compagni lo sanno che con lui posso avere delle attenzioni diverse. Si è affezionato a me e ora studia ed è diventato uno dei migliori! Questi bambini hanno bisogno di tanto affetto e comprensione, mai di pietà. E’ giusto che vengano trattati come gli altri quando è possibile ma Faber e Mazlish, importanti educatrici americane, dicono “ children don’t need to be treated equally; they need to be treated uniquely” , ovvero “ I bambini non hanno bisogno di essere trattati in modo uguale, hanno bisogno di essere trattati in modo unico e speciale”.

Due parole sul libro che mi ha suscitato tanti pensieri stasera. E’ un libro leggero, a tratti divertente a tratti commovente.

Christopher, il ragazzo autistico è l’io narrante, disarmante nella sua semplicità e sensibilità. Un giorno trova il cane della signora Shears , la sua vicina di casa, trafitto da un forcone ed inizia a indagare, come il suo idolo Sherlock Holmes, per scoprirne l’assassino. Questo lo porterà ad apprendere suo malgrado delle amare realtà ed un segreto ben più grande.Per la prima volta, intraprenderà un viaggio faticosissimo e ai limiti dell’impossibile, prenderà il treno e giungerà a Londra, una grande e spaventosa città per un ragazzino come lui che vive la routine della cittadina e della scuola come tutto il suo mondo.Non svelo la fine ma lascio un po’ di suspence. Per chi non lo avesse letto, un libro che consiglio davvero.

Raffaella

Comments Closed

INNO ALLA GIOIA, di Shifra Horn

pubblicato da: admin - 23 Novembre, 2010 @ 7:17 pm

1[1]Anche il mio blog è sommerso dal rubbish virtuale. Stamattina ho dovuto cancellare 560 spam. Al che, ripensando  alla trasmissione televisiva di Saviano, mi rendo conto della zavorra, della spazzatura vera e metaforica che ci sta soffocando. Tanto che quei rari sussulti di idealismo devono farsi strada tra sospetti, diffidenze, critiche e sarcasmi. Non siamo più una patria di eroi e martiri puri, siamo nascosti. Le voci oneste devono essere estrapolate come i diamanti grezzi da multistrati di rocce sedimentarie e purtroppo sembra quasi che non riusciamo più a riconoscerle, abituati come siamo ormai alla falsità, all’opportunismo, al protagonismo effimero che ci butta polvere (ancora rubbish) negli occhi.

Allora perchè un libro dal titolo splendido come “Inno alla gioia”? Per non perdere la speranza di ritrovare le cimase della gioia, della bellezza della vita e dell’amore. Eppure questo romanzo di Shifra Horn parla di orrore e disperazione, ma quel titolo, scelto proprio perchè la protagonista sta ascoltando la nona sinfonia di Beethoven nell’attimo di un terribile attentato terroristico a Gerusalemme, serve alla storia e a tutti noi per sentirci forti, uniti, sicuri che il Bene e la Verità vinceranno.

Yael Maghid è una giovane antropologa israeliana.  E’ il 20 gennaio 2002 e lei sta guidando a Gerusalemme quando l’autobus davanti a lei salta in aria. Fra i moribondi dilaniati scorge anche il viso di un bambino  che poco dopo morirà.

Tutta la sua vita da quel momento è compromessa e sbilanciata. Le sue sicurezze, i suoi ideali, il suo modo di percorrere l’esistenza subirà uno stravolgimento. Quel terribile episodio è uno spartiacque esistenziale che rimescolerà la sua visione del mondo e addirittura i suoi rapporti interpersonali.

Emerge prepotente anche la difficoltà di trovare un linguaggio adeguato per esprimere l’orrore al quale ha assistito e che, sappiamo, non è isolato, ma esemplare di tanti altri.

Yael vuole entrare in contatto con il padre del bambino morto nell’esplosione, Avshalom, un ebreo ortodosso, annientato dal dolore. E fra i due nasce uno strano rapporto d’amore, ma inficiato dalle rispettive necessità di trovare un conforto .

Shifra Horn è nata a Tel Aviv da madre Sefardita e padre russo. Ha trascorso l’infanzia e la prima giovinezza in Israele, ha vissuto alcuni anni in Giappone per poi ritronare a Gerusalemme. Alla domanda di come si può vivere in un paese dall’identità divisa,la Horn ,come Grossman, risponde “Devo essere ottimista, altrimenti non potrei vivere qui.”

Non bisogna farsi intimorire,  occorre continuare a lottare per la propria libertà. E’ quello che fa la protagonista di questo suo romanzo. Si fa aiutare da un’amica psicologa per superare il raggelamento, per ritrovare la spinta verso la gioia di vivere.

Lo stile realistico e suggestivo della Horn ci regala una lettura piena avvincente;  ci immergiamo in  uno spaccato della vita israeliana attuale tra intifada palestinese, odi reciproci, ma  anche tra  momenti intensi di amicizia e amore.

Ottimismo, dunque. Gratitudine per le persone che non diventano impotenti e lassisti perchè siamo circondati dalla “spazzatura”, quindi “non si può far niente”, ma che alzano la loro voce per raccontarci la verità . Conoscere  è il primo passo per non nascondersi, per proseguire, per fare qualcosa. E per non dimenticare che c’è la gioia.

 

E che combinazione, proprio oggi,tra tanti spam trovare un messaggio- “diamante”  di un cardiologo in pensione che ha letto il mio post su il libro di Maria Wanda Caldironi “Una manciata di sogni” e che crede di avere  riconosciuta e  ritrovata la sua collega stimatissima. 

Se rileggete il suo post saprete che Maria Wanda Caldironi vive e lavora a Padova. Medico ha esercitato per molti anni in ospedale, rivestendo anche il ruolo di primario.

“Gentile dottoressa Caldironi,
il ritratto fatto dalla recensione,corrisponde alla signora Primario Medico  che ho conosciuto a Piove di Sacco,prima di lasciare anch’io la professione.Sa e’ lei dottoreesa, forso si ricorda di me,andando in pensione l’ho lasciata in piena guerra e sono contento che i morti sepelliscano i morti.
Se mi riconosce,mi congratulo con Lei ,che ha scelto una creativita’ di cui non ha mai fatto parola,lasciando posto ad una sensibilta’che sono felice di aver incontrato.
Se non mi riconosce leggero’ il Suo libro,che dalla presentazione assomiglia alla descizione di una dottoressa di valore che ho conosciuto e con la quale ho lavorato con un ineguagliabile ricordo.
Giorgio Gabbia
cardiologo ritirato a vita privata e curioso di copnoscere come e’ andata a finire a Piove di Sacco
Tel 041 926252
E mail
giorgio.gabbia@alice.it

7 Comments »

MARTIRI E EROI TRENTINI, a cura di Oreste Ferrari

pubblicato da: admin - 22 Novembre, 2010 @ 7:18 pm

Mi sembra giusto dare spazio a un libro raro  che parla di amor di patria in questo anno di celebrazioni.

Ce lo presenta Riccardo che ne è il fortunato possessore. Mi spiace solo di non essere riuscita a trasferire sul blog la foto delle righe autografe di Cesare Battisti. 

  Martiri ed Eroi Trentini  della Guerra di Redenzione

A cura di ORESTE FERRARI

Legione Trentina Editore

Trento, 1931, IX

 

L’altra sera, a casa di Cristina, la nostra Presidente dell’Accademia delle Muse, nel corso di una delle nostre belle serate di intrattenimento musicale, storico, artistico, faceto e di socializzazione, è intervenuta per la prima volta una “nuova” amica, Sara Ferrari.

Sara, che bel nome! Anche la mia prima e nuovissima nipotina (nata 18 giorni fa!) si chiama così! Sara, dicevo, si è dichiarata fervida ammiratrice ed estimatrice di una Donna, la bresciana Ernesta Bittanti Vedova Battisti, come la stessa si firmava dopo l’uccisione del marito. A me è subito venuto in mente un libro che posseggo, un libro regalatomi da mia mamma tanti, tanti anni fa.

Quel libro porta la dedica di pugno di Ernesta (penna ad inchiostro, con pennino rigido): “Accompagno questo libro con devota riverenza”, scritta, evidentemente, indirizzandosi a mio zio materno Lorenzo, il quale, nella pagina successiva, a sua volta, con penna stilografica, dedica così: “A mia sorella Concettina con affetto” Venezia, 7.1.933 XI”. Cioè a mia mamma insegnante a Bolzano.

Appena svelai il possesso di questo tesoro a Sara, lei ebbe un sussulto: “Devo vederlo!”. Certo, e se questo volume non fosse un ricordo di mia mamma, sarei bel lieto di regalartelo …Sara. Anche perchè so che finirebbe in buone mani.

Certo che il curatore del libro è tale Oreste Ferrari. Sara, di cognome è una “Ferrari”!

Troppe coincidenze. Dovevo farne un post per il “nostro” blog, non vi pare?

Del libro, ricco di foto autentiche dell’epoca e di riproduzioni di documenti originali, che dire? Vi si narra dei Martiri Damiano Chiesa, Cesare Battisti e Fabio Filzi, oltre che dei tanti Eroi caduti in guerra. Cito solo alcuni cognomi: Angelini, Angheben, Andreatta, Anesi, Briani, Buccella, Bernardi, Bortolotti, Benetti, Cattoni, Conci, Divina, Garbari, De Gasperi, Guella, Molinari, Maestri, Martignoni, Pasolli, Rigatti, Zanoni. Tra i tanti, io, genovese di nascita e “trentino” da 25 anni, ho estratto solo i cognomi oggi portati da persone che io stesso, oggi, conosco personalmente. Non me ne vogliano i cognomi non citati.

Il volume consta di 372 pagine, la cui terza edizione, quella a mie mani, “riveduta ed ampliata, fu terminata di stampare dalla tipografia Editrice Mutilati ed Invalidi di Trento nella primavera dell’anno 1931 su carta di lusso appositamente fabbricata dalla ditta S.A.I.C.A. di Milano”. La mia copia è la n. 1087.

Si tratta di un vero e proprio testo di storia ove i fatti innanzi tutto sono documentati da riproduzioni di documenti e fotografie autentiche (tragiche quelle delle esecuzioni capitali) e solo dopo interpretati alla luce dell’Idea italia.

Soprattutto, da sempre, mi sono rimaste impresse alcune pagine. Quella che riporta la foto della lettera con la quale Cesare Battisti comunica al fratello di essere stato condannato a morte; le foto della “dignità e della forza” dei Martiri, ritratti anche nei momenti più tragici dell’evento. Ma soprattutto, è sconvolgente il comportamento del boia Lang che scherza con i vicini immediatamente prima dell’esecuzione e che posa sorridente per la foto di rito, sovrastando il cadavere della sua Vittima di turno.

La precisione tedesca poi, arriva anche a registrare con fattura le spese sostenute per soddisfare gli ultimi desideri dei condannati!

Che altro dire? Nulla, se non essere io ben volentieri disponibile per mostrare il volume a chi ne fosse interessato.

Lascio ad altri, sicuramente migliori conoscitori della Storia Trentina di quanto non lo sia io, di inserirsi su questa mia segnalazione e di sviluppare l’argomento.

Mi permetto solo brevissima una riflessione: all’epoca vi era chi “moriva per l’Italia”. Oggi, purtroppo, siamo quasi costretti a dover ragionare se tenerla unita o dividerla in due. se “restare o andare via”. Che strana coincidenza, proprio in corrispondenza del 150° anniversario dell’Unità Nazionale! A mio avviso, il ricordo dei nostri Martiri ci può aiutare a prendere una decisione: restare e contribuire al miglioramento di questo nostro Paese.

 

Riccardo Lucatti

 

8 Comments »

ONE PAIR OF HANDS, di Monica Dickens

pubblicato da: admin - 21 Novembre, 2010 @ 7:41 pm

41rNJgGLMML._SL500_AA300_[1]41MVXCN23SL._SL500_AA300_[1]Sì, una Dickens, la bis nipote del grande Charles. Donna straordinaria nata nel 1915 e scomparsa nel 1992. Non solo scrittrice prolissa, ma giornalista, viaggiatrice, sostenitrice di associazioni umanitarie, aspirante attrice di teatro,ma senza successo come ci racconta lei in uno dei suoi tanti romazi autobiografici. Ancora autobiografie, dunque, ma non “pizzi” come paventa Camilla, queste sono stralci di vita vissuta  raccontata con forza, onestà e un delizioso sense of humor!

“Intrattenere, raccontare la verità, cercare di aiutare le persone a capire gli altri” questa è la filosofia dello scrivere di Monica Dickens.

“One pair of hands “ fu il primo libro che lessi appena arrivata in Inghilterra come ragazza alla pari  presso la famiglia Kendix.  La prima cosa che chiesi  alla gentile signora Kendix fu quella di visitare  la più vicina Library, allora lei immediatamente volle regalarmi questo libro della Dickens. Mi colpì molto quel gesto…non solo per la generosità…ma perchè era l’unico libro che si trovava in casa!

Il sgnor Kendix geniale dirigente leggeva esclusivamente quotidiani finanziari mentre  sua moglie leggeva libri soltanto presi dalla biblioteca. Per me un vuoto terribile non vedere intorno libri allineati o accatastati, aperti…mah!

Comunque iniziai a leggere stentatamente il delizioso racconto della Dickens che parlava della sua esperienza come cuoca tuttofare presso una importante famiglia, lavoro svolto in giovane età. Divertente leggere della sua inesperienza in cucina , della fatica di governare una famiglia, degli insuccessi e dei successi ottenuti. 

Ne cercai subito un altro e trovai “One pair of feet” dove al posto del lavoro delle mani c’era l’affaticamento dei piedi. Anche qui vita vissuta durante la seconda guerra. Nel 1942 infatti Monica lavorò come infermiera in un ospedale. Non so se esitono le traduzioni in italiano, ma ho letto che da quest’ultimo è stato tratto un film con James Stewart.

Ah, questo blog, croce e delizia! Delizia perchè posso scrivere e leggere di libri, scrivere e leggere di noi, dei nostri gusti, della nostra personalità. Croce perchè è uno spazio invaso anch’esso  dai micidiali spam, pubblicità che arrivano da lontano…oggi ce n’erano 300. Dovrò fare qualcosa con la Casa Madre…

Mia fa piacere che anche Riccardo ami Trieste,  ho scritto parecchi post su questa città azzurra  descritta da Magris, Svevo, Saba…

Spero  che Dario regali a Camilla i libri di Rebecca West  autrice che anch’io  amo molto.

Ho nel mio spazio- riserva due posts di Riccardo e uno di Raffaella che spedirò nelle giornate in cui non potrò avere il tempo per scrivere io stessa.

Sono soddisfatta di questa finestra aperta sulla nostra voglia di leggere e “compartecipare”;  rileggendo il mio primissimo post “ Memorie di una lettrice notturna”, scritto più di 300 giorni fa, posso dire di essere riuscita nel mio intento.

Leggere, leggere, leggere. Scriverne e dialogare. Grazie.

8 Comments »

GIORGIO E IO, elogio del matrimonio

pubblicato da: admin - 20 Novembre, 2010 @ 7:42 pm

scansione0009Dopo le suggestioni d’amore di Catullo suggerite da Luigi ho ripensato a tempi più recenti e a un amore particolare, quello tra Annetta Curiel, giovane ebrea della Trieste borghese d’inizio Novecento e Giorgio Fano filosofo, mercante, scrittore, idealista, anticonformista. 

  “Giorgio e io” è l’autobiografia di Annetta iniziata solo a tarda età e che, alla sua morte, è stata  sistemata e rielaborata  in minima parte dal figlio Guido Fano.

E’ una storia interessante, come tutte le vite, ma con in più il racconto della travagliata e contrastata storia d’amore con Giorgio Fano conosciuto in giovanissima età, più vecchio di lei di 16 anni e già sposato.

Anna nasce nel 1901 nel cuore di Trieste, in una grande casa borghese. Tutto ci viene raccontato, dal cibo, ai piccol e grandi avvenimenti,  ci vengono riportati deliziosi dialoghi quotidiani in dialetto triestino.  “Ti te ricordi quando che te lavavo i zinòci con la scartàza?” E più avanti si incontreranno  anche Umberto Saba, Giorgio Voghera e tanti altri .

Elogio del matrimonio che finalmente Giorgio e Anna celebreranno nel 1931 e che si intende come il matrimonio d’amore. Non quello obbligatorio di convenienza e neppure quello trascinato con rancori  e infelicità, soltanto perchè si” è arrivati prima.”

 Negli ambienti intellettuali triestini frequentati  da Giorgio Fano si parla già di amore libero, delle unioni che devono durare finchè dura l’amore.  Per Anna e Giorgio sarà così. Ma Anna non si ripiega su ruoli subalterni perchè più giovane e meno importante, essa non  rinuncia alla propria personalità e non  teme di risultare anticonformista amando  un uomo sposato.  E’ una donna emancipata, che scriverà a sua volta, che riesce a mantenere con orgoglio la propria femminilità e a decidere di essere la compagna fedele e sostenitrice di un uomo geniale come Giorgio Fano, uomo singolare e non facile. 

Si perdono e si ritrovano, si allotanano e si riuniscono, si scrivono tante lettere e si raccontano la prima giovinezza per conoscersi completamente:

“Allora me ne andavo per le strade di Trieste coi vestiti sbrindellati, con la cravatta storta  e le calze ciondoloni, e sognavo la mia gloria. Con la mia triste figura me ne andavo gesticolando e ridendo da solo. Un giorno un passante mi fermò “La scusi, con chi la la ga?” L’avevo con l’amore, con la gloria, con l’amicizia. Quella volta chiamavo la gloria o la verità quello che ora chiamo il mio lavoro.” le scrive Giorgio

“I problemi sociali mi appassionavano; ero socialista, ma sognavo una tirannia illuminata sopra il volgo. Mi domnandavo da mattina a sera: cosa sono il bene e il male? cos’è la verità? qual è lo scopo? Facevo delle orge di scettiscismo. Leggevo Platone e costruivo delle società ideali.”

E la giovane Anna lontana risponde nel 1920 “Di una cosa vorrei pregarti: che resti fra noi quell’antico patto di franchezza e che in qualunque momento ci dovessimo incontrare nella vita, ci parleremo lealmente, senza ambiguità o imbarazzo, come due persone oneste che pur essendo diverse, si stimano.”

Insomma un grande amore in questo libro,  e non solo,  anche la nostra storia, la letteratura, gli ideali del secolo appena trscorso.

La vita di una mamma speciale presentataci dal figlio  Guido Fano, specialista di meccanica quantistica  e attualmente docente all’Università di Bologna.

Elogio del matrimonio d’amore, scelto, e poi  curato come un giardino nel quale far crescere non solo  figli ma ideali condivisi, consonanze e soprattutto quel darsi la mano nel cammino della vita.

Comments Closed