STORIA DI IQBAL, per non dimenticare la speranza
pubblicato da: admin - 30 Ottobre, 2010 @ 8:57 pm
Ho pensato a questo libro appena entrata nella mia “nuova ” classe di adulti stranieri. Quattordici persone gentili e motivate , di tutte le nazionalità . Tutte in regola, ma per il momento disoccupate. Molte signore dell’Est europeo, un serio autista russo, un georgiano, alcuni ragazzi  del nord Africa, due dolcissime signore pakistane avvolte in colorati scialli e veli e un ragazzo del Bangladesh che ho subito nominato mio “assistente”,  nel senso che mi dovrà aiutare a non fare confusione fra i registri, i libri, le mie due paia di occhiali, le penne che mi cadono spesso, insomma un aiuto nella gestione del mio modo un po’ confusionario di rapportarmi con gli oggetti.
Si chiama Amu e ha accettato  questo incarico con orgoglio ed efficienza. I Bengalesi sono persone d’indole mite e poetica. Ricordo un mio alunno del Bangladesh, Yousuf,  arrivato nella nostra scuola senza sapere una parola d’italiano e che è riuscito nelle mie ore di “Guida alla composizione poetica” a scrivere con gioia dei versi bellissimi. So che ora con serietà e impegno frequenta un Istituto Professionale, vuole fare il meccanico. Mi aveva confidato: “Qui in Italia ci sono tante automobili, riuscirò a trovare lavoro!”
Iqbal Masih invece non è stato così fortunato. Nato nel 1983 in Pakistan venne venduto a quatro anni dalla sua famiglia poverissima a un mercante di tappeti, a “saldo”  di un debito. Costretto come uno schiavo, insieme ad altri bambini, a tessere tappeti dalla mattina alla sera, veniva spesso incatenato al telaio.  Il suo guadagno era di una rupia al giorno, 3 centesimi di Euro. Per qualsiasi piccola mancanza i bambini venivano rinchiusi in fosse profonde e lasciati senza cibo. La polizia scoprì questo orrore ed Iqbal ebbe  il coraggio di raccontare e denunciare le  atrocità subite. Aiutato da Associazioni  umanitarie, divenne presto il simbolo della ribellione e della libertà . Venne intervistato, andò persino  negli Stati Uniti, ma qundo tornò a Lahore nel 1995 ,  fu assassinato da sicari della mafia dei tappeti.
Lo scrittore Francesco d’Adamo ci racconta la sua storia attraverso le parole di Maria,  un’immaginaria sua compagna di sventura, la quale  racconta la loro vita di schiavi, ricorda avvenimenti, i loro dialoghi,  ci parla del carattere di Iqbal, della sua intelligenza, del suo coraggio e della sua speranza. Un libro che noi insegnanti abbiamo fatto leggere a tutti i nostri alunni, ma che anche gli adulti possono leggere per capire la disperazione di certe popolazioni sfortunate.
Per questo a scuola  mi sono spesso offerta per alfabetizzare i ragazzini stranieri. Adesso ho l’opportunità di insegnare agli adulti, persone  che con tenacia, impegno, fatica sperano in una vita migliore. La padronanza della lingua italiana sarà senz’altro  uno strumento vantaggioso.
Ieri in classe, a  un marocchino si sono illuminati gli occhi quando ho nominato la bellissima piazza Jama’a el -Fnaa di Marrakesh , da me  visitata molte volte, ma mi sono dispiaciuta nell’accorgermi che lui non conosce il nostro alfabeto…finge di non aver voglia di scrivere e cerca di supplire il suo vuoto con  qualche parola di francese.
Credo che presto porterò loro la poesia del mio caro ex-alunno Yousuf, del quale vi mostro la foto. Ormai avrà 18 anni. E spero proprio lavori in qualche officina. Lo farà con senso di responsabilità  e serenità  come ha fatto sempre tutto a scuola.
Come in Amu, il mio “assistente “, in lui c’era però la nostalgia della sua terra, e soprattutto degli alberi di mango e dei campi di riso che ondeggiavano “come una mare verde.”
“Oggi è primavera: / il cielo è azzurro / e bianco come un vaso girato. / Nel cielo ci sono gli uccellini che volano / come piccoli aerei che vanno verso un altro paese / pieno di miele.
Il sole è caldo /come un sorriso di fiori. / Ricordo che in Bangladesh io giocavo / felice sull’erba morbida./
Intorno a me tanti alberi di mango profumato / . Vedevo grandi campo di riso ondeggianti / come un mare verde. /
Ho voglia di volare nel vento. “
DI VITA SI MUORE, di Nadia Fusini
pubblicato da: admin - 29 Ottobre, 2010 @ 8:22 pmRingrazio Raffaella che ci scrive un intenso post su un  bellissimo saggio. Da  Shakespeare non ci si stanca mai di imparare.Â
“Di vita si muore†di Nadia Fusini ( Mondadori, 2010) è un grande saggio sulle passioni nel teatro di Shakespeare , un libro che mi ha subito catturato. Primo, per il profondo ossimoro del suo titolo e in secondo luogo e soprattutto perché amo il Grande Bardo che trovo sempre molto attuale. Sulla Fusini, eccezionale anglista, Mirna ha già scritto un post. Mi piace citare questa grande traduttrice, scrittrice, saggista quando scrive “ Shakespeare è un genio drammatico. Il che non significa che si debba vederlo soltanto a teatro. No, Shakespeare ,lo si può leggere con enorme diletto, come la Bibbia tenerselo sul comodino, e finire ogni sera e aprire ogni mattina in sua compagnia. Leggere e rileggere Shakespeare, mandarne a memoria dei versi, incontrare ancora e di nuovo i suoi personaggi, quasi fossero amici con cui condividere segreti e pensieri, i più audaci, i più inconfessabili : è questo che faccio da anni. Vivo la mia vita con Shakespeare per amico. Confidenteâ€.
La struttura del saggio è perfetta ; il libro è suddiviso , come in una tragedia shakespeariana, in cinque atti-capitoli dedicati ognuno ad un dramma , Giulio Cesare, Amleto, Otello, Lear , Macbeth, preceduti da un Prologo e pausati tra il II ed il III atto da un Intermezzo ( Misura per Misura), e chiusi infine da un Congedo.
Cinque atti sulle cinque forme della passione, la passione della ragione, Bruto nel Giulio Cesare, la passione del dolore di Amleto, passione della lussuria e dell’odio incarnati da Otello e Iago, l’ira in Lear per giungere alla paura, la passione di Macbeth.
C’è un problema di fondo, storico-filosofico, che si impone nell’età elisabettiana e che l’autrice analizza nelle sue sfaccettature. Shakespeare scopre infatti un uomo fragile, in preda all’hybris, che si cerca come individuo e si scopre diviso, sconosciuto a se stesso, per la prima volta lontano da Dio. L’uomo, scrive la Fusini, “ non coglie più il suo volto nella preghiera, che lo avvicinava a Dio, bensì nell’azione. E così si scopre in quanto possibile, in quanto intenzione. Ma non un’intenzione pura, rivolta a Dio, al Bene; più spesso un’intenzione sospesa sull’abisso del Male. Ecco il nuovo mistero mondano, secolare del teatro shakesperianoâ€.
Se Lear rimane la mia tragedia preferita, ho riscoperto grazie al saggio della Fusini, Otello.
Otello è l’uomo geloso per eccellenza ma a ben vedere egli è , prima che geloso, nobile amante. Il grande geloso del dramma è Iago, il villain ,la gelosia essendo in lui una sfumatura dell’invidia, la passione che lo rode. Iago, come Edmund in Lear, difende la libertà di azione, sovvertendo tutte le regole di una società preordinata, è un “uomo modernoâ€, inietta il sospetto in Otello, l’ingenuità il peccato di quest’ultimo,ed escogita diaboliche macchinazioni.Otello è tragicamente vulnerabile, quando si accorge del suo fatale errore, si pente ma non riesce a perdonare se stesse e si uccide , la sua catarsi sta nel pugnalare il criminale che è in lui, che è lui. Muore baciando il cadavere di Desdemona, “la perla più ricca di tutta la tribu’â€.E’ uno spettacolo che avvelena la vista e Shaskespeare lascia all’immaginazione dello spettatore il tempo e il modo della tortura riservate al regista di queste tragedia, l’infernale Iago.E’ quasi come, scrive la Fusini, Shakespeare“ non se la sentisse di competere con luiâ€.
Ho dato solo un assaggio di questo splendido libro che consiglio a tutti gli amanti della letteratura inglese e non solo, perché Shakespeare rimane per me uno scrittore e un drammaturgo che raggiunge vertici poetici ineffabili.
Raffaella
DOPO DI LEI, di Jonathan Tropper
pubblicato da: admin - 28 Ottobre, 2010 @ 7:24 pm
Un romanzo che mi ha fatto ridere e piangere. Piangere perchè si parla di una elaborazione del lutto, ed io so che strada feroce sia percorrerla. Ridere perche Jonathan Tropper riesce a smussare con la sua ironia e senso dell’umorismo certe situazioni drammatiche, paradossali, inconsuete.
Doug, giovane vedovo da un anno, comincia a scuotersi dal suo dolore e torpore dovuto a grandi quantità di wisky, qualche battaglia persa contro i conigli del suo giardino e  cosmica autocommiserazione, quando Russ il figliastro sedicenne - il figlio della sua defunta moglie - è finito in cattive acque. Non frequenta più la scuola, si droga, ruba, odia la nuova compagna del padre, anzi del suo vero padre vorrebbe fare volentieri a meno. Vorrebbe tornare a vivere con Doug, nella casa dove viveva prima della morte della madre.
Doug vorrebbe invece continuare a soffrire perchè sente che il dolore è l’ultimo legame che rimane con la sua amata moglie Hailey e lo scrive nella sua rubrica giornalistica che d’ora innanzi avrà un gran seguito: “…Avevo una moglie. Si chiamava Hailey. Ora se n’è andata. E io anche…Ma, per quanto la casa sia insidiosa, la lascio di rado. Perchè la sofferenza rappresenta il mio ultimo legame con Hailey, quindi per quanto possa essere doloroso, mi ci avvolgo come in una coperta…”
La sorella gemella Claire, dal matrimonio infelice ed in più in attesa di un bambino, gli confida che era gelosa del suo dolore “Eri infelice e solo e io ero fottutamente gelosa, perchè c’è qualcosa di bello nel dolore , vero? E’ come se il lutto fosse la tua crisalide e sai che, al momento opportuno, rinascerai in veste di splendida farfalla.”
Si ritroverà certamente la propria strada anche se non si saprà ancora dove andare, ma porre attenzione  anche agli altri che soffrono aiuta. Doug si accorge del dolore grandissimo di Russ, scopre con angoscia che si è fatto tatuare una cometa sul collo in memoria della mamma Hailey.
Doug riesce a costruire un rapporto di reciproco aiuto con Russ,  mentre osserva la sua famiglia che allegramente andrà fuori di testa. I familiari  descritti divertono moltissimo, sia nelle loro vicende quotidiane che negli avvenimenti inconsueti. Il padre lentamente si perde nella sua mente, la madre ha sempre in mano un bicchiere di vino rosso che intercala con pilloline misteriose, ma è sempre pronta donare saggi consigli, le sorelle dal linguaggio di scaricatori di porto sono piene di problemi sentimentali.
Ciò che mi piace di questo scrittore è l’assoluta onestà e trasparenza dell’umano sentire e sebbene data la diversità di sesso c’è qualche differenza di situazioni ed esigenze, io mi ritrovo pienamente nella sua assoluta sincerità .
Lettura avvincente, bella, completa.
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Mirella mi chiede notizie di un libro che io non ho letto “Il coniglio bianco” di Nino Treusch.
Qualcuno di voi lo ha letto?  Potrebbe dirci qualcosa?
Srimad Bhagavatam, "frutto maturo" della saggezza
pubblicato da: admin - 27 Ottobre, 2010 @ 6:46 pm
Oggi è la seconda volta che faccio yoga. Mi piace. Per tanto tempo ne ho sentito parlare, ma chissà perchè non mi è mai sembrato adatto a me che sono  sempre un po’ in ansia e impaziente. Invece è un’altra strada che mi si presenta da “assaggiare” e percorrere. Mi sono ricordata di aver ricevuto in un lontano Natale della mia vita di  quasi “figlia dei fiori” tre bellissimi volumi (non ancora letti , ahimé) sulla filosofia religiosa induista. Li ho ripresi in mano: sono coloratissimi e  belli e leggo nell’introduzione che sono scritti per la ricerca di “un credo”. Lo Srimad Bhagavatam o Bhagavata Purana è considerato dai grandi saggi di tutti i tempi come il “frutto maturo di tutti i testi vedici”.
Ci sono capitoletti che raccontano leggende dai titoli magici e affascinanti come “Il flauto di Krsna affascina le gopì” (le pastorelle)  dove si legge: “Che felicità respirare l’atmosfera della foresta profumata di fiori sbocciati e vibrante del volo gioioso di calabroni e api, coi suoi uccelli, alberi e rami raggianti di contentezza”. o “La danza rasa“: “La danza rivela la bellezza meravigliosa dei corpi di Krsna e delle gopi: dai movimenti delle gambe e della mani, le une sulle altre, ai movimenti delle sopracciglia, ai sorrisi, all’ondulare dei seni delle gopi e all’ondeggiare dei loro vestiti, gli orecchini , le guance, i capelli cosparsi di fiori, nel brio della danza e del canto fanno l’effetto come di nuvole accompagnate da tuoni, neve, fulmini.”
Ma torniamo allo yoga che nel glossario di questi testi viene spiegato come unione con l’Assoluto, Dio. Ed ancora: metodo che permette di controllare la mente e i sensi e di unire l’essere individuale all ‘Essere Supremo.
Da Wikipedia ricopio un significato posteriore: Lo Yoga è una tecnica ascetica o meditativa avente come scopo l’unione mistica con la Reltà ultima e tesa ad “aggiogare”, “controllare”, “governare” i “sensi” (indriya)” e i vissuti della coscienza (buddhi).
Quante cose meravigliose  ancora da scoprire ed imparare!
Stamattina nella palestra soleggiata dell’UTETD ho provato nuovissime sensazioni piacevoli. Ci guidava la voce dolce di Elena Fiori e una musica che sembrava suonata da flauti lontani. Il respiro finalmente lento, rilassato, l’equilibrio ritrovato, una sensazione di palpitare all’unisono con il cosmo.
E quando alla fine, nei venti minuti di rilassamento, Elena ci ha guidato con l’immaginazione  dentro a un bosco autunnale e a cercare un nostro albero preferito, mi sono ritrovata abbracciata ad un alberello caldo, tenero,  dalle foglie arancione e vinaccia,  che non  avrei voluto più lasciare.Â
Chi di voi ha esperienze Yoga o  di meditazione?
Come ho detto per me è la prima volta.
 Non tragga in inganno la foto dei miei vent’anni quando a Londra imitavo la “trascendental meditation” alla  Maharishi, sulle orme dei Beatles che si trovavano in  in India! In realtà poco dopo io e le amiche au-pair ci cucinammo finalmente un piatto di pasta all’italiana!
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JOY IN THE MORNING, di Betty Smith
pubblicato da: admin - 26 Ottobre, 2010 @ 6:56 pm![14889[1]](http://trentoblogcommunity.com/unlibroalgiorno/files/2010/10/148891-205x300.jpg)
“Al mattino viene la gioia“ è un romanzo di Betty Smith ( l’autrice del più famoso “Un albero cresce a Brooklin”), e che io non ho mai dimenticato. Sono proprio le parole del titolo che spesso mi ripeto fra me e me al mattino, il momento più promettente della giornata, quando davanti a te hai una pagina bianca da riempire, sia se già tracciata sia se da inventare. E quale titolo migliore per dare il benvenuto alla piccola Sara che è appena entrata nella vita? Sara è ora la gioia di Valentina e Daniele, di Maria Teresa e Riccardo e di noi tutti del blog che per darle il benvenuto mettiamo una sua prima immagine in questo post in cui si parla di gioia.
Ma ora lasciamo che Sara inizi il suo cammino e torniamo alle nostre vite: la mia, la vostra, quella dei personaggi letterari.
In “Joy in the morning” troviamo i giovanissimi Annie e Carl Brown che si sposano, nonostante tutti i familiari siano contrari, Â e vanno a vivere nel College dove lui deve terminare gli studi. Lei ha 18 anni, lui 20.
Annie viene da Brooklin, da una famiglia dove si sentiva infelice. Il patrigno aveva ambigue e morbose attenzioni nei suoi confronti, la madre non la ascoltava.
La vita al College è piuttosto dura: è difficile conciliare lo studio e la famiglia, i soldi sono pochi, ma Annie è una ragazza spontanea e gioiosa e riesce a superare ogni ostacolo con ottimismo e forza. Ogni giornata che inizia la riempie di aspettative, riesce a farsi tante amicizie, lavora per rendere gradevole il loro angusto appartamento. In ogni piccolo avvenimento riesce a trovarvi la gioia.
Mi è rimasto impresso quando Annie decide di tagliarsi i lunghi capelli (non ricordo perchè) , ma la sensazione di sentire la nuova pettinatura ondeggiare e rimbalzare ai lati del viso me la sono “rubata”. E ripenso sempre a lei quando mi capita di farmi una morbida messa in piega; mi immedesimo in lei e scuoto la testa per sentire rimbalzare i capelli!
E poi…Annie rimane incinta: tutti criticano i due sposini, troppo giovani, Carl non ha finito gli studi, ci sono pochi soldi…ma Annie darà ancora una volta prova della sua forza fattiva, insegnandoci che l’amore e l’ottimismo  possono  vincere tutto.
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Bene sono arrivata al 281 esimo post. La mia sfida continua e finirà in gennaio. Nel frattempo ne ho accettata un’altra…ed ecco che finalmente posso appagare la curiosità di Camilla e Raffaella.
Ieri ho accettao di insegnare per un mese ad adulti stranieri. Ne sono contenta, ma la sfida è che avrò giornate di 8 ore consecutive…ce la farò? I miei colleghi sono tutti baldi giovanotti…io no!
E’ per questo che ho chiesto e chiederò qualche vostro post per alleggerire le mie giornate più pesanti.
Sono elettrizzata della nuova possibilità di reinserimi nel mondo del lavoro, mi piace molto insegnare l’italiano agli stranieri, sono curiosa di conoscere pakistani, tunisine, qualche signora con il chador. A scuola avevo il mio pacchetto-ore per i bambini di altre nazioni. Ora avrò adulti. Incontrerò nuovamente persone di altri paesi, persone più sfortunate di noi  che  desidero  aiutare  come so,, dai vostri commenti e dalle vostre letture anche voi siete inclini a fare. So anche  che in cambio avrò qualcosa di prezioso  anch’io, come sempre mi è accaduto nel rapporto con i miei alunni delle varie parti del mondo.
Sono tuttavia in ansia perchè mi chiedo “Ce la farò?” ” Sarò all’altezza? ” “Ce la farò fisicamente? “.
Ma siete così anche voi quando avete davanti un nuovo impegno? Siete lineari o a spirale?
Ma domani è un altro giorno….e al mattino viene la gioia.
EVA DORME, di Francesca Melandri
pubblicato da: admin - 25 Ottobre, 2010 @ 7:49 pm
Oggi Riccardo, ospite gradito del mio blog,  ci dedica  un  post su un romanzo che presto noi del gruppo dell’Accademia  dovremo commentare. E’ stata Cristina a suggerire di leggere lo stesso libro per poi discuterne insieme in una delle sue piacevoli serate culturali. Una storia molto sentita anche da me, meranese di nascita,  perchè ero là … durante gli attentati. Ho trascorso presso gli zii rimasti a vivere in Alto Adige le estati della mia prima giovinezza. Non posso certo dimenticare quando i tralicci saltavano o quando durante  le notti i poliziotti con i cani addestrati che abbaiavano perlustravano il lung’Adige dove abitavo.
E’ proprio vero ogni storia  si abbraccia in qualche modo alla nostra vita, al nostro sapere, ai nostri sentimenti e  alla nostra nostalgia come appunto ci sottolinea Riccardo.
Mondadori, 2010
Pagg. 344. €19,00
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Un libro da leggere con una matita in mano … e l’altra mano sul cuore o sulla mente della memoria. Scegliete voi.
Sorprende che una persona, nata a Roma, che ha viaggiato per il mondo ed ha risieduto in Alto Adige solo 15 anni, ne conosca così a fondo la storia e la sua gente.
Il libro è molto ricco. Di tutto. Di storia, di sentimenti, di personaggi, di nostalgie, di speranze, di immagini “impressionistiche†alla Van Gogh: sentimenti forti, colori forti, decisi, che rileggono e raccontano la realtà attraverso gli occhi della scrittrice e soprattutto dei suoi personaggi.
Di nostalgie, dicevo … infatti a mio avviso Eva Dorme è’ il romanzo della “nostalgiaâ€, della “sofferenza provocata dal desiderio di ritornare†– desiderio peraltro impossibile da realizzare. Ma di ritornare dove? Nei luoghi? Nel tempo passato? Vicino alle persone che non ci sono più? E poi, perché ritornare?
Il libro, a mio avviso, vuole dirci: per ritornare ad amare come si è amato, come si è amata una terra, una persona, una stagione della nostra vita. Quindi un libro di speranza. Se non altro per chi lo legge.
E poi, la storia, quella vera, dei fatti, narrati perché documentati e documentabili, fatti che con la loro brutalità travolgono le immagini mancanti o nel migliore dei casi sfalsate di una realtà che molti di noi non hanno conosciuto.
Dopo che avrete letto la storia di una giovane madre, di una terra oggetto di un “baratto politicoâ€, di una convivenza etnica da molti ricercata e da pochi osteggiata, comprenderete anche perché io mi sia particolarmente appassionato alla vicenda anche per ragioni personali, per coincidenze quasi incredibili. Infatti mia mamma, nata ad Agrigento nel 1904, laureata a Palermo, trasferita ad insegnare a Bolzano, vi conobbe un carabiniere toscano classe 1912 (il giovanotto!) che aveva prestato servizio anche in Trentino, abitò con la propria sorella ragioniera (in provincia) sotto Magnago, fu insegnante dell’On. Berloffa …. Sposò poi quel suo carabiniere a Genova, dove nascemmo noi tre fratelli e da dove poi il generale De Lorenzo trasferì detto carabiniere (ormai maresciallo), come ne trasferì tanti altri, in Trentino Alto Adige (Cles).
Il mio babbo, Reale Carabiniere, dopo l’8 settembre aveva detto “Nein!†ai tedeschi e per questo si fece due anni di campo di concentramento. A maggior ragione sicuramente avrebbe detto lo stesso “Nein!†anche al Signor De Lorenzo, se costui fosse riuscito a portare avanti il suo progetto eversivo …Ovviamente, al “semplice†trasferimento da Genova disse “Ja!â€.
Questi nostri “post†non sono né devono essere delle recensioni, ci siamo detti. Ben venga questa decisione. Infatti sarebbe complesso recensire Eva Dorme, tanti sono gli spunti: la vita degli addetti del settore alberghiero, spesso in allora come talvolta anche oggi sfruttati a dispetto degli ispettori del lavoro; i nostri militari bravi; chi li comandava un po’ meno; le ipocrisie di violenze nascoste; vizi e virtù di politici di lingua italiana e tedesca, etc..
A quest’ultimo riguardo mi permetto solo alcune notazioni: “… Andreotti, politico intelligente la cui sottigliezza e complessità però a Magnago parevano talvolta sfiorare l’abisso … “ ma soprattutto (dato che siamo nel 2010!): questa …: la finezza intellettuale di Fanfani, corrosa però dall’invidiosa cattiveria tipica di certi piccoli di statura …†(riporto quest’ultimo riferimento a mia insaputa, sia chiaro a tutti).
Francesca ringrazia la madre, villeggiante in Alto Adige sin dagli anni sessanta … io stesso sono frequentatore del Trentino sin da quegli anni, prima come turista e da 25 anni quale residente (nato a Genova, “ma†residente in Trentino da 25 anni). Sul finire degli anni 60 ho anche fatto l’Alpino in Alto Adige. Ho molti amici in Sud Tyrol, ma il libro della Melandri mi ha svelato molto di più di quanto io stesso non avessi imparato.Â
Grazie Francesca.Â
Riccardo Lucatti
AMY E ISABELLE, di Elizabeth Strout
pubblicato da: admin - 24 Ottobre, 2010 @ 7:01 pm
Vi è mai capitato di rinunciare a un impegno per un libro? A me spesso. Stamattina ho disdetto l’appuntamento con le amiche per rituffarmi nel romanzo di Elizabeth Strout. Una storia che mi ha tenuta avvinta sin dalla prima pagina. Ancora una volta si parla del rapporto madre-figlia, un rapporto difficile che noi lettori scopriamo essere giunto al suo acme durante una torrida estate della provincia americana. Siamo a Shirley Falls, una cittadina della provincia del nord est. Un’estate pesante, umida che appiattisce ancor di più i sentimenti delle due protagoniste che si trovano a lavorare nello stesso ufficio. Sapremo poi che cosa ha portato a quel rancore, irritazione e quasi odio  che entrambe provano l’una verso l’altra.
La  sedicenne Amy  trova insopportabile dover stare tutto il giorno, sia in ufficio che in casa, accanto a sua madre Isabelle “…le sembrava che una linea nera le tenesse collegate, una linea non più pesante di un tratto di matita, forse, ma una linea che era sempre presente.”
Amy non sopporta quella madre scialba, timida e  severa che vive quasi in punta di piedi  e che non riesce a legare con nessuno quasi fosse preda di una frigidità emozionale.
Da parte sua Isabelle, madre single che non riesce a perdonarsi prova rancore ed ostilità  verso la figlia che ha invece dato prova di esuberanza sensuale  e di voglia di vivere.
Scopriamo nei flash back il rapporto sentimentale-erotico tra Amy e il suo professore di matematica e della reazione violenta della madre a questa scoperta. In un impeto di gelosia verso la voglia di amare e di essere amata della figlia, Isabelle  le taglia gli splendidi capelli biondi in una sorta di vendetta punitiva.
E’ un evento importante e rivelatore  della vicenda che troviamo quasi nella metà esatta del libro.
Il loro rapporto peggiora notevolmente e l’estate torbida aggraverà la loro incomprensione fino a  quando entrambe non riusciranno a confrontarsi in una drammatica notte che concluderà la storia e le spingerà  a trovare un nuovo percorso esistenziale.
“Così la vita di Amy e Isabelle era completamente cambiata, sembrava che le parole venissero spinte dall’una all’altra come pesanti blocchi di legno…ma non potevano liberarsi l’una dall’altra. Ognuna delle due sentiva di essere condannata alla sofferenza peggiore.”
Poi finalmente Isabelle comincia a leggere libri, Amleto, Madame Bovary, scopre che può avere delle amiche nel luogo di lavoro, potrà infine liberarsi, parlandone,  del suo passato.
 L’aver spezzato la dura crosta del non detto, l’aver provato ad avvicinarsi ad altri dolori daranno ad entrambe una nuova possibilità .
Tipico della Strout è portarci nella case di tutti i personaggi minori, di farci sentire quasi i profumi dei loro giardini, dei loro barbecue, farci ascoltare le chiacchiere, i pettegolezzi della comunità dandoci l’impressione che parli… anche di noi.
Insieme ad Isabelle vivremo la sua ansietà nel preparare un primo invito per un dopocena, andremo con lei dal fioraio per comprare i tulipani gialli da mettere nei vari angoli del suo appartamentino, accarezzeremo il piccolo prezioso bricco di sua madre e terremo il fiato sospeso sperando che questo avvenimento importantissimo per lei finisca bene…
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Grazie alle amiche e amici frequentatori del blog di avermi inviato preziosi post che mi serviranno presto…vi dirò perchè domani…
DI MADRE IN FIGLIA, di Lella Ravasi Bellocchio
pubblicato da: admin - 23 Ottobre, 2010 @ 7:07 pm
“Ogni donna contiene in sè la propria madre e la propria figlia” è l’affascinante intuizione di Jung.
 Non spaventi il sottotitolo “Storia di un’analisi“perchè in realtà accanto alla storia clinica di Carmen  si dipana una vita, una vicenda autobiografica. La terapeuta e la paziente rivivono il rapporto madre-figlia ed un intenso  percorso interiore per raggiungere la guarigione.
L’analista è come una “levatrice”, ogni volta cerca di aiutare qualcuno a rinascere, a renderlo consapevole del proprio Sè.
Ritrovare in sè la madre e la figlia sarà la strada per la guarigione di Carmen, nel senso che riuscirà a vivere problematicamente l’esistenza, accettando il confronto con un destino che temeva inevitabile.
Il linguaggio è chiaro, senza tecnicismi psicoanalitici e ci porta attraverso frammenti di passato, sogni, immagini alla verità che l’inconscio teneva celato.
Che importante questo rapporto! “Rapporto aspro e dolce che vive e impronta di sè la storia personale e collettiva; è luogo d’origine misterioso e segreto.” Occorre risolverlo in ogni modo sia nel “bene” che nel “male”.
Ogni donna deve andare verso la sua parte femminile e così facendo accettare sua madre anche se la sente lontana da sè. Dice un proverbio arabo “Ogni donna porta con sè la mirra, il cinnamomo, il balsamo; ma mirra, cinnamomo e balsamo non sono mai uguali perchè ogni donna ha il suo profumo.”
Per chi ama le analisi psicoanalitiche, come me e la cara amica Renata, questo libro è interessantissimo. Fra l’altro è diviso in tanti affascinanti capitoletti e fra questi si trova “Il senso della scrittura”in cui viene spiegato che ad un certo punto dell’analisi la scrittura diventa il luogo privilegiato “per dare forma alle emozioni, è “il bordone della musica medioevale che consente alla melodia di spaziare senza perdersi.” E scrivendo, la memoria può lasciarsi andare alle rivisitazioni dell’infanzia, agli oscuri anfratti inconsci, al luogo conosciuto prima che l’Io fosse costretto, per ragioni di sopravvivenza, ad assumere un aspetto “ipertrofico e compensativo “…
Interessante infine il ruolo fondamentale che il senso dell’umorismo ha avuto sia nella vita di Carmen che nel corso dell’analisi. Il sense of humour non è solo un apprezzabile  meccanisno di difesa dell’Io , ma è anche una via d’uscita per alleggerire  i significati penosi.
Carmen scrive poesie che raccontano il suo cammino per accettare una madre difficile.
“Assomiglio a te mamma./ E’ vero:…assomiglio alla tua/  primitiva dolcezza./ … assomiglio / alla tua voglia di rovesciare  tutto. / …al tuo senso dell’assurdo/ finito in pazzia./ …Mamma /assomiglio / a me e a te./…Mamma cara/ disprezzata./ Non mi vergogno più di te.
Carmen guarisce, riesce a rapportarsi più armonicamente e dialetticamente con marito e figlia. Ma anche la terapeuta è “rinata” in questo lavoro a due. E’ riuscita a superare la perdita reale della propria madre.
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Consiglio di leggere il lungo ed interessante commento di Brunella al post “La mia Africa.”
Inoltre c’è un dolce e romantico augurio alla moglie che Riccardo ha lasciato al post “Il carteggio di Madame de Sévigné.”
Da non perdere!
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INVITO LE CARE AMICHE LETTRICI A INVIARMI QUALCHE LORO POST SUI LIBRI LETTI ULTIMAMENTE CHE IO , MOLTO VOLENTIERI, PUBBLICHEREI. COSI’ LA SFIDA DI UN LIBRO AL GIORNO PROCEDEREBBE ED IO AVREI UN ATTIMO DI PAUSA IN VISTA DI UN MESE MOLTO INTENSO DI IMPEGNI LAVORATIVI….
"ASSOLUTAMENTE GLAM", viva le donne
pubblicato da: admin - 22 Ottobre, 2010 @ 5:53 pm
Di che libro parlare oggi dopo tantissimi avvenimenti, e-mails, proposte di lavoro e  telefonate che sollecitano la mia  fantasia e la voglia di comunicare ?
Libri, donne, colori, sorrisi, bellezza…la vita -Â insomma -Â i progetti.
Intanto è nata una nuova donna, Sara- la più bella di tutte – ha detto la nonna. Sarà  una vera principessa , aggiungo io.
 Poi i sorrisi, la musica e i  colori dei nostri pensieri  durante l’allegra serata a casa di Cristina. Abbiamo festeggiato il ventiseiesimo anno delle Penelopi.
Il suo salotto è sempre accogliente e colmo di fiori profumati; ieri sera i lilium fucsia insieme a tartine, dolcetti e torte golose spiccavano sul tavolo vestito di blu. Cristina come d’abitudine ci allieta con la sua musica e la sua creatività lasciando però anche lo spazio a chi fra di noi si sente di donare qualcosa di sè . Così Anita ha recitato alcune poesie in dialetto, Marina ha letto  una leggenda, io ho parlato del mio blog . Chi è più riservato ha accolto con sorrisi e simpatia il fiume propositivo, i doni, le canzoni.  Già in progetto l’angolo della poesia al quale mi piacerà partecipare attivamente e con entusiasmo.
Poi si canta, si chiacchiera, ci guardiamo e … ci facciamo complimenti sulle nostre toilettes. Eh, sì, noi donne, non riusciamo, anche se siamo lettrici accanite, pittrici, musiciste, più o meno intellettuali, a non parlare dei vestiti che indossiamo!Â
Ieri sera Cristina era in  nero: maglietta con perline, pantaloni e ballerine,  Maria Teresa in giacchina a rose rosse, felice e un po’ in trance per l’arrivo di Sara, io avevo una gonna con piegoline in fondo.
Molte mise nere. E qui mi viene in mente un capo di abbigliamento che fa parte dei magnifici dieci che , secondo Cinzia Felicetti, una donna deve tenere nel proprio guardaroba.
Bene ho trovato il libro.
 Ho voglia di saggia leggerezza oggi ( inoltre ho ricevuto una mail che vi trascrivo proprio da Cinzia ) così ho ripensato ad un altro dei suoi preziosi manuali , il simpaticissimo ed utile “Assolutamente glam” (glam: ciò che rende affascinante, attraente, è così Raffaella e Stefania?).
Che cosa ci consiglia Cinzia che come Audrey Hepburn vorrebbe un ampio guardaroba? Che non possiamo non possedere i magnifici dieci: il famoso tubino nero, i jeans, una particolare tee-shirt, una Kellina, un filo di perle vere o finte e che altro? Libro  da leggere per sentirsi rassicurate, divertirsi ed esaltare  quella parte rosa di noi che ci rende così particolari e un po’ più “ricche” degli uomini.
Per me ora qualche capo irrinunciabile è il cappottino nero che mi fa più magra, le scarpette con un po’ di tacco, la solita gonnellina nera, gli orecchini ad anello, una pashmina colorata ecc. Mi piace molto l’impermeabile di Colazione da Tiffany, anche se non sono Audrey.
 Voi a che cosa non rinuncereste?
Il problema però – e qui mi collego al commento arrivato poco fa da Stefania - è l’accumulo dei vestiti e degli accessori. Degli oggetti in generale.  Che fare dunque? Poche cose essenziali da tenere? Rinnovarsi spesso e poi buttare? Certo non dovremmo mai ad arrivare a vivere come i fratelli Collyer, ma trovare un giusto equilibrio.
 Commento di Stefania su Homer & Lingley:
Care amiche, ho finalmente trovato – sotto una valanga di cose (come nella casa dei fratelli Collyer, argh) – l’articolo di Livia Manera sul Corriere dell’8 gennaio 2010. Effettivamente c’e’ la foto di una stanza della casa dei fratelli (con organo) come era apparsa a chi entro’ in casa nel 1947. Inquietante. Ci sono anche un paio di spunti interessanti, intanto l’idea di scrivere di questa vicenda. Doctorow dice che la scintilla gliela aveva data il progetto “Collyer Brothers Park”, iniziativa documentata sul Times per realizzare un parco sopra quella che fu la casa dei fratelli. Tutto il vicinato si era opposto come se ricordare questo evento avesse una portata mitologica. Doctorow ci dice quindi di aver tratteggiato la storia nei suoi risvolti piu’ mitologici. Anche se parecchi ne avevano gia’ scritto (Marci Davenport “My brother’s keeper”; Richard Greensberg “The Dazzle”; Franz Lidz “Ghostly Men” e Stephen King “Salem’s lot”. Curioso il fatto che la storia dei fratelli sia effettivamente entrata nel lessico quotidiano; le mamme americane direbbero ai loro figli disordinati: “Hai lasciato una stanza che sembra quella dei fratelli Collyer“! Incredibile no?
MAI SENZA MIA FIGLIA, di Betty Mahmoody e William Hofer
pubblicato da: admin - 21 Ottobre, 2010 @ 6:29 pm
Sono contenta di lasciare lo spazio a Riccardo per una storia autobiografica forte,avventurosa e  drammatica, ma anche per conoscere la sua interessante esperienza di lavoro in Iran.
Sono inoltre lusingata per il plaudo alle donne con il quale Riccardo chiude il post.  E fa bene….da poco è diventato nonno di …una donna con la D maiuscola!
 Una storia vera
Sperling & Kupfer Ed., 1993
Pagine 391, €10,50
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Avevo visto il film. Ora, in un giorno, dopo anni, ho letto il libro. E’ un giallo “veroâ€: Una cittadina USA sposa un medico iraniano ormai americanizzato. Con la caduta dello Scià , l’uomo si trasforma, diventa quasi un fondamentalista, di fatto rapisce moglie e figlia e le rende prigioniere a Teheran, da dove esse riescono, dopo 18 mesi di sofferenze, a fuggire. Questa la storia, d’altra parte molti di voi la conoscevano già . Raccontato in prima persona, sorprende come Betty sia riuscita a ricordare nomi, fatti, circostanze … e certo, a suo tempo, non disponeva di blocco notes né tanto meno di computer …
Ognuno di noi ormai conosce l’esito – per fortuna felice – della vicenda. Tuttavia il racconto vi tiene con il fiato sospeso dalla prima all’ultima pagina.
Sono stato a Teheran, quando ancora c’era lo Scià , anzi, lo Sciansià , il Re dei Re, per circa un mese, per lavoro. La città si stende, da su a nord, per circa 50 km, dall’altitudine di circa 300 metri della zona sud, quella del mercato (bazar, bellissimo!), sino ai 2.500 metri della zona residenziale più ricca, quella nella quale vi era – fra le altre – la residenza (fortificata) di Reza Palhavi, la cui effige era dovunque, in qualunque atteggiamento, come talvolta capita qui da noi di vedere le effigi di qualche nostro politico in occasione dei turni elettorali …
Più a nord, in lontananza, montagne di oltre 6.000 metri che separano la città dal Mar Caspio, innevate anche in estate. Nel suo libro Betty cita i rigagnoli d’acqua che spesso scorrono ai lati delle strade cittadine, acqua in cui e di cui si fa di tutto … Confermo!
Traffico caotico, prezzi pazzi: ristoranti quasi gratuiti (per le nostre tasche di europei), vestiario occidentale costosissimo. Vivevo negli Hotel, che poi erano anche il mio ufficio e lavoravo all’interno dei tempi assolutamente dilatati degli Iraniani: giornate intere per riuscire a spedire un telex (all’epoca non c’era internet).
All’epoca (del mio soggiorno) inquadravi l’etnia di una persona dal saluto: salaam (araba o iraniana, che poi sono due cose diverse), shalom (ebraica), salaamelek (turca). Oggi shalom è vietato.
Feci amicizia con Michele Cazzato e Luciana Serra, rispettivamente direttore del teatro imperiale e soprano, liguri entrambi come me. Potei assistere ad alcune opere liriche (ricordo “L’elisir d’amoreâ€).
Le donne locali, alcune con il velo, altre no. Le occidentali assolutamente libere di vestirsi. Gli Iraniani se le mangiavano con gli occhi, le nostre! Non ricordo di aver mai trovato uno di loro che si scandalizzasse per i loro corpi in buona misura scoperti in quanto l’abbigliamento estivo della stagione lasciava molto vedere e intravedere. Anzi! Sono gli stessi uomini che dopo la rivoluzione komehinista, hanno imposto alle donne il “coprifuoco†anche nell’abbigliamento … una rivoluzione nella quale a rimetterci maggiormente sono state le donne e non solo o soprattutto per l’abbigliamento!
Gli occidentali all’epoca fornivano – fra l’altro – armi, ma mantenevano il controllo delle loro parti di ricambio strategiche (indispensabili e insostituibili). Ricordo poi l’enorme grattacielo del ministero dell’agricoltura, i cui numerosi piani erano letteralmente stipati di computer di una notissima marca, tutti imballati nel cellofan e mai attivati! Come pure le montagne di cemento sui moli del porto di Bardar Abas, ormai solidificate per la pioggia che era stato consentito cadesse loro addosso! Peccato …
Peccato, per tutto ciò … tuttavia peccato soprattutto perchè si sta nascondendo ai nostri occhi un immenso patrimonio di arte, storia, cultura. Infatti l’Iran è un grande Paese proprio per gli immensi tesori che ancora possiede. E non sto pensando al petrolio!
Termino qui con una nota: libri che narrano di vicende o luoghi che “ricomprendono†pezzi della nostra vita, ovviamente ci catturano particolarmente. Sarà un caso, ma in questi giorni io ne ho “incontrati†ben due: “Eva Dorme†della Melandri e questo qui sopra. Entrambi scritti da Donne con la D maiuscola. Viva le Donne!
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Riccardo Lucatti


















