STORDITI DALLA NORMALITA’ – 2

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 11 Marzo, 2015 @ 6:58 am

Detto altrimenti: disinformati, abituati, assuefatti, storditi … dalle auto blu e da tant’altro    (post 1958)

Post 1958, anno 1958 – Mina canta Le mille bolle blu. Io ho 14 anni e lei si chiama Roberta.

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E quelle della Corte Costituzionale? Della Cassazione? Dei ministeri? Degli Enti utiii e inutili? Delle Amministrazioni locali? Delle Società controllate? Delle banche finanziate? Etc., etc….

Il Presidente Mattarella “taglia” le auto blu del Quirinale. Di fisse, ovvero “ad personam”, ne restano solo due: la sua e quella del Segretario Generale. Gli altri devono prenotare e dividersi quelle “comuni”, solo per il servizio urbano, mai per quello notturno. Ma allora … prima … che succedeva? Ci andavano a sciare e al night club?

Ma non basta: viene mantenuta l’auto (con autisti?) ai Presidenti emeriti (ovvero agli ex Presidenti della Repubblica). E fin qui … Ma viene mantenuta anche quella della loro moglie e del “figlio maschio primogenito” (ma quest’ultime non possono lasciare il territorio del Comune di Roma … ah, vabbè … se è così …). Ma allora … prima … che succedeva? Ci andavano a sciare e al night club? Ecco, mi ha colpito la norma medievale del diritto di primogenitura, dei privilegi a non finire. Ma quanti ne esistono ancora? Quanti altri? E quelli di dipendenti pubblici che possono andare in pensione a 53 anni? (Esistono, esistono, andata a scoprirli voi stessi, da soli: io vi assicuro che esistono!). E quelli che la legge è uguale per tutti tranne le eccezioni di legge? Dice … ma dai … è tutto normale … si è sempre fatto così … Ah … ecco … dimenticavo … se è tutto normale … molto meglio che io continui a dormire stordito dal nirvana della “normale normalità“.

Ma dai … dice  … di che ti lamenti? Dopo tutto ora la BCE acquisterà circa €1.200 miliardi di titoli di stato italiani … le banche avranno tanta liquidità in più … E’ normale!

Un momento. Ad acquistare sarà la BCE per il 20%, e Bankitalia per l’80%, ma siccome che (siccome che) Bankitalia partecipa a BCE per il 17,50 %, la percentuale acquistata da Bankitalia sarà dell’83,5%. E Bankitalia, da dove prede i fondi se non da noi stessi, tramite il Tesoro e le nostre stesse banche? E poi, Bankitalia acquista anche crediti bancari, ovvero si sostituisce alla banche nella posizione di creditore dei debitori bancari, di certi debitori, dei migliori, più sicuri creditori. Ah vabbè, se è così … ma il giro è sempre lo stesso.

th6EJNQ48SSolo, non capisco una cosa: la globalizzazione (il mio maglione, i miei guanti da sci, etc. sono made in China) ed altri fattori (evasione fiscale, corruzione, malgoverno, mancanza degli Stati Uniti d’Europa) hanno messo in crisi la nostra economia. Le società falliscono. I prezzi scendono. I risparmi delle famiglie aumentano (“Risparmiamo, non si sa mai …”), vengono dati più fondi alle banche, ma le banche che ne faranno di questi fondi? A breve termine miglioreranno i propri bilanci (vuoi vedere che si ricomprano titoli del debito pubblico? E’ un po’ il gioco dell’oca, tornare alla casella di partenza!), rifaranno facili utili, aumenteranno i già super stipendi/bonus/etc. ai loro top manager. Mappoi? (Mappoi, si, lo so, non si dice “mappoi”, ma a me mi – a me mi – piace tanto provocare un po’!).

Mappoi cosa? Mappoi non lo so … ecchè? Devo dirvi tutto io? Quando mai!?

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IL TRENTINO CAMBIA (PASSO E) IL PENSIERO: DA QUANTITA’ A QUALITA’

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 9 Marzo, 2015 @ 3:38 pm

Detto altrimenti: “Il canto del pendolo”,  di Josif Brodskij (1940-1996)

Post 1957, anno 1957 – In orbita il primo Sputnik. Io ho 13 anni e sono innamorato (in segreto!) di una ragazzina con il cappotto a quadrettini crema e marrone, di nome Marina.

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Josif Brodskij. Premio Nobel per la poesia (1987), nato russo, emigrato (quasi fuggito) negli USA, morto a Brooklyn, sepolto a Venezia. All’inizio del libro citato è riportata una sua prolusione a studenti universitari  (cito a memoria): “Diffidate dei pareri uniformi, delle volontà unanimi, dei grandi eserciti e dei bilanci ben assestati … se non altro perché dentro i grandi numeri più facilmente può allignare il male”.

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Chi abbia letto i miei ultimi post e quanto la stampa locale ha riportato di un avvenimento che più che politico definirei culturale e sociale, avrà visto che “eravamo in pochi”. La giornata prefestiva, assolata, le piste da sci bene innevate e curate … be’ ragazzi … se c’è una persona molto sensibile a queste sirene ammalianti sono io. Eppure … eppure sono felice di avere passato la giornata della sala interrata di Trentino Sviluppo, in via Zeni a Rovereto per seguire a partecipare attivamente a “Il Trentino cambia passo”.

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Dalla IT-Information Technology, da decenni di è passati alla ICT, Information Communication Technology. Ma qualcuno non se ne è ancora accorto.

Dalla IT-Information Technology, da decenni di è passati alla ICT, Information Communication Technology. Ma qualcuno non se ne è ancora accorto.

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Felice perché l’evento è stata una preziosa occasione di attivare il proprio pensiero, di fare tesoro del pensiero altrui, di maturare sempre di più una consapevolezza, e cioè che l’evento sia  stato una “occasione persa, letteralmente  “sprecata” dai tanti che, indotti dal soleggiamento o da inviti di tutt’altro tipo, hanno evitato il confronto, hanno voluto sottrarsi ad un momento di “comunicazione”, ovvero di “communis actio” ovvero di azione (meglio: del pensiero) comune o quanto meno di “pensiero in comune”.

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th19PYZ50VInfatti, un tale vissuto qualche anno fa, mi pare si chiamasse Aristotele, aveva scoperto una regoletta dell’umana convivenza e aveva cercato di spiegarla ai suoi contemporanei, e cioè che per arrivare alla soluzione di un problema, è molto meglio il contributo di tante persone le quali al limite la pensino in modo diverso e per di più non siano specialistiche della materia, più che non il contributo di un’unica persona anche se super specialista della materia trattata. Da qui aveva dedotto una considerazione: molto meglio non avere paura delle proprie idee, molto meglio insistere per riuscire ad essere ammesso ad esporle anche se potenzialmente tali da accendere una animata discussione fra contrapposte tesi.

E invece da molti questo confronto è stato rifiutato. Un confronto durante il quale è emersa la necessità di ristabilire una cinghia di trasmissione ed una canale di reciproca informazione (ovvero di comunicazione) fra due mondi oggi purtroppo separati: quello del piano “alto”, della politica degli amministratori, e quello parallelo (quindi separato) ma “basso”,  dei problemi quotidiani della gente “comune”, quello non della “politica” ma delle “politiche concrete”, piano sul quale andrebbero comunque verificate le “alte” idee del piano “alto”.

Un confronto durante il quale è emerso che “Autonomia” è sì nell’ordine, necessità – volontà – capacità di autogoverno, ma è emerso anche che questa Autonomia non si basa sull’ heimat ovvero  sull’ “appartenenza a”, quanto piuttosto sulla comunità di “carattere” di chi sente la necessità, ha la volontà e la capacità di esprimere un proprio pensiero autonomo e originario, senza andare necessariamente a rimorchio del pensiero di una maggioranza a sua volta incolonnata dietro il pensiero unico del leader di turno, per illuminato che esso sia stato, sia o possa ancora essere.

Ecco perché io andrò sempre anche agli “altri” convegni: per non contraddire me stesso e per cercare di individuare – comunque – eventuali “vie di comunicazione”.

 

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INVITO ALLA LETTURA …

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 9 Marzo, 2015 @ 10:53 am

Detto altrimenti: … dei miei post!                                 (post 1956)

Post 1956, anno 1956 – Rivolta in Ungheria. Enrico Mattei fa forte. Tragedia di Marcinelle.

Lo so, ragazzi, che i post dovrebbero essere corti. Maccome (maccome) si fa a non scrivere certe cose? Eppoi (eppoi) ho circa 100 lettori al giorno i quali sfogliano e leggono alcune centinaia di pagine al giorno e si soffermano su ciascun articolo per una media che varia da un minuto e mezzo a due minuti e dieci. il 40% sono lettori di ritorno, il 60%, giornalmente, nuovi lettori. Non so se sono un bravo blogger, so solo di essere un neo-blogger nel senso che pubblico da poco più di tre anni ma non mi sono mai confrontato con gli esperti della valutazione di questi risultati.

Ma torniamo alla “lunghezza” dei miei post. Alcuni amici mi dicono che la devo “accorciare”, però loro stessi comprano e leggono tre quotidiani al giorno e soprattutto sono grandi lettori di libri anche di 900 pagine! E allora, come la mettiamo? Da che pulpito viene la predica? Proverò comunque a dare loro retta e scriverò  qui in appresso un blog molto corto:

Inizia:

Per favore, amici, leggete con attenzione i tre post precedenti, grazie”

Finisce.

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Più sintetico di così non sono capace. Anzi, a dire la verità una volta ne sono stato capace, quando di fronte alla poesia di quel Grande Poeta che è stato Giuseppe Ungaretti verso la cui opera nutro una enorme ammirazione,  “Mattina” che recita semplicemente così: “M’illumino d’immenso” ho voluto scrivere io stesso una mia “Mattina”, ancora più sintetica. Eccola, recita così: “Anch’io”.

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INTERVENTO DI PIERGIORGIO CATTANI

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 9 Marzo, 2015 @ 8:17 am

Detto altrimenti: … al Convegno UPT, 7 marzo 2015 “Il Trentino cambia passo”   (post 1955)

Post 1955, anno 1955 – Fiat 600 e Lascia e Raddoppia.

Il titolo dell’intervento? “Il Trentino: partiti, società e corpi intermedi”. Open blog, ovvero blog aperto a tutti. Questa volta “apro” il blog al giornalista Piergiorgio Cattani, e lo faccio “a sua insaputa”. Si tratta del suo intervento al convegno di cui sopra, ma a mio avviso ha una portata pre-politica, ultra politica, assolutamente universale, oserei dire “morale”, una lezione di vera “civilità sociale” che arricchisce tutti, chi fa politica, chi cerca di  attuare politiche effettive, che cerca di dare un contributo serio alla collettività, in ogni campo.

“Morale” … dirà Taluno!? Addirittura “morale”? Si, amico Taluno, perchè le espressioni di Cattani sono espressioni di verità, onestà, coerenza, trasparenza e immediata comprensibilità e  quindi assolutamente morali. A differenza di altre di altri …

Inizia

th5O5AAY41Ringrazio per prima cosa la segretaria Donatella Conzatti che mi ha invitato a tenere un intervento per questa giornata di lavoro e approfondimento. È raro che un partito organizzi questi momenti di dibattito.  Ringrazio tutti i presenti, e in particolare gli eletti nelle istituzioni, a cui questa mia riflessione è rivolta in modo particolare.

Nel preparare l’intervento avevo fatto una lunga premessa che descriveva gli aspetti positivi del Trentino. L’autonomia speciale, l’assetto comunitario della società, il desiderio di puntare sulla ricerca e sulla formazione continua, il paesaggio che abbiamo, la laboriosità della nostra gente, sono tutti elementi di forza di cui dobbiamo essere fieri. Ritengo però inutile incensarci e dirci quanto siamo bravi. La crisi ha colpito anche il Trentino. Pur in presenza di incentivi e di sostegni pubblici di ogni tipo che garantiscono la tenuta dell’occupazione, il mercato del lavoro è ancora fermo. La produttività della nostra Provincia sta calando e si colloca al di sotto dei livelli del nord Italia.

Ci sono però dati che oltrepassano la sfera economica. Recenti studi, come quello dell’Irvapp guidato dal professor Schizzerotto, descrivono una società bloccata in cui l’immobilismo prevale su qualsiasi spinta innovativa. Un dato fra tutti: i giovani trentini si immatricolano molto di meno rispetto a pochi anni fa, e vanno all’università principalmente quanti provengono da famiglie con un alto livello di istruzione o di ceto sociale elevato.

Ci sarebbe molto da dire, però in questo intervento io mi concentrerò sulla struttura del potere in Trentino, sul ruolo dei partiti, della società civile e  dei corpi intermedi. Vorrei cercare di descrivere i fenomeni, secondo il mio punto di vista ma senza dare giudizi di parte. Vorrei cercare “la verità effettuale della cosa”, come direbbe Machiavelli.

Partiamo da un primo dato evidente: la centralità che l’apparato pubblico riveste in tutti i settori della vita di un residente in Trentino. L’autonomia  ha generato un sistema pervasivo in cui, a causa delle numerosissime competenze da gestire, le risorse economiche movimentate sono davvero ingenti per una popolazione di mezzo milione di abitanti. Se facciamo un divertente calcolo dividendo il bilancio della PAT per il numero dei residenti in Trentino scopriamo che la Provincia, solo come entrate, gestisce più di 8600 Euro annui procapite, vale a dire gestisce un Euro all’ora per i suoi abitanti!

Secondo elemento: forse inevitabilmente, questo potere economico, questo “giro d’affari”, è gestito da poche persone. Una oligarchia illuminata, non sempre illuminata. La classe dirigente trentina è composta dalle stesse facce, intercambiabili. A testimonianza di una società bloccata.

Emerge così una verità scomoda, ma reale. Per qualsiasi cosa devi rivolgerti a qualche sportello pubblico. Spesso trovi la strada giusta secondo le procedure standard. Poi però, ben presto, ti accorgi quanto sia importante avere un contatto, una persona che conosci, un amico che ti può dare qualche “dritta”. Un politico che ti spiana la strada. In Trentino non puoi fare nulla se non hai qualche aggancio in Provincia. Qualcuno mi dica se non ha mai fatto questo pensiero. Sto parlando di una consuetudine diffusa, perfettamente lecita dal punto di vista giuridico. Nulla di illegale dunque. Le cordate e le amicizie più o meno interessate sono i cardini della struttura del potere in Trentino.

Abbiamo ancora l’idea che la Provincia sia un bancomat, un pozzo di San Patrizio da cui attingere l’acqua, cioè i denari, necessaria per i nostri progetti. Sappiamo che le risorse diminuiscono, ma sappiamo che da qualche parte i soldi ci sono ancora. In questo modo l’imprenditoria privata è sacrificata. L’idea del singolo pure, nonostante gli incentivi provinciali alle Startup e così via. In questo senso quasi tutto ruota intorno agli organi di governo, in modo speciale intorno alla Giunta provinciale, vero luogo dove si gestisce il potere.

La prevalenza degli esecutivi a discapito delle assemblee legislative è una caratteristica comune in questa fase della democrazia. Non è certo una nostra peculiarità. Il problema del Trentino risiede nel fatto che all’accentramento del potere corrisponde una dote finanziaria cospicua. Riassumendo con uno slogan: tanto potere e tanti soldi in poche mani.

Non è che gli assessori siano onnipotenti. Non possono arrivare dappertutto, non possono sapere tutto. Di qui il ruolo decisivo dell’apparato burocratico, dai dirigenti generali fino ai funzionari. In questi anni, a mio avviso, l’efficienza della burocrazia è stata sacrificata troppo alle esigenze della politica. In questo siamo in controtendenza: mentre ovunque prevale la tecnocrazia, da noi forse è prevalente la politica, intesa però non sempre nel senso nobile del termine.

Casi concreti come la questione dei punti nascita o il taglio di 80 milioni di contributi per le opere pubbliche dimostrano la difficoltà di coniugare aspetti tecnici, contingenze finanziarie e visioni valoriali e prepolitiche.

Adesso mi sembra importante fare un ulteriore passaggio. Da che cosa la Giunta trae il suo potere e la sua legittimazione? Ovvio, dal voto popolare. Dall’elezione diretta del Presidente che poi nomina gli assessori, naturalmente tenendo conto della composizione del consiglio provinciale, a sua volta derivante dal voto popolare. L’elezione diretta conferisce maggiore autorità al Presidente, ma ugualmente il ruolo dei partiti dovrebbe essere determinante. Quando poi c’erano le “porte girevoli” gli assessori erano succubi del Presidente, poiché, in caso di “licenziamento” avrebbero perso anche il posto di consigliere.

Riassumendo. Una comunità con molte risorse come la nostra si deve porre il problema di un “riequilibrio” dei poteri: tra esecutivo e legislativo; tra centro e periferia. Fino a ieri abbiamo avuto invece un “uomo solo al comando”.

Quale è però il vero ruolo dei partiti? Non è che forse i partiti sono semplicemente contenitori elettorali necessari per mettere i candidati in lista? Poi, con il voto di preferenza, decideranno i cittadini chi  mandare nel palazzo a gestire la cosa pubblica. Apparentemente un bel sistema. La realtà mi sembra diversa. I partiti sono soltanto coacervi di  singoli, aggregazioni di singoli incapaci di fare squadra. La dimensione collettiva non esiste quasi più, esistono gruppi, cordate, correnti che si costruiscono e si disfano in una notte. In questo senso gli organi di partito, le segreterie, i parlamentini, i convegni non servono a nulla. Servono come specchi per le allodole.

Gli eletti, specialmente quelli che hanno un ruolo amministrativo, poi non hanno tempo di andare al partito: sono loro a fare politica, in completa autonomia, con le loro scelte quotidiane. Capisco che questo quadro può sembrare troppo estremo. Si dirà che esistono i momenti di confronto interno, che si cerca di non essere solitari…

Sempre di più però l’individualismo politico si diffonde, mentre i partiti diventano soltanto la strada necessaria per poter ambire a posizioni di potere. In Trentino poi queste posizioni non coincidono sempre con i ruoli apicali delle istituzioni: c’è tutto il sottobosco dei consigli di amministrazione, dei posti degli enti parapubblici, delle società controllate, dei carrozzoni ancora presenti. C’è chi frequenta per anni un partito solo per essere nominato da qualche parte, per avere qualche denaro in più per far quadrare i propri conti.

thGU8JY1BJI contenuti spariscono. E chi punta ancora sui contenuti, come la segretaria Conzatti, è spesso percepito come uno sprovveduto con buona volontà, ma che non capisce come va il mondo. I contenuti veri sono appannaggio esclusivo degli esecutivi. Chi arriva in quella stanza dei bottoni è a posto. Gli altri diventano comparse.

l momento di formazione delle liste elettorali è il culmine della funzione di un partito. Anche in questo caso però i criteri di selezione riguardano il consenso personale del possibile candidato oppure quella parte di società che può rappresentare: il mondo del turismo, dell’associazionismo di categoria, dello sport, degli agricoltori, della scuola, delle cooperative sociali, degli infermieri, dei portatori di handicap…

Oppure infine si cerca chi rappresenti un determinato territorio, come per esempio un sindaco. Certamente finisce in lista anche chi ha fatto gavetta nel partito ma, quando si contano le preferenze per davvero, il suo nome inesorabilmente si piazza agli ultimi posti. Impossibile analizzare e valutare le capacità dei consiglieri o degli assessori uscenti che si ricandidano: tutti hanno fatto sempre e comunque bene, una pacca sulle spalle e via.

I partiti cercano di fare le liste più forti possibili, non pensando a presupposti ideali o valoriali oppure alla coerenza con una presunta impostazione ideologica del partito. Le liste sono formate da candidati eterogenei, a volte molto distanti tra di loro pure dal punto di vista programmatico, portatori di variegati interessi difficilmente componibili all’interno del partito stesso. Di qui i problemi di tenuta dei gruppi consigliari stessi: come si vede dalla cronaca quotidiana, ogni eletto sembra fare gioco a sé, ignorando spesso di far parte di una squadra.

Giungiamo così ad un altro aspetto fondamentale: la nettissima dicotomia tra gli eletti nelle istituzioni e gli organi del partito di riferimento. Non solo: la divisione è molto profonda tra i rappresentanti dell’esecutivo e quelli del legislativo. Se a Roma il governo ormai procede abitualmente attraverso lo strumento dei decreti leggi, qui da noi la Giunta legittimamente esercita il suo potere quasi in modo autarchico.

Ma non è finita. Se i consiglieri provinciali si lamentano di non essere stati avvertiti dagli assessori dei provvedimenti in agenda, gli stessi assessori si infastidiscono perché i colleghi di Giunta sottopongono al voto le delibere di competenza senza però averne parlato prima con nessuno. Addirittura a volte si ha la percezione che la Giunta approvi provvedimenti elaborati altrove, in qualche oscuro direttorio. Tuttavia io non sopporto le teorie complottiste  e lascio perdere queste tesi.

 Cosa fanno i partiti nei periodi in cui non ci sono elezioni? Si dirà che in Italia ci sono sempre elezioni. Ma in Trentino, almeno per il Consiglio provinciale, si vota ogni cinque anni. Che fanno allora i partiti? La risposta più semplice – e credo quella più spontanea per un cittadino comune – la sappiamo tutti: i partiti litigano al loro interno, si dividono, adottano nuove formule, cambiano nome, faticano terribilmente a parlare di cose concrete. E quando appare qualche contenuto vero ecco che esso scompare quasi subito, annegato nel mare dei distinguo e delle polemiche. Mai una volta che si parli dell’effettivo operato degli eletti.

Quando poi si vuole svuotare un partito di solito nascono le associazioni culturali. Queste associazioni, per natura “trasversali”, si presentano come portatrici di un “contributo di idee”, non alternativo alle forze politiche di riferimento. In realtà queste associazioni corrodono ulteriormente il ruolo dei partiti che rischiano di non contare più nulla. La storia dimostra che le associazioni sono un modo per reiterare le cordate, per restare vicini al potere, da dove magari ci si è momentaneamente allontanati.

Ciò deriva dal “peccato originale” di cui parlavo all’inizio: quello di dover per forza essere contigui al potere per poter fare le cose. Chi ha vissuto più o meno in modo parassita alle spalle del pubblico, non può fare altro che riciclarsi. O tentare di farlo. Poi ovviamente tutto è ammantato di parolone, di citazioni dotte, di frasette evocative. Ma la sostanza non si dice.

Vorrei però sottolineare che questa tendenza è strutturale, non deriva cioè soltanto dalla volontà dei protagonisti o dalle contingenze del momento, bensì dalla logica stessa con cui si articola l’esercizio del potere.

Sto arrivando alle conclusioni di questo mio intervento.

Come si può allora influire sulla cosa pubblica? Il problema della nostra autonomia sta proprio in questa domanda. Sfiduciati dai partiti, ma consci di dover star vicino in qualche modo al potere, i cittadini si organizzano in quelli che possono essere definiti come “corpi intermedi”: associazioni culturali o di categoria, gruppi di pressione, soggetti portatori di particolari interessi.

Essi testimoniano la vitalità della società trentina, ma pure un intrinseco rischio di frammentazione. Siamo davanti ad un insieme di corporazioni che assediano il Palazzo per riuscire a contare qualcosa, a raggiungere quell’assessore da cui si spera di poter lucrare qualcosa. Tutto questo, occorre ribadirlo, è perfettamente lecito, ma pericoloso per la democrazia. Rischiamo di cadere in un sistema corporativo in cui gli interessi divergenti diventano difficilmente componibili.

Un quadro troppo nero? Tuttavia se vogliamo aprire una nuova fase dell’autonomia, dobbiamo partire da questi problemi. Hanno più potere di condizionamento i gruppi di interesse rispetto ai partiti che, stando alla Costituzione, dovrebbero invece essere i canali privilegiati per consentire ai cittadini di dire la propria, di partecipare, di incidere sulla cosa pubblica. I partiti invece sono sostituiti ormai percepiti come entità residuali.

Riassumendo. Bisogna riflettere sul ruolo dei partiti nella formazione, selezione e ricambio della classe dirigente. In secondo luogo occorre trovare la modalità per un reale controllo e una puntuale verifica delle politiche pubbliche. È necessario sapere se i soldi che sono stati elargiti o investiti hanno prodotto quanto era stato previsto.

 Che fare allora? Pensare a una diversa articolazione della struttura del potere?

Personalmente, in vista della scelta del candidato a Presidente della Giunta per la coalizione del centro sinistra autonomista per le elezioni 2013, avevo sostenuto con forza l’importanza delle primarie per aprire ai cittadini la possibilità di scelta.

Le primarie si sono effettivamente svolte, ma nella maniera sbagliata: ogni partito della coalizione aveva proposto un candidato, segno che la divisione tra i partiti restava. Il candidato era dunque espressione del partito, non di una determinata idea, di un programma alternativo. A guardare bene i tre candidati principali – tutti assessori della Giunta uscente – non presentavano differenze, almeno visibili ai cittadini. E così ha vinto chi è riuscito a mobilitare più massicciamente i simpatizzanti del suo partito. Le primarie sono state dunque un derby alla fine di poco interesse. Ugualmente primarie aperte, da definire per legge, come avviene in altre regioni italiane, potrebbero essere una soluzione. Così i cittadini avrebbero voce in capitolo.

 I partiti però devono cambiare. Le alternative sono due.

Il partito stile anni ’70: sezioni, partecipazione di massa, idee, ma anche segreterie che facevano saltare i governi, giochi di corrente… In pratica però i partiti avevano la prevalenza sulle istituzioni. Era la segreteria della DC a decidere chi dovesse fare il primo ministro. Mi sembra però che questo modello sia definitivamente tramontato.

Dall’altro lato il partito “all’americana”, alla Renzi in cui il segretario è anche il massimo rappresentante dell’esecutivo. Una volta aborrivo questa idea di partito, ma adesso sto cambiando idea. Con questo modello forse chi gestisce il potere al massimo livello può essere condizionato democraticamente all’interno del suo partito. Come è ovvio, questi modelli sono un’astrazione, ma credo valga la pena porre al dibattito questa questione.

thZJYOE93BPenso che le sollecitazioni di Lorenzo Dellai vadano considerate molto attentamente. La nostra autonomia deve partire da una riforma dei partiti, non più visti come il modo per raggiungere posizioni di potere, ma come gli strumenti per aiutare e controllare chi è al potere. La cosa peggiore sarebbe rimanere fermi. Se i partiti vengono superati da movimenti o associazioni carismatiche di cui non si sanno i ruoli veri e quindi le responsabilità, rimarremo sempre in una giungla priva di luce e di trasparenza.

Infine i corpi intermedi.

Se vogliamo declinare la nostra autonomia come una scelta consapevole, dobbiamo trovare il modo di valorizzare in pieno la società civile. Inventare un luogo permanente di consultazione, in cui i politici siano obbligati a presentarsi e a discutere con le istanze dei cittadini. Il futuro si progetta anche in questo modo.

Grazie per l’attenzione.

Finisce

Che dire? Io mi permetto di condividere in toto, specificando che di mio ci ho messo solo il colore rosso di due passaggi, quelli che mi hanno maggiormente appassionato.

Una sola sottolineatura tutta e solo mia: chi a parole invita a riformare i partiti da strumenti peer conquistare poltrone a strumenti per aiutare e controllare gli eletti, dice le stesse cose che Donatella Conzatti di fatto sta attuando E allora, perchè … ?

 

 

 

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DONATELLA CONZATTI: FESTA DELLA DONNA 2015, 8 MARZO

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 8 Marzo, 2015 @ 7:02 am

Detto altrimenti: come onorare – e uso questo termine senza alcuna ironia – questa ricorrenza?     (post 1954)

 Post 1954, anno 1954 – 3 gennaio: arriva la TV nelle case degli Italiani!

thGU8JY1BJMe lo stavo chiedendo da tempo. Come onorare, celebrare, sottolineare degnamente  questa ricorrenza, senza cadere nell’ovvio, nello sdolcinato, nello scontato. Dicono che a me le idee non mancano, che ho la penna  (ops .. la tastiera!) facile, ma tant’è … ero un po’ in crisi. Capita anche nelle migliori famiglie. Ed ecco che ieri, durante un convegno, improvvisamente, la soluzione: un’amica, Donatella Conzatti, segretaria di un partito politico, l’ UPT- Unione per il Trentino, ha chiuso i lavori con una relazione che ha risolto il mio problema e che vi trascrivo qui di seguito.

th5O5AAY41(Il convegno? Si è trattato de “Il Trentino cambia passo” presso il Polo Tecnologico di Rovereto, lavori ai quali ho partecipato io stesso (v. post precedente) perché – da uomo d’azienda qual sono – si è  lavorato sui “contenuti” e non sui “contenitori”; si è discusso delle “politiche della vita civile” e non della “politica”; si è riflettuto sul “da farsi” e non sul “da dirsi”. Ma veniamo alla celebrazione della Festa della Donna. Ecco l’intervento di chiusura di Donna (“Domina” … dal latino) Donatella:

 Inizia (le foto sono inserimenti miei)

La società trentina presenta alcuni elementi peculiari che la contraddistinguono rispetto ai territori limitrofi. Ovviamente non siamo un’isola e il quadro generale determina per certi versi anche la nostra situazione. Tuttavia, a mio avviso, permane una nostra specificità dovuta ad alcuni fattori.

In primo luogo, come evidente, l’autonomia speciale, tradotta in decenni di autogoverno e fornita di una cospicua dote finanziaria.

Poi, un tessuto sociale non ancora sfibrato, come invece accade in altre regioni italiane: dal volontariato all’associazionismo, dai cori alle società sportive, penso che tutti noi siamo impegnati in qualche modo in attività comunitarie che superano le logiche individuali. Questo assetto “comunitario” si ritrova – e trae origine – nelle antiche consuetudini che prevedevano la gestione collettiva di alcuni beni, come testimoniano gli usi civici, la cura e lo sfruttamento delle foreste e così via. Il Trentino è la terra dei consorzi e delle cooperative, testimonianza di quanto il “fare insieme” produca un vantaggio e un benessere per tutti.

In terzo luogo, soprattutto in questi ultimi lustri, la nostra provincia ha cercato di rispondere alle sfide della globalizzazione puntando sull’innovazione e sulla cultura. L’università, i centri di ricerca, i musei, le biblioteche sparse sul territorio, piccole associazioni che però sono decisive per la formazione continua, rendono il Trentino una felice anomalia.

Tuttavia esiste anche il rovescio della medaglia. Recenti studi, come quello dell’Irvapp guidato dal professor Schizzerotto – già citato da Cattani questa mattina -, descrivono una società bloccata il cui l’immobilismo prevale su qualsiasi spinta innovativa.

L’idea che mi sono fatta avendo modo di leggere il Trentino da un’angolatura provinciale con conoscenza abbastanza dettagliata di molti territori è che le linee di sviluppo tracciate che si basano:

  • – sulla nostra specialità,
  • – sull’assetto comunitario della società,
  • – sulla scelta di puntare su ricerca, innovazione e formazione continua,
  • – sull’attenzione ad un welfare d’eccellenza,
  • – sulla cura del paesaggio e
  • – sulla spinta verso lo sviluppo economico, per creare occupazione

Anche qualora si volesse ulteriormente cercare direttrici innovative, basta alzare lo sguardo verso le best practice internazionali oppure verso gli studi d’avanguardia come – ad esempio – il Progetto di ricerca “Italy 2030” condotto alla Kennedy School of Government della Harvard University. Potrei quindi oggi condurvi in un ragionamento che tocchi i punti più salienti di questo studio. Farei probabilmente un buon compito (anche dicendo dose nuove, come piace al Trentino benpensante) ma non vi direi la verità. La verità dal mio punto di vista s’intende.

Perché io vedo che il VERO problema stia in realtà nella SCARSA propensione all’intraprendenza, al coraggio ed nella scarsa voglia di evoluzione. Vedo come alla radice di questo immobilismo ci sia il carattere di un popolo.

Vedo quindi un problema sociale ed antropologico più che delle DIRETTRICI DI SVILUPPO che invece, reputo corrette, MA NON SUFFICIENTEMENTE ALIMENTATE DALL’ENERGIA DELLE NOSTRE COMUNITA’ E DELLE NOSTRE PERSONE.

Credo quindi di essere utile alla nostra riflessione descrivendovi ciò che ho vissuto e raccontandovi alcuni aneddoti del mio ultimo anno da segretaria politica.

… sorridono perché gli amici sanno che dico quello che penso e temono che questo mio prossimo intervento non sia sufficientemente “moderato” … sanno che il messaggio più vero e forte che vorrei gridare al trentino è “giù dai divani“!!

Ma non si può, dai magari qualcuno capisce … che in realtà vuoi dire “iniziate a pensare con la vostra testa“!! Poi magari dai fastidio a qualcuno e non ti arriva più il posto in PAT per il figlio. Ma perché mai dovremmo pensare che sia qualcuno a trovarci il posto?? Ma soprattutto perché mai dovremmo immaginare di sognare un posto in PAT?? In Trentino dobbiamo iniziare a sognare di poter essere liberi pensatori, liberi di intraprendere, liberi di sbagliare, liberi di dire. Liberi di fare anche vignette! Tè non avremo mica paura che ci arrivi il commando e si debba mettere su FB je suis charlie.

Anche perché su FB ci troviamo già il nostrano je suis Robòl, sottotitolato “quando la realtà supera la violenza e l’immaginazione”. Perché la violenza verbale e lo stolking in Trentino quasi emula i commando che hanno lasciato nello sgomento Parigi e tutti noi!!

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Il fiore? La mimosa! – Il cielo? Quello  del Trentino!

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Ma questa verità solo le donne sono capaci di dirla. Eh si, le donne! Quelle che domani festeggiano la propria Giornata Internazionale. Le donne, quelle che in Trentino si mobilitano per chiedere la doppia preferenza di genere nella totale indifferenza dell’altro genere, quelle che si laureano in maggior numero e meglio degli uomini, quelle che nell’avanzamento di carriera spariscono, quelle che se fanno politica e la fanno dura sono  “Donne catìve“, quelle che – se si rendono intraprendenti nei partiti tradizionalisti – vengono descritte come pericolose per il partito che rischia di divenire “il partito della patata”!!

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“Patata”?? Ebbene sì, proprio testuale e nessun riferimento al tubero! Anche i più giovani dei tradizionalisti se ne accorgono e sussurrano “ma non è che sia una affermazione sessista?” ed altri rassicurano:  “Ma no, dai il boss ha fatto la battuta“. E io che penso “hai voglia a fare riunioni del forum parità“!! Eh, perché … dai … qui – in Trentino – il messaggio subliminale privo di edulcorazioni è: che la tasa, la piasa e la staga a casa“. E invece. E invece si prendono i partiti!! E tutti a dire “Tanto no la rege“. Per forza pur di farti fuori se ne stanno fermi immobili sui divani per mesi, pensando Prima o dopo la se straca“! E invece no. La donna che ha preso il partito, fa accordi politici. Propone agli alleati di fare le primarie – pericolosisssimo strumento di democrazia diretta che può sconvolgere persino lo status quo (lo status quo ante, per dirla con precisione!).

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E allora, a tre mesi dalle elezioni amministrative, si svegliano e scendono dai divani! Armati di paternalismo ti piombano nel bel mezzo delle trattative delle amministrative – proprio mentre la pressione è massima nel gestire i carissimi amici di coalizione, sia quelli di stampo hooligans che quelli stile soviet – e ti scrivono. (Te lo scrivono. Perché parlare, no. Per prima cosa perché si dà il senso di riconoscere l’altro – l’altra – e poi perchè non è probabilmente una modalità che può caratterizzare l’epoca del neo-umanesimo democratico). Bene. Comunque ti scrivono. Ti scrivono una mail alle 8.30 del mattino da discutere nella riunione che si apre nella successiva mezz’ora. Dove si legge:

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La stessa “chiarezza” delle “grida” manzoniane lette al povero Renzo dall’Avvocato Azzeccagarbugli …

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“… inoltre, alimenta l’industriosa attitudine di chi abita la marca confinaria e le terre alte a regolamentare e manutenere le dimensioni materiali e spirituali del proprio spazio civico… (e ancora) quello spazio, infine, che nel tempo si è fatto telaio per la trama di una vicenda storica ed istituzionale intessuta in un modo asssssssolutamente originale rispetto al più ampio farsi dei disegni nazionali e del continente europeo“…

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E ti chiedi sommessamente: ma se devo rileggerla tre volte io, io con una laurea, un master di secondo livello, un esame di stato per l’abilitazione alla professione e il patafel di mediatore presso la CCIAA … quante volte devono leggerla i popolari? Ah vabbè giusto ma sono una donna e non sono un intellettuale. Ah vabbè giusto ma sono una donna e non sono un intellettuale.

Evviva la politica popolareeeeeee!!! O forse democratica? Popolare-democratica, democraticapopolare…(…) Vedremo cosa conviene. Intanto popolare. La politica vicino alle persone, quella che intercetta i bisogni reali, quella che sta in ascolto. Ah sì, quella che sta talmente in ascolto che la povera Rovereto…..vabbè non si può dire.

Li, anzi qui, la vicenda è presto raccontata. È come quando sei sposato e perdi la testa per un’altra (cosa che alle donne non succede in Trentino!!) ma scegli di stare con la moglie ufficiale. La coalizione. La coalizione il bene comune! Bene bene. “Bande armate” e tattiche da gioco degli scacchi della domenica pomeriggio (muovo il cavallo, sposto l’alfiere e scacco matto!) scacco matto agli amici delle coalizione, che si disintegrano, ma pazienza è un “bene comune”.

Un bene talmente comune, di uso comune si intende, che chiunque può alzarsi e dire beh questi PATTini, UPTini e PDini sono tutti dei PINGuini: inadeguati, dallo sguardo corto, privi di sogno, litigiosi… e lo si ripete talmente tante volte da convincersene e da materializzare la magia: i salvatori. Quelli glocali, locali e globali. Gli stessi “assssssolutamente originali” citati prima!!

E poi vai per strada e inciampi nelle vetrine chiuse, vai in Studio (di commercialista, n.d.r.) e trovi clienti in lacrime perché non riescono a pagare gli F24. Vai alla Caritas dove sei ben felice che accolgano gli extracomunitari ma ti trovi molti dei tuoi. Spulci i concorsi per netturbino e ci rovi moltissimi laureati. Vai fuori da un liceo e origli una conversazione “L’ho lasciato. Ma non gliel’ho ancora detto perché il cellulare non aveva campo“. Relazioni d’oggi.

Bene signori. Noi siamo qui per fare la nostra parte. Concretamente. Cosa? Sussurrano che siamo troppo dorotei? Fossimo nati trent’anni prima forse. Ora siamo solo figli del nostro tempo che vogliono costruire il futuro del Trentino!! Le linee di indirizzo politico, il messaggio originale emerso oggi, caratterizzano in termini forti nostro partito: territoriale in primis e da terza via per quanto riguarda lo spazio politico.

Finchè ci sarà caratterizzazione del messaggio, persone che lo tengono vivo e lo fanno evolvere e un popolo che vi si riconosce, possiamo affermare certezza che il vero atto di coraggio sia quello di continuare sulla nostra rotta.

 Finisce

Brava Donatella! Buon 8 marzo, auguri sinceri a te e a tutte le Donne-Dominae!

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IL TRENTINO CAMBIA (il) PASSO

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 6 Marzo, 2015 @ 5:27 pm

Detto altrimenti: il 6 dicembre 2011 pubblicavo il mio primo post: “Il Trentino che vorrei”. Oggi, 1952 articoli dopo,  parlo del Turismo che vorrei …   (post n. 1953)

Post 1953, anno 1953 – De Gasperi viene “scaricato” dalla DC perché contrario ad un riavvicinamento alle destre ex fasciste. Enrico Mattei crea l’ENI.

Innanzi tutto, credo che sia chiarificatore l’intervento di apertura di Donatella Conzatti.

Inizia

th5O5AAY41Grazie, per aver scelto di essere con noi oggi! I nostri relatori ci condurranno, questa mattina, in un’analisi socio- antropologica dei cittadini trentini, considerati come singoli e nelle loro varie forme di aggregazione. Desidero quindi svolgere il mio compito di introduzione alla loro analisi, con una riflessione sulla forma partito più idonea a riaggregare le persone attorno ad una forte idea di futuro. Già a fine 2013, durante i lavoro di preparazione dell’evento CAMBIA PASSO 1, ci eravamo resi conto che il modello del “partito degli amministratori” non permetteva di colmare la distanza tra cittadini e palazzo e confermava invece la coincidenza tra potere/responsabilità di governo con quello delle scelte politiche. Così facendo si era, nei casi più estremi, tolta la politica dalle scelte amministrative oppure, contemperando la coincidenza tra governo e politica, si era però annullato il sano contraddittorio democratico all’interno dei partiti e la salutare capacità di pressione e controllo dei partiti rispetto alle scelte di governo. Serviva cambiare passo rispetto a questo assetto. Con l’obiettivo di:

  1. riavvicinare i cittadini alla politica partitica intesa come associazione in grado di far emergere modelli di sviluppo caratterizzati da valori di riferimento;
  2. ridare dignità ad un popolo al quale si riconosce la capacità di influenza dominante, per il tramite della mediazione all’interno dei partiti, sulle scelte di governo ed amministrative;
  3. rendere un popolo consapevole della propria facoltà di controllo;
  4. rendere un popolo responsabile del proprio ruolo di energia costruttiva.

La realtà con la quale oggi abbiamo a che fare ci regala invece un popolo che, privato della capacità di influenza si ritira negli estremismi, nel rancore e nell’opposizione anche violenta, come la manifestazione fascioleghista di Piazza del popolo di una settimana fa ci conferma. Per svolgere il nostro ruolo di partito utile nel tempo, attuale ed innovativo nel messaggio, ribadiamo che per noi i livelli di azione non possono essere solo due: cittadini – palazzo ma tre, cittadini – partiti – palazzo. Abbiamo riaffermato la forza costruttiva dirompente dei polmoni intermedi: i partiti. E con ciò mettendo in discussione il modello leaderista che prima con Berlusconi ed ora con Renzi, Grillo e Salvini domina a livello nazionale. Un modello maschile e verticista che attribuisce al popolo il ruolo passivo limitato di un like/mi piace o al più di un ragionamento chiuso in un tweet di 140 caratteri. Quindi, per riavvicinare i cittadini alla politica, il partito ha attivato tavole rotonde territoriali aperte, in cui esperti del settore e cittadini potevano confrontarsi con l’obiettivo di conoscere, creare massa critica, abitudine al libero arbitrio, capacità di autovalutazione delle proposte. Per ripristinare l’abitudine del partito ad essere lobby d’influenza e di controllo delle scelte di governo, abbiamo creato dei laboratori tematici permanenti, come quelli in cui si dibatterà oggi pomeriggio.

Spazi, nei quali fare emergere idee evolutive mettendo a confronto mondi, punti di vista e competenze diverse. Con l’obiettivo non solo di migliorare il modello esistente ma di elaborare un nuovo e migliore modello da suggerire alle istituzioni. Il lavoro è impegnativo e contrastato.

Da una parte, il partito semina libero arbitrio, insinua il dubbio che l’autonomia senza autoresponsabilizzazione sia un concetto astratto. Affermando per contro con decisione che Autonomia è in primis, rendersi autonomi, nel pensiero, economicamente, nelle libertà di scelta. E quindi prima di riscrivere giuridicamente il III° Statuto dell’autonomia diciamoci che per riscrivere la costituzione di un popolo, quest’ultimo deve percepirsi come tale e quindi parte propulsiva di un progetto di ridefinizione delle proprie regole di convivenza.

Dall’altra, il sistema consolidato lavora per ripristinare la comoda sensazione di un popolo, che la sicurezza e la rassicurazione possano essere garantiti da un soggetto diverso ed esterno da ciascuno di noi. Il messaggio del “sta tranquillo ci penso io”. Diciamoci la verità: non è più il tempo per stare tranquilli. Perché la capacità del tessuto economico di sostenere un territorio si sta indebolendo, la coesione sociale si sfibra e la capacità delle persone di fare comunità lascia spazio all’individualismo e il territorio non riesce più a garantire opportunità ai giovani, specialmente quelli più qualificati, che si trovano a concorrere in Trentino per un posto da operatore ecologico!

La necessità di rivitalizzare un territorio si scontra, anche politicamente, con la necessità di troppo pochi di automantenersi nei propri ruoli. Uno scontro che genera conflitti profondi, tra generazioni, tra generi, tra innovatori e conservatori. Uno scontro quotidiano che negli ultimi mesi viene plasticamente rappresentato sui quotidiani locali.

Ma attenzione, sono proprio coloro che si pongono ora come “salvatori della patria” i primi a creare i presupposti per evitare di accompagnare l’evoluzione, ma anzi ad alimentare un conflitto che permette loro di rinforzarsi nel ruolo, salvifico e paternalista. Una spirale negativa che lascia nel contempo non solo una generazione ma anche un territorio privo di nuove opportunità per rilanciare se stesso.

C’è di che essere delusi? Forse si! Ma senza mai lasciare spazio alla rassegnazione e al pessimismo. La voglia di futuro prevale. L’energia generativa non si ferma, trova solo altre vie.

La resilienza (la capacità di far fronte in maniera positiva agli eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà) è una qualità che proviamo a trasmettere in modo virale ad una generazione con l’esempio quotidiano.

Perchè la parola suona, ma l’esempio tuona!!

Questa testimonianza vuole essere una traccia viva, utile affinchè il giornalista Piergiorgio Cattani ci guidi nella analisi – anche critica – del Sistema di potere in Trentino, il Prof. Luca Mori ci conduca nella Sua riflessione sul conflitto generativo in politica e affinchè il Prof. Delai ci aiuti a comprendere come la saldatura popolo – (partiti) – palazzo sia indispensabile per la riscrittura del Terzo Statuto dell’Autonomia. Parlando di resilienza e di opportunità di un territorio ascolteremo le esperienze di chi in Trentino è nato e cresciuto ma che ha dovuto costruire altrove la propria fortuna e missione. Ascolteremo i suggerimenti che vorranno dare a noi, noi che desideriamo trovare la nostra missione qui. Buon lavoro a tutti. E proprio perché è la vigilia della Giornata internazionale della donna, a tutte soprattutto alle amiche “resilienti”.

Finisce.

Salto l’ampio dibattito, salvo poi riportare separatamente in post successivi, singoli interventi. Espongo qui due interventi “tecnici”, il mio e quello di Giuseppe Panizza.

Inizia

Prendo lo spunto del convegno odierno dell’ UPT, Unione per il Trentino, dal Titolo “Il Trentino cambia passo” e pubblico due interventi in materia di turismo: il mio e quello di Giuseppe Panizza.

Il mio intervento

Buongiorno. Avviso che da questa sera stessa troverete il testo del mio intervento sul mio blog www.trentoblog.it/riccardolucatti alla voce “Il Trentino cambia passo” e che ne chiederò la pubblicazione sul sito dell’organizzatore UPT. Ho qui i biglietti con il riferimento preciso.

Innanzi tutto espongo brevemente i concetti di fondo che dovrebbero stare alla base dei ragionamenti in materia di management, anche turistico.

  1. Non “migliorare l’attuale turismo Trentino” bensì realizzare “il migliore turismo Trentino in assoluto”.
  2. Autonomia trentina anche nel turismo, come “carattere” ovvero capacità creativa originaria.
  3. Managerialità nel turismo. Il mercato del turismo si muove: occorre trasformare una necessità in una opportunità.
  4. Non più autoreferenzialità.
  5. th41EHHL4Q

    Comunicazione, communis actio, azione comune

    Non dobbiamo avere paura di avere idee, di proporle e di provare a realizzarle. Forse perché non abbiamo idee nuove o temiamo di dire cose scontate o irrealizzabili, troppo spesso andiamo a rimorchio dell’esistente. E anche quando abbiamo un’idea nuova, spesso – per nostra incapacità o pigrizia o per timore che poi non sia finanziata – non la organizziamo fino a farla diventare un vero e proprio progetto. Quindi, innanzi tutto dobbiamo avere idee nuove e trasformarle quanto meno in pre-progetto credibile e quindi potenzialmente finanziabile dal pubblico e dal privato. Basta con gli ammiccamenti o con dichiarazioni distratte e superficiali che non sanno andare oltre una generica affermazione di intenti.

  6. Diamo sempre centralità ad ogni idea-problema anche se poi non siano in grado di dare subito la stessa centralità anche a tutte le loro soluzioni.
  7. Non accettiamo più l’ atteggiamento mentale di chi vuole far concentrare l’attenzione sul “suo” problema come se fosse l’unico, rifiutando di inserirlo all’interno della graduatoria delle priorità.
  8. Anche se poi si è costretti dalla limitatezza dei mezzi a fare scelte di priorità, non abbandoniamo mai la visione d’insieme di tutti i problemi e la revisione permanente del loro ordine di priorità.
  9. Il punto principale non è tassa di soggiorno si/no, detassazioni varie si/no, acquisto di spazi pubblicitari si/no, bensì il marketing di prodotto, ovvero il perfezionamento dei prodotti turistici già offerti; la creazione di nuovi; l’offerta del tutto alla clientela in modo efficace.

 Entro ora nel vivo della mia esposizione articolata  su tre punti:

  1.  Alcuni nuovi prodotti turistici
  2. Gestione, finanziamento, promozione
  3. Due progetti concreti e attuali:  lago, monti

1 – Alcuni nuovi prodotti turistici

 1 –Le molte reti trentine non ancora del tutto attivate e vendite come tali

  • th9JTRJ4W3Arte: affreschi dei Baschenis; Chiese (che vanno censite e “vendute”- si veda la splendida chiesa dell’Immacolata di Riva del Garda, inspiegabilmente non venduta con regolarità – v. carenza dell’impianto di illuminazione!);
  • Agriturismo: malghe anche in quota;
  • Natura: i canyon;
  • Storia: i castelli;
  • Piste ciclabili. Valorizziamo l’azione delle nostre associazioni (FIAB; UISP, etc.). Occorre gestire unitariamente il nostro sistema di piste ciclabili, uniformando e completando la segnaletica, la rete dei bicigrill, il raccordo con il sistema bolzanino e veneto. Occorre completare al più presto i collegamenti fra le varie piste (Valle dell’Adige, Valle dei Laghi, Valsugana) evitando che tutto si riduca a ditte di fuori regione che vengono a far business sulle piste create e manutenzionate con le nostre risorse: Trento BikeCity,  Trentino BikeLand!
  • Scuole Superiori Trentine: Mountain Bike; Volo a Vela; Parapendio; Elicotterismo da Montagna; Sci di Fondo; Alpinismo; Sci alpinismo; Escursionismo; Soccorso Alpino; Cultura Amatoriale Agricola dell’Orto e della Vigna (presso agritur), etc..
  • Eventi culturali: i Musei-Biblioteche devono diventare un tutt’uno come era in Alessandria d’Egitto nel terzo secolo a. C. (sistema culturale che meriterebbe un approfondimento specifico che mi riservo di fare in altra sede). E poi, mostre, circoli privati, concerti e associazioni private onlus (Associazione Amici della Musica Riva del Garda, Giardino delle Arti Trento), iniziative di circoli culturali privati … tutto in rete! Occorre incentivare, organizzare, cofinanziare e dare centralità a questo importante “motore di turismo”.
  • Il turismo dei centri storici. Per ogni città e paese occorre cercare di vendere il centro storico di ogni città e paese come se fosse una città murata: bandiere storiche alle porte: partiamo da lì!
  • fe04f470f38352e4b035616d07823ae2[1]I dislivelli, una risorsa non solo in inverno. Tuttavia occorre andare verso la “Trento 2000” sia con il collegamento funiviario al Bondone oppure con quello assai più semplice da realizzare Zambana Vecchia-Fai, con quel che segue …! In Austria esiste già una rete di ben 17 funivie che portano in quota i ciclo – escursionisti e i camminatori per farli planare su di una rete di 660 km di piste ciclo pedonali (Progetto, ormai realizzato, denominato “Tirol Mountain Bike Safari”: si veda l’ultimo numero di BC-La rivista della FIAB-Federazione Italiana Amici della Bicicletta, anno 4, n. 5 di settembre-ottobre 2014, alle pagine 36-3). O vogliamo aspettare che Bolzano, dopo la Dobbiaco-Lienz, attivi il Giro dei Passi per le biciclette?
  • Mobilità e sosta delle auto dei turisti e dei residenti. Quando per otto anni ero a capo della APM di Riva del Garda proposi una tessera unica della sosta per l’intera Regione. Partecipava alle riunioni anche Bolzano, che sta attuando un progetto provinciale. E noi? Tutto si è fermato ad una lettera-indagine che riuscii a far inviare ai Comuni dall’assessore provinciale competente. E poi, tariffe TIR differenziate per fasce orarie sull’A222. Prenotazione dei posti sosta per i pullman turistici come a Siena.

 2 – Gestione, finanziamento, promozione

  1. Quanto alla gestione. Si potrebbero creare nuove cooperative (giovanili) il cui start up fosse finanziato dal settore pubblico e da quello alberghiero, per l’organizzazione, la gestione e la vendita dei nuovi prodotti turistici.
  2. Quanto al finanziamento. Si potrebbero ricercare Main Sponsor Privati Cofinanziatori di parti del territorio o di singole iniziative di offerta turistica, come a suo tempo fu la famiglia Agnelli per la stazione sciistica del Colle del Sestriere, ad esempio per la sponsorizzazione di componenti culturali o prodotti/progetti turistici.
  3. Quanto a Trentino Marketing SpA, essa dovrebbe cambiare molto e
    1. ridefinire il rapporto con le varie APT;
    2. promuovere le leggi eventualmente necessarie alla realizzare gli obiettivi sopra elencati;
    3. realizzare un’unica piattaforma informativa ovvero un’unica banca dati di tutte le manifestazioni offerte (concerti, eventi letterari, eventi sportivi, eventi culturali in genere, sagre, mostre, etc.) alimentabile on line da tutti i soggetti a ciò formalmente accreditati e consultabile on line da chiunque attraverso computer, tablet, telefonino, etc. potendosene estrarre i dati secondo qualsiasi combinazione: ad esempio, quali concerti si tangano in certi orari in una determinata località o quali chiese siano visitabili in quel pomeriggio in tutta la provincia, etc..

 3 – Due progetti concreti e attuali: lago, monti

Neve fra le vele

Anche in inverno: così destagionalizziamo!

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A – Lago di Garda: 1) Scuola Superiore di Perfezionamento Velico Classe Crociera, a metà concettualmente e geograficamente fra i Glemans francesi e la italiana Caprera – 2) Mostra Mercato permanente del naviglio minore a vela. 3) Film Festival Internazionale della Navigazione a Vela (sarebbe un unicum in Europa e nel mondo) di cui ho già disponibile un primo ben strutturato dossier. Il tutto pre-ricercando un importante 4) Main sponsor di area che contribuisca a dare alla zona una valenza internazionale anche oltre quella che ha già per le regate veliche e la fiera delle scarpe.

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 B – Montagna: leggo il 28 febbraio e il 3 marzo sul Corriere che la Provincia vuole investire sui sistemi delle stazioni sciistiche, e mi sta bene. Solo che a mio avviso l’operazione di razionalizzazione e finanziamento non potrebbe essere mirata soprattutto o esclusivamente ad accorpare le diverse società “partecipate e trentine”, quanto bensì anche ad intervenire sulla loro strutturazione societaria e operativa in bacini funzionali omogenei indipendentemente dalla loro natura pubblica, privata o trentina.

 E allora parliamo delle stazioni sciistiche trentine. Quelle “basse” e quelle “alte”. La crisi di neve ed economica della clientela invernale rischia di compromettere l’equilibrio economico di quelle “basse”. Ed allora investiamo la clientela “estiva” degli impianti: ciclisti e pedoni “da discesa” soprattutto sulle stazioni “basse”, e valorizziamo al massimo le potenzialità invernali di quelle “alte”: in particolare del Passo del Tonale – Ponte di Legno.

 Infatti il  2014 è stato l’anno più caldo degli ultimi 150 anni, ed allora … il Trentino non cambia solo passo: il Trentino deve anche cambiare il Passo … quello del Tonale – Ponte di Legno!

thTRU73YOTCirca 25 anni fa io stesso, in qualità di Direttore dell’ ISA presieduta da Bruno Kessler ero stato da lui nominato Presidente delle nostre due società impiantistiche del Passo (Sirt e Grandi Funivie Passo Paradiso). In tale veste – sviluppando l’ennesima intuizione di Bruno Kessler – realizzai la prima fase del salvataggio e rilancio del turismo invernale del Passo, riunificando le nostre società, costituendo l’attuale Carosello Tonale SpA, alleggerendone l’indebitamento e cedendola agli operatori della zona per una gestione “locale”. Quindi 1) meno debiti; 2) riunificazione; 3) gestione locale.

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Giuseppe Panizza

Subito dopo una persona qui presente che mi piacerebbe che prendesse la parola dopo di me, titolare di un Hotel al Tonale, maestro di sci, Istruttore e allenatore nazionale (Marc Girardelli!), già Presidente della Carosello e AD della Paradiso, istruttore di istruttori, attuale consulente di numerose stazioni sciistiche lombarde fra le quali Foppolo –  parlo di Giuseppe Panizza - si fece carico di realizzare con successo la seconda fase del rilancio, realizzando ulteriori accorpamenti, investimenti e sinergie gestionali.

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Presena: impianti a 3000 m., cima a 3068)

Oggi a mio avviso dobbiamo tutti ascoltare la sua idea per la terza fase di sviluppo dell’area: riunificare le tre attuali società funiviarie del passo. Ascoltiamo Giuseppe Panizza, perché dobbiamo trasformare una nostra comune idea antica ma attuale in un progetto. Le persone che possono gestire “in loco” questo progetto ci sono. I termini del progetto sono i seguenti: riunificare le tre attuali società impiantistiche, razionalizzare e investimenti e gestione, ridurre i costi, aumentare la potenzialità di attrazione dell’intera area, porre le basi per finanziamenti europei interregionali Lombardia-Trentino. Il tutto magari attraverso un’unica Società, magari  in Accomandita per Azioni nella quale agli Azionisti di maggioranza sia ovviamente lasciata la maggioranza dei dividendi, e agli Azionisti di minoranza – locali – sia lasciata la gestione. Ecco perché chiedo agli organizzatori di chiamare a parlare Giuseppe Panizza.

Rovereto, 7 marzo 2015 – Riccardo Lucatti

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 Intervento di Giuseppe Panizza

Buongiorno a tutti. Innanzi tutto, nel ricordo di Bruno Kessler, ringrazio l’amico Riccardo,  socio promotore e fondatore della “Carosello Tonale SpA” e ideatore anche del nome stesso della società,  per avermi coinvolto in questa iniziativa e avermi dato modo di esporre le mie idee sulla gestione unificata ed unitaria delle società di impianti funiviari del Passo del Tonale – Ponte di Legno. Innanzi tutto alcuni dati:

  1. Dislivelli: da 3000 m. del Presena ai 1.200 di Temù;
  2. Posti letto: Ponte di Legno, Temù, 20.000 – Al Passo: 5000;
  3. Società impiantistiche:
    • Carosello Tonale, a maggioranza di capitale pubblico trentino, fatturato circa 6,5 milioni, bilancio in sostanziale pareggio;
    • Sit, a maggioranza di capitale pubblico Lombardo, fatturato circa 7 milioni, utile circa 0,5 milioni grazie al contributo di ricavi delle sue attuali centraline idroelettriche (+1,8 milioni), in procinto di attivarne una ulteriore;
    • Sinval, privata, fatturato 2- 2,5 milioni.

Un esempio negativo delle “gestioni separate” delle diverse società: la Carosello sta realizzando il secondo tronco della funivia che sale al ghiacciaio: dal Passo Paradiso (m. 2.550) alla base della Cima Presena (m. 3000 m.). Ciò raddoppierà gli incassi degli impianti attuali (seggiovia+ancore) ma potrebbe indurre la SIT a progettare ulteriori impianti  per cercare di pareggiare l’aumento degli incassi altrui. Il che – se realizzato all’interno di una pianificazione con coordinata – sarebbe una improduttiva e antieconomica rincorsa verso una concorrenza interna al sistema.

L’alternativa è riunificare le tre società. Ciò consentirà di:

  1. th[10]Trasformare una dannosa e non produttiva concorrenza interna in una concorrenza esterna, ovvero in una concorrenza nei confronti delle altre stazioni sciistiche;
  2. elevare di molto lo standard del comprensorio Passo del Tonale – Ponte di Legno;
  3. unire la funzionalità e attrattività delle nostre altitudini alla potenzialità d’utenza e finanziaria lombarda;
  4. creare una sinergia funzionale interna consentendo di concentrare energie e risorse sul  collegamento a monte Valbiolo –  Bleis;
  5. dotare la parte terminale inferiore della pista “Alpino” di una deviazione verso destra, verso la stazione intermedia della cabinovia che Sale da Ponte di Legno, la cui potenzialità va aumentata;
  6. riattivare la Seggiovia Alveo Presena;
  7. ottenere forti risparmi gestionali;
  8. accedere a contributi interregionali;
  9. aumentare l’impiego di manodopera locale;
  10. generare utili da destinare a dividendi e a investimenti.

CONCLUDO. Io sono assolutamente documentato rispetto a ciò che sto affermando ed inoltre credo fermamente che in loco vi siamo le persone adatte a farsi carico della trasformazione di questa idea in progetto e del progetto in una realtà e da questa sede propongo che la politica di faccia carico di dare il suo imprimatur ad una iniziativa che trasformerà il turismo del Passo del Tonale – Ponte di Legno in un turismo di primissimo livello in ambito internazionale. Infatti mentre tanto di parla di Europa, Euregio, Comunità di Valle …. perchè non attivare un progetto transfrontaliero biprovinciale fra Trento e Brescia? Ne avremmo tutti da guadagnare. Ai miei concittadini trentini ad alla politica trentina dico: l’alleanza con i Lombardi non è da temere, è da ricercare!

Rovereto, 7 marzo 2015  – Giuseppe Panizza

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SCIANDO E SCIANDO …

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 6 Marzo, 2015 @ 2:33 pm

 

Detto altrimenti: … che male ti fò? Nessuno, anzi …    (post 1952)

Post 1952, anno 1952 – Nasce la CECA, Comunità Europea carbone e Acciaio, il primo passo verso un’Europa unita.

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Pochi giorni fa. Sono sulla pista del Bleis, al Tonale. Il mio amico Giuseppe Panizza (foto) mi dice: “vedi … qui c’era sempre poca neve … il vento la spazzava via. E’ bastato collocare quella palizzata di legni grezzi, quasi una staccionata per le pecore senza nessun impatto ambientale, ed ecco che la neve si ferma, si accumula e il problema è risolto”.

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Questa mattina. Ieri no, vento a 120 kmh. Ma questa mattina è tutto ok. In cima alla Paganella un po’ di vento c’è, ma niente di speciale, tuttavia quel tanto da spazzare la parte alta della posta. Mi fermo, guardo, penso al Tonale: anche qui basterebbe una “staccionata Panizza” …

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WP_20150306_006Scio. Sulla seggiovia accanto  me due sciatori. Che accento strano, penso … questi sono piemontesi. Sono molto interessato perchè io  a Torino ho vissuto e lavorato ben cinque anni per non contare del precedente periodo quale AUC presso la Brigata Alpina Taurinense. E sciato tantissimo: avevo la casa a Cesana Torinese, al centro della Via Lattea … mi chiedo: come mai dei Piemontesi vengono a sciare qui in Trentino? Attacco bottone: mi faccio avanti. “Ca scusa ne monsù, ma chiel l’è piemuntes?”. Uao … bingo, ho fatto centro! Sono di Cuneo e … non conoscono le piste della Paganella! Detto fatto, dai che sciamo insieme!

6 FEBB 14. (2)Insomma, io ho rispolverato quel poco di dialetto piemontese che è rimasto in me, insieme abbiamo parlato delle piste da sci piemontesi, francesi, trentine e sud tirolesi, delle valli del Cuneese, della Val Maira, dei paesi di Chiappera e Acceglio … della Torre Castello e della relativa Rocca … del Corno Stella … delle Alpi Marittime, luoghi delle mie scalate giovanili. Ho illustrato  loro le cime del Brenta: la Tosa, il Campanile Basso, quello Alto, la Sentinella, gli Sfulmini, la Torre … Insieme abbiamo fatto di volo le Olimpiche 1, 2, 3 tutte filate! Ottimi sciatori, padre (61 anni) e figlio, circa  … facciamo …  trentadue, già papà di due bimbi. Mi dicono di avere sciato due giorni al Tonale, due a Campiglio ed ora ne stanno sciando due in Paganella, che – a detta loro – non fa rimpiangere le altre stazioni.

Sono le 12,15. Ho iniziato a sciare alle 08,30 anche perché devo rientrare presto … la mia nipotina ha la febbre e voglio passare a salutarla. Mi congedo, consegno loro un biglietto da visita del blog. Chissà se leggeranno questo post, chissà se si faranno vivi. Ci siamo lasciati con un  “ciarea né monsu” ma poi con saluto in dialetto piemontese stretto, una parola che non ha vocali: “rvdz” che vuol dire “arrivederci”!

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MARCELLO FARINA COMMENTA NADIA IORIATTI

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 5 Marzo, 2015 @ 6:58 pm

 

Detto altrimenti: qualche post fa scrissi del libro di Nadia Ioriatti “Io tinta di aria” presentato da Marcello Farina al Circolo Culturale Rosmini di Trento. Sullo stesso tema trovate ben di più nel blog di Mirna, www.trentoblog.it/mirnamoretti   (post 1951)

Post 1951, anno 1951 – Guerra in Corea, alluvione in Polesine, l’Italia ammessa all’ONU senza diritto di voto. Io, a Genova, frequentavo la terza elementare.

Basta così, direte voi, E invece no. Infatti il libro di Nadia meritava la sbobinatura del commento di Marcello Farina, con il che gli eventi letterari-di introspezione umana sono due: il libro di Nadia ed il commento di Marcello, qui di seguito.

Inizia

IMG_2916Buonasera a tutte e tutti voi, in modo particolare alla Preside (Prof. Lia de Finis, n.d.r.) che ci ospita questa sera e in modo particolare poi a Nadia Ioriatti che ha scritto questo testo autobiografico che merita certamente la nostra attenzione. Anche qui, ma credetemi non è per fare un discorso retorico, non sono all’altezza di percepire tutta la ricchezza che è contenuta in questo testo che è l’esperienza di una donna che ha saputo percorrere un sentiero, quello della sua vita, che è carico di umanità da un lato e dall’altro lato anche di imprevisti, momenti in cui proprio l’umanità viene chiamata a rendere conto a se stessa. Quindi ecco … voi prendetemi per quello che riesco a dire, poi sentiremo direttamente Nadia.

Comincio con un passaggio molto semplice: ho cercato di spiegarmi che cosa volesse dire il titolo di questo scritto di Nadia. Esso è un titolo splendido che lascia l’immaginazione capace di indagare cosa esso possa significare.

A prima vista un richiamo a un colore che non c’è: l’aria non ha colore, quindi a indicare una sorta di indecifrabilità costitutiva della persona stessa, qualcosa che lei non vuole esplicitamente comunicare, un voler lasciare il lettore nel vago, nell’indefinito, il proprio desiderio – in pratica – di non esplicitare fino in fondo la propria umanità, e quello del lettore di incontrare l’autrice di questo “arioso” testo. Ma forse questa interpretazione è forse quella meno valida.

IMG_2672 copiaLa seconda interpretazione è un’altra: il voler anticipare, già da subito, la caratteristica di un’esistenza “mobile” come il vento, come l’aria, si potrebbe dire “inafferrabile”, per chi fosse abituato a “classificare”, cioè a cogliere entro schemi precostituiti la vita altrui. Questa tentazione che tutti portiamo con noi di voler dire “ah, quello è così, quella lì è così” per dire … questa inafferrabilità … e dall’altra parte una trasparenza per non fare da ostacolo al guardarsi dentro e a lasciarsi guardare dentro: la fine di una ipocrisia si potrebbe dire così. Ecco questo è quello che io colto nel titolo che è così bello e poetico per suo conto. Per conoscere Nadia Ioriatti – si potrebbe dire – si deve accettare di rincorrere il vento e lasciarsene trasportare senza voler predisporne le traiettorie:  improvvisi slanci e anche le rare pause di quiete.

th[2]Mi piace presentare questo testo seguendo all’inizio quanto scrive Piergiorgio Cattani nella prefazione del libro. Cattani ci invita a entrare in punta di piedi nella vita di Nadia e questo è molto bello, in punta di piedi, senza voler ingombrare in qualche modo l’entrata della coscienza, poi sostare sulla soglia. Anche questa immagine è meravigliosa per lasciare che compaia l’interiorità, l’intimità di chi ha scritto questo testo con una grande capacità di ascolto e di accoglienza di quello che lei ci presenta. Ciò che l’autrice ci mette davanti e che ella chiama romanzo – e questo può sfuggire: è una storia vera, non è un romanzo – ecco sono i corsivi, li chiamo così, sono trenta corsivi esistenziali scritti con uno stile semplice e immediato sincero. Brevi squarci di una vita che chiamo – ma in senso profondo – una vita intricata da molti fili di cui se ne possono scegliere almeno tre.

Il primo l’intreccio fra la sua storia personale così ricca, così drammatica come potrete sentire, come potrete leggere, e il mutamento della società dagli anni sessanta ai nostri giorni. Ecco questo primo intreccio tra la storia personale e le mutazioni del costume dell’atmosfera in cui tutti noi siamo vissuti che ha reso drammatica la sua infanzia, la sua adolescenza, la sua vita iniziale e dove ha costruito la sua personalità.

Il secondo, lo sguardo di donna con le sue coordinate particolari, c’è una traccia potente in questo senso, quella di una donna che è capace di rivendicare una originalità nel guardare alla vita che è davvero straordinaria.

Ed infine un atteggiamento nei confronti della malattia che l’ha colpita, che come leggerò anche più avanti la prende piombandole addosso inesorabilmente. Ecco questi tre tratti mi sembrano che possano aiutarci a leggere questo racconto che lei chiama appunto romanzo.

IMG_2920Vorrei qui citare un attimo, proprio per dare l’idea anche di questa storia che lei racconta che è la sua storia, leggervi un piccolo squarcio del libro: Nadia nasce e vive in una piccola città di provincia (è Trento questa città). “Bastardo posto”, canterebbe Guccini (di questo termine lei si appropria, diventa quasi l’atmosfera entro cui lei si muove nel ristretto mondo cittadino). Nel libro si incontrano bozzetti di luoghi degradati, storie di un passato rimosso o da rimuovere, ombre tenebrose che popolano il fondo dell’anima. Come per esempio l’ educazione familiare di Nadia fondata sul dovere, sulla rassegnazione, sulla paura anche di poter essere felici. La vicenda del padre (che è poi il filo conduttore mi permetterà di dire Nadia di tutto il racconto, è proprio come il filo che guida questa esperienza umana) sopravvissuto al campo di concentramento di Mauthausen e poi morto improvvisamente ancora in giovane età, è presente come un presentimento oscuro. Padre amatissimo ma poco conosciuto, madre forse irraggiungibile. Si profila così un conflitto generazionale muto tra le pareti domestiche, ma gridato oltre quelle mura protettive e insieme oppressive, per esempio nella contrapposizione tra quartieri ricchi e quartieri poveri, nella trasformazione dei costumi, nelle prime esperienze del mondo adulto.

Il testo – e questo è anche molto significativo – comincia con un funerale e con un tramonto diventato rosso. Provate  a immaginare l’emozione che portano questi due eventi completamente diversi: un buon presagio – in senso ironico – si potrebbe dire. E poi la fame di sapere, la molta fantasia, e nello stesso tempo i pochi stimoli intorno. Qui vengono a incontrarsi le prime esperienze anche legate al contesto in cui Nadia vive, casa e chiesa, scuola e catechismo. Sono tracce molto importanti per lei, perché, nello stesso tempo in cui le vive comincia un travaglio interiore che è parte integrante del testo stesso. Non solo la casa come si diceva per via di questo padre che aveva già un’esperienza di dolore e una madre inafferrabile, anche la religione, la chiesa vissute sin dall’infanzia come un momento in qualche modo che non potesse dare, a questa bambina che incominciava a vivere, quella felicità che lei desiderava.

Un mondo monotono e moralistico che la segnerà tutta la vita, per quella che ha vissuto fino a questo momento di sicuro, una religione invadente e moralistica. Ecco mi preme mettere davanti un bellissimo episodio di Nadia – sono un prete posso riferirmi anche a questi piccoli passaggi – va a confessarsi ed è tutta orgogliosa di confessare peccati impuri non commessi, solo per il gusto di contraddire, naturalmente suscitando l’interesse da parte del confessore che voleva sapere dove, quando e quanti. Ecco, per dire, uno degli aspetti che mi ha colpito e che fa anche da filo conduttore. Lei dirà esplicitamente nel testo “non sono credente” ma alla fine della storia non c’è una conversione ma c’è come se l’aria si fosse fatta rarefatta come se in qualche modo un piccolo squarcio di azzurro si fosse aperto: una visita a Lourdes non voluta, accondiscendendo amici, che però in un qualche modo le lascia un piccolo spunto di riflessione. Ho toccato questo punto perché mi pareva che fosse uno di quelli importanti di tutto quello che Nadia racconta.

In questo mondo, in questa realtà, quello che compare costitutivo – se così posso dire – è l’elogio della lentezza non alla maniera politica di Alexander Langer – autore che amava la lentezza – ma nel senso della monotonia, si potrebbe cambiare la parola lentezza con monotonia e con grandi sensi di colpa. In questo luogo, in questo tempo della lentezza, alcune immagini emergono, come dicevo prima: la figura del padre che è fondamentale in questo racconto, una presenza viva, ammirata, sognata, desiderata in certi momenti. Poi l’altro aspetto, lei lo intitola “Noi del confine” per indicare la nascita della prima coscienza sociale: dai quartieri ricchi ai quartieri poveri, l’esperienza dell’ingiustizia insita nella differenza sociale e poi l’idea di essere – si potrebbe dire – superflua, di non avere un posto suo in cui poter esprimere la propria identità. In casa per lei non c’era un letto precostituito: quando nasce suo fratello e diventa grande lei ha come letto il divano del salotto. Quindi è sempre provvisoria, deve aspettare che tutti vadano a dormire, che spengano la televisione. Anche questo sentimento di non essere mai – in qualche modo – in un contesto che l’accetti pienamente, in “un posto mio dove stare”, una sensazione che merita di essere ricordata. E poi la domanda tipicamente adolescenziale “Per che cosa ero portata io?”. E anche qui mi permetto ancora di leggere: “E io? Per cosa ero portata io? Ero complessata e insicura. Mi sentivo goffa e mal vestita. Mi guardavo e mi sembravo di non riconoscermi: Il mio corpo, passato dall’infanzia all’adolescenza, ero motivo di grande preoccupazione. Tra i ragazzi delle medie, mi piaceva Francesco, uno spirito artistico in erba, capace di emergere nella massa. Sicuramente di statura ma in realtà era ancora bambino, più interessato a giocare a calcio che a quelle femminucce smorfiose. Cominciavano a girare le prime minigonne ed eravamo in molte a arrotolare la gonna in vita in modo che si accorciasse. Avevo osato anch’io quel giorno, e durante l’ora di tedesco i maschi lo avevano notato. Francesco, dalla fila opposta, mi stroncò subito, scandendo a mezza voce: “Hai le ginocchia da calciatore”.

Sono piccoli segnali di vita davvero che meritano la nostra attenzione. Ecco, questo per quanto riguarda il primo momento quello che ho chiamato dell’infanzia e dell’adolescenza.

Poi a vent’anni il momento della svolta da questa vita individuale, lei chiama questo momento “Matrimonio mosso” per dire con questo vocabolo, con questo verbo “mosso”, in qualche modo “disturbato”. Ecco, l’idea che è stato un disturbo. E poi restare incinta: matrimonio mosso, e qui scopre tutta l’ipocrisia dei tempi per lei che vuole essere aria, trasparente. Queste sono le contraddizioni che emergono in ognuno di questi trenta racconti – paragrafi di cui è composto il suo testo. Ecco, matrimonio, strada obbligata per chi è rimasta incinta: “No, non cominciò bene”. Questa idea l’accompagna per tutta la vita successiva.

Lei chiama “casaclima” usando un vocabolo recentissimo per dire il clima della casa di quell’epoca. Questo gioco di parole è molto significativo: il clima dentro le case, intendo per clima l’umanità, l’atmosfera dei rapporti umani, fra canzoni e grida scomposte. E poi le gravidanze: Nadia ha due figli che ama tantissimo. E per concludere questa parte, la sorpresa. Detta così potrebbe sembrare l’occasione di cambiare vita. E invece qui la sorpresa del male che incombe perché aumenta il dolore e con esso l’inquietudine. E’ l’otto marzo di un anno che lei ricorda, lei può esprimere questa parola: “Meglio una verità che uccide a una bugia che illude” parola che pervade tutto il suo libro. Ho già accennato a questo filo conduttore: il rifiuto di qualsiasi ipocrisia. Ecco anche qui ho scelto un piccolo brano da leggervi:

“Sono qui per chiarire. Mi aspetto qualcosa di serio, forse un intervento delicato ma risolutivo. A metà strada tra il coraggio e l’incoscienza dichiaro al medico: meglio una verità che uccide a una bugia che illude! E lui estrae lentamente la pistola e mi spara un colpo dritto al cuore. Sclerosi multipla. Muoio restando, scappando immobile, urlando muta, sbarrando gli occhi chiusi. Mi tocca un braccio: “Stia calma, stanno sperimentando nuove cure. Si può convivere. Deve reagire. Voi donne trentine siete molto forti!” Il campanilismo mi sembra una magra consolazione. O ci sarà una geografia delle reazioni a choc da malattie gravi? Fuori, alle mie spalle, qualcuno aveva taciuto. Non ho mai assolto quel silenzio. Non sono donna che delega, convinta del mio diritto di sapere. E poi una malattia così non si può nascondere. Enorme spossatezza, paralisi, debolezza alle gambe, andatura malferma, vertigini, scosse elettriche a piegare il collo, dolori profondi simili a una morsa che tortura, formicolii… poi tanto altro ancora. Smetto di elencare perché il solo riandare a cosa iniziava ufficialmente – e sarebbe stato da allora una convivente tiranna – è inutilmente doloroso. Sono uscita da quell’ambulatorio con mille anni addosso, passando impietrita tra i pazienti divenuti compagni di battaglia”. Grande sincerità come vedete ed è questo il bello di questo testo.

Ecco, ancora c’è al racconto 17 “Voglio una vita estemporanea”. Agli appuntamenti con il destino, dice Nadia, mi sono presentata – e anche questo è un passaggio che mi piace sottolineare – qualche volta in anticipo, qualche volta troppo tardi.

Non è forse la nostra vita? Non è quello che capita a tutti? Di trovarci qualche volta in anticipo agli appuntamenti che la vita ci offre, quindi di non incontrarli mai. Oppure troppo tardi, sono già passati. Per questo che c’è una vena di umanità così interpretativa di quello che capita a tutti noi. E’ davvero interessante: “sono arrivata troppo tardi, sono arrivata troppo presto”.

C’è anche un altro bellissimo passaggio, quando Nadia nelle condizioni della malattia si ritrova a parlare della gabbia come condizione preponderante: gabbia la casa, con tutte le sue restrizioni, e gabbia il corpo, ecco due gabbie che l’accompagnano in qualche modo. E proprio per questo lei dice: “sono molte le case che abitano dentro di me. Case, gabbie … E qui c’è un bellissimo testo, l’ultimo che vi leggo: “chiamatemi Dolores”. C’è un passaggio che è veramente bello:

“Una memoria di ferro mi permetteva un tempo di non scordare impegni, date, discorsi fatti, libri letti, film visti. Di ricordare perfettamente quello che era indispensabile per la mia iperattiva vita di madre e lavoratrice. … Mai avrei detto che la mia vita avrebbe imboccato un tunnel stretto e buio… Dal mio attuale angolo di lettura quella stessa memoria di ferro è diventata un vero tormento. Un urlo interiore e disperato. Se faccio i famosi due conti a mente mi risultano solo le maggiori difficoltà a fare una cosa rispetto a un certo periodo e il resto è davvero minimo. Lo so che nel manuale della perfetta malata di sclerosi è sconsigliato fare confronti tra prima e dopo. Che è importante concentrarsi su quello che ancora riesce, che la ricerca sta facendo grandi passi avanti e la soluzione è vicina! Mah… sono stanca di illudermi, di sperare che in fondo a quel tunnel ci sia un barlume di luce. …Quanto meno rivendico il diritto al lamento, anche se qualcuno s’infastidisce perché lo trova sterile, inutile, fino a se stesso. Tenendo conto che nei miei panni non può mettersi, mi offro come disabile a noleggio per condividere con me questa umanissima esperienza sempre in discesa. Mica per la vita perché allora sarebbe lui l’eroe: andrebbe benissimo anche qualche domenica. E se pensate che mi si addica, se vi fa piacere, chiamatemi Dolores.”

Ecco e concludo questa brevissima presentazione che è una ripetizione di questo filo che per me è stato straordinario … ve ne ho già parlato prima, un tentativo di riaprire il capitolo spiritualità e qui mi premerebbe distinguere: la spiritualità di Nadia percorre tutto il libro ed è una spiritualità di grande profondità. Quello che è importante è non scambiare o in qualche modo non confondere la spiritualità con la fede, sono due cose diverse entrambe grandi, qualche volta s’incontrano qualche volta no ma non è un male. Per Nadia questo incontro come vi ricordavo prima è il viaggio offertole da un’associazione a Lourdes, appunto. Anche qui c’è qualche cosa di ironico, tipico di lei: “proviamo anche con Dio non si sa mai”, ma detto con una tenerezza infinita questo passaggio. E alla fine, quando sta per andarsene, sembra che Qualcuno le dica: “Benvenuta Principessa! Dio ti ama”. E’ un’epokè – si potrebbe chiamare così – una sospensione di giudizio che non incide poi sul resto dell’esperienza ma che diventa ancora una volta un motivo per cogliere la profondità della sua anima. Mi preme sottolineare proprio questo. Ci sono verso la fine alcune parole significative: “sguardo, creatura inquieta, pervasa da eterna insoddisfazione, gli sguardi, i crolli, dentro di me sono piena di macerie”: eppure Nadia continua a recuperare le forze per vivere, per motivare. Ed infine questa domanda che lascia a tutti noi e che lei si pone: “Maturità?”. C’è questo passaggio che conclude … la famosa maturità … a cinquant’anni si è in piena adolescenza. E mi piace tantissimo questa conclusione.

Finisce 

Che altro dire se non: Grazie Nadia, forza, Nadia! Grazie Marcello!

P.S.: commentate anche qui:

http://www.ibs.it/code/9788868760106/ioriatti-nadia/io-tinta-di-aria.html#commenti

 

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UNA TRAGEDIA SFIORATA

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 5 Marzo, 2015 @ 3:16 pm

Detto altrimenti: per fortuna nessuno stava passando di lì …  (post 1950)

Post 1950, anno 1950: la prima auto italiana del dopoguerra, la FIAT 1400, berlina a carrozzeria portante.

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Trento – Viale Trieste – Oggi, 5 marzo 2015, ore 15,00. Vento fortissimo. Da un palazzo vola una tettoia. Strutture di legno e plastica precipitano in un giardino …

 

 

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…    volano sul marciapiede …

 

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… altre cadono nel fiume Fersina.

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Per fortuna nessuno passava in quei pochi metri interessati: sarebbe stata una tragedia “sulla porta di casa”. Io ero passato da poco … Dopo anni di alpinismo, sci alpinismo, ciclismo, immersioni in apnea, traversate veliche … sarebbe stata una bella beffa!

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COMPOSIZIONE

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 5 Marzo, 2015 @ 1:34 pm

Detto altrimenti: tre nipotine “acquisite” mi mandano un loro lavoro, una loro composizione … (post 1949)

Post 1949, anno 1949 – Firma del Patto Atlantico. Fanfani e il suo piano casa.

Open blog, blog aperto ai post (articoli) altrui. Questa volta tre nipotine – non mie purtroppo, che così la mia Sara avrebbe tre cuginette! – tre nipotine, dicevo, Beatrice, Matilde e Silvia (in stretto ordine alfabetico), saputo del mio blog, mi hanno chiesto di pubblicare un loro intervento, una loro composizione di poesia con arte figurativa. La poesia si intitola “La Ninfea”:

Eccola:

bEA, SILVIA, MATI

(immagine scannerizzata)

 
La Ninfea!

Leggera e delicata

la ninfea adorata.

galleggia sull’acqua,

guai se la metti in un acquario.

Tutti i fiori la invidiano,

è bella come una sovrana.

Se ne sta lì tranquilla e beata,

in quel incantevole stagno è nata!

Silvia, Mati, Beatrice

 

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(immagine fotografata)

 

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Che ne dite? Cosa? Volete conoscere l’età di quelle tre signorine? Eh no, ragazzi, semmai saranno i loro nonni a dircela, commentando questo post!

Brave bambine, siete proprio in gamba!

Firmato: nonno Riccardo

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