LE REGINE DI FREEVILLE di Amy Dickinson

pubblicato da: Mirna - 3 Novembre, 2012 @ 8:00 am

Chi sono le regine di Freeville, cittadina dello stato di New York ?  Tante donne senza marito, tutte della stessa famiglia.

Racconto autobiografico della giornalista Amy Dickinson che tiene la rubrica “Ask Amy” pubblicata su più di centocinquanta giornali negli Stati Uniti.

Da sua madre abbandonata dal marito con figli e fattoria, alle zie   e sorelle  vedove o divorziate, a lei stessa lasciata dal marito quando la figlioletta Emily è ancora piccola…

Quindi storia abbastanza comune: la moglie  rimasta sola  con prole  e in difficoltà econimiche  si dà da fare per ritrovare una vita  decorosa ed equilibrata e fare da mamma e papà ai figli.  Cammino all’inizio difficile e doloroso per Amy, ma man mano sempre più facile. Soprattutto con il ritorno nella piccola cittadina di Freeville dove abitano tutte le donne della sua famiglia che sono appoggio ed esempio di forza. Sua madre per esempio, a 50 anni si iscrive all’Università di Cornell e diventa insegnante.

Lettura facile, spesso  divertente,  e soprattutto vera  dove molte di noi possono riconoscersi come madri, come donne sole, come lavoratrici.

Siamo negli Usa quindi avvenimenti spesso diversi dalla nostra realtà , come  fattorie piene di mucche, padri risposatisi tre o quattro volte, cambiamenti di lavoro repentini.

Ma l’amore madre e figlia che crescono in un entourage matriarcale può essere di tutte e sicuramente è di stimolo a non soccombere.

 Manifesto di forza e coraggio femminili, questo romanzo edito da Corbaccio.

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LA PIENEZZA DEL VUOTO di Francesco Roat

pubblicato da: Mirna - 31 Ottobre, 2012 @ 3:44 pm

   Edizioni  Centro Studi Vox Populi

Ho ripreso in mano  La passeggiata dopo aver ascoltato  Francesco Roat, critico letterario trentino, parlare del suo nuovo saggio  “La pienezza del vuoto” “Tracce mistiche nei testi di Robert Walser.”

In Biblioteca molti  erano presenti perchè conoscevano  Roat, pochi perchè avevavo letto Walser.  Infatti lo scrittore svizzero, sebbene  da subito ammirato da Kafka, Musil, Canetti, Hesse, non ebbe  in vita  una gran fortuna editoriale.

Eppure i suoi personaggi sono straordinariamenti moderni perchè si inseriscono nella nostra crisi universale. I suoi personaggi non possono aggrapparsi che al nulla e diventare  erranti dell’esistenza. Il Wanderer  dei suoi scritti è se  stesso : un nomade, un apolide in fuga e senza meta.

 Ma c’è l’accettazione del suo vuoto con una pienezza d’amore verso ciò che osserva.

Nel suo esaustivo saggio Francesco Roat  ci parla della vita di questo autore citando subito ciò che Magris ebbe a scrivere “Walser appartiene a quella generazione di scrittori nella quale si compie, con risultati di altissima poesia, la fondamentale rivoluzione della letteratura moderna ossia la disarticolazione della totalità e del grande stile classico”

La passeggiata del 1919  è il suo breve testo più perfetto. Si inizia a leggere e non ci si ferma , è come se Walser ti prendesse per mano e ti portasse lievemente nel centro dell’esistenza. Passeggiata  metaforica e della vita umana e del suo personale modo di scrivere.

Una bella mattina in un quieto villaggio svizzero il protagonista esce lasciando il suo scrittoio “o stanza degli spiriti”. E da subito incontra personaggi particolari, simboli dell’intera esistenza, dalla donna-strega Aebi al gigante Tomzach, simbolo dell’angoscia esistenziale “Moriva ogni momento eppure non riusciva a morire“. Ma il nostro passeggiatore non si ferma e prosegue in quella sorte di estasi contemplativa della natura, con lo sguardo stupito  da fanciullino pascoliano.

Se il suo girovagare sembra una fuga senza meta, una fuga dalle traversie,dai dolori, dalla solitudine c’è però  in lui un’assoluta accettazione della vita  che gli appare sempre bella in tutti i suoi aspetti.

Francesco Roat raccontandoci anche dei tre romanzi berlinesi di Walser ci conduce a scoprire  nella remissività   quasi religiosa degli aspetti del vivere e nel  totale distacco dai beni materiali una somiglianza con San Francesco. Certo in Walser è la ricerca spirituale  il suo primo “vagabondare”.

La vita di Walser è stato un peregrinare da una località all’altra, da un lavoro saltuario all’altro senza esigenze di stabilità economica tutta tesa all’arricchimento della sua vita interiore. La sua salute psichica è fragile, soffre di ansia ed allucinazioni tanto che finirà dapprima   a Berna in una clinica per malattie mentali, poi dopo quattro anni, nel 1933, nel sanatorio di Herison dove resterà per il resto della vita. Morirà nel 1956 a 78 anni, dopo una solitaria passeggiata in un campo di neve.

Ho riletto con piacere, dopo i suggerimenti di Roat, La passeggiata, l’ho fatto nelle ultime giornate calde di ottobre, seduta sulla panchina al sole del parco san Marco. I fiori stanchi, il rumore della fontanella, le foglie leggere che cadevano. Come non capire Walser e il suo amore per la vita? Come non desiderare di “passeggiare” ovunque dentro e fuori di noi?

Come non passeggiare e pensare, riflettere e poi scrivere le nostre scoperte? Come non assoggettarsi alla nostra smania vagabonda, “Lust zum wandern”?

E se talvolta  la solitudine lo  afferra con  uno sgomento da “passero solitario” vedendo sulla riva  di un laghetto frotte di giovani allegri –  e proprio in quel momento comincia a piovere e la pioggia sembra un pianto. – ..Walser scrive

 “Com’è dolce la minuta , tiepida pioggia d’estate!”

La trilogia berlinese:

I fratelli Tanner (Geschwister Tanner)

L’assistente (Der Gehuelfe)

Jakob von Gunten

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ANGOLO- PAPIRO al Libri & Caffè di via Galilei

pubblicato da: Mirna - 27 Ottobre, 2012 @ 9:02 am

Libri, idee, pensieri. Libri che si rincorrono nelle case e tra le generazioni. Una nipotina che ricerca nei suoi scaffali i romanzi  che il nonno regalava ogni anno alla nonna. Quale autore?  Bruce Marshall.  Quali nonni? I genitori di Maria Teresa. Trovo rassicurante la continuità di lettura delle stesse storie, un collante di sensazioni, sorrisi ed emozioni condivise. Per il viaggio dei genitori nella capitale francese  Valentina Lucatti  ha pensato  bene di regalar loro “Candele gialle per Parigi“ . Maria Teresa si commuove mentre ricorda il passato, poi  ci legge alcune frasi deliziose di Marshall e ci consiglia anche un altro libro: “Cosa tiene accese le stelle” del giornalista Mario Calabresi figlio del magistrato assassinato anni fa. Delineati con una bella scrittura e una tendenza all’ottimismo ecco ritratti di personaggi famosi come Biagi e  riflessioni sui nostri tempi.

Lunedì scorso nel nostro Angolo-Papiro sono arrivate nuove lettrici, Laura e Silvia. Vengono naturalmente interrogate …Laura dalla tasca dei pantaloni estrae  “La felicità viaggia sempre in incognito” di Laurent Gounelle e Silvia confessa che spazia da  Hernàn Huarache Mamani e la sua “Profezia del sole” alla psicosintesi transpersonale di Assagioli  per arrivare ad Harry Potter  e ai racconti gotici di nuova generazione, genere questo condiviso con Stefania, la giovane psicologa.

Idee, suggestioni pensieri che si intrecciano con le letture. Riferendomi a Sana’a e la notte di Elena Dak, dove la città yemenita diventa un luogo dell’anima, chiedo ai presenti qual è per noi il Luogo particolare. Per mia figlia è senza dubbio Ithaca, dello stato di N.Y., che per lei ha avuto la valenza di “ritorno” ad esigenze profonde;  per molti di noi la Grecia con la sua-nostra storia , il mare blu, la vegetazione mediterranea,  per Ebza è Venezia, per alucni è  Londra e  per me , ovviamente, la campagna inglese.

 E per voi?

Ad Andrea è piaciuto molto La collina del vento di Carmine Abate, dobbiamo leggerlo sicuramente, oppure rileggere ciò che ci preme in un determinato momento del nostro vissuto. Maria Grazia era vicino a Trieste, ha percorso il sentiero che da Sistiana porta a Duino e che cosa poteva mai declamare ? Le elegie duinesi di R.M. Rilke.  Panorama magnifico che incita alla bellezza della poesia.

Si riparla di Pastorale americana di Roth. Daria e Raffaella ne sono entusiaste.

Riccardo ricorda le presentazioni che don Marcello Farina ha fatto per “L’anima e i confini dell’umano“ di   Giovanni Straffellini  (v.archivio)  e per “La via verticale” di Paolo de Lucia.

  E conoscete Stéphan Hessel ? ci chiede Andrea.

E’ un novantrenne dalla mente  vivacissima  e dalla incredibile vita; da leggere  la sua autobiografia  “Danza con il secolo“ … e da seguire il suo consiglio ““Indignez vous!” 

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STORIA DEL NUOVO COGNOME di Elena Ferrante

pubblicato da: Mirna - 24 Ottobre, 2012 @ 3:16 pm

Il secondo volume della trilogia di Lila ed Elena è denso, sempre saturo di quella forza   eccessiva  e travolgente del sud.

Eredi dei personaggi delle tragedie greche queste due giovani donne, una ormai sposata, l’altra alle prese con lo studio continuano a crescere amandosi ed odiandosi in uno scontro-confronto che senza dubbio influenza reciprocamente la vita di ognuna.

Ne L’amica geniale avevamo lasciato Lila, appena sedicenne, il giorno del suo matrimonio quando si rende conto ineluttabilmente di aver sposato l’uomo sbagliato.

Ciononostante entra nel ruolo di giovane moglie benestante cercando di non soffocare  in  quella sensazione di “smarginatura” che spesso percepisce, ma   facendosi invece  trascinare dalla sua stessa rabbia ben  oltre ogni limite.

Non teme la violenza del marito esasperato dal suo comportamento ribelle e aggressivo, è lei stessa che vuole arrivare ad un  punto di autodistruzione colma di  rabbia e vendetta verso un mondo e una società che non la accoglie e non la capisce.

 Elena, il suo alter ego, il suo specchio, vive invece in sottotono, sempre guardando però a questa sua amica “geniale”, affascinante, unica . E quando Lila le prenderà Nino, il suo amore di sempre, ad Elena non resta altro che amarli entrambi.  “Io mi vivevo in loro, sottotono. Già non riuscivo a scacciare le immagini degli abbracci, dei baci nella casa vuota. La loro passione m’invadeva , mi turbava. Li amavo entrambi e perciò non riuscivo ad amare me stessa, a sentirmi, ad affermarmi con un MIO bisogno di vita che avesse la stessa forza cieca e sorda della loro. “ 

 Nino  Sarratore, studioso e colto , è riuscito a staccarsi dal ghetto e  rappresenta per entrambe  il salvatore che potrebbe portarle al di fuori dell’ignoranza e dalla grettezza  del rione, è colui che atttraverso la cultura le innalzerebbe socialmente.  E lui che riesce a far emergere la vera Lila, a sottolineare il suo indiscusso fascino e “genio”.

In questo crescendo di incontri-scontri fra Lila ed Elena si affonda nella Napoli degli anni Sessanta, in una realtà sanguigna, umanissima e spietata allo stesso tempo. Elena tornata da Pisa, dove sta studiando per laurearsi,  deve riprendere il suo dialetto per farsi capire e rispettare  tra i vicoli della città partenopea.

Al di là della trama di questi anni della loro giovinezza – il matrimonio fallito, la  maternità ,  l’amore clandestino, la rassegnazione a una nuova povertà e fatica per Lila, il percorso universitario , qualche amore per Elena – rimane fortissimo il legame fra le due donne. Si potrebbe dire nè con te, nè senza di te tanto il pensiero dell’una  influenza le scelte e il percorso esistenziale dell’altra.

Elena avrebbe voluto sposarsi presto, possedere  il fascino e  la genialità di Lila, si sente sempre inferiore a lei – e di ciò sappiamo tutto perchè è lei l’io narrante - ; Lila avrebbe voluto studiare e, pur non dicendolo,  invidia e ammira Elena.

Nè vincitori nè vinti nella loro “competizione” per emergere. E quando Elena  scova Lila  nella fabbrica di alimentari, pallida e stanca capisce che la sua superbia che l’aveva spinta fin lì per mostrarle “ ciò che lei aveva perso e ciò che io avevo vinto”  si rende conto  che Lila combatte ancora per riscattarsi, studia da sola, lavora e cresce il bambino …e le spiega

che non avevo vinto niente, che al mondo non c’era alcunchè da vincere, che la sua vita era piena di avventure diverse e scriteriate proprio quanto la mia, e che il tempo semplicemente  scivolava via senza alcun senso, ed era bello  solo  vedersi ogni tanto per sentire il suono folle del cervello dell’una echeggiare dentro il suono del cervello dell’altra”

Edizioni e/o

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SANA’A E LA NOTTE di Elena Dak

pubblicato da: Mirna - 20 Ottobre, 2012 @ 11:41 am

Che misteriose coordinate ci  fanno innamorare di una città  ? Accade forse che al primo incontro  con un Luogo particolare per noi  qualcosa vada a riempire una nostra antica necessità di completamento, appaghi una nostalgia che non sapevamo di provare?

Elena Dak, viaggiatrice e  cittadina del mondo ce lo racconta nel suo libro edito  da Alpine Studio.

Elena ha fatto parecchi viaggi in in Medio Oriente, Asia Centrale e Nord Africa, ha lavorato per diversi anni per un operatore turistico. Ha pubblicato un libro me l 2007 “La carovana del sale” dove racconta la sua esperienza di viaggio nel Sahara con una carovana di  30 Tuareg e  300 cammelli.

Ci aspetta nella saletta superiore del Libri & Caffè, è una bella giovane donna  dal sorriso aperto al mondo – si capisce dallo sguardo osservatore e interessato -   dai modi   accattivanti e da un raccontare fascinoso e  ammaliatore.

Ci porta a Sana’a.

 La città  delle Mille e una notte. La città amatissima anche da  Pasolini che  ha capito che  “ occorre  percorrere tutte le strade prima di  poter giungere a Sana’a”. Pasolini che ha sollecitato L’Unesco a far inserire la capitale dello Yemen  nel patrimonio dell’umanità.

Elena si innamora di Sana’a di notte, appena arrivata. Nonostante la stanchezza del viaggio, la nostra viaggiatrice vuole vederla subito, dapprima dall’alto di una delle sue terrazze , poi entrando nel cuore dei suoi vicoli fra il blu e le luci schermate dei vetri multicolori per giungere alla sua essenza. E’ un colpo di fulmine.  E si sa che nella notte noi siamo più vulnerabili, ricettivi, immaginifici, siamo aperti ad accettare in modo istintivo e naturale qualcosa che forse ci apparteneva già. E’ forse un desiderio viscerale  di ri-tornare  al giardino dell’Eden? al l Luogo ideale ,  a quell’Altrove  a cui tutti aneliamo, il Luogo in cui sostare sospesa per assaporare appieno l’hic  et nunc.

“Sento entrare in me una dimensione diversa o forse io metto piede in uno spazio anomalo, come se qualcosa mi riportasse in un’epoca che non ho conosciuto, lontano nella storia..(p. 14)

Non è un caso che Elena Dak ritrovi nel suo primo  girovagare notturno un po’ della sua Venezia natia. Scriveva Pasolini ” Se l’idea di Venezia è nata in qualche punto dell’oriente, questo punto è lo Yemen. Sana’a è la città più bella dello Yemen, è una piccola, selvaggia Venezia posata sulla polvere del deserto, tra giardini di palme e orzo, anzichè sul mare.” Una bellezza eccessiva, irreale che rasenta la perfezione.” (p.15)

Questo libro è  sì un diario di viaggio, ne ricaviamo informazioni precise dei luoghi, dettagli toponomastici, descrizioni delle sue torri, delle sue pietre , dei giardini, delle piante e dei fiori dai nomi che solo a sentirli ti fanno illanguidire  come jacaranda lilla, bouganvillea viola, datteri, chicchi di pepe, mimose gialle…

…ci sono fotografie in bianco e nero e acquerelli colorati; vediamo la bellezza di Sana’a ed anche la sua fragilità fatta di fango e paglia, di piccole pietre sovrapposte a secco  Si possono persino sentire i profumi del pane sfornato ad ogni momento del giorno, si  sente il vocìo stentoreo  degli uomini , apprendiamo della vita quotidiana e delle traversie politiche.

 Ma Elena Dak ci svela soprattutto  che si può viaggiare non solo attraverso i luoghi fisici ma soprattutto attraverso le emozioni e  le percezioni sinestetiche della mente e del cuore  in modo tale da  farsi “assorbire l’anima”.

Evidentemente Sana’a non può che spingere a raccontare come fece Sherazade  e  come fa Elena con la sua scrittura  avvincente, con l’incantamento delle parole che intrecciano torri, moschee, orti, suk , personaggi  a  quell’appagante nostalgia del mistero.

 

 

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TOMBA DI FAMIGLIA di Katarina Mazetti, ed. Elliot

pubblicato da: Mirna - 16 Ottobre, 2012 @ 6:10 am

Un romanzo leggero leggero per queste giornate di pioggia grigia, una storia che mi ha fatto fare belle risate seppur il titolo  suggerisca che …il matrimonio è la tomba dell’amore.

O almeno sembra così per questa coppia di svedesi che si sono amati da subito, ma che conducono vite inconciliabili per trovare un modus vivendi appagante per entrambi.

Lui allevatore di vacche da latte, lei  una minimalista ed elegante bibliotecaria di città.

Ma si sa l’attrazione fisica è più potente del buon senso, così dopo una prova di separazione,avvenuta alla fine del primo romanzo “Il tizio della tomba accanto“,  la protagonista Desirée decide  che è ora di avere un figlio e pensa che l’unico uomo che può essere il padre è proprio Benny il suo aitante contadino.

Racconto a due voci della loro storia, del matrimonio e delle maternità che si susseguono una accanto all’altra sfinendo entrambi i genitori, ma soprattutto Desirée che si chiede perchè è sempre la donna a dover sobbarcarsi il maggior peso di lavoro. Domanda vecchia come il mondo…

Katarina Mazzetti riesce a conciliare romanticismo e humour e ci fa entrare nel mondo degli allevatori svedesi, nella loro vita faticosa di tutti i giorni, nei loro problemi.

Mi piace alternare libri intensi come il nuovo romanzo della Ferrante “Storia del nuovo cognome”- avvincente, sensuale, ipnotico – con romanzetti leggeri.

Ma, e qui concordo con Camilla, il mio genere preferito da sempre è la letteratura anglosassone  perlopiù femminile. E sicuramente, come consiglia Grazia, cercherò  Nancy Midford già letta ed apprezzata anni fa.

E’ vero, le  tintinnanti tazze da tè che percorrono le storie inglesi  sono i punti sicuri a cui si ancora  la narrativa  anglosassone intrisa di sguardi lungimiranti,  buon senso e  humour.

 Come ci si sente rassicurati entrando in un salotto inglese! 

 

 

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TRENTO DA …LEGGERE

pubblicato da: Mirna - 14 Ottobre, 2012 @ 7:08 am

ANGOLO-PAPIRO di mercoledì scorso al Libri & Caffè di via Galilei. Ormai un appuntamento piacevole, interessante e pieno di nuovi spunti di lettura. Le persone nuove che incontriamo ci parlano  con entusiasmo delle proprie passioni letterarie.

 Così Sandro ci racconta della sua perenne  passione per la fantascienza partendo da Asimov fino ai giorni nostri con Altieri; dell’interesse  per Massimo Manfredi, archeologo, che in forma romanzata  narra di  molti periodi storici, come la Guerra dei Cent’anni.

Ci suggerisce  un delizioso racconto “Una testa selvatica” di Roger Marie-Sabine, dedicato a  chi apprezza il potere dei libri.  Un gigante e una vecchietta uniti dall’amore per la lettura.  

Sì, anche noi siamo uniti dall’amore per la lettura e i libri sui tavolini insieme ai caffè e alle bibite mostrano le loro copertine invitanti.  Coloratissima quella de “La cucina del buon gusto” di Simonetta Agnello Hornby che Daniela -  finalmente  riuscita a parrtecipare  al nostro  Gruppo  Lettura – sta leggendo, - si può  ben dire - con estremo gusto e piacere. Le ricette di cucina , lo sappiamo, fanno parte della nostra memoria , della nostra storia regionale e familiare  e  i profumi e i sapori evocano   ben più ampie emozioni che il mero cucinare.

Daniela ci ha portato un delizioso lavoro  ideato  e  progettato insieme agli insegnanti e ai bambini stranieri delle scuole di Pergine.   “Un viaggio nelle storie” che ci racconta il percorso difficile che  gli alunni stranieri appena arrivati in Italia devono affrontare. Il viaggio, metafora della vita e  della ricerca interiore  è un topos del nostro  vissuto esistenziale. 

Disegni, parole “…scoperta che ognuno ha una storia nel cuore e che è importante trovare le parole per raccontarla” ci fanno capire quanto occorra approfondire il “linguaggio delle emozioni”.

Perciò in questo Angolo-Papiro si mescolano oltre ai libri, le idee, le emozioni.

Facendo mia la domanda di Miki sulla letteratura ebraica chiedo quali letture sono state fatte a proposito dai presenti. Andrea suggerisce un piccolo capolavoro di Martin BuberIl cammino del’uomo”, un itinerario educativo di ricerca dove  si parla di spiritualità e dell’ insegnamento chassidico.

E ancora “Il muro invisibile” dell’ultranovantenne Harry Bernstein, letto da Rina.

Riccardo invece rilegge.  Si è appassionato a sir Conan Doyle e alle avventure di Sherlock Holmes.

E Cristina continua il suo lavoro con lettere e  gli scritti di Mozart.

Ecco Raffaella e amici questo è il resoconto del nostro  ultimo incontro…

 

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LA VILLA SUL LAGO di Boris Pahor

pubblicato da: Mirna - 10 Ottobre, 2012 @ 6:22 pm

Il lago è quello di Garda. Il tempo è l’ aprile del 1948, tre anni dopo la seconda guerra mondiale. E Mirko Golina,  architetto sloveno di Trieste, vi ritorna per cercare lontani agganci che lo aiutino a superare la tragedia dei campi di sterminio. Proprio in questo piccolo paese fu arrestato dai nazisti .

 Soprattutto cerca la convinzione di essere riuscito a sopravvivere a quell’oscuro periodo di dittature e morte. E spera, ma sembra invano, che tutti abbiano capito di essere finalmente liberi da quel ventennio tiranno il cui simbolo è incarnato da Villa Feltrinelli di Gargnano dove Mussolini alloggiò durante i seicento giorni della Repubblica di Salò. La sua ombra pare ottenebrare ancora gli abitanti del luogo che lo ricordano con venerazione.  Risvegliati da un sonno ipnotico, ma con il vuoto nella testa come la signora Amalia,  madre di un amico, ancora legata al ricordo del Duce.

Boris Pahor ha vissuto in prima persona il fascismo che obbligò gli sloveni a cambiare lingua e a obbedire. Nelle sue opere c’è una coraggiosa presa di posizione contro tutti i totalitarismi sempre protesa alla difesa della libertà e della dignità dell’individuo e delle identità nazionali e culturali.

 Nato nel 1913 è considerato il patriarca della lettartura slovena.

La villa sul   lago fu scritto nel 1952 , ma pubblicato in Italia nel 2002 per la prima volta e quest’anno da Zandonai.

Mirko è ovviamente l’alter ego di Pahor e tutte le riflessioni, le  delusioni,  scoperte e speranze sono le stesse che provò l’autore .

Ciò che mi ha colpito particolarmente di questa storia sono le descrizioni paesaggistiche  di cui sentivo la  necessità e ho letto con piacere paginette di vedute deliziose, di mulini,di ragazzi che vendono i limoni e le arance .

E mi sono ricordata della prima volta che mio padre mi portò sul lago di Garda, avevo sedici anni, si veniva da Carpi e dovevamo raggiungere Merano. Rimasi colpita dai grossi cedri che molti offrivano lungo la strada, dalla dolcezza  luminosa del paesaggio e da una collanina di vetro azzurro  che mio padre mi fece scegliere in un negozietto di  Riva. 

Ma ritorniamo al libro. Il lago in primavera è idilliaco e proprio nella sua bellezza Mirko spera di superare la sensazione del nulla provato in prigionia. Ha bisogno di sperimentare un nuovo ritrovarsi.

Distese di ulivi, limoni e arance, papaveri e iris in questa ricerca di sè nei tre giorni al lago. Che non compie da solo, ma con Luciana, figlia della signora Amalia, una fresca e allegra operaia dalle mani dure come il legno. Il loro incontro è fondamentale per entrambi, per Mirko che riuscirà a intravvedere nuovamente leggerezza e amore, per Luciana che riuscirà a togliersi il velo nero dell’asservimento ideologico al passato regime.

Se da subito scatta in loro un riconoscersi, una giovane complicità di desiderio di amore occorre però superare quell’ombra minacciosa che la villa tra i cipressi sembra proiettare, ma ,  – che scena deliziosa. – ..Luciana riuscirà a farlo  mettendosi   un garofano rosso all’occhiello.

Si incontrano tre volte: in una domenica di pioggia leggera in cui il riconoscersi fisicamente ci riporta alla sensualità della Pioggia nel pineto e quel salire e ridiscendere i pendii del paese con la distesa dell’acqua che cambia colore ci  ricorda  invece la bellissima  “Arsenio” di Montale.   “tu discendi in questo giorno/ or piovorno, ora acceso, in cui par scatti/ a sconvolgere l’ore/ uguali, strette in trama, un ritornello…”, un’altra di notte sotto la luna ed infine l’ultima, in un tardo pomeriggio.

E così i due giovani vanno e vengono, si discostano dalla tetra villa  per ricercare muretti sul lago dove sostare e baciarsi, riprendono a salire le scalette dei terrazzamemti mentre il sole cerca di mutare il colore del cielo e  le distese di ulivi brillano . O la luna proietta ombre e luci sui loro visi assetati di amore. I loro sentimenti si identificano, in questo  loro primo “annusarsi”, con il mutare del paesaggio. E l’alternarsi della pioggia e del sole, della luce e del buio,  fanno da cornice alle loro affinità o ai loro dissidi. La tenerezza e l’amore danno quindi speranza a una possibile rinascita.

 

 

 

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ANDAR PER CASTELLI…. tra un libro e l’altro

pubblicato da: Mirna - 8 Ottobre, 2012 @ 2:06 pm

Altra mite mattinata ottobrina da vivere in questo Trentino felix.

Daria, Enza ed io decidiamo di andare   a  Castel Thun dove una particolare e preziosa mostra intitolata “OSPITE D’ONORE  –  Matteo Thun ritratto da Giuseppe Molteni -” è allestita nella  torretta biblioteca.

La curatrice è Emanuela Rollandini che ci aspetta sorridente  e ci fa entrare, anche noi  quasi ospiti d’onore, in un’atmosfera romantica.  Ci sentiamo proprio in un salotto d’altri tempi. 

 Matteo Thun, il cui  ritratto  campeggia nella saletta, ci accoglie morbidamente appoggiato ai marmi del suo castello di cui vediamo in penombra armature e pertugi.

Ha 20 anni, indossa la divisa austriaca ed ha l’aria sognante. Il pittore  Giuseppe Molteni respira la corrente romantica dell’epoca perciò riesce ad esprimere nel ritratto del giovane nobile le contraddizioni dei due secoli “l’un l’altro contro l’altro armati”, il legame classico e le inquietudini del nuovo. 

 Lo stesso Matteo Thun ama frequentare il nuovo ambiente percorso  da fremiti innovativi nei salotti di Milano che lui trova grande città colma di “un fermento singolare negli ingegni“. E la sua formazione culturale si rafforza  proprio  in Lombardia, luogo dove molti funzionari trentini, grazie al bilinguismo, sono al servizio dell’Impero Austro-ungarico.  Grande influenza su di lui la ebbe anche la madre Violante, bresciana e ostile all’Austria, ma  soprattutto  Andrea Maffei , funzionario dell’impero, scrittore, poeta, traduttore. Esiste infatti fra i due  un cospicuo carteggio interessantissimo che ci rivela la vita che  entrambi svolgono  tra il Castello e i salotti milanesi  frequentati da pittori come Hayez e scrittori come Balzac.

Tutto questo ci viene spiegato benissimo nel catalogo  curato da Emanuela Rollandini.  

Ma nella piccola mostra ci sono anche altri quadri: il bell’Andrea Maffei che , ci racconta Emanuela, diventerà ancor più bello in età matura e che, si sa , era molto vanesio. E poi c’è sua moglie Clara, ritratta da Francesco Hayez nel 1845. Bellissimo. Visetto chiaro, acconciatura a boccoli, sguardo fermo e  un po’ disincantato ? sorriso obliquo. Clara Maffei , come Violante Thun : grandi dame della cultura del tempo  e garbate ospiti di importanti salotti letterari.

Ammiriamo  lettere, libretti,  un servizio per corrispondenza e …un acquerello delizioso di un certo Francesco Gonin che nel 1835 dipinge l’ Interno dello studio di Giuseppe Molteni

Ci fermiamo estasiate ed “entriamo” anche noi nel suo atelier dove ci sono lo stesso Molteni che ritrae una modella, di spalle vediamo Massimo d’Azeglio e dipinto nell dipinto… un ritratto di Alessandro Manzoni!

Che desiderare di più in una domenica trentina? Un calice di Rotari rosè che ci viene offerto dal castello   e che beviamo con Emanuela, la quale ci dice  che continuerà a lavorare tra le novemila  lettere scritte e ricevute da Matteo Thun per regalarci inediti sguardi su una famiglia così importante .

La mostra continuerà fino al 4 novembre.

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LE CONFESSIONI DI NOA WEBER di Gail Hareven

pubblicato da: Mirna - 5 Ottobre, 2012 @ 7:19 am

Non è semplice descrivere questo bel romanzo: le confessioni della protagonista Noa sono sì le confessioni di una donna “schiava” d’amore  per un uomo, ma non si può ricondurre la sua storia alle eroine soggiogate soltanto dall’onubliamento sensuale.

In Alek, il ventottettene idealista e letterato ebreo russo, Noa riconosce all’istante, lei diciottenne e capitata per caso nel suo appartamento del quartiere Nachloat, qualcuno che l’avrebbe capita come si capisce lei. Siamo a Gerusalemme nel 1972, si parla di sionismo, delle guerre, di anarchia.

Da subito Noa si aggrappa a lui in cerca di salvezza per sfuggire a ciò che sente di  contorto in lei.

Dal semplice desiderio di Noa di  non voler fare il servizio militare, Alek decide di sposarla per evitarglelo. Matrimonio fittizio, ma ugualmente denso di  rapporti sessuali appaganti. E gravidanza.

Ma Alek “fugge”, lascia a lei e alla bambina il suo appartamento, ma non vuole sentirsi legato o costretto, Ogni tanto riappare e così andrà avanti in una sorta di relazione altalenante vissuta da Noa come l’essenza della sua vita.

Le confessioni ci preparano sempre a qualcosa di oscuro, difficile da comunicare; Noa  capisce che Alek è il suo “demone” e che la sua dignità ne soffre. O no? E’ questa la bellezza del racconto perchè il vuoto che Noa prova quando Alek, quasi il suo Dio, è lontano sembra pieno proprio della sua assenza. Tutto è correlato a lui, lei agisce pensando che lui la guardi e la approvi.

Ossessione, follia? Noa vive in modo non felice, non prova gioia se non quando può essere tra le sue braccia, altrimenti serpeggia in lei sempre malessere e inquietudine, nonostane la bambina che apprende lentamente ad amare. Non l’ha amata all’istante come è successo per Alek.

Gail Hareven racconta alternando momenti del passato: il fatidico incontro tra Noa e Alek nel 1972, i successivi avvenimenti come il fatto che Noa è diventata scrittrice,la sua militanza in un’associazoione femminista, o  che Alek fa ormai la spola tra Parigi e Mosca e che ha una famiglia,  e il presente quando ancora ci sono sporadici incontri sempre intensi a Mosca.

Lo scrivere per l’io narrante è  liberatorio, ma abilmente la Hareven ce lo fa sentire faticoso e vorticante come il cercare di estrarre qualcosa di duro e profondo con una trivella.

Interessante la protagonista  che Noa ha scelto per i suoi romanzi: l’investigatrice Nira Woolf che appare il suo alter ego, ciò che lei vorrebbe essere, forte, dura, indipendente. Donne antitetiche che si rincorrono e confrontano.

Un “desiderio così oceanico” può durare sempre? Può esistere? Ciò che Noa prova sembra quasi idolatria, ripenso alla descrizione dei dolori del parto…dedicati a lui.

Alek è il tramite per la sua ricerca di Assoluto, Noa aderisce a lui come la metà mancante della sua stessa anima, un’ossessione necessaria.

Gail Hareven è nata a Gerusalemme nel 1959. Insegna scrittura creativa  e storia del femminismo.

Le confessioni di Noa Weber  è il primo suo libro, tra i quindici scritti, ad essere pubblicato in Italia, ed. Giuntina.. Ha vinto in Israele il premio Sapir.

 

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