LE BIANCHE BRACCIA DELLA SIGNORA SORGEDAHL di Lars Gustafsson

pubblicato da: Mirna - 18 Gennaio, 2013 @ 4:57 pm

Edizioni Iperborea

Tanti racconti in un unico racconto di un docente anziano. Ma perchè anziano? E’ “appena” settantenne, per cui al limite si potrebbe dire agé, ma si sa  che si vuole sempre etichettare tutto e tutti…

Ma forse è lui che si sente anziano, vecchio, e in una giornata brumosa di un ottobre inglese lascia via libera alla memoria e alle riflessioni sulla sua  vita che talvolta gli sembra forse un sogno o la vita di un altro o addirittura un’illusione.

E’ così che il nostro professore di filosofia entra ed esce nel suo Tempo passato e  presente, rincorre e si abbandona alla sua memoria eidetica, così tipica dell’infanzia e spesso dell’età avanzata. I ricordi  della sua vita e specialmente quelli  dell’ estate del 1954, quando ancora viveva in Svezia, vengono percepiti  con la comparsa immediata di immagini mentali nitide in tutte le loro caratteristiche. Si lascia trasportare, va e ritorna  in quella lontana estate , ma entra anche nei ricordi di sua madre che gli  raccontava sempre  storie magiche o inquietanti su personaggi particolari come l'”organara”, una misteriosa fanciulla, che riuscì a far suonare nuovamente un vecchio organo arrugginito o un prevosto-fantasma che si aggirava nottetempo in un villaggio di campagna.

Accattivante la descrizione dell’appartamento dove la signora Sorgedahl andrà ad abitare  e che da sempre ritorna nei sogni del “vecchio” professore di Oxford. Un appartamento che lui conosceva bene perchè appartenuto  dapprima ad un  prozio, poi abitato da un  insegnante  i cui figli sono suoi amici.  “Era grande e buio e caldo” e soprannominato Il Paradiso forse per le sue stanze arredate in modo confortevole,  un luogo in cui  ci si sentiva attratti e protetti,  abbracciati…

E quando la bella signora Sorgedahl dai capelli rossi e dalle  braccia bianche  con il marito vi entrerà sembra che l’appartamento aspetti che il giovane protagonista vi ritorni ancora. Sembra proprio che tutto lo riconduca in quel luogo come se un cerchio lo volesse  racchiudere.

E tutto ciò che pensa, che scrive lo riportano in quel cerchio, a quell’immagine delle braccia bianche della signora Sorgendhal che in un giorno del 1954 lo ama  con una dolcezza eterna e si direbbe quindi che infine quell’abbraccio non sia altro che l’abbbraccio del Tempo che non ci permette di lasciare la nostra vita.

Non c’è niente là fuori, assolutamente niente. Noi siamo rinchiusi e non usciremo mai…La vita dell’uomo è una sfera che ha solo una parte interna, come il nastro di Mobius ha solo un lato che è interno ed esterno al tempo stesso. Non esiste dunque nella nostra Vita nessun lato esterno”.

L’andirivieni dei ricordi viene teso  a una più completa comprensione del senso della vita  le cui porte sembrano essere state aperte con slancio dalla signora Sorgedahl. Proprio dopo il suo “abbraccio” l’estate diventa teatro di altri incontri “proibiti” con la coetanea Ingela, la figlia del Fonditore.

E tutti questi pensieri e ricordi e riflessioni che si rimescolano toccano ogni intima corda della mente dell’ex professore: dalla sua conoscenza accademica, alle speculazioni filosofiche, fino alla consapevolezza che sotto la superficie c’è sempre una solitudine interiore,  – non quella esteriore – scrive il protagonista “c’è sempre stata e continua a esserci quanta gente si vuole intorno a me” .No quel tipo di solitudine plasmata per tutto il futuro  da quella donna dalle bianche braccia che altro non è che la prima giovinezza e il paradiso perduto della Meraviglia.

Malinconia svedese?

Lars Gustafsson, classe 1936, ha insegnato per vent’anni Storia del pensiero europeo negli Stati Uniti, prima di tornare a vivere in Svezia. E’ considerato il “Borges svedese” per la sua capacità di fondere fantasia, erudizione e riflessione filosofica. Tra i suoi romanzi più noti “Morte di un apicultore” “Il pomeriggio di un piastrellista” e “Storia con cane” pubblicati in Italia da Iperborea.

Potrete forse trovarli ancora al Libri & Caffè…anzi   Andrea ci scrive:

Care amiche, cari amici,
come forse saprete, il Papiro Libri & Caffè
dopo sette anni chiude i battenti…
La buona notizia per Voi è che ancora per dieci giorni
effettuiamo una vendita promozionale con uno sconto del 30% su buona parte dei libri presenti in libreria. Sono esclusi (per effetto della Legge Levi sul prezzo dei libri) i volumi pubblicati da meno di 20 mesi, sui quali pratichiamo il 15 % .

 

 

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TRA UN LIBRO E L’ALTRO… un luogo gioioso

pubblicato da: Mirna - 13 Gennaio, 2013 @ 8:01 am

Cercavo un “pensiero fiorito” l’altro giorno per un’amica e pensavo ai giacinti che profumano e ti illudono già di primavera quando,  all’inizio di via Suffragio, vedo una fioreria particolare, raccolta su una breve scaletta chiara.

Sapete che cos’è un luogo gioioso, vero? E’ un luogo che ti accoglie, raccoglie , ti invita a guardarti intorno  e ti meraviglia ad ogni angolo dandoti una sensazione di leggerezza.  Questa fioreria è così. Lo sguardo si perde e si infiltra in forme e colori di gioia.

Finalmente dopo il primo momento di estasi scopro Nicola Detassis, il sorridente e giovane fiorista. 

Non si può che essere lieti a lavorare tra i fiori, come lo sarebbe per me starmene tra i libri. Diceva Confucio: “Non farti mai mancare un  buon libro e un vaso di fiori”

Chiedo a Nicola come consiglia i clienti, se segue il tradizionale  linguaggio dei fiori , ma lui spiega che  occorre superarlo per donare il fiore suggerito dalle proprie sensazioni e sentimenti verso la persona. Ci dev’essere un momento di attenzione e reciproca attrazione nel momento in cui si scelgono fiori da regalare. Mi mostra uno stupendo mazzo di rose bianche che si stemperano in un velato color crème. Un mazzo simile accompagnato da bambù  lo aveva regalato a sua moglie Marta quando erano fidanzati.  Anche Marta lavora in fioreria e sa creare composizioni con molti materiali. Capisco che i fiori sono vivi  per questa giovane coppia e, dalla cura con cui sono disposti, sembrano molto amati.

Orchidee, giacinti, rose, anemoni bianchi,  piante verdi e bacche rosse, cuoricini che danzano nello spazio chiaro, amarillis rosa e rossi.

Chiedo a Nicola quali sono i suoi fiori preferiti. Tra tanti sceglie gli amarillis. Lo sono anche per me, quelli rossi!!!

E’ un fiore che dura a lungo, spiega Nicola, e poi si sdoppia. E’ un fiore carnoso, vitale, allegro come l’estate, come il sole, come l’amore.

Gli chiedo che cosa legge. Per ora è tutto preso a leggere fiabe alla figlioletta.

Io vorrei che ci fosse una poltroncina di vimini per sedermi con un piccolo libro da sfogliare e lasciarmi travolgere dalla bellezza serena di questa fioreria. Il tempo sembra rallentare e posarsi con calma su ogni petalo ed ogni fiore ti riporta ai giardini, alle valli, ai boschi e ai prati.

Che meraviglia!

Sono contenta che un altro luogo gioioso sia per me il Libri & Caffè di via Galilei dove i “nostri fiori” colorati  sono i libri di cui parlare… all’Angolo-Papiro con il gruppo lettura  che si terrà lunedì 14 gennaio alle ore  17.00.

Attenzione: abbiamo anticipato di mezz’ora. Vi aspetto.

 

E a proposito…quali sono i vostri luoghi gioiosi qui a Trento?

 

 

 

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MARINA CVETAEVA E RAINER MARIA RILKE – LETTERE –

pubblicato da: Mirna - 10 Gennaio, 2013 @ 4:09 pm

Voglia di POESIA!

Desiderio di sorvolare sull’aridità di questi tempi e salire verso l’alto. Perchè è così che fa il linguaggio della Poesia: traduce la nostra realtà e la colora, la sospende, la smembra e la ricuce  e ce la ridà più variegata, talvolta oscura, altre sfavillante di scoperte. La Poesia è ascolto attento del mondo .

Come scrive Marina Cvetaeva essa “e’ una specie di muta melodia dentro la testa , una specie di linea sonora” che proviene dalle fibre stesse del’io e di ciò che ci circonda.

Nell’ultimo anno della sua vita Rainer Maria Rilke viene sollecitato  da Boris Pasternak ad inviare alla poetessa russa  Marina Cvetaeva un suo volume di poesie con dedica. E’ l’inizio di un intenso e appassionato epistolario che durerà  dal maggio al novembre 1926.

Già Marina lo ama, come ama la poesia. Per lei Rilke è la Poesia stessa. Ogni sua parola un’intenzione/intonazione, la totalità del pensiero. Replica immediatamente con impeto alla lettera di accompagnamento:

“Rainer Maria Rilke!

Posso chiamarla così? Lei, incarnazione della poesia, dovrebbe sapere che il Suo stesso nome è una poesia. Rainer Maria, ha una risonanza religiosa, e infantile, e cavalleresca. Il suo nome non si intona con i tempi d’oggi, viene dal prima o dal dopo – o dal sempre.”

Legge le sue Elegie a letto, la sera, e scrive “Il mio letto si è fatto nuvola”.

Con l’inizio di questa corrispondenza sembra chiudersi il cerchio delle tante amiche epistolari di Rilke. Sembra che nelle sei lettere inviate a Marina Cvetaeva ci sia qualcosa di definitivo. Anche lei, come Lou Andreas  Salomè , è russa, di quella terra che il poeta ha tanto amato. Ma soprattutto in lei sembra trovare  colei  alla quale  i suoi versi sono rivolti “la grande amante in tal misura ricolma del proprio amore da poter rinunciare all’amato” aveva egli infatti  auspicato nelle Elegie duinesi  “quel tempo in cui amando / resistiamo all’amato, ce ne liberiamo tremanti:/ come la freccia resiste alla corda per essere, raccolta / nel balzo, più di se stessa./

Ed ora, ricoverato nel sanatorio di Val-Mont in Svizzera, ritrova in questa giovane e veemente  poetessa russa  l’eroica amante cantata.

Sono lettere preziose queste dove l’amore per l’amore della Poesia si innalza a vette altissime. Ognuno sembra riflettere il proprio sè poetico nell’altro, è un’unione perfetta di due poeti dallo stesso afflato verso la creazione artistica che impernia tutta la loro vita.  Passione per la totalità dev’essere la Poesia e per entrambi lo è. Ricerca della libertà e della non-possessività, il proprio sè che si dissolve nel proprio oltre perchè i cinque sensi diventano immateriali e sensibili per ricevere la verità delle cose che imprimono il loro segno, riflette Rilke nei sonetti di Orfeo,  e Marina è pienamente d’accordo.

Nella postfazione di questo libro  (edizioni SE) Pina de Luca spiega che Orfeo-Rilke perviene a un simile risultato attraverso un duro e rigoroso esercizio; nella sinestesia raggiunta, i sensi non sono più mossi dall’impazienza del desiderio e neppure conoscono l’affanno del volere. Egli sa non desiderare, non volere Euridice ed è per tale rinuncia che l’estraneità di lei si descrive impalpabile nel suo udito come la sonorità stessa del silenzio.”

Marina è irruente nelle sue lettere e riesce a scuotere lo stanco e malato poeta, lo fa vibrare ancora di Poesia. Lui le  dedica una Elegia, l’ultima:

A Marina Cvetaeva-Efron

Oh, queste perdite nell’universo, Marina, le stelle cadenti!

Ovunque lassù ci lanciamo, verso quale mai stella,

nulla vi possiamo aggiungere! Già tutto è sempre

compreso nel tutto…

 

(Nel mio Blog  sono presenti due post: “Marina Cvetaeva, mia madre” di Ariadna Efron e “Epistolario Rilke-Salomè”, v. archivio )

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IL TEMPO E’ UN DIO BREVE di Mariapia Veladiano, ediz. Einaudi

pubblicato da: Mirna - 4 Gennaio, 2013 @ 8:48 am

Questo è un romanzo sul Dolore,  sulla Paura del Male, sull’Amore,  sulla ricerca della Fede, sul senso della Vita.

E forse più che un romanzo  queste pagine sono una continua Domanda su di noi e sul mondo. Un libro quindi da leggere lentamente come ho fatto io: quaranta, cinquanta  pagine al giorno seduta nell’angolo più caldo del divano nei pomeriggi silenziosi mentre il buio avanzava lentamente sovrastando l’alberello e le candele accese.

Ogni frase di Mariapia Veladiano è ricca di significati profondi, mai banalità nelle sue parole, tutto ha un richiamo nel profondo di noi, i suoi pensieri  ci donano  appigli verso una Spiritualità cosmica e necessaria.

Parole importanti, veicoli verso l’Altro e verso questo Dio invocato. Persino i nomi propri hanno una grande importanza e  sembrano custodire il segreto della vita di chi li porta.

Così Ildegarda, l’io narrante, ha sulle sue spalle il nome della santa medievale, esperta di scienze naturali, musicista, ideatrice di un linguggio unico che unisse tutti gli uomini, protettrice delle battaglie perchè la sua religiosità era  l’arma per scuotere gli animi e le coscienze. Santa Ildegarda si sente però “una piuma abbandonata al vento della fiducia di Dio“.

Ma la nostra Ildegarda, laureata in teologia, che lavora come editorialista per una rivista cattolica, sposata ed appena diventata madre di Tommaso, non riesce ad affidarsi, ad abbandonarsi alla Fiducia in Dio. Perchè vede il Dolore nel suo bambino che soffre, che  urla per una terribile dermatite che durerà alcuni mesi. E suo marito Pierre si è raggelato come una”pietra” per non vedere in suo figlio un  dolore che lo accompagna da sempre e preferisce  allontanarsi  da entrambi. E il Dolore sembra contagioso.

Ma ciò che sconvolge Ildegarda e mette in dubbio la sua Fede è il Dolore innocente. Perchè i bambini devono soffrire? Perchè Dio permette che ciò avvenga? La sofferenza degli innocenti ci tocca la parte più intima, ciò che eravamo, quando senza peccato vivevamo in un Eden di felicità. Senza il Male dunque.

Questo piccolo Tommaso che soffre, ed è brutto, ricoperto di croste rossastre sembra l’antitesi della Bellezza/Bene. Per Ildegarda il bene di Tommaso diverrà lo scopo della sua vita. Ma anche se il piccolo guarisce, la madre vive nel terrore costante che gli accada qualcosa di male.

Depressione? Male di vivere? Paura della Vita? E il Male, si chiede Ildegarda, è Felicità mancata?

Cerca di resistere al dolore dell’abbandono di Pierre, della Paura per Tommaso, del suo  improvviso Vuoto interiore. E tutta questa angoscia sembra inchiodata nel gelo immobile di un inverno della pianura lombarda, nella vecchia casa nobiliare del marito che ne è fuggito.

Ci sono secoli di mistica pseudocristiana del dolore dietro le sue fantasie di fare un patto con Dio: la sua  vita per salvare Tommaso dal Dolore, come un agnello sacrificale per il bene dell’Innocenza. Se Santa Ildegarda non è stata martire, questa moderna Ildegarda sembra volerlo essere.

Arrivata a metà del libro, quando Ildegarda con Tommaso in un bellissimo luogo puro di neve e atmosfera natalizia incontra Dieter, pastore luterano con il quale instaura un rapporto speciale, d’amore, di com-passione, di profonda  affinità , ho dovuto sospendere la lettura per un giorno. Dovevo rimescolare le mie  forti sensazioni .

La bellezza del luogo ci viene descritta da Mariapia Veladiano con delicatissima e struggente poesia: il candore, le cime dei monti che si elevano come cattedrali verso il cielo stellato, la sospensione della Paura, il conforto di una Fede più solida che Dieter le mostra.

Si sente attraversata da quella che i mistici chiamano “la vita divina che abita in noi”.

Pensavo: bene, così si sposerà con Dieter, andrà ad Heidelberg, Tommaso avrà un  nuovo padre attentissimo, insieme cercheranno il Signore e  insieme soffriranno molto meno. In fondo la vita è bella, occorre abbandonarsi ed avere fiducia.

Poi ho realizzato che non poteva finire in questo modo facile, perchè il percorso di Ildegarda aveva bisogno di più risposte. Come poteva offrire la sua  Vita quando non la sapeva vivere? Doveva cercare ancora, doveva diventare più battagliera come Santa Ildegarda, come Giuditta che uccide la Paura in Oloferne. La paura della paura.

Troppe sventure,  Ildegarda! E’ il titolo di una recensione di Filippo la Porta, ma ancora non l’ho letta, la tengo ripiegata tra le pagine del libro. Voglio continuare a riflettere, a cercare di comprendere questo personaggio che alla fine risulta coerente e che riesce a dare il senso cercato alla sua Vita. In  qualche attimo di assoluta felicità  comprende che le vengono regalati  ” pezzi di eterno”, come una promessa. Non più confusione, non più paura, ma accettazione, abbandono, fiducia.

Splendida Veladiano che mi fa rabbrividire, commuovere, che  mi  fa  entrare in quella parte di me digiuna di teologia, ma  colma di domande, di desideri, di scetticismo, ma che ha ancora  Fiducia nel Bene, nonostante tutto…

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VITA DA …BLOGGER

pubblicato da: Mirna - 1 Gennaio, 2013 @ 9:05 am

PRIMO GIORNO DEL  2013.

Auguri carissimi per i tanti giorni a venire che spero siano densi di voglia di vivere, di salute, serenità, forza e soprattutto desiderio di scoprire con meraviglia i segreti della Vita in generale, di noi stessi, del nostro essere insieme.

 Condividere con i nostri cari, con gli amici, con il mondo che ci sta intorno il percorso che ancora ci spetta. E prendere a larghe mani il conforto, la ricchezza , la gioia che i COMPAGNI-LIBRI ci regalano.

Sono una blogger che scrive dei libri che legge e che ama. 

Da tre anni  la mia identità si è completata con questo mio “lavoro” in rete.

Web-log: diario in rete la cui caratteristica è la condivisione dei propri pensieri, delle proprie esperienze,  “Bridging the gap”, creare dei ponti, nel contesto urbano che possono supplire talvolta la difficoltà nel creare o gestire rapporti interpersonali.

E’ l’immediatezza del proprio pensiero che si vuole condividere che fa della rete una potente capacità aggregativa.

Sia blog tematici, vedi quelli politici come quello di Beppe Grillo ecc, a quelli informativi, letterari, artistici come i nostri di Trento-Blog ai diari personali soprattutto di giovani, come la mia visitatrice Veronica Cerquettini (che  forse interrverrà al prossimo incontro  Angolo-Papiro di lunedì 14 gennaio, ore 17)

La partecipazione dei “cliccanti” e di coloro che scrivono commenti o  risposte o dibattiti  crea una veloce comunicazione che va pari passo con tutte le altre attuali  forme di comunicazione .

Ma i blogger sono perlopiù giovani?

Quando iniziai a scrivere il mio (v. archivio Memorie di una lettrice notturna) desideravo coinvolgere persone della mia età e cioè neo pensionate o affini, ma con grande soddisfazione anche i giovani si sono inseriti nel blog.

Insomma sono contenta che la mia passione per la lettura sia condivisa da tante persone.

Mi piace che i commentatori scrivano dei libri che leggono e che i consigli si dilatino e allarghino.

Questo post è in fondo un bilancio anche personale dell’anno trascorso. Come ho già detto ripercorrendolo con la memoria e attraverso le paginette del diario personale voglio sfumare  i momenti di stress, le delusioni, i giorni-no e illuminare i momenti belli che guarda caso sono sempre legati all’amore, alla bellezza della natura,  all’amicizia e alla LETTURA, anzi alla cultura in generale: letteratura, arte, musica.

Leggo spesso  anche i bei post degli amici blogger di Trento-blog, dal mio caro amico Riccardo che mi aiuta a districarmi nel mondo della politica, della società, dell’attualità , ai ragazzi vivaci che scrivono di tecnologia, arti figurativi, a Stefania d’Elia, spiritosa e intelligente mamma…ma che ha scritto che non ama  i classici!

Per cui mi domando e lei stessa si domanderà : ma siamo noi “grandi” che riteniamo imprescindibili dal nostro crescere il pensiero di chi ci ha preceduto? Poi ripenso alla giovane Chiara Turozzi che scrive in “Femminile esorbitante” della grandezza della donne scrittrici del passato…e ripenso a me giovane che mi immergevo Ne L’idiota, in Guerra e Pace, in Stendhal e ne riaffioravo più ricca.

Ecco una domanda per il nuovo anno…

Peccato che ieri non ti abbia incrociato, cara Camilla,  per pochi minuti credo. Ma i tuoi consigli sono sempre  preziosi. Ci vedremo presto, sono certa e parleremo di noi, della vita, degli autori nuovi e vecchi, dei personaggi che possono diventare nostri amici. Mi fido ciecamente : Limonov non lo leggerò.

Mi sto concentrando con passione su Mariapia Veladiano e altri piccoli libri ricevuti in regalo per Natale.

Benvenuta Cristina che si ritrova nella passione delle nostre scrittrici preferite. 

AUGURI A TUTTI DUNQUE PER UN 2013 :  CHE LA FORZA E LA RICCHEZZA DELLA LETTURA SIANO  SEMPRE CON NOI

 

 

 

 

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LA FIGLIA DEL SOLE di Nadia Fusini

pubblicato da: Mirna - 29 Dicembre, 2012 @ 9:51 am

Perchè amo tanto Katherine Mansfield? Ed appena vedo in libreria un’ennesima biografia della sua vita devo leggerla  immediatamente, sebbene ne conosca già i particolari?

Perchè la sua vita  breve  e ardente è di una forza straordinaria.

Ed i suoi racconti sono bellissimi.

Nadia Fusini  è una saggista, romanziera e profonda conoscitrice delle mie autrici preferite  del ventesimo secolo. Ed anche in questo suo ultimo scritto inventandosi  un  interessante escamotage ci racconta  la vita e e la passione di questa giovane donna in gara con il tempo, di questa “figlia del sole” che muore di “fame di vita“.

A raccontarcela sono due fratelli che assomigliano al giovane Holden e alla sua saggia e intuitiva sorellina. Qui si chiamano Francis, malato come Katherine, e Zoe inquieta e viaggiatrice dall’occhio penetrante verso la vita e gli uomini.

Sappiamo che Katherine, che voleva farsi chiamare soltanto KM, lascia  la Nuova Zelanda e un padre avaro di soldi e di amore per venire in Europa. Londra, Parigi,  Svizzera, sud della Francia, Italia.

Francis è “innamorato” di KM: gli  batte il cuore quando legge il suo diario o le sue lettere e come lei si sente un migrante e un esiliato dal mondo.

KM cerca con furore e passione la pienezza della vita: dall’amore alla scrittura, dal godimento pieno dei sensi alle epifanie del suo pensiero.  Dall’abbandono panico alla bellezza della natura alla ricerca della Parola perfetta per comunicare il suo sentire. E per uno scrittore la Parola è invocazione. “Lo scrittore si aspetta  che la lingua gli apra un’altra dimensione, differente”

La scrittura dunque per questa ragazza dal caschetto bruno e dagli occhi brillanti è  un ulteriore assaporare la vita, un appropriarsi completo della bellezza e del dono di vivere.

Eppure la sa vita è infelice: il suo amante, poi marito ,  John  Middleton Murray non la comprende, la lascia spesso sola, suo padre non la ama come lei vorrebbe, la sua salute si incrina. Molto presto la tubercolosi  diventerà la sua nemica da combattere strenuamente.

Nasce  nel 1888  in Nuova Zelanda, ventenne si trasferisce a Londra dove inizia a vivere una vita libera e avventurosa e a scrivere  racconti percorsi da una luminosa e aggraziata energia tanto da suscitare un po’ di invidia in Virginia Woolf.

Dopo la diagnosi della sua malattia si trasferisce per un breve periodo a  Villa Pauline, in riviera,  e qui la sua scrittura è ispirata da momenti di intensa beatitudine, quasi da un’ebbrezza mistica. La sua percezione di ciò che la circonda – il mare, il sole, i fiori – ingigantisce e la fa andare oltre…verrà dai critici  paragonata ai sufi e alla loro capacità visionaria.

Il suo racconto Bliss, beatitudine, è il suo credo fatto scrittura: l’esistenza potrebbe essere gioia, felicità, beatitudine proprio nell’abbandono simpatetico nella natura. C’è felicità in the blazing moment quando l’ardore della sensazione  restituisce la realtà come una conoscenza trascendentale e cosmicamente completa.

KM Cerca l’istante fuori dal tempo,sospeso, immanente, cerca un passaggio attraverso il quale uscire dal tempo.

“Ritorna” nel luogo natale, nell’isola che la fa sentire sempre “agli antipodi”. Un suo viaggio nell’entroterra fatto da ragazzina diventa il serbatoio delle emozioni più profonde, dei ricordi pregni di poesia, sogno, magia.

E scrive, scrive in tutti i luoghi dove  si sposta sperando di guarire.

Cerca di  vincere la malattia persuadendosi che pensare ed esistere  non stanno per forza su piani diversi…la realtà può diventare l’ideale, il sogno la realtà. Sa che ormai sta per morire, ma non vuole farlo in una corsia d’ospedale o in un albergo.  Decide di assaporare dolorosamente un altro aspetto della vita – in fondo, dice, la morte è un momento intensissimo di via- ed entra nella comunità di Gurdjieff, un controverso guaritore russo, che ha fondato l’Isituto per lo Sviluppo Armonico dell’Uomo. E qui tra danze, meditazioni, lavoro duro, incontri, KM decide dove e come morire e scrive nelle sue ultime pagine di diario ” Al Sole va chi morendo pensa al Sole”.

Persona straordinaria la mia Katherine Mansfield, la sua vita un romanzo eccezionale.

La figlia del sole” di Nadia Fusini, edizioni Mondadori

 

 

 

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GRANDI SPERANZE di Charles Dickens

pubblicato da: Mirna - 23 Dicembre, 2012 @ 6:11 pm

Auguri a tutti i lettori del mio blog.

Un albero di Natale fatto di libri ( immagine suggerita da Raffaella)… che si può volere di più nel pigro pomeriggio natalizio dopo il solito lauto pranzo familiare?

Un’oretta di tranquillità per assaporare il nostro benessere e sfogliare un libro nuovo ricevuto in dono  o un classico amato che sembra proprio adatto al momento.

Per Natale mi torna  alla mente sempre Charles Dickens con  i suoi racconti di una Londra vitttoriana così intrecciata allo spirito natalizio .

Canto di Natale è sicuramente il più riletto, ma domani  se dovessi scegliere un romanzo toglierei dallo scaffale  Grandi speranze.

E non solo perchè la storia ha  inizio  dalla vigilia di Natale, ma anche perchè ho voglia, ho bisogno   di un un po’ di grandi speranze anch’io.

Sollecitiamo la nostra immaginazione a spingersi un po’ oltre il  tran-tran quotidiano e a progettare, desiderare  e sperare in un cambiamento positivo un po’ più… grande..

Anche se  conosciamo già le disillusioni perchè non ritentare?

Invece Pip il protagonista, che all’inizio della storia ha sette anni, conoscerà sia  l’esaltazione di poter diventare un ricco gentiluomo e poi le delusioni. Ma il cammino fatto lo fa crescere.

Romanzo di formazione dunque questo best seller di Dickens dove avventure, affetti,  personaggi bizzarri e indimenticabili come Miss Havisham, il criminale Magwitch, la bella e fredda Estella sono descritti con vibrante humour e passione.

La voce narrante è quella di Pip e le sue riflessioni indagano i vari aspetti del rapporto tra rispettabilità e moralità, per quanto non manchino gli elementi melodrammatici come la vicenda di Miss Havisham “congelata” nel suo abito da sposa dal giorno del matrimonio mancato. E non manca il mistero magistralmente sfruttato da Dickens sin dalla prima scena del galeotto fuggiasco che chiede al ragazzino cibo e una lima  fino alla rivelazione dell’identità del benefattore.

Un bel romanzo da rileggere con piacere. “Una prosa segreta che dà il senso di una mente che parla a se stessa …una musica della memoria che tanto ha influenzato Proust

E voi, che libro rileggereste in questi giorni di festa?

AUGURI, AUGURI, AUGURI

 

 

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IL PESO di Liz Moore ovvero la pesantezza della vita

pubblicato da: Mirna - 21 Dicembre, 2012 @ 7:44 am

Neri Pozza editore.

Guardo dalla finestra il cielo nero e la strada bianca: ripenso ai versi che recitavamo da bambini a scuola

Le ciel est noir, la terre est blanche…e sento quel desiderio invernale di ripiegamento in se stessi, in un angolo  buono della casa, sulla confortevole poltrona che ci può abbracciare.  Momenti isolati questi dovuti al freddo dicembrino, a sensazioni  e sospensioni  di  attesa di dolcezze.

Ma per Arthyur Opp il ripiegamento nel suo angolo-rifugio –  la sua casa - dura da più di dieci anni. Dieci lunghi anni in cui ha imparato a vivere nelle stanze a pianterreno della sua casa grande. Non può salire ai piani superiori perchè insieme alla sua somma solitudine è cresciuto  il suo peso corporeo che ormai  non gli permette di fare sforzi fisici.

Arthur era un docente universitario , una persona colta, sensibile, buona e troppo vulnerabile. Non è riuscito a gestire le delusioni e disillusioni della sua vita e della realtà in generale, compresa la tragedia dell’11 settembre. Si è ritirato per sentirsi protetto nella sua casa a leggere, guardare la Tv e mangiare, mangiare, mangiare.

Ha perso il contatto con il mondo per diventare, come pensa lui, un “nobile eremita”. Già ,nella sua adoloscenza triste senza padre, si sentiva destinato alla solitudine, “certissimo che un giorno mi avrebbe trovato, così quando è accaduto non mi sono stupito e l’ho persino salutata con gioia”.

La pesantezza della vita va di pari passo con l’aumento della sua mole che lo costringe a spazi e azioni limitati, ma che lo avvolge come una coperta imbottita.

Comunica soltanto per corrispondenza con Charlene Turner una sua  giovane ex  allieva. Da subito verso la ragazza Arthur aveva sentito un legame forte. “Anche tu?” Le aveva chiesto con lo sguardo avendo intuito che forse Charlene all’epoca era più sola di lui.

Due solitudini che si incontrano, si riconosco, si amano. Ma si sa com’è il destino e le parole che non si  dicono allontanano.

Di quell’affettuosa amicizia durata un semestre rimane soltano una sparuta corrispondenza.

Nel romanzo di Liz Moore si alternano due voci, quella di Arthur Opp e quella del giovane Kel Keller figlio di Charlene.  Seguiamo perciò il dipanarsi dei mesi cruciali della storia quando una lettera  inaspettata di Charlene prospettando una sua visita  mette in ansia Arthur che decide finalmente di chiamare una donna delle pulizie per cominciare a risistemare la sua vita…e che delizioso personaggio entra in casa Opp, Yolanda fresca, giovanissima, attiva e incinta…

Intanto  Kel Keller soffre per la madre malata e alcolizzata, soffre per la sua situazione di non conoscere il  padre, per le decisioni scolastiche che deve prendere,  soffre perchè si sente inadeguato nei confronti dei compagni del liceo prestigioso che frequenta e perchè sente su di se troppa responsabilità.

Ma c’è questo legame con Arthur Opp: sa che la madre vuole che lo rintracci e gli parli per avere consigli sull’università da scegliere. Entriamo nel mondo degli adolescenti e nella loro fatica di crescere, di affrontare la disperazione, di capire quale è la cosa giusta da fare…

 

Una storia intensa, che si legge d’un fiato e che ti fa affezionare soprattutto al gigantesco Arthur Opp che forse infine  riuscirà a scrollarsi di dosso quella pesantezza che l’ha reso prigioniero di se stesso.

 

Liz Moore è una scrittrice e una musicista. Il suo primo romanzo, The words of every song, è apparso nel 2007.

Il suo ultimo album si intitola Backyards. Insegna alla Holy Family University di Philadelphia, dove vive.

 

 

 

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LA COLLINA DEL VENTO di Carmine Abate

pubblicato da: Mirna - 16 Dicembre, 2012 @ 1:53 pm

E’ su una collina rossa di fiori di sulla che Carmine Abate ci porta in questo suo ultimo romanzo, vincitore del Premio Campiello. Una collina umanizzata,  il Rossarco, dove l’anima misteriosa dell’antica Krimisa palpita ancora e si mostra con reticenza soltanto ai suoi proprietari, gli Arcuri.

La protagonista principale è proprio questa  collina amata con passione dalla famiglia Arcuri che vive lavorando la sua terra pietrosa. Se curata sorride e vive, se trascurata si imbruttisce e diventa preda del vento feroce. Collina che diventa per tre generazioni un luogo magico e catalizzatore di vite ed emozioni.

L’io narrante ascolta il lungo racconto del padre ormai vecchio e solo che vuole pareggiare i conti con il passato, con i segreti e i ricordi.  Emergono personaggi delineati a tutto tondo, dai bisnonni forti che hanno acquistato  gran parte del Rossarco, ai nonni legati da una grande passione, al padre Michelangelo che non riesce a staccarsi dalla sua terra calabrese.

Pagine interessanti di storia vera come le ricerche archeologiche del roveretano Paolo Orsi sempre più convinto che Krimisa  si nasconda sotto ulivi e ginestre. Ripercorriamo le tragedie del fascismo e della guerra in un andiriviene narrativo abile e chiaro. Leggiamo di storie d’amore e di amicizia, ma soprattutto ci sentiamo avvolti  dall’abbraccio del vento vigoroso o  dolce profumato  di “ginestra e sambuco in fiore, di origano e liquirizia, di cisto, menta e malva selvatica, che la brezza marina faceva roteare sulla cima della collina come un’aureola invisibile“.  Chi ha sentito questo profumo non può dimenticarlo tanto che  vorrebbe rimanervi sempre immerso come in un grembo materno, confida il padre all’io narrante.

Carmine Abate ci porta dunque tra sensazioni forti, tra i valori fondamentali della nostra società: la terra, la famiglia, il lavoro, l’attaccamento al luogo d’origine che, come Itaca, richiama con il suo canto di sirena chi vi è nato .

Libro dedicato al padre, come promesso e ciò sempre ci riscalda il cuore.

Come le ultime righe  “Ero felice sì. Perchè nel fulgore di quella mattinata finalmente limpida mio padre era ancora vivo e mi aspettava sulla nostra collina per un ultimo abbraccio, il più importante della mia vita.” 

E che emozione ieri sera nella Sala degli Affreschi del Museo Diocesano ascoltare lo stesso autore recitare alcune pagine del suo libro. Emozionante  ripercorrere l’afflato romanzesco della sua storia che è uno struggente canto d’amore per le proprie radici e  gli affetti familiari. “Impegno e affabulazione”: questo è per Carmine Abate il mestiere dello scrivere.

Ci spiega   che la sua è un’arte imparata dai contadini calabresi i cui racconti pieni di “polpa e di ritmo” lo hanno da sempre catturato. Ma gran merito in questa sua capacità di ammaliare raccontando lo deve alla mamma Marisa. Si percepisce l’amore per questo suo libro, accarezzato  e citato quasi a memoria in cui dolce e ruvida poesia si mescola con la realtà storica e quotidiana.

 Serata magica accompagnata dalla chitarra battente di Cataldo Perri, bravissimo cantautore calabrese che si è ispirato alle pagine de  “La collina del vento”  per comporre le stupende canzoni eseguite.

(Incise insieme ad altre in CD)

 

 

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TRENTO DA LEGGERE … a casa o al Libri & Caffè

pubblicato da: Mirna - 14 Dicembre, 2012 @ 12:27 pm

ANGOLO- PAPIRO.

Oggi c’è Chiara Turozzi arrivata in anticipo e che parla con mia figlia Stefania. Tazzè di caffè e cioccolata fra loro, ma soprattutto parole, affinità, condivisione del piacere della lettura e della musica.

E’ freddo, freddissimo, ma potenza dei libri, di chi li legge e di chi li scrive e pubblica come Chiara…ci riscaldiamo all’istante. Siamo in tante, anzi in tanti perchè con noi c’è sempre Riccardo Lucatti,   il nostro impareggiabile scrittore di un blog ormai famoso e trascinante.

Ho già presentato Femminile esorbitante di Chiara, (consiglio di leggerlo)  ma noi le chiediamo ugualmente i motivi della sua scelta, perchè ha voluto scrivere di mille anni del pensiero femminile. Secondo lei nell’editoria mancava qualcosa e lei desiderava e  desidera vedere pubblicati i libri da lei sempre amati. Da ciò è nato il progetto della casa editrice L’Iguana ideato con l’amica Stephania Petriella.

Sfogliamo il suo libro e l’altro fresco di stampa de L’Iguana “Salnitro” di Gloria Zanardo. Io ho già letto le sue pagine intense e leggere, esilaranti e commoventi, racconti di momenti topici di una vita o ricordi incapsulati in una sfera di sogno irrisolto.

Il tempo trascorre in questi brevi spaccati di vite che ci danno talvolta sensazioni di straniamento o epifaniche rilvelazioni di aver vissuto una vita che forse non era la nostra. (“Vivre sa vie”)

Salnitro che lascia il segno sui vecchi muri, come il tempo lascia il segno sulle cose, un segno che però si riannoda al passato e al presente in una rete di  reale vissuto e desiderio di Altro. Indimenticabile il ricordo degli zii Valentini (“L’universo sostenibile di zia Valentina”)  impigliati nella loro avarizia particolare o l’allestimento di un presepe da parte di madre e figlia (“Un presepio come per incanto”)  che in quell’occasione si immergono  in profondità psicologiche e esistenziali.

Libro che si legge con grande piacere questo di  Gloria Zanardo i cui brevi racconti e riflessioni  vanno ben oltre le tre o quattro pagine di ogni racconto  perchè si impigliano nel nostro pensiero, nel nostro vissuto e ci rallegrano, ci commuovono , ci confortano , ci fanno sostare un po’ in questa frenetica corsa – …verso dove?… – forse  in noi stessi?

Oggi il gruppo lettura si è arricchito di una nuova accanite Lettrice, Anna Maria, che ci parla della sua  “relazione” con i libri. Quelli di piccole dimensioni da avere sempre in borsetta per leggere nelle sale d’attesa, in treno ecc. , quelli di scienze naturali, botanica, geologia, i racconti biografici delle donne viaggiatrici come  Annemarie Schwarzenbach, donna dalla vita tormentata, legata a  Erika Mann(v. nel mio archivio “Lei così amata” di Melania  G.Mazzucco)

Sta leggendo Il colosso di Marussi di Henry Miller e  Memorie di una maitresse americana di Nell Kimball ” di cui mi invia un piccolo brano:

“Se guardo indietro alla mia vita (ed è l’unico modo in cui posso guardarla,
oramai), non ci trovo niente di tanto diverso da come la maggior parte della
gente vorrebbe la sua. Cominciai a quindici anni, in una buona casa di Saint
Louis, senza nessun’idea; come tutte le puttane molto giovani, il mio solo scopo
era sfamarmi e avere qualche bel vestito da mettermi, e son finita tenutaria di
bordelli e donna d’affari, ho assunto e comandato ragazze, ho diretto case di
lusso. E mi sono sempre domandata come mai le cose mi siano andate così.
Comunque, posso dire questo: come non ho mai provato nessun rimorso, così non ho
avuto mai nessun rimpianto”.

Anna Maria scrive anche:

“Mi ha fatto molto piacere conoscervi, complimenti per il tuo gruppo e la sintonia che hai saputo creare.
Ho dato un’occhiata al blog, poi ripasso.
Che bella sorpresa trovare la
giovane musicista. 🙂

Per Stefania – “Lo specchio vuoto” di Janwillem Van De
Wetering

Mariarosa è entusiasta del nuovo romanzo di David GrossmanCaduto fuori dal tempo” dove si parla della morte di un figlio e de Il problema Spinoza” di Irvin D. Yalom.  Da leggere assolutamente, ci dice.

Rina è rimasta affascinata dalla vita della ballerina senza braccia che recentemente ha danzato qui a Trento. “Che cosa ti manca per essere felice” di Simona Aztori è sicuramente una spinta a superare le  difficoltà della vita.

Si parla di TerzaniUn altro giro di giostra” amato da Riccardo, di “Ho paura torero di Pedro Lemebel che si trova sul comodino di Chiara Turozzi. Romanzo magnifico, assicura.

Cristina sull’onda di un emozione provata la sera prima ascoltando il concerto dei diversamente abili ci porta un suo vecchio libro di poesie d’amore. L’emozione chiama emozioni. Ci legge alcuni bellissimi versi. Me lo presta ed io a casa lo sfoglio con cura e gioia:  dai lirici greci, ai menestrelli medievali, dal Petrarca al Leopardi,  fino a una mia poesia preferita di Quasimodo

Antico inverno”

Desiderio delle tue mani chiare/ nella penombra della fiamma:/ sapevano di rovere e di rose/ di morte. Antico inverno.

  Cercavano il miglio gli uccelli/ ed erano subito di neve;/così le parole:/ un po’ di sole, una raggera d’angelo, /e poi la nebbia; e gli alberi,/

e noi fatti d’aria al mattino.”

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