Le vita di Irène Némirovsky di O.Philipponnat e P.Lienhardt
pubblicato da: Mirna - 19 Febbraio, 2012 @ 7:20 pm
Quando un autore mi appassiona devo conoscere la sua vita. Quante biografie e autobiografie ho letto!
E che piacere immenso conoscere non solo gli avvenimenti e i pensieri di Virginia Woolf, Katherine Mansfield, Arthur Schnitzler, Sylvia Plath, Proust, Cesare Pavese, ecc. ma apprendere come nascono i   loro libri.
Una narrazione fa necessariamente parte del  Sè, svela la vita dello scrittore, i più intimi pensieri. E se Flaubert si nasconde dietro Emma Bovary, la Némirovsky nei suoi romanzi si svela esplicitamente.
Lei ci racconta ciò che conosce benissimo e  i sentimenti che prova. Il suo mondo è quello dei ricchi banchieri ebrei e non solo,  avidi e senza scrupoli che arrivano dalla Russia post rivoluzionaria e si sistemano a Parigi. Nel suo primo libro, David Golder, romanzo di grande successo sia di critica che di pubblico, Irène sembra parlare di suo padre, il banchiere Léon e di tutto quell’ambiente che da Parigi si sposta spesso  sulla Costa azzurra, mai pago di lusso e piaceri.
 Ha appena 26 anni ed ha appena partorito la sua primogenita Denise quando questo  viene pubblicato nel 1929.
E’ già evidente il disprezzo per la figura materna che sarà   crudelmente esplicito in altri suoi romanzi come L’ennemie, Le bal e Il vino della solitudine.
La sua vita, dice,  è un grande romanzo dalla quale può attingere a grandi mani.
Dai ricordi della prima infanzia a Kiev, città dalla neve senza gelo e di  primavere ridondanti di fiori,e di un ennesimo pogrom  a quelli di Pietroburgo durante “i dieci giorni che cambiarono il mondo” , Iréne nei suoi scritti ci porta attraverso la fuga della sua famiglia attraverso la  Finlandia ed infine a Parigi, nella douce France che lei ama e della quale vorrebbe far parte.
Pensa e scrive in francese, –  perchè dunque le negano sempre la nazionalità ?  – “Beati i francesi” ripete spesso.
Già abbiamo parlato dell’odio verso la madre “assente” egoista, avida di lussi, un odio che dopo la morte del padre  non frequenterà più.Â
Irène scrive tantissimo per  mantenere il livello di vita a cui lei e suo marito Michel sono  abituati.
 Nascono bellissimi racconti e romanzi: da racconti pieni di quella tipica  malinconia russa come Le mosche d”autunno a romanzi dichiaratamente autobiografici come Il vino della solitudine,  organizzzato –  scrive lei nel suo ponderoso taccuino degli appunti - come la  Sinfonia in re minore  di César Franck.
Ed anche il suo ultimo manoscritto che dopo la sua deportazione  rimarrà rinchiuso nella valigia delle figlie fino al 2004 ha un impianto musicale. Dovrà essere una narrazione in cinque  tempi come i movimenti della Suite francese. Ma a noi arriveranno soltanto le prime due parti. Bellissime. Scritte giorno per giorno seguendo l’occupazione tedesca e la fuga di migliaia di ebrei verso il Sud della Francia.
Una biografia interessantissima che ci fa ritrovare gli avvenimenti della nostra storia e ci fa conoscere a fondo una straordinaria figura di donna.
Da non perdere, soprattutto per chi ha già letto alcuni suoi libri.
Adelphi editore
CARLO GOLDONI e le sue commedie
pubblicato da: Mirna - 16 Febbraio, 2012 @ 8:17 am
Tempo di Carnevale e tempo di maschere. Desiderio di essere “altri da noi”, di vivere sfaccettature diverse da ciò che siamo diventati, indulgendo per caso o per scelta su caratteristiche  che forse avremmo voluto assecondare. Ogni volta che ci mascheriamo scegliamo ciò che vorremmo essere….è così?
Qualcuno si ricorda una scelta di travestimento che ha  esaudito tal desiderio?
 Principessa, zingara, fata…Zorro, cow boy… Se qualcuno non ha mai ceduto alle lusinghe delle maschere, qualcun altro invece adora farlo. Come me. Ho cominciato a Munchen tanti anni fa durante il Fasching, il carnevale  che dura tantissimo. Invece di studiare tedesco partecipavo a feste su feste. Che allegria. Da zingara chic, a extraterrestre, da carta da gioco, a principessa della Czarda…
Ora invece “da grande” adoro vestirmi dei panni di cantanti degli anni Venti o delle Kessler! Grazie alla mia partner Maria Teresa… Vi racconterò…
Ma torniamo a ciò che già abbiamo fatto recentemente (v. post di Riccardo)  e cioè alla rappresentazione ridotta di alcuni dialoghi de Il ventaglio …e alla cuffietta di Giannina arrivata fino ad oggi dopo una lontana rappresentazione de La locandiera. 
Perchè amiamo tanto Goldoni? Perchè egli, da acuto osservatore, ci riporta con allegria e sempre con un fondo di ottimismo alla vita ed ai costumi sociali del suo tempo. La sua equilibrata visione della vita e la pacata fiducia nelle virtù operose dell’uomo ci regalano serenità e  conforto.
E il suo teatro realistico, seppur partito dall’imitazione dei modi della Commedia dell’arte, riesce a raggiungere una sua originalità sosituendo agli stereotipi delle maschere la pienezza di vita di personaggi variamente umani inaugurando quella che lui stesso definisce commedia “ dei caratteri”
Quante sue opere abbiamo visto! Da I rusteghi, Sior Todaro Brontolon (ricordo ancora Cesco Baseggio) alla Trilogia, le Femmine puntigliose…quale la vostra preferita?
La sua simpatia, come ci aveva riassunto Maria Teresa, “regista” del nostro  Ventaglio, va sicuramente alla piccola borghesia e ai  popolani operosi, dagli onesti mercanti che amministrano con accortezza le proprie sostanze alla donna fattiva come Mirandolina che vuol rimanere, con innato buon senso,  inserita  nel suo ambiente sociale rifiutando la corte dei vari conti e marchesi.
 Ecco la foto de La locandiera, edizione 1986, con Stefania nella parte di Mirandolina e che indossa la stessa cuffietta di Giannina de Il ventaglio.
Donne di buon senso, pratiche, libere: se Giannina rifiuterà di sposare Coronato, l’oste benestante raccomandatole persino dal Conte,  così Mirandolina  lascia ai suoi pensionanti che la corteggiano l’illusione di cedere, ma ha bene in mente cosa è più saggio fare, cioè impalmare il suo cameriere Fabrizio.
VENIVAMO TUTTE PER MARE, di Julie Otsuka
pubblicato da: Mirna - 13 Febbraio, 2012 @ 3:39 pm Si può ? Sì, se si conosce abbastanza bene la persona,  sì se intuiamo che i suoi gusti di Lettore assomigliano ai nostri. Sì, anche se non siamo sicuri di ciò che gli può piacere… perchè non fargli assaggiare qualcosa che a noi è piaciuto?
 Renata di Recco compirà gli anni fra qualche giorno ed io sono sicura che questo racconto le piacerà . Lei stessa, l’estate scorsa, mi aveva prestato un libro che parlava di una vietnamita, “Riva” di Kim Thui (v. archivio), una profuga che dalla Malesia arriverà in Canadà .
E’ stata come sempre  Camilla a segnalarmi questo straordinario piccolo libro  edito da Bollati Boringhieri nel 2011,perciò alcuni giorni fa l’ho comprato e letto durante un freddo e grigio pomeriggio.
 Scrittura che come dice “The new Yorker” ti ipnotizza nella sua cadenzata ma forte semplicità .Â
 Soltanto una pausa per una tazza di tè e di nuovo mi sono immersa nel racconto corale delle giovani giapponesi che all’inizio del Novecento lasciano la patria per attraversare l’Atlantico e approdare negli Stati Uniti come spose di compatrioti già da anni oltreoceano. Le cosiddette “spose in fotografia”.
Julie Otsuka , nata in California, ora vive a New York, è pittrice e romanziera. Per scrivere questo romanzo ha tratto ispirazione dalle biografie degli immigrati giapponesi, attingendo a  moltissime fonti storiche e racconti.
Il suo linguaggio è veloce, diretto, crudo, ma proprio per questo altamente poetico perchè ti trafigge il profondo del cuore. Come non sentirsi vicino a queste giovani donne che durante la lunga traversata sognano, temono, si fanno domande su ciò che le aspetterà in California? Troveranno eleganti mariti, benestanti e gentili che le faranno dimenticare la fatica di lavorare nei campi di riso, che le faranno diventare ciò che non erano?Â
C’era bisogno di immigrati  nell’agricola California per fare i lavori più duri nelle piantagioni di frutta o come manodopera in generale . Ed è questo che con gelido stupore le neo spose dovranno fare. Nei capitoletti in cui è diviso il romanzo viene raccontata spietatamente e concisamente la loro esperienza. Dalla prima notte con quasi tutti i deludenti mariti all’impatto con i Bianchi razzisti.
Eppure esse lavorano, sanguinano, soffrono, si uccidono. Soltanto qualcuna riesce a trovare un po’ di tranquillità e di benessere.
E poi arrivano i figli, partoriti velocemente nella tenda in cui si riposano dopo ore e ore di lavoro nei campi tra fragole e viti o nel misero alloggio dal pavimento di terra battuta. E intanto queste donne smettono di pettinarsdi, di guardarsi allo specchio , imparano a sopportare tutto e  a non parlare, mentre la loro vita è scandita dal lavoro, dalle erbacce da strappare, dai pavimenti da pulire, dai panni da lavare.
Lentamente si aggregano nella parte chiamata Japantown e forse un po’ di comprensione la troveranno nelle compatriote, un po’ di visibilità tra le stesse sfortunate.
E dopo Pearl Harbour la diffidenza, la persecuzione, l’odio per il Giapponese. Gli uomini vengono portati via, E  tutta la comunità sparirà forse verso lo Utah, forse verso il Nevada…i Bianchi parlano di treni fantasma che vagano per il paese portando lontano, ma dove? …i nemici .
E quella sensazione di invisibilità si concretizza. Un destino comune raccontato proprio per questo in prima persona plurale. Soltano qualche raro sorriso, moltissima sofferenza, delusione, fatica.
 Un’unico tenero legame mai dimenticato è con la Madre, forse la stessa patria, il suo profumo, le sue parole, i suoi usi e costumi, un sottile e tenace nastro di amore e di rimpianto. Nonostante tutto.
LA CAVALCATA DEI MORTI di Fred Vargas
pubblicato da: Mirna - 10 Febbraio, 2012 @ 3:27 pm
E’ inutile. Se si prende in mano un libro della Vargas (sì, Fred Vargas è una donna) non lo si lascia più. Ci ho messo due giorni a leggere le avvincenti 428 pagine di questo giallo dall’impianto solido pur se dipanato su più fronti di investigazioni.
Ma soprattutto vi si aggiunge il piacere di reincontrare i personaggi conosciuti dai lettori della Vargas, il commissario Adamsberg dai ragionamenti nebulosi, il comandante Danglard, encicolpedia vivente, Veyrenc poeta dei Pirenei, il tenente Violette Retancourt donnone solido e attendibile alla quale affidarsi con sicurezza.
Dalla Parigi di omicidi con mollica di pane, di  carbonizzati in Mercedes e alla finale scoperta di un ragazzotto crudele torturatore di piccioni (piccione che verrà curato e salvato) alla Normandia delle leggende medioevali dove nei boschi del paesino di Ordebec, e  dove Adamsberg finirà per indagare morti sospette,  scorazza ogni tanto una temibile Schiera furiosa formata da soldati e dal loro re Hellequin dai capelli biondi, ma dai lineamente in decomposizione.
 Leggenda che la Vargas archeologa e medievista, ci racconta con dovizia di particolari. Dal 1077 questa schiera ogni tanto appare agli abitanti del villaggio più sensibili e naturalmente semina il terrore tra i creduloni perchè  scopo delle sue scorazzate  è quello di  “ghermire” e punire i malvagi.
Come non approfittare per una mente assassina dunque della visione che Lina, una ragazza inquieta – dal bellissimo seno che “ingolosisce” (anzi, come dice lui “irradia”) il  nostro Adamsberg come un kouglof , un dolce al burro e mandorle  - assicura di aver visto? ![kouglof1_ssl[1]](http://www.trentoblog.it/mirnamoretti/wp-content/uploads/2012/02/kouglof1_ssl1-279x300.jpg)
(“Accompagnandola lungo i vicoli, Adamsberg si rese conto che la voglia di mangiarla superava di gran lunga quella di andare a letto con lei. Quella donna gli metteva un appetito smisurato, ricordandogli all’improvviso l’enorme fetta di kouglof, morbido e tiepido con il miele, che aveva divorato da bambino a casa di una zia in Alsazia“)
Poi finalmente Adamsberg la ascolta: lei racconta che  la Schiera  ha ghermito alcuni cattivi abitanti del villaggio che poco dopo saranno trovati  assassinati con alabarde o asce.
 Adamsberg percepisce le cose in maniera diversa dalla maggior parte dei mortali. Lui stesso vede la sua mente come un agglomerato di reti da pesca in cui si mescolano “inestricabilmente l’argento dei pesci, il bruno delle alghe, il bianco delle conchiglie…rendendo impossibile distinguere un elemento dall’altro…”e lui al contrario dei pescatori scarta gli elementi sensati per studiare i residui irrilevanti del suo personale ammasso.Â
E’ così che il commissario parigino soprannomimato “spalatore di nuvole” riesce sempre a trovare la soluzione del mistero. Tra una digressione e l’altra, tra l’interesse per il piccione che si sta ristabilendo e l’affetto provato per la vecchia Lèon, ottantenne che beve Calvados e si fuma un sigaro, il nostro commissario vaga a modo suo tra i personaggi particolari di questo villaggio: il ragazzo che aveva sei dita, quello che crede di essere fatto di argilla e l’altro che mangia gli insetti . E Lina dolce come un kouglof.
Senza paura egli  sosta spesso  di notte e di giorno  tra i boschi accumulando indizi che sembrano irrilevanti e osservando con il suo sguardo spesso indiretto il comportamento di tutti.
Potrebbe sembrare un modo d’agire  strampalato quello di Adamsberg, ma lo è veramente?
Credo che ognuno di noi potrebbe o vorrebbe  essere come lui: lasciarsi trasportare da un’irrazionale logica e da un intuito primordiale, soccombere a una riposante distrazione e aspettare che i pensieri si aggiustino da soli…ma non riusciamo a non lasciarci condizionare dal tracciato  sentiero consolidato dalla nostra razionale civiltà .Â
Che ne dite?
La cavalcata dei morti, ed. Einaudi 2011
TRENTO DA …LEGGERE
pubblicato da: Mirna - 7 Febbraio, 2012 @ 5:31 pm
ANGOLO-PAPIRO nel bar-libreria Libri & Caffè di via Galilei, 5.
Mi è piaciuto chiamarlo così perchè Andrea Mattei ci riserva ogni 15 giorni, il primo e il terzo lunedì di ogni mese alle 17,30, un angolo del suo locale per parlare di libri.
Ieri dunque è ufficialmente iniziato questo esperimento al quale io, lettrice che vuole convincere altre persone a condividere il piacere della lettura, tengo molto. Non solo come ex-insegnante – e i miei alunni ne sanno qualcosa – ma come “missionaria”? Perchè non far provare anche ad altri un grande piacere della vita?
Fortunatamente di libri se ne parla tanto attualmente, c’è persino in questi giorni una Pubblicità Progresso ed oltre a giornali e riviste c’è anche  la splendida trasmissione di Radio 3 , Fahrenheit, che ogni pomeriggio ci suggerisce nuovi titoli, intervista autori, ci legge brani. Come oggi, per esempio, giornata dedicata interamente a pagine di Charles Dickens di cui cade il bicentenario della nascita.
Parlare di libri si può fare ovunque. E come già scritto io trovo simpatico farlo, oltre che nei salotti privati, anche in un caffè.
Ebbene ieri ci siamo riunite, con alcuni libri sul tavolino,  in cinque signore. Interessate, entusiaste, felici.  Volevo parlare della
 Némirovsky. Il suo ultimo libro “Il signore delle anime” mi ha colpito molto per la sua storia avvincente ed amara. Il suo personaggio Asfar, il prototipo del méteque, dell’ebreo errante, del migrante è sempre ancor oggi attuale. Persino il nostro libraio Andrea è intervenuto colpito da questo libro in cui si parla degli immigrati sradicati che non riescono quasi mai a relazionarsi completamente con gli abitanti del paese ospitante. Poi mi ha mostrato la biografia della scrittrice edita da Adelphy “La vita di Irène Némirovsky” scritta da Olivier Philipponnat, Patrick Lienhardt.
La “divorerò”.
Se Maria Grazia ed Enza conoscono bene l’autrice grazie soprattutto al grande successo di “Suite francese” ,Daria e Maria Bona non l’hanno mai letta . Ma lo faranno subito.
Ma quali libri stanno leggendo o hanno appena finito di leggere ? Maria Grazia ci rivela che sta leggendo le Elegie Duinesi di Rainer Maria Rilke, in lingua originale ovviamente, lei è una giovane professoressa di tedesco ed ama la poesia. Parallelamente si diletta con “Elogio dell’imperfezione” di Rita Levi Montalcini e “La grande festa“, autobiografia di Dacia Maraini.
E’ così interessante scandagliare i gusti diversi di noi lettori, trarne impressioni o spinte per curiosare tra pagine di libri che forse non si sarebbero mai guardati.
Daria ci parla di un lungo romanzo, dimenticato nel suo scaffale di casa,di una certa Goliarda Sapienza, “L’arte della gioia”. E’ la vita intera di una siciliana che da poverissima diventerà principessa. Le prime parti , spiega, sono forse pesanti, ma sempre interessanti perchè la vita di questa ragazza percorre la nostra storia italiana dal 1900 al 1960. Ma i gusti di Daria, amante della montagna e grande viaggiatrice, sono diretti verso libri per me sconosciuti. Ci parla di Giovanni Pacher che racconta in “Bestia e sapone” la storia di un soldato di Roncegno. Questo piacerebbe moltissimo al mio ex. alunno Luigi! Altro titolo : “Col mulo in Etiopia”.
Anche Enza è una grande viaggiatrice perciò in previsione di un viaggio in Cina ha  pronti da leggere “La porta proibita” di Terzani e “L’Impero di Cindia“ (corretto!) di Rampini. E innamorata com’è  dell’India ci suggerisce il famoso “Il dio delle piccole cose”. Ma in questi giorni ha un impellente desiderio di Matilde Serao e non trovando più “Il ventre di Napoli” si è accontentata di “Addio amore mio”.
Ah, ricordo quanti suoi romanzi lessi da ragazzina. Sarebbe bello risfogliarli.
E Maria Bona? Beh, lei suona benissimo il pianoforte perciò le sue preferenze vanno alle biografie dei musicisti. Ora sta leggendo “La vita di Schumann”. E poi…simpaticamente ci ha rivelato che soffrendo un po’ di mal di schiena è immersa nel manuale “Esercizi fisioterapici”. Ma ha preso nota dei titoli dei romanzi della Némirovsky.
Intanto mentre il barman Vladimir ci portava caffè e ci scattava la foto io soddisfatta pensavo che “un libro tira l’altro”.
A MENO CHE di Carol Shield
pubblicato da: Mirna - 5 Febbraio, 2012 @ 5:54 pm
La storia ruota intorno a Norah che appena diciottenne decide all’improvviso di vivere all’angolo di due strade di Toronto. Sta seduta senza parlare con un cartello appeso al collo con su scritto BONTA’.
Possiamo immaginare quello che può provare una madre? In questo splendido romanzo di Carol Shield seguiamo passo passo l’angoscia e tutta l’esistenza della madre  Reta Winters, l’io narrante.Â
 “Sono entrata da poco nella maturità e ho una figlia che vive per strada.”Â
Ecco le considerazioni di Reta che si sentiva serena della sua famiglia unita, della sua bella  casa, della sua carriere di traduttrice e scrittrice.
Capitolo dopo capitolo non entriamo solo nei personaggi, ma nella Vita che appartiene a tutti, che ci confonde, ci rallegra, ci angoscia.
Le domande che Reta si pone per capire la fuga della figlia vanno da analisi approfondite su di sè e le probabili manchevolezze di madre ad accuse alla società maschilista che percepisce pesantemente anche nel mondo della cultura. Si chiede se anche Norah ha percepito di appartenere all’altrà metà dell’umanità : quella che nei secoli non ha mai avuto voce, quella che per salvarsi fugge dentro di sè.
Danielle Westerman, la scrittrice femminista di cui Reta sta traducendo la biografia le dice che forse Norah si è rifugiata dove si rifugiano tutte le donne senza potere, nella totale passività . Non facendo nulla per chiedere tutto.
Ma Reta ripercorrendo la sua vita di madre  ripensa a quella sua seria e riflessiva bambina, ai suoi sentimenti di amore per il Tutto, alla quale sembrava troppo poco amare i genitori, le due sorelle, il suo ragazzo. Forse nel suo desiderio di trovare l’Assoluto, in un eccesso di vita e gratitudine per la Bellezza e la Ricchezza dell’universo si è sentita incapace di reggere tale grandezza. Forse se ne sente esclusa, come se non fosse stata invitata.
Intanto Reta prosegue il suo romanzo, parla di sè come  della scrittrice che scrive di essere scrittrice in una sorta di vortice di esperienze di vita che risucchiano e centrifugano emozioni, pensieri, speranze, dolore.
Frammenti di vita di coppia, di ricordi d’infanzia, di tenerezze con le figlie di tale struggente intensità che ti senti coinvolta in questo dramma e vuoi sapere, sapere. E leggi fintanto che la luce del pomeriggio non si spegne, ma poi sai che leggerai anche a letto.
E’ questo un libro edito dal Ponte alle Grazie nel 2003. Da leggere assolutamente, cercatelo in Biblioteca come ho fatto io.
Mi sono ritrovata completamente in questa donna che si interroga punto per punto su quella sorta di inquietudine che serpeggia più o meno  invisibile in noi , dalle piccole quotidianità , al rapporto con gli altri, al nostro essere Donna.
A meno che, Unless, “è la voce dell’inquietudine: la senti appena, eppure tutto dipende da questo sussurro: A meno che: è la congiunzione inerte che porti con te, come una pietruzza nella piega di una tasca. Sempre presente, o assente. “
Â
TRA UN LIBRO E L’ALTRO
pubblicato da: Mirna - 2 Febbraio, 2012 @ 9:02 amTra una lettura e l’altra, tra un post sui libri letti ed apprezzati e l’ascolto di consigli di diversi tipi di lettori - e presto anche incontri in un caffè-libreria –  che cosa mi piace fortemente? La storia dell’arte.
Visitare una mostra è un’esperienza totalizzante, “entro ” nei quadri che mi piacciono e mi aggiro tra i loro colori, i prati, gli ambienti privati. Naturalmente adoro Vermeer e la luce delle sue case olandesi o  della famosa Veduta di Delft amata da Proust, e poi attraverso i secoli arrivo a “gironzolare” nei giardini magici di Giverny con Monet e i suoi colleghi impressionisti. E che dire di Van Gogh?  In cucina (dalle pareti gialle ) ho un poster sul famoso caffè giallo di Arles dove per ben due volte “costrinsi” mio marito a sedersi con me e mangiare (cibo pessimo), per poter “entrare dentro il quadro” sotto la notte stellata estiva.
L’arte contemporanea mi è molto meno familiare, come faccio ad entrare nei tagli di Fontana o nelle teche che contengono animali spezzati conservati in formaldeide?
 Già il libro di Mauro Covacich  di cui vi ho parlato giorni fa mi spiega qualcosa, ma ancor di più sto capendo ed imparando come appprezzare l’arte contemporanea seguendo le lezioni che l’esperta  Giovanna Nicoletti tiene all’Università della Terza età . Chiarissima, appassionata l’altro giorno mi ha fatto amare David Hockney, settancinquenne che sta dipingendo usando la tecnologia dell’I-pad. Poi naturalmente tutto viene trasposto su tela o su tele piccole avvicinate come pezzi di un puzzle. David Hockney è felice dei supporti digitali perchè può creare sempre e ovunque e tutto ciò che è elettronica, tecnologia computeristica avanzata lo mette di buon umore. Insomma su una lavagnetta digitale egli disegna e colora direttamente con la punta delle dita.
I suoi quadri sono coloratissimi, influenzati dalla pop art e dal cromatismo della sua vena fauve.
In queste lezioni di Giovanna Nicoletti su “la storia dell’arte contemporanea : la natura dell’esperienza” si è partiti dal concetto di Bellezza come Verità ricordando Keats e la sua “Ode davanti a un urna greca“. Un oggetto di uso comune valutato già come opera d’arte. Perchè l’arte può occupare altri spazi, può essere influenzata dalla filosofia, dalla psicoanalisi, perchè c’è sempre una ricerca per poter esprimere la realtà .
Se Malevic nel 1919 ci dà un quadrato bianco su un tela bianca e  ci fa intendere di aver tratto l’essenzialità della realtà , Damien Hirst il più famoso e ricco artista vivente ci dà degli scossoni. Nel suo caso l’arte è la sua originalità nel vedere e trapassare la realtà , e senza essere un bravo pittore, come è invece Hockney, ci fornisce operazione smascheranti lo stesso sistema dell’arte. L’artista, ed ecco perchè è un artista, ci sollecita a riflessioni giganti, universali. Nelle sue teche che conservano tranci di squali o di ovini scopriamo che non sappiamo perchè si muore, ma possiamo vedere come si muore. Insomma ed ecco i punti chiave del suo messaggio artistico forte … interno, interiora , interiorità .
Famoso di Damien Hirst è il teschio ricoperto di diamanti Svarosky nel quale ritroviamo secoli di pittura sul memento mori, ma qui tradotto per l’era contemporanea consumisticia e alla moda!
Nel nostro mondo di contraddizioni, di fragilità estreme, di violenze gratuite, di desiderio di pace o di trasgressioni individualistiche che cosa meglio dell’Arte può tradurre questo nostro nervoso e ansioso vivere?
TRENTO DA …LEGGERE
pubblicato da: Mirna - 31 Gennaio, 2012 @ 6:09 pm
Leggere è uno dei massimi piaceri per me, non solo perchè si entra in un’altra vita o in altri pensieri, ma perchè l’esperienza emotiva e conoscitiva che si  prova ci arricchisce enormemente.
 Normalmente è un’attività da vivere in tranquillità distesi su un divano o sul letto, seduti sotto un albero o in spiaggia, ma tutti quei momenti intensi di emozioni e di epifanie si amplieranno se poi verranno rivissuti e  condivisi.
 Ecco perchè da sempre mi piace scrivere di ciò che leggo, per ricordare e  per assaporare meglio l’esperienza. E mi piace farlo da letttrice comune –  come sono -, non da critico proprio per lasciare intatta la mia intuizione, la mia libertà di giudicare.
 Amo molto condividere, come in questo Blog, le mie impressioni. Confrontare i gusti, le affinità o le discordanze sollecita riflessioni profonde.  E’ ciò che avviene anche nei numerosi  Circoli letterari tra gruppi di persone che si aggregano o disgregano nel parlare di un libro o di un autore.  Ne ho grande esperienza. Generalmente ci si incontra a casa di amici o in Biblioteca.
 Ma Trento ci offre un’altra possibilità . Parlare di letture e bere un caffè, una cioccolata …circondati da scaffali pieni di libri da aprire, annusare, sfogliare…
Dove? Al Libri & Caffè di via Galilei, 5. 
E’ dove invito coloro che si affacciano alla Trento Blog.
Lunedì 6 febbraio alle 17,30 … nell’Angolo-Papiro, come mi piace chiamarlo, per c0nfrontare le nostre letture.
Incontri quindicinali, il primo e il terzo lunedì del mese.
Mi piace pensare al Papiro non solo come alla pianta che ci ha dato la possiblità di scrivere più facilmente, ma alla pianta che costeggia fiumi tranquilli come il Nilo e  il Giordano. Quella tranquillità piacevole che avanza ad ondate più o meno piene come  un incontro di Lettori può suscitare.
Ricordo ancora vivamente  l’immenso piacere provato  a Ithaca, nello stato di N.Y, quando  dopo un sostanzioso brunch in una caffetteria-libreria, mi sedetti  su una poltroncina e presi dallo scaffale La vita di Ted Hughes, il poeta marito di Sylvia Plath! Ne parlai subito con Stefania e Gary.
 E fra me e me dicevo “Perchè non c’è qualcosa di simile anche a Trento? ”
 Ebbene c’è. L’altra mattina mentre mi  accordavo con il libraio Andrea Mattei ho apprezzato ancora una volta il suo spazio dove  il profumo dell’espresso  aleggiava intorno e dove  alcuni clienti leggevano il giornale mentre  altri cercavano le ultime novità tra gli scaffali.
Ecco mi piacerebbe, in questi pomeriggi invernali che fortunatamente si stanno allungando, ritrovarmi  con altri lettori  per raccontare dei “miei” libri ed ascoltare degli “altri”.
Rimaniamo dunque in qualsiasi modo ancorati all’amore per la Lettura, questa passione che ci strugge di emozioni, ci rafforza di consigli e d’identificazioni, che ci fa percepire che siamo vivi e palpitanti!
IL SIGNORE DELLE ANIME di Irène Némirovsky
pubblicato da: Mirna - 27 Gennaio, 2012 @ 9:58 am
Ricordare la Némirovsky oggi, 27 gennaio, mi sembra doveroso. E’ la Nèmirovsky  uno dei tanti milioni di esseri umani uccisi da esseri che avevano perso la loro umanità .
E’ il giorno della Shoa, che non dobbiamo dimenticare.
Proprio ieri, tornando da Padova con il trenino della Valsugana che attraversava paesaggi ancora invernali ho finito di leggere il suo ultimo romanzo, questo splendido “Il signore delle anime”. Accanto a me un’altra passeggera leggeva “Suite francese”.
Un titolo particolare per raccontare di un medico levantino che vuole riscattare le sue umili origini , la sua fame e povertà di generazioni e generazioni di stranieri reietti  ed entrare in quel mondo fasullo, avido, ipocrita della Parigi degli anni tra le due guerre.Â
 Il dottor Dario Asfar diventa una sorta di psicoanalista che con ricatti morali, disonestà , imbrogli entrerà a far parte di quel mondo che lui vede come il traguardo dovuto agli emarginati di sempre.
Ma non trova la felicità buttandosi come fanno  tanti personaggi della Némirovsky nell”ambiente dominato dai beni materiali, e nel fondo del suo animo oscuro rimarrà sempre la traccia dolorosa  di un’ineffabile desiderio di purezza, anch’esso simbolo di superiorità a lui negata per destino.
Quanti personaggi simili Irène Némirowsky ci ha descritto,  da David Golder ai suoi stessi genitori raccontati questi ultimi  con dolore ed amarezza ne “Il vino della solitudine”.Â
Questa scrittrice nata nel 1903 a Kiev ha scritto tantissimo durante la sua breve vita! Quale rifugio e consolazione  sarà  stata per lei la scrittura!
 Fuggita dopo la rivoluzione del 1917 in Finlandia e poi a Parigi ha potuto descrivere con acutezza il mondo intorno a sè. E’ lei stessa “una signora delle anime” che senza eccedere nel giudizio morale “fotografa”  spietatamente il  mondo dorato e fasullo  in cui vive.Â
Ha solo 39 anni nel 1942 quando morirà nel campo di concentramento di Auschwitz
Anni dopo le sue due figlie scopriranno in una valigia altri suoi romanzi.
E da pochi anni finalmente la Adelphi ha iniziato a pubblicarli.
Questo “Il signore delle anime” è l’ultimo.![arton16957-afca1[1]](http://www.trentoblog.it/mirnamoretti/wp-content/uploads/2012/01/arton16957-afca11.jpg)
Ma i lettori appassionati conosceranno tanti altri titoli, da Il ballo, Due I doni della vita, Jezabel…in questo mio blog ne appaiono parecchi. Basta cercarli nell’archivio che contiene più di settecento consigli di lettura.
P.S.
Notevole la postfazione di Olivier Philipponnat e Patrick Lienhardt “La dannazione del dottor Asfar”
I RICORDI MI GUARDANO di Tomas Transtromer
pubblicato da: Mirna - 23 Gennaio, 2012 @ 8:01 am
Nella sua  ultima raccolta di poesie “Il grande mistero“ del 2004, Tomas Transtromer , Nobel per la letteratura 2011, approda inevitabilmente alla scarna  linearità degli haiku.
La sua ricerca dell’essenzialità  ci regala così  significati concentrati, densi . I suoi haiku non sono mere pennellate o tagli di un improvvisato pittore che non sa fare altro, sono i  segni e i colori  di chi sa dipingere anche una Cappella Sistina. Similitudini e metafore sono le figure retoriche per eccellenza che nell’anima svedese di Transtromer sembrano ancora più incisive.
Scorre la notte / da est a ovest svelta / come la luna.
La morte si china / e scrive sulla superficie del mare. /La chiesa oro respira
Sento il mormorio della pioggia. / Io sussurro un segreto /Â per entrarvi dentro.
 E poi dopo la scrittura …il silenzio. Si è entrati per un attimo in un profondo afflato con se stessi e con l’universo.
Ma come si è formato il Transtromer poeta che ci offre nelle poesie la sua anima svedese talvolta nitida, fredda, brulla come il paesaggio della sua terra?Â
 In questo libretto azzurro ci  racconta di sè bambino , di sè  adolescente timoroso del buio in attesa del sole, della luce che riuscirà alfine a  raggiungere attraverso la poesia .
E’ veloce ed  essenziale questa sua breve autobiografia “I ricordi mi guardano” (ed.Iperborea) dove egli si presenta spiegando che vede la sua vita, alla soglia dei 60 anni   come una stella cometa.
“La mia vita” : quando penso a queste parole mi vedo davanti una scia di luce. Vedo una stella cometa” La testa è la più luminosa, è l’infanzia, è l’adolescenza”
Sono i primissimi anni in cui vengono decisi i tratti fondamentali della nostra esistenza. Non è così per tutti ? Poi la coda si fa più rarefatta, si dirada.
Ed allora si ritorna indietro ai ricordi importanti, basilari, salienti, quelli belli e significativi come la passione per l’entomologia, la geografia, la natura , la MUSICA  e i LIBRI.
O a quelli  angosciosi, quando ad appena quattro anni  “perde” la mano della mamma e si ritrova a vagare solo per la città , o il divorzio dei genitori, i ragazzi prepotenti della scuola, una grande depressione a 15 anni nello scoprire il potere delle malattie e della morte.
Questi ricordi ci vengono descritti con la precisione dell’entomologo, ma improvvisamente, nel rammentare un compagno di scuola morto prematuramente ecco emergere  il poeta : “Di Palle che è morto quarantacinque anni fa senza diventare adulto, mi sento coetaneo….ma dentro di me porto tutti i volti passati come un albero i suoi cerchi. La loro somma sono io.”
Transtromer si laurea in psicologia e lavora nelle carceri minorili e in scuole per giovani disadattati, ma inizia a scrivere poesie molto presto. A 23 anni pubblica la sua prima raccolta. “17 dikter”
I suoi versi sono attraversati  dalle antiche tradizioni vichinghe , dai classici greci e latini, dalle saghe nordiche,  ma poi l’infinitamente grande viene compresso nell’infinitamente piccolo, nella miniatura dell’haiku giapponese dove viene racchiuso il sunto del suo pensiero poetico
Proprio qui il sole ardeva…/un albero dalla vela nera / di troppo tempo fa.
Lo stesso mondo che noi vediamo ci viene scomposto, rimodellato, affilato come su una lama di un rasoio al limite tra il mondo esteriore e interiore.
Sia nelle sue poesie che ci guidano nella ricerca  dell’abisso inesplorato del suo Io sia nella sua unica breve opera narrativa, I ricordi mi guardano,  Transtromer si rivela uno scienziato, uno scienziato dell’anima che conduce anche noi lettori nel nostro profondo.
 E durante o dopo ogni lettura nuovi interrogativi, nuove riflressioni sorgono in noi : come vediamo la nostra vita passata, possiamo definirla “una scia di luce” come la percepisce Transtromer?
Qualche tempo fa chiedevo alle mie amiche di definire la propria vita con una metafora: qualcuna parlava di croce di ferro, altri di una nube non ben definita , chi  di un fuoco, io avevo visualizzato un cesto di nastri colorati, che all’accorrenza potevano alzarzi in volo come un aquilone…
E voi?




















