"E se poi prende il vizio?" di Alessandra Bortolotti

pubblicato da: admin - 10 Novembre, 2011 @ 9:00 am
se-prende-il-vizio[1]Mi fa molto piacere lasciare spazio a Valentina, mamma di Sara.
Credo che a tutti noi – mamme in attesa, nonni, genitori o zii “acquisiti” per affetto –  interessi conoscere come crescere e amare al meglio  i nostri “cuccioli”.
 
“Cara Mirna,
so che il blog si sta avviando alla conclusione, e non so se il libro di cui vorrei parlare susciterà l’interesse delle persone che frequentano il blog, ma ne sono rimasta così favorevolmente colpita che non posso fare a meno di scrivertene.
Si tratta di “E se poi prende il vizio? Pregiudizi culturali e bisogni irrinunciabili dei nostri bambini” di Alessandra Bortolotti, psicologa perinatale.
È l’ennesimo libro sui bambini che ho letto ma mi ha colpita molto di più degli altri.
Riassumendo molto:
l’autrice espone, anche con argomentazioni scientifiche, i vantaggi del massimo contatto mamma-bambino: per esempio dal punto di vista dell’allattamento; del sonno condiviso; del ‘portare’, inteso come tenere in braccio anche e soprattutto utilizzando supporti quali fasce e loro similari, che permettono al bambino di stare vicino alla mamma, e alla mamma di muoversi e fare le cose di tutti i giorni senza avere le braccia ‘occupate’ dal pargolo. Insomma sfata il mito che coccolare tanto i bambini, e dare loro le cosiddette cure prossimali, porti a viziarli. I bambini crescono, e pian piano da soli si staccheranno dalla mamma, con i loro tempi e i loro modi. I bambini hanno bisogno della vicinanza della mamma (e del papà!): un bisogno soffocato prima o poi si ripresenterà; un bisogno soddisfatto verrà ‘archiviato’ con serenità e non tornerà più.
L’autrice però non critica chi adotta soluzioni diverse da quelle improntate al massimo contatto, e sostiene fermamente che per ogni aspetto della vita con un neonato, e con un bambino piccolo in generale, la soluzione migliore è quella dettata dall’istinto della mamma, a dispetto di tutti i luoghi comuni e le dicerie. La soluzione migliore è quella che fa stare bene il bambino e la sua famiglia.
Quindi secondo me il pregio ed il bello di questo libro è che appunto aiuta a restituire alle mamme la naturalezza del proprio istinto, e la sicurezza che, seguendolo, troveranno sempre la strada giusta. L’istinto di una mamma oggi può essere soffocato come dicevo da commenti (spesso fatti in buona fede, ma non sempre… e spesso non richiesti) al proprio modo di essere mamma, dalla cultura del ‘tutto e subito’, dalla fretta, dalla solitudine e dalla ricerca di sostegno in appigli poco solidi, da modelli innaturali imposti dalla necessità delle grandi marche di farci comprare di tutto e di più, dalle pubblicità irreali in cui si vedono mamme improbabili e lontane anni luce dalla vita vera… Ma quello che una mamma sente nel suo cuore, ecco, quella è la cosa giusta da fare insieme al proprio bambino. E se si è consapevoli del proprio valore, della giustezza del proprio sentire, anche altri ‘problemi’ o ostacoli quotidiani, diversi da quelli affrontati nel libro e apparentemente insormontabili, forse possono essere superati con minori difficoltà.
Paradossalmente, le mamme non dovrebbero aver bisogno di un libro come questo!!! Invece ne hanno bisogno eccome, e per me è stato un enorme piacere leggerlo. Speriamo di avere l’autrice a Lavis per una presentazione del volume in primavera alla libreria ‘La pulce d’acqua’. Vi terrò informati, magari a qualcuno interesserà…
Un abbraccio,
Valentina “

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ANATOMIA DI UNA SCOMPARSA di Hisham Matar

pubblicato da: admin - 4 Novembre, 2011 @ 10:27 am

scansione0001Di che cosa parla questo bellissimo romanzo edito dalla Mondadori?

 Di un viaggio interiore alla ricerca dei propri genitori, e soprattutto del padre.

Le tessere che mancano alla nostra vita per essere completa sono sempre quelle relative alla famiglia d’origine. E’ necessario per la propria identità rintracciare la parte misteriosa del sè legata ai propri genitori.

Hisham Matar con un linguaggio evocativo e nostalgico ci porta nella sua terra dell’infanzia:l’Egitto e non solo.

Il racconto inizia proprio in una località turistica vicino ad Alessandria e precisamente ai bordi di una piscina circondata da piastrelle che evocano quelle dell’Alahmbra di Granada. La trama si snoda attraverso l’amore per Mona che  pian piano però sbiadisce nella ricerca emotiva dell’inafferabilità di un padre misterioso e sfuggente.

Nuri, la voce narrante, ha un inesauribile bisogno d’affetto e di attenzione. La bellissima madre morta suicida gli acuisce la sensibilità.  Il vuoto lo stritola.

Il percorso verso l’accettazione della sua vita e il dirimersi degli interrogativi è arduo. Ma occorre sempre conoscersi e capire ciò che è accaduto.

Ed allora ecco il dipanarsi dei ricordi: la madre che un tempo era raggiante “come appena scesa da una giostra” , ma che negli ultimi anni era  invece terribilmente infelice e rinchiusa in “un proprio paese”, e poi il padre infedele, lontano, che sposa Mona e poi  scompare drammaticamente…

Le similitudini cher  Matar ci regala sono veramente poetiche e tutto ciò che ci racconta sembra universale: la potenza che gli affetti primigeni hanno sulla nostra storia…

Siete d’accordo?

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NON VOGLIO IL SILENZIO e altri libri

pubblicato da: admin - 1 Novembre, 2011 @ 10:30 am

 Ecco le ultime letture di Riccardo alle quali, a breve, seguiranno le mie

Prima della chiusura del Blog siete invitati, se avete voglia, a scrivere quale libro state leggendo giusto per terminare in un …crescendo di consigli…

  Scrive Riccardo: 

Patrik Fogli, Ferruccio Pinotti

Non voglio il silenzio  Il romanzo delle stragi

Ed. PIEMME

 Denaro, mafia, potere politico, …. quante volte ne siamo stati informati dai media, quanti libri al riguardo abbiamo trovato sui banconi del libraio … Io ormai li rifuggo come un déjà vu. Infatti, schon katholische, già convertito, recita un efficace modo di dire tedesco, cioè già convinto della cosa … Eppure questo volume (già, perché si trtta di oltre 500 pagine) mi ha attratto. Innanzi tutto gli autori, un ingegnere elettronico (?) ed un giornalista, entrambi scrittori, ovviamente. Poi, prima dell’acquisto, l’ho aperto, sfogliandolo e leggendone qua e là alcuni passaggi … La prosa è articolata, le “scene” (più che capitoli sono tali, infatti, le singole componenti) rimbalzano il lettore su diversi piani: familiare; professionale; della coscienza interiore di ognuno; del bisogno di conoscere la verità; della pericolosità della sua scoperta, quasi come il folle volo dantesco di Ulisse oltre le colonne d’Ercole, “simbolo di ogni viaggio che, se inteso come percorso conoscitivo, è sempre potenzialmente pericoloso, perché avventura verso l’ignoto”. E l’ignoto è ciò che esiste solo in quanto resta tale, al pari dei servizi segreti italiani, i quali, secondo il testo de quo, non possono mai essere “deviati” perché, essendo “segreti” non possono mai essere verificati come tali. Segreti, appunto. “Segui il denaro” … “nessuno si può arricchire in tal modo …..nè manovrare tanto denaro se non è collegato con i poteri forti d’ogni tipo “. Situazioni attualissime, Palermo e Milano … solo alcuni nomi sono diversi. Licenza poetica, pare. In questa sequela, giornalisti padre e figlio ed un magistrato si muovono all’interno di un percorso fatto di domande formulate solo a metà, di risposte non date ma che valgono in quanto tali, di intuizioni che conducono alla “verità vera” ma mai potrebbero condurre alla “verità giudiziaria”, dialoghi che presuppongono, nella realtà che rappresentano, la capacità di leggere un mondo non scritto ma pericolosamente intuito. Questa lettura, per certi aspetti, mi ha richiamato alla mente alcuni passaggi della mia vita, allorquando io, che non sono un politico (ma vado a votare, non mi fraintendete!) ho assistito ad alcune riunioni di “politici”. Ogni volta mi sono detto: questa volta stai attento, cerca di capire il significato del loro discorso, cerca di cogliere la sostanza dei ragionamenti, dove vogliono andare a parare … bè … il più delle volte ne sono uscito deluso, sia di chi non si esprime con la necessaria chiarezza, sia soprattutto di me stesso, che dopo tanti studi, laurea, esperienze lavorative e di vita, letture, confronti etc., non riuscivo a venire a capo di alcunché, perchè io sono rimasto al 2 + 2 fa 4 ed anche velocemente. Non che non si capisca il romanzo, anzi … il fatto è che esso descrive fatti di cronaca e della nostra storia recente assolutamente veri, (al centro le stragi, ad iniziare da quelle di Falcone e Borsellino) interpretati tuttavia alla luce di comportamenti delle due parti in causa, e cioè della legge e di ciò che è “fuori legge” che mai avreste pensato che avrebbero potuto essere analizzati e quindi, alla fine, svelati (o intuiti) nella loro brutale verità potenziale (o forse, quel che sarebbe peggio, reale!?). Un pentito confessa. Ma sarò vero o lo ha mandato “Picone”? La sua è la “verità vera” o solo “espediente per chiudere le indagini”? Come si fa a distinguere “voci di corridoio, pettegolezzi” da “fatti accertati”? L’ “accettare di partecipare ad una trattativa con la mafia” (atteggiamento colpevole, attivo) dal “trovarvisi coinvolto” (atteggiamento quasi incolpevole, passivo)? La “fuga di notizie” da “informazione attendibile”? La “trattativa” dalla “indagine”? La “trattativa” da “colloqui investigativi”? La ricerca della “giustizia comunque” dal “perseguimento solo di quei reati che a proprio giudizio danneggiano il bene comune”? Il “combattere” Cosa Nostra dal “convivere” con Cosa nostra? La “ricerca del bene” da quella del “minor male possibile”? Il “segreto al servizio della verità vera” dal “segreto al servizio dei depistaggi, della collusione, delle bombe”? A pensar male … Il fatto è che il mondo è piccolo. Il nostro poi, quello del nostro Paese, addirittura minuscolo. In tre passaggi, dice taluno, arrivi al Papa. Vai dal tuo parroco, lui ti presenta al suo Vescovo ed è fatta. Allo stesso modo non dobbiamo credere che gli improvvisi arricchimenti, le stragi, le incongruenze del sistema legislativo, gli scandali d’ogni tipo siano rara avis che svolazzano spontaneamente all’interno di una foresta misteriosa al pari di quella salgariana. Non è così. Solo che la mente della maggior parte della popolazione si muove su di un piano diverso, lontano mille miglia dalle foreste di quel tipo. L’altro giorno ho chiesto alla nostra colf quanto pensasse che era fosse l’enorme (proprio così, io dissi enorme, smisurata) indennità di buonuscita recentemente elargita ad un banchiere, invitandola a dire una cifra assolutamente esagerata. “100.000 euro”, mi ha detto. In realtà sono stati 42 milioni di euro. Vedete che poi tutti i torti non li ho? Prossimo libro che leggerò da questa sera: “Non tutti i bastardi sono di Vienna”, primo romanzo di Andrea Molesini (Sellerio). 

* * *

Aldo Cazzullo

 

La mia anima è dovunque tu sia Mondadori

 

Libri con capitoli corti. Avevo iniziato ad apprezzarli con “Il quinto giorno” di Schaetzing (che ho commentato sul blog e che vi suggerisco). Poi mi sono imbattuto in “La vita accanto” della Veladiano. Oggi in poche ore ho letto Cazzullo: ne ho sentito parlare a “Che tempo che fa” e siccome stimo Fabio Fazio, l’ho acquistato. Ora, se i capitoli corti ti aiutano a non perderti in un thriller di oltre 1000 pagine (Schaetzing), va bene. Negli altri casi occorre che siano “compensati” da altre qualità, molte, peraltro, quali ho riscontrato nella Veladiano, che non commento lasciandola alle mie amiche “al femminile” del blog, ben più sensibili e quindi soprattutto in questo caso assai più adatte alla bisogna di quanto non possa essere io. Nel caso di Cazzullo … più storie, un tesoro, un amore dolcissimo ed intenso, fascisti e partigiani, i nuovi industriali del dopoguerra vinicolo (Alba e dintorni), due delitti, un accenno al sesso, un accenno ad un papa che era stato in Germania e tutto sommato “preferiva i neri ai rossi” e ad un vescovo che aveva vissuto i drammi della guerra partigiana e che tutto sommato “preferiva i rossi ai neri”, un prete. Tutto molto tratteggiato, tal che il libro si legge, come dicevo, in pochissimo tempo. Una malalingua potrebbe dire che ricorda quando da bambini scrivevamo largo per riempire più facciate del tema in classe che stavamo componendo. Ma questa è solo una battuta, una qualunquisticheria (che brutto neologismo … l’ho appena inventato io, scusate… o esisteva già?). Il racconto ci offre molti spunti di riflessione, soprattutto se prima leggete la presentazione sul rovescio di copertina. Il romanzo viene di certo maggiormente apprezzato da gente del nord, da Piemontesi, da abitanti delle Langhe … di Alba, poi non ne parliamo nemmeno, Alba città nella quale nel 1966 è nato l’autore. Non per niente in una paginetta, una dedica: l’Autore riporta un breve brano da Il partigiano Johnny di Beppe Fenoglio, non a caso dicevo. E’ anche un giallo, visto come finisce (non andate a leggere la fine, mi raccomando!). E a proposito di gialli, con l’occasione chiedo un aiuto a tutti. Io apprezzo moltissimo quelli di Ambler. Il problema è che li ho letti tutti. Chi mi sa suggerire autori “simili”? Grazie e buona lettura a tutti.

 

Riccardo

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L'ETA' DI MEZZO di Joyce Carol Oates

pubblicato da: admin - 24 Ottobre, 2011 @ 9:55 am

scansione0004Una Oates d’annata. Pubblicato nel 2003 da mondadori. da cercare in biblioteca

Ma così forte, presente e profonda. senza indulgenze nei riguardi della società occidentale e delle crisi che ogni suo individuo  vive o  - si crea ? -nell’arco della vita

dall’adolescenza, alla ricerca del partner e del lavoro giusto, dalla crisi di coppia a quella con i figli per arrivare a quella della mezza età

L’ETà DI MEZZO racconta dunque con sarcasmo e spietatezza, talvolta  con amara comicità la crisi che una comunità benestante dello stato di N.Y. attraversa superati i 50 anni.

sia uomini che donne, sebbene siano le donne che nei romanzi della Oates appaiono le più disperate, isteriche e talvolta quasi “invasate”

“tragiche divorziate”, donne illuse o abbandonate che non sanno restare sole

uomini che si sentono invecchiare e che sperano di fermare il tempo lasciando la “vecchia” moglie per un’amante giovane

Il realismo psicologico della Oates racconta molte storie tutte collegate a un personaggio che diventa sia in vita che in morte un “QUALCOSA” di cui tutti hanno bisogno;

  Adam Berendt, una sorta di Socrate con un solo occhio vedente cambia la loro vita con il suo misteroso apparire anni addietro, poi con la sua morte

Tutte le ricche ed annoiate signore si sono innamorate di lui, gli uomino lo ritengono un amico

Adam è saggio, pacato, vive fuori dal gruppo, dalle convenzioni sociali, dagli status symbol

è un artista, uno scultore ma,poi si saprà, egli aveva  già compiuto il suo percorso per ritrovare una primigenia armonia tra sè e il mondo

e proprio come Socrate Adam riuscirà a rendere più consapevoli i suoi amici

 

Romanzo di ampio respiro che mi ha tenuto compagnia in queste lunghe settimane con “una mano sola” in cui sfogliare con la sinistra le 560 pagine mi faceva centellinare meglio la lettura. Nel frattempo a letto , un po’ meno pesante, mi accompagnava “Il mondo oltre la baia” di Beverly Jensen, nessuna introspezione psicologica, ma interessante storia di due sorelle che atrraversano quasi tutto il secolo XX  partendo dalla povertà del Canadà  per giungere al benessere del New England.  Mi addormentavo presto con esso …

Fra poco inizierò il romanzo  scoperto da Camilla e appena terminato di leggere da Miki

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IL PESO DELLA FARFALLA di Erri de Luca

pubblicato da: admin - 17 Ottobre, 2011 @ 8:55 pm

Una delle ultime letture di Riccardo:

ERRI DE LUCA

Il peso della farfalla

Feltrinelli

 

Ho appena comperato “I pesci non chiudono gli occhi” dello stesso autore, libro che Grazia sta finendo. Ed allora mi rifaccio con un altro “De Luca”, ormai “vecchio” di un paio d’anni. Si tratta di un libretto quasi tascabile, di 70 paginette compresa l’appendice “Visita ad un albero” che si assapora in poche ore.

“Questa è la storia di un camoscio, magnifico animale di montagna, che rimasto orfano, impara tutto da solo, senza appartenere a un branco. E’ forte, unico, bellissimo. Sfida tutti senza timore e diventa il “re dei camosci“. Ma questa è anche la storia del cacciatore che lo ucciderà. Il vecchio cacciatore che vive da solo nella casa del bosco e racconta poco della sua caccia, perché non ha storie da raccontare. Nemmeno una che possa conquistare una donna. Con sua sorpresa una giornalista si mette in testa di seguirlo, su in montagna. Non accetta subito la cosa. Perché lui non è abituato a frequentare le donne e chi non le frequenta, scrive Erri De Luca, ha “dimenticato che hanno di superiore la volontà. Un uomo non arriva a volere come una donna“. Il cacciatore è spaesato e ha timore. E poi da anni, tra lui e il camoscio, c’è un silenzioso scontro. Uno scontro che conoscerà fine nel mese di novembre…”

Il libro è scritto con una delicatezza che ricorda il librarsi delle foglie in autunno, il cadere lento dei fiocchi di neve in una notte senza vento, il volo dell’aquila che plana nel cielo, il silenzioso rumore dei pensieri. Il cacciatore, dice De Luca, ammira il camoscio, il re della montagna. lo ammira e basta. Non lo invidia, perché l’invidia è un sentimento “transitivo”: mi fai invidia ed io vorrei essere come te, più di te. L’ammirazione invece, egli afferma, è fine a se stessa. De Luca si è voluto rilassare, lui che è anche uno scalatore, ha voluto fermarsi ad ascoltare le voci della montagna, dei sassi che rotolano a valle, dei torrenti che levigano le rocce, degli uomini della montagna, anzi, di un solo uomo, la cui voce è, al pari dei suoi pensieri, il silenzio. Non vi è retorica nel racconto, ma essenzialità, profondità e ricerca di se stessi. E’ semplicemente impressionante il senso della verità e della misura di De Luca: “multa paucis”, esprime molto con poche parole. E mentre respiriamo l’aria di montagna, il salire senza fatica ma con l’utilizzo sapiente delle proprie forze ben allenate il sentiero che ci conduce a casa – tutto ha un prezzo –, mentre crediamo di “avercela fatta”, improvvisamente ci accorgiamo che la fine esiste per tutti, uomini e camosci, la fine e che il peso di una farfalla, quasi una perla sul diadema regale delle corna del camoscio, può fare la differenza.

Riccardo

 

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LA PARETE di Marlen Haushofer

pubblicato da: admin - 11 Ottobre, 2011 @ 8:59 am

scansione0001contenta del nobel a uno scrittore svedese

non conosco ancora Tomas Transtromer ma già sono avvinta dal suo viso vissuto, dalla poesia dei suoi scritti che gli altri lettori hanno  assaporato prima di noi

Anche il libro che vi presento oggi ha atmosfere del nord anche se intuiamo questa storia terribile e splendida si svolge in austria, nel cuore della vecchia europa

Che direste, che faremmo ,se in giorno all’improvviso ci trovassimo soli,  separati  dal resto del mondo – che intravediamo pietrificato e senza vita – da una alta parete trasparente? 

penseremmo a impossibili e terribili azioni politiche? all’incomprensibile? ma appena ci rendessimo conto di essere soli, in mezzo ad un bosco con soltanto alcuni animali come compagni, che faremmo?

come Robinson cederemmo all’istinto di sopravvivenza e mettemmo in atto, come fa la ptotagonista, ogni nostra strategia per ripararci, nutrirci, curare gli animali, in questo caso una mucca, un cane, un gatto, e contare il tempo

ma questa ancor giovane donna non si trova nella stessa situazione di Robinson, il quale sapeva dove si trovava e perchè, essa è “precipitata” all’improvviso in una nuova dimensione

ma si trova proprio nello chalet del bosco tra i monti dove impara a coltivar patate e fagioli, a far nascere un vitello, a sparare alla selvaggina per sè e gli animali domestici? O si trova in una zona della sua anima isolata da una parete di vetro che non riesce a sfondare?

Anche sylvia plath nel suo tormento interiore di non essere compresa scrisse “la campana di vetro”

incomunicabilità, disagio di vivere in un mondo consumistico ed egoista e che sta dimenticandola  la forza e l’abbraccio reale nel bello e nel brutto della natura

Finalmente durante il suo primo natale bianco e solitario la donna cede “Ne avevo abbastanza di continuare a fuggire, volevo affrontare la realtà

si sente sollevata, vuole imparare a dimenticare il passato in cui non si sentiva se stessa

La prima estate sull’alpe sarà un’esperienza quasi mistica, il suo “io” verrà assorbito dalla vastità del cosmo. un battito all’unisono

pensa che la sua vita precedente sia stata solo un’imitazione e che questa solitudine la costringa a contemplare l’immenso splendore della vita

Ma tutto si usura, il suo corpo si stanca per il gran lavoro, gli orologi si rompono e il Tempo sembra fermo, indifferente, ubiquo, una “ragnatela grigia che intrappola ogni secondo e non permette a nulla di finire veramente”

seguiamo per due anni la cronaca scritta e poi lasciamo al suo destino questo personaggio che alternerà momenti di crudele quotidianità a slanci di rinnovamento vitale e consolazione tra la natura nel suo terribile e meraviglioso aspetto

questo è il romanzo più importante di Marlene Haushofer apparso per la prima volta nel 1963

vorrei scrivere tanto tanto su di esso…ma con la mano sinistra è faticoso

è’ in ristampa, già alcuno amici – grazie al passaparola – lo stanno leggendo

compito di questo blog e far leggere, leggere,leggere…

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Turista per caso di Anne Tyler

pubblicato da: admin - 6 Ottobre, 2011 @ 5:55 pm

 

DATE LE CIRCOSTANZE  CREDO CHE GRAZIA NON ME NE VORRA’ SE INSIEME AL SUO POST SPEDISCO ANCHE LE BELLISSIME E SUGGESTIVE RIGHE DELLA LETTERA PER ME PERCHè RIENTRANO ANCH’ESSE NEL NOSTRO AMORE PER I LIBRI

Cara Mirna,

spero che tu ti sia abituata al braccio ingessato, scorrono i giorni, presto sarà il momento di togliere tutto. Ho trovato “Mrs  Dalloway” in una vecchia edizione economica Newton, spero di poterlo apprezzare guidata dai tuoi consigli, conto di dedicarmici presto, pile di libri e scuola permettendo. Ieri ho quasi finito, mi mancano alcune pagine che riservo alle prossime ore, “I pesci non chiudono gli occhi” di Erri de Luca, libro breve e intenso, l’autore ricorda i suoi dieci anni, consigliabile, se non lo hai già letto.

La tua richiesta di parlare di  “Turista per caso” della Tyler, mi ha indotto a rileggere quel libro per l’ennesima volta.

L’ho portato con me domenica sulla cima del Monte Bue, dove sedevo avvolta dal sole caldo e dalla luce, a tratti alzavo lo sguardo dalle pagine verso il profilo delle cime montuose e verso la pianura del parmense. Cosa desiderare di meglio? Un libro, il sole, le montagne e poi le colline e la pianura, indefinite, all’orizzonte…

Ripresa la lettura il pomeriggio di lunedì, sulla spiaggia, ho terminato quando eravamo rimasti, nella quiete dell’acqua e della sabbia, con il sole ormai basso sull’orizzonte, in tre, forse quattro persone.

Piacevolezza nella piacevolezza.

Veniamo al libro, che ogni volta mi sembra un po’ diverso e mi dà diverse emozioni.

Macom Leary, il protagonista, ha ormai superato i quarant’anni, odia viaggiare ma deve farlo spesso perchè scrive guide per “accidental tourist”, persone che per lavoro devono girare il mondo. Indica al turista “per necessità” l’indispensabile da mettere nella ventiquattrore e i posti dove ritrovare luoghi il più possibile simili a quelli a cui è abituato.

 

Divertente l’approccio di Macom alla lettura. Nella sua ventiquattrore c’è immancabilmente un libro di 1198 pagine,  “Piccola MacIntosh, tesoro mio”, lo apre per non essere disturbato in aereo o in treno dagli altri viaggiatori, quel libro “aveva il vantaggio di non possedere nessun intreccio, almeno per quanto gli risultava, ma di riuscire invariabilmente a interessare, per cui poteva immergervisi a caso”.

 

Il suo matrimonio con Sarah va in pezzi dopo che il loro bambino dodicenne  è stato ucciso  in un fast food. Dopo la separazione, Macom si trova spaesato e “per tirare avanti” mette in pratica una personalissima riorganizzazione della casa; elabora un metodo per lavare i piatti, uno per dare da mangiare al gatto e al cane, uno per preparare la colazione e i pasti, uno per fare il bucato. Sposta la doccia dal mattino alla sera pestando sul fondo della vasca la biancheria sporca del giorno, la stende sugli appendini… indossa quella pulita per non sporcare il pigiama… riesce ogni notte a dormire in lenzuola pulite cucendo “sacchi corporei” che dispone sul materasso. Nonostante i tentativi di tenere tutto sotto controllo, di economizzare gli sforzi, “ce la faceva a stento a tirare avanti alla giornata”..

Finché in un incidente domestico (esilarante) Macom si rompe una gamba e va a stabilirsi nella casa di famiglia dove vivono la sorella e due fratelli, entrambi reduci da matrimoni falliti. Per lui è il ritorno alla sicurezza, al bozzolo protettivo della famiglia, per quanto (deliziosamente) eccentrici siano i Leary.

Riescono a perdersi nel centro della loro città dopo aver studiato a lungo la mappa del percorso, discutono su tutto senza riuscire a decidere, non rispondono al telefono, “chi diavolo potrebbe volere proprio noi?”.

Su tutti veglia Rose, la sorella, che di tutti si occupa. Rassicurante, per Macom, la dispensa di Rose, con tutte le marmellate “in ordine alfabetico”, lo stesso ordine del cibo negli armadi di cucina.

 

Anche Edward, il cane di Macom, è a pezzi dopo la morte del padroncino, per tenerlo a bada durante i viaggi di lavoro e per impedirgli di aggredire chi gli si avvicina, deve farlo addestrare. Questo compito spetta a Muriel, una giovane tutta riccioli e improbabili abiti di seconda mano che abbina a scarpe con tacchi vertiginosi. Per il cane e per Macon comincia la rieducazione, alla convivenza, all’apertura al mondo, all’imprevedibile e la fine della misantropia.

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Macon dapprima è attratto e travolto da Muriel, dalla sua forza, dalla sua capacità di affrontare la vita, e sta con lei per alcuni mesi, nel loro rapporto si inserisce la tenerezza per il bambino di Muriel, pieno di malanni ma “con ditini talmente unici e pieni di carattere”  che Macom “sente dilagare nell’intimo una piacevole sorta di pena” quando gli dà la mano.

 

Tenta poi di sfuggirle perché “nella sua vita erano tornati a incombere tutti i vecchi pericoli”  e di rifugiarsi nelle sue ordinate e metodiche abitudini. Ma, poiché Muriel rivela “una bella tempra di lottatrice” e lo segue in un viaggio di lavoro a Parigi, si arrende e decide di tornare ad affrontare le gioie e i pericoli della vita.

Sembra una storia sentimentale, in parte forse lo è, ma lo straordinario della Tayler è saper raccontare e far vivere personaggi semplici e mediocri, senza apparenti qualità, – non sono nemmeno bruttissimi ma dotati di grande talento musicale – presentati nella loro intimità tanto da far sentire il lettore parte della storia, è come essere con loro, partecipare alle loro umanissime vicende.

Così a momenti il lettore ride fino alle lacrime, a momenti sorride oppure si commuove.

È a mio avviso impagabile la maestria dell’autrice nel descrivere i particolari dei gesti e delle cose, le manie, i tic, gli affetti così umani e quotidiani, e come sapientemente riesce a mescolare il tutto con l’ironia, il dolore, la speranza…

Ti saluto, Mirna cara, un abbraccio, a presto.

Grazia

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UNA VITA ALLO SBANDO di Anne Tyler

pubblicato da: admin - 28 Settembre, 2011 @ 6:42 pm

scansione0001Parafrasando il titolo del libro presentato mesi e mesi fa “In viaggio su una gamba sola” di Herta Muller potrei dire di me “in giro con un braccio  solo”dato che ho l’arto destro mezzo ingessato.

Ma che differenza di significato dalla dolente metafora della Muller alla mia realistica frattura del polso. 

Pur se ogni vita presenta gioia. dolore, e spesso  momenti di spaesamento come in questo racconto di ANNE TYLER.

Qui si parla di due adolescenti americani degli anni Ssessanta e della loro fatica per crescere.  si entra nel mondo di Evi, scialba, poco attraente, solitaria ma con le ideee chiare su ciò che vuole e non vuole. e lei vuole un chitarrista rock, Casey, che suona canzoni da lui composte nelle quali vi intercala suoi tristi e oscuri pensieri senza musica.

e nonostante intorno a lui sembri aleggiare una scia d’ aria fredda Evie si incide sulla fronte il suo nome per sentirsi parte di lui ? parte di qualcosa? Perchè la sensazione predominante che questi personaggi suscitano è l’incapacità di comunicare. Un freddo egocentrismo che terrà incatenato Casey mentre Evie, con fatica e sofferenza, riuscirà a crescere.

Certo l’adolescenza ovunque nel mondo occidentale è un’età di fatica: la ricerca della propria identità è un duro percorso e spesso la “centratura” di sè sembra irraggiungibile. si rimane allo sbando per molto tempo , ma, come suggerisce Anne Tyler accostarsi agli altri è sicuramente un aiuto per fratturare l’involucro egoistico che molti  erigono a difesa.

insomma l’essere ingessati nei sentimenti rende malinconici (il riferimento al mio braccio è volutamente casuale)

La Tyler ci porta sempre in atmosfere particolari dove il lettore si addentra con curiosità ritrovando sempre qualcosa che gli appartiene.

spero che Grazia, grande estimatrice di questa scrittrice, lo legga presto e ci dica il suo pensiero. ma in attesa, – e per aiutare l’amica caduta e fratturata- auspico ci scriva qualcosa su uno dei suo libri preferiti e cioè Turista per caso.

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STORIA DELLA MIA GENTE di Edoardo Nesi

pubblicato da: admin - 22 Settembre, 2011 @ 8:29 pm

Bompiani, 2011

RICCARDO HA LETTO IL PREMIO STREGA 2011 E CE LO PROPONE.

LA  SUA VOCE E’ SEMPRE BENVENUTA , ANZI DIREI INDISPENSABILE, IN QUESTO SALOTTO PERLOPIU’ FEMMINILE.

Tanto tuonò che piovve. Conosco una persona, la quale, dopo aver lavorato una vita nel settore tessile, a Prato, oggi, alla tenera età di 58 anni, ha dovuto accettare un impiego in nero presso una fabbrichetta di proprietà di un pachistano che opera completamente in nero (acquisti, vendite, stipendi, tutto insomma), con turni di lavoro 12 ore, senza ferie e giorni di riposo, se non – forse – un giorno ogni due mesi o – solo per pochi privilegiati – dieci giorni l’anno. Ragione di più per acquistare e leggere questo libro, 161 paginette che si leggono d’un fiato. Libro che racconta il dramma di uno, anzi di tanti settori dell’industria italiana, travolti da una globalizzazione sfrenata. E Prato docet.

Nel frattempo Maria Teresa sta leggendo La vita accanto della Veladiano e mi dice che “è un magnifico libro per donne”. Be’ questo qui è sicuramente un “libro per uomini”, per padri di famiglia, e quindi, per tutte le famiglie che vivono del lavoro dei propri componenti.

Prato, Provincia di Prato, Granducato di Toscana … già, perché Edoardo Nesi era un industriale di Prato, da generazioni, prima che la sua famiglia vendesse, qualche anno fa, l’azienda.

La sua è una denuncia contro l’incapacità e l’irresponsabilità dei soloni della politica e dell’economia, contro la turbo finanza e il liberismo sfrenato, contro chi non si è accorto nel passato e continua a non vedere anche oggi che – tanto per fare un esempio – il presidente dello stato più liberista del mondo (USA) è stato quello che paradossalmente ha adottato misure keynesiane per salvare le sue principali banche.

Traduciamo: il comunismo ha mostrato la corda in 150 anni. Il liberismo sfrenato in alcune decine. Ed allora ritorna Keynes: lo Stato deve indirizzare, moderare, intervenire ed equilibrare le forze del libero mercato e soprattutto prevedere e predisporre per tempo soluzioni alternative.

La crisi non c’è, diceva sino a qualche mese fa taluno. Ne siamo fuori. Non siate le solite cassandre profeti di sventura, abbiamo tot telefonini, tot Iphone, tot auto, tot panfili, ma che volete di più? Poi, improvvisamente questa estate (non l’estate scorsa, noto film del 1959 dal testo teatrale di T. Williams, cfr. ivi), improvvisamente siamo travolti dalla crisi. Ma Nesi non è un “comunista” E’, anzi era, un industriale, oggi è uno scrittore. Ed allora, come la mettiamo?

Lo Stato non è un’azienda. Ma magari chi lo ha recentemente governato l’avesse interpretato come azienda! Se non altro avrebbe redatto piani pluriennali, li avrebbe attuati, avrebbe predisposto soluzioni alternative (in Italia ricerca, turismo e cultura, ad esempio), modifiche graduali (anche qui la natura non dovrebbe “facere saltus”), avrebbe dovuto capire che esportare know how e merci in Cina non era esportare valore ma addestrare quell’economia a farci concorrenza (sic, Nesi). Il debito pubblico … una sola osservazione (di Nesi, non mia), per fortuna i creditori sono in massima parte “interni”, cioè italiani, cioè tassabili. Almeno questo.

Per Nesi anche i nostri industriali hanno qualche responsabilità. Essi sono cresciuti nel dopoguerra, in un periodo in cui v’era bisogno di tutto, in cui si poteva costruire tutto perché v’era domanda di tutto. Artigiani che “si sono fatti da sé”, ma che non si sono “indignati” sufficientemente di fronte alle elaborazioni teoriche dei successivi “governi dei soloni”.

Verso la fine del libro, Nesi cita la frase che nel film “Il verdetto” l’avvocato Galvin (Paul Newman) pronuncia all’inizio della sua arringa. “Nella vita perlopiù ci sentiamo smarriti”. E noi, chi dobbiamo ringraziare? Sicuramente chi ha preteso di separare il potere dalla responsabilità.

Mi permetto di chiudere con un’ osservazione personale, un pensiero per i nostri giovani. L’aumento dell’età per il pensionamento e la soppressione dell’accredito ai fini pensionistici del periodo universitario e dei mesi del servizio militare peggiora lo status chi oggi è già fra le categorie maggiormente a “rischio futuro”: i nostri ragazzi, la prima generazione la quale, dopo centinaia d’anni, starà peggio dei propri genitori (sic, Nesi).

Riccardo

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UN GIORNO COME TANTI di Mirco Nacoti

pubblicato da: admin - 16 Settembre, 2011 @ 8:53 am

 

MI FA PIACERE DARE SPAZIO ALLA LETTURA DI MARIA TERESA.

 PROPRIO DUE GIORNI FA CON ANDREA BIANCHI DELLA TRENTOBLOGCOMMUNITY SI è PARLATO DI DARE PIU’ SPAZIO ALLE PROBLEMATICHE NON SOLO DELLA CITTA’ O DELL’ITALIA, MA SOPRATTUTTO DELLE “EMERGENZE” UMANE, AMBIENTALI ….MORALI

 

 L’emergenza in Costa d’Avorio nel diario di un medico… senza frontiere

 

Il sottotitolo anticipa la natura di questo libro, che quindi si presume sia cercato, scelto e letto sotto la spinta di interessi umanitari. Ma io non ci sono arrivata così.

Ero al mare a fine giugno a Milano Marittima (quanto diversa dalla mia isola da Robinson…), sdraiata al sole senza leggere nulla, in totale disimpegno.

Encefalogramma piatto.

Un ragazzo di colore si è avvicinato e mi ha salutato. Essendo la spiaggia sempre frequentata da venditori, ho risposto con una frase del tipo “No, grazie, non mi serve niente”. Lui allora mi ha controrisposto: “Ma io ti ho solo salutato, non ti ho chiesto se ti occorre qualcosa”. Ho allora risposto al saluto, ho attivato le mie funzioni cerebrali ed abbiamo cominciato a parlare. Mi ha presentato questo libretto (il diminutivo è riferito solo alle dimensioni) e mi ha facilmente convinto a prenderlo. L’ho divorato, mi ha catturato, mi ha fatto riflettere.

 

È il diario -anche intimo- di Mirco Nacoti, giovane medico che ha trascorso i primi sei mesi del 2004 nella regione di Man, in Costa d’Avorio, dove Medici Senza Frontiere ha un ospedale e dove lui, lasciando la Terapia Intensiva Pediatrica di Bergamo, ha fatto tutto quello che un medico di buona volontà può fare: pronto soccorso, ostetricia, pediatria, attività nel centro nutrizionale e mille altre cose. Il tutto in un contesto in cui gli stregoni hanno grande influenza e la magìa è una pratica molto comune.

Molte cose colpiscono in questo, come penso in altri libri di questo genere, ma certamente qui una costante è la tenacia nell’andare avanti nonostante la percezione dei propri limiti, nonostante la voglia di tornare a casa, nonostante il desiderio struggente della fidanzata Marta che a casa lo aspetta…

Insomma, siamo ben lontani dalla figura dell’eroe:

“Ho voluto l’Africa e adesso ne ingoio forzatamente ettolitri di calici amari”

 

E più in là, ancora peggio. In certi giorni non riesce nemmeno più a scrivere il suo diario, poi riprende:

“Avevo smarrito la voglia di scrivere. Un po’ di spavento, la scomparsa di scrittura significa occhi gonfi di abitudine”

 

Ad un certo punto, nel pieno delle brutture della guerra civile, Mirco Nacoti dice:

”Per fortuna c’è la gradevolezza del rapporto umano che la professione medica ha il privilegio di offrire a chi la pratica”

E qui mi viene spontaneo un paragone tra medici e insegnanti: a mio parere in queste due professioni più che in altre sono importantissimi i rapporti umani ed il modo in cui questi rapporti si gestiscono segna i buoni o cattivi medici ed i buoni o cattivi insegnanti.

Altro aspetto in comune tra le due categorie (ferma restando l’enorme differenza retributiva!) è la necessità di aggiornarsi:

“Un medico che non si confronta, che non si rinnova è un flaccido spettro”

 

Le riflessioni di Mirco si intercalano ai tanti tremendi casi medici, sempre con lucida vicinanza alla popolazione e con mille dubbi espressi, come quando dice:

“Ho l’impressione che la gente dei villaggi venga educata al fatalismo… Nessuna speranza viene mai prospettata… Fa comodo e garantisce abusi e soprusi inattaccabili”

Lo trovo tremendo!

 

È un libro documento, ma è anche un diario, anche un diario intimo e talora ha pagine delicatissime e struggenti che non esito a definire poetiche. Alcune parti anche graficamente si presentano un po’ come tali.

 

Credo che non mi sarà mai possibile dimenticare questa “madre di Cecilia” che temo si rinnovi continuamente (trascrivo esattamente capoversi e maiuscole come trovo):

“La madre raccoglie il bimbo come niente fosse

Inclina un poco il dorso verso il basso

e se lo addossa alla schiena

alla guisa di un koala

Mantiene la posizione il tempo di un sospiro

avvolge se stessa e il proprio rampollo nell’ampio tessuto vivace

color papaia acceso sgargiante ricolmo di disegni

Gli angoli del panno li avvita all’altezza dell’ombelico

la parte restante lungo i contorni degli arti inferiori della creatura per ancorarla

Testa e gambe ciondolano ai movimenti materni

una tale grazia e abilità in quel gesto quotidiano

La madre raccoglie il bimbo come se niente fosse

e se ne esce dalla sala d’urgenza frettolosamente

non mi saluta

…

Il sangue è arrivato troppo tardi

…

 

Non vorrei rattristare troppo chi eventualmente legge questo post! Ci sono in questo libro anche momenti spiritosi e vivaci. L’autore è persona di grande intelligenza, mai per nessun motivo sgradevole. E Bergamo non è lontana: chissà, forse Mirco Nacoti ora è qui e lo si può conoscere!

Un caldo saluto alla carissima Mirna, nei cui confronti sono colpevole di lunghi silenzi, e a tutte le amiche del blog

Maria Teresa

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