INCONTRI – 7) MARCO BARLETTA: I “FORTEPIANO” IN TRENTINO

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 26 Gennaio, 2012 @ 4:38 pm

Detto altrimenti: un’esperienza particolare. Ieri, a Riva del Garda ho visto accordare un fortepiano. Forse in Trentino si potrebbero valorizzare maggiormente questi strumenti, alcuni dei quali già presenti sul territorio, come parte importante della nostra Storia, molto vicina a quella austriaca, anche musicalmente …

Trentino e Liguria … già … il mio post precedente era dedicato a Fabrizio De Andrè … e con questo riequilibro la partita. Domani non pubblico, riposo. Comunque, queste due Terre hanno molto in comune. Soprattutto sono entrambe Terre di Confine: un confine d’acqua ed uno di terra, ma sempre confini sono. Ma c’è ben altro … state un po’ a sentire …

Infatti, domenica scorsa , Stefania Neonato, musicista Trentina figlia di un Ligure e di una Meranese, insieme alla violista Francesca Vicari  ha inaugurato a Trento i Concerti della Domenica, suonando un fortepiano. Stefania  sabato prossimo eseguirà un secondo diverso concerto a Riva del Garda (ore 17,00, Conservatorio di Riva), sempre su fortepiano. Stefania e suo marito Marco (rivierasco di Chiavari) ne hanno una collezione di fortepiani! Marco è restauratore e accordatore.

Marco, galeotto fu il … fortepiano!? E’ ben così che hai conosciuto  Stefania?
No, si trattò di un concerto d’organo, ma è andata bene lo stesso!
Mi pare di capire che anche tu come Stefania sei figlio d’arte ….
No, i miei facevano tutt’altro. Solo un nonno organista. Alla musica sono arrivato per mio interesse diretto a cinque anni d’età …
Ti senti più restauratore di pianoforti storici e accordatore o pianista?
Senza dubbio più restauratore. Ormai suono solo per diletto.
Qual è la differenza fra un fortepiano ed un pianoforte?
Il fortepiano sta a metà fra il cembalo ed il pianoforte moderno. Del primo conserva la struttura interamente lignea. Del secondo i meccanismi a martelletti che permettono le gradazioni sonore.
Esiste musica per l’uno e musica per l’altro strumento?
Gran parte della musica che abitualmente ascoltiamo eseguita su pianoforte moderno è stata scritta per fortepiano. Questo vale, ad esempio, per Mozart, Beethoven, Schubert, Schumann, Chopin.
Come ti è venuta la passione per questo strumento?
Studiando pianoforte, ho percepito l’intima connessione fra musica d’epoca e strumento sul quale è stata composta ed in inizialmente eseguita, della stessa epoca.
Se non erro tu e tua moglie siete collezionisti …
Si, è stato un passo molto naturale: l’evoluzione del fortepiano nell’800 è paragonabile a quella dell’auto nel ‘900, per cui ne esistono modelli con caratteristiche diverse. A noi piace seguirne l’evoluzione.

Come nascono i fortepiano?
Grazie all’intuizione di un Italiano, Bartolomeo Cristofori, il quale nel 1700 applicò per primo un meccanismo a martelli ad un clavicembalo. Il nome originario dello strumento  era “gravicembalo col piano e col forte”.
Come è fatto il fortepiano?
Il concetto essenziale è comune a tutti gli strumenti a corda: una tavola armonica che funge da membrana amplificatrice, le corde, un ponticello che mette in contatto le corde con la tavola armonica e un meccanismo di percussione con martelletti in legno rivestiti di pelle.
Qual è il significato musicale di questi strumenti, oggi?
Può sembrare un paradosso, ma è un modo per attualizzare la musica dell’epoca, per riavvicinarci alle sonorità originali ed alla prassi esecutiva d’un tempo. E’ un po’ come rivedere i colori originali di un vecchio quadro, dopo il restauro.

Come si ricollega la cultura italiana del fortepiano alla cultura musicale austriaca?
L’Austria è stata la terra dove  il fortepiano ha avuto il suo maggiore sviluppo, grazie agli Autori citati che hanno composto soprattutto a Vienna. L’influenza fra le due nazioni è stata fortissima e reciproca. Ad esempio, a S. Michele all’Adige, nel Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina, è conservato un bellissimo esemplare di fine ‘700 di fattura austriaca sul quale mia moglie ha inciso un CD e tenuto numerosi concerti.
Tu e Stefania, avete avuto esperienze “estere”?
Si, come studio e come concerti. L’ultimo è dell’estate scorsa, a Graz (Austria), dove abbiamo portato un nostro fortepiano Pleyel del periodo di Chopin. Se per un violinista portarsi appresso il proprio strumento è normale, per un pianista è un privilegio.
Tu e Stefania, avrete anche esperienze estere? L’attività concertistica di Stefania è più all’estero che in Italia.
Tu hai un laboratorio?
Si, a Chiavari. Lo puoi vedere sul mio sito www.barlettapianiforti.it
Ma Stefania è Trentina! Cosa ne diresti se il Trentino catturasse anche te?
Mancherebbe il mare … ma posso farci un pensierino, visto che ieri ero a veleggiare sul Garda!

Grazie, Marco. Auguro a tutti noi che la vostra attività possa essere maggiormente valorizzata localmente. Infatti ciò che voi rappresentate – e non mi riferisco solo alla musica bensì anche alla Storia della cultura del nostro territorio – è un patrimonio da non perdere ma anzi da valorizzare come risorsa di cultura, civiltà e – perché no – anche economica. Sai, temo che certe volte noi non ci si renda conto della fortuna che abbiamo di avere una storia così ricca … mentre vi sono altre nazioni, internazionalmente molto più “importanti” di noi, che la cosa più vecchia che hanno sono le pantofole della nonna.

Trentino e Liguria sicuramente quindi, ma anche Trentino e Austria!

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Fabrizio De Andrè: Creuza de ma’ ( e caruggio)

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 26 Gennaio, 2012 @ 7:24 am

... creuxa de ma' ...

Detto altrimenti: stavo canticchiando questa canzone-poesia del mio conterraneo. Un amico mi ha detto:” Mi piace molto, sai, questa canzone, ma non capisco il dialetto ligure, tu che sei genovese … “.

Fabrizio De Andrè

E’ un dialetto “di sti anni”, di tanti anni fa, non semplice da capire nemmeno per me, che per di più sono “Trentino” da 25 anni. Comunque ecco qui testo e traduzione. Prima però sappiate che la creuxa è la stradicciola che porta vesro il mare fra due muri di cinta delle “ville”, cioè di poderi quasi urbani gestiti dal “villan” o “bacan”. Il caruggio invece è la stradicciola fra le case, nel centro storico, il quale, all’epoca, era semplicemente il centro. Ho provato a mia volta a descriverlo. Lo troverete in coda al capolavoro di Fabrizio. Vedrò se qualcuno mi insegna ad inserire l’audio  della canzone …

 

 

Creuza de ma’

... a lun - a se mustra nua ...

Umbre de muri muri de mainè
dunde ne vegni duve l’è ch’anè.
De ‘n scitu duve a lun-a a se mustra nua
e a neutte a n’a puntou u cutellu a
ghua.
E a munta l’ase u gh’è restou Diu
u diau l’è in ce e se ghe faetu u niu.
Ne sciurtimu da u ma’ pe sciugà e ossa da u Dria
a funtan-a di cumbi nta ca’ de
pria.

a funtan- a di cumbi ...

E in ta ca’ de pria chi ghe saia
‘in ta ca’ du Dria che u nu l’è
mainà.
Gente de Luganu facce da mandilla’
quei che de luassu preferiscian l’a.
Figge de famiglia udù de bun
che ti peu ammiale sensa
u gundun.

E a ste panse veue cose ghe daia’
Cose da beive cose da mangià.

Portufin

Frittua de pigneu, giancu de Portufin
cervelle de bae ntu u meiximu vin.
Lasagne da fiddià ai quattro tucchi
paciughi in agrouduse de levre
de cuppi.

E’ n sca barca du vin ghe navughiemu
‘n sci scheuggi
emigranti du rie cu’ i cioi
‘nti euggi.
Finchè u matin crescià da pueilu recheugge
praticament fre du ganeuffeni e de figgie.
Baccan da corda marsa d’aegua e de
sa
che a ne liga a ne porta nte ‘na creuxa de ma’.

Creuza di mare

... facce di marinai ...

Ombre di facce, facce di marinai
da dove venite dov’è che andate.
Da un posto dove la luna si mostra
nuda
e la notte ci ha puntato il coltello alla
gola.
E a montare l’asino ci è rimasto Dio
il diavolo è in cielo e ci si è fatto il nido.
Usciamo dal mare per asciugare
le ossa dall’Andrea
alla fontana dei colombi e nella casa di pietra.

E nella casa di pietra chi ci sara’
nella casa dell’Andrea che non è
marinaio.

... della spigola ...

Gente di Lugano facce da tagliaborse
quelli che della spigola preferiscono l’ala.
Ragazze di famiglia odore di buono
che le puoi guardare senza
il preservativo.

E a queste pance vuote cosa gli dara’
cose da bere cose da mangiare.
Frittura di pesciolini, bianco di Portofino
cervella di agnello nello stesso vino.
Lasagne da tagliare ai quattro sughi
pasticci in agrodolce di lepre
delle tegole (gatto).

... garofani ...

E nella barca del vino ci navigheremo sugli scogli
emigranti della risata con i chiodi
negli occhi.
Finchè il mattino crescerà da poterlo raccogliere
praticamente fratello dei garofani e delle ragazze.
Padrone della corda marcia d’acqua e di sale
che ci lega e ci porta in una creuxa di mare.

 

caruggio, dove passavano i carri trainati dai cavalli ... (Porticciolo di Genova Nervi)

Caruggio 

La storia / è passata di qui. / Ha lasciato il suo umore / nelle pietre levigate / nelle ombre / requenti /negli stretti ritagli di cielo /nelle case addossate. / Ascolta la voce (di quello che vedi. /Sofferma il pensiero /su chi riempie di sé / la piccola via. / Persone diverse /che un antico crogiuolo / difende /dal moderno artiglio rapace, / confusa umanità / padrona di un mondo / che tu / passante distratto / puoi solo violare / oppure / cercar di capire / in silenzio / ed amare.

 

 

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1) Liberalizzazioni – 2) Privatizzazioni – 3) Varie ed eventuali

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 25 Gennaio, 2012 @ 6:32 am

Detto altrimenti: non facciamo eccezioni e cominciamo “dall’alto”. E poi: saranno sufficienti nuovi “metodi” a garantirci la ripresa del Paese o non è forse meglio intervenire anche sulla sostanza?

Innanzi tutto grazie, Presidente Napolitano, grazie Presidente Monti. Grazie a voi infatti avvertiamo che il veliero Italia non è più nave senza nocchiero in gran tempesta … ed ha finalmente, di nuovo, dopo tanto tempo, un timoniere alla barra (anzi due, mi stavo sbagliando, mi scusi Presidente Napolitano) e viaggia “a fil di ruota”, cioè con il vento delle riforme necessarie in poppa piena: per un clipper (foto a fianco) era l’andatura più veloce in assoluto, fino a 30 nodi (!) , cioè quanto un moderno traghetto aliscafo, ma anche la più pericolosa in caso di errore, anche minimo, del timoniere. 

1) Liberalizzazioni

Avrei apprezzato moltissimo che fosse stato reso noto a tutti noi l’elenco completo di tutte le liberalizzazioni possibili  (come si fa con la lista della spesa) con l’indicazione dei criteri adottati per stabilire la priorità ed il peso specifico di ognuna quanto agli aspetti economici e di catalizzazione dello sviluppo. Sapete … tanto per capire come stanno le cose … mica per altro … e poi come si inquadra il tutto rispetto ad un’altra lista, quella degli interventi contro le grandi evasioni ed elusioni fiscali e le super retribuzioni. Tutto sarebbe stato assai più digeribile.

 

Se è vero poi come è vero che la rete non deve essere di proprietà della “operating company”, cioè del fornitore del servizio o dei beni, una delle prime su cui intervenire sarebbe stata la rete dei distributori di carburante “liberandone/liberalizzandone” la proprietà, o, in subordine liberando i gestori dall’obbligo di acquistare il carburante di “quella” marca. Si sarebbe creata concorrenza e forse si sarebbero sconfitti anche eventuali cartelli, il prezzo del carburante avrebbe potuto diminuire e tale discesa avrebbe trascinato con sé tante altre discese ….

Edicolanti: possono fare sconti sui quotidiani? Ma a monte, gli edicolanti acquisteranno solo i quotidiani disponibili a fare a loro volta uno sconto?

Taxi: al momento li avrei messi in coda all’elenco delle liberalizzazioni, tanto ne avevo ben altre da fare prima, senza andarmi a cercare con il lanternino una protesta che, come quella dei camionisti,  ha una visibilità in termini di effetti (negativi) ben oltre il peso della rappresentanza degli interessi coinvolti.

Sciopero dei camionisti. Scioperare è legittimo. Abusare dello sciopero,  no. Occorre ripristinare la legalità. Tuttavia ciò che mi colpisce maggiormente è che si scioperi sempre a difesa di interessi di singole categorie e non a difesa del bene comune, della morale comune violata. Dobbiamo crescere tutti, quanto a sensibilità civica. Altro che il “panem et circenses” degli ultini 17 anni!

2) Privatizzazioni

… delle Spa pubblche, statali e locali, miste pubblico-private … a quando? (Si veda il mio post del 14 gennaio 2012).

3) Varie ed eventuali

Un agriturismo nel Delta del Po ... appunto ... uno

 A) Politiche per i giovani. Quanto allo sviluppo, ben vengano le SpA facili per i giovani, ma se poi le banche non fanno loro credito? E poi, lanciamo un programma con contenuti di sostanza e non solo di metodo. Tanto per fare un esempio si veda quanto  da me ipotizzato nel post del 18 dicembre per il Trentino (che invito i lettori a rileggere): valorrizzare i nostri punti di forza “diffusi”: la forza lavoro giovanile, il turismo culturale, i siti archeologici, le bellezze naturali. Ad iniziare, ad esempio, da una cooperativa giovanile che organizzi e gestisca la piena  valorizzazione (piena! Oggi non è certo così, ci sarebbe ancora molto da fare) delle attrattive turistiche del Delta del Po, tanto per dirne una … con un finanziamento pubblico per la fase d’avvio dell’iniziativa, o quanto meno con la garanzia pubblica su fidi bancari. 

B) Rafforziamo l’Europa. Da ultimo, in cauda venenum … Vogliamo far crescere l’Europa? Che tutti i singoli Stati diminuiscano di molto (molto!) le retribuzioni dei loro parlamentari e aumentino di molto (molto!) quelle dei parlamenari europei. Dopo, probabilmente, sarà più facile trasformare molte funzioni statali in funzioni europee e trasferirle ivi  … non credete?

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La rotta era corretta – Gli errori sono stati di altro tipo

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 24 Gennaio, 2012 @ 8:06 am

Detto altrimenti: come credo che possa essere andata

Pino Aprile, uomo di mare oltre che giornalista e scrittore, ci ricorda che un incidente in mare non è mai dovuto ad una sola causa. Questa è una regola verificata da sempre. Ed allora … 

 1) PRIMO ERRORE: navi troppo capienti. Oltre 4.000 persone sono assai difficili da gestire in caso di emergenza abbandono nave. In un prossimo post vi narrerò un naufragio “da 2.000 persone” finito bene, sempre della Compagnia Costa.

2) SECONDO ERRORE:  da quello che si è visto in TV: la nave procedeva con rotta circa zero  gradi, cioè verso Nord. La Compagnia, come tutte le altre Compagnie sue colleghe, sapeva degli “inchini”, anzi, da sempre voleva che fossero fatti  per farsi pubblicità (sin dai tempi del REX nell’Amarcord di Fellini!).

3) TERZO ERRORE: nonostante  si conoscesse perfettamente la rotta corretta, la nave si è avvicinata troppo alla costa.

 4) QUARTO ERRORE: la nave ha urtato con la fiancata di babordo (sinistra guardando verso prua). Ha poggiato un po’ a tribordo (destra, rotta 30 gradi?), poi a virato a babordo di 180 gradi circa, rotta circa 200 gradi verso SUD OVEST. Durante la virata, ovviamente la nave si è raddrizzata (il che è testimoniato dai passeggeri) , in quanto lo sbandamento verso babordo  dovuto all’urto,  all’acqua entrata e soprattutto all’effetto frenante e al peso dello spuntone di scoglio rimasto incstrato nella fiancata, è stato compensato dalla forza centrifuga verso tribordo  che fa inclinare la nave verso tribordo  ad ogni virata a babordo . Quindi la nave si è adagiata sugli scogli con la murata di tribordo nella posizione in cui la vediamo ora, e cioè mostrando al cielo la fiancata sinistra, quella lacerata dallo scoglio, con lo spuntone di roccia incastrato. L'”abbandonare la nave” non sarebbe stato dato subito dopo l’urto, perchè l’alaggio delle scialuppe avrebbe richiesto di fermare la nave là dove poi sarebbe affondata su di un fondale di 70 (?) metri, evitando nel frattempo sbandamenti laterali con immissione di acqua dal lato opposto, sempre che le apposite pompe funzionino, mentre invece – forse -da parte di taluno (chi? Ecco il punto da chiarire! ) si sperava di salvare la nave dal naufragio completo. Suppongo che ciò sia avvenuto con l’assenso o dietro suggerimento della Compagnia, la quale,  se le mie supposizioni sono esatte, sarebbe apparsa più interessata  a salvare la nave dal naufragio completo piuttosto che “salvare tutte le persone imbarcate, proprio tutte!” .  Infatti la Compagnia ha dichiarato. “Le nostre istruzioni “scritte” (sic)  non prevedevano gli inchini”. E ci mancherebbe altro! Infatti,  secondo voi, il “libretto di istruzioni” di una nave come la Concordia avrebbe mai potuto essere in forma “verbale”?  No, certo che era “scritto”! Ma allora, perchè la Compagnia ha sentito il bisogno  di specificare una cosa assolutamente ovvia, e cioè proprio che le istruzioni erano “scritte”? Excusatio non petita vera accusatio!  Forse per celarsi dietro  istruzioni “ufficiali” e nascondere il loro assenso verbale a due comportamenti autorizzati “verbalmente”? ( E cioè: 1) l’inchino; 2)  la manovra per salvare la nave, non necessariamente tutti i passeggeri).

5) QUINTO ERRORE? I comportamenti del Comandante dopo l’urto con lo scoglio, ma lasciamo lavorare gli inquirenti …

Tutte queste sono solo ipotesi, sono solo mie supposizioni, non accuse, badate! Fate conto che mi stia apprestando a scrivere un romanzo di mare … cosa volete, dopo tutto sono un velista e per di più genovese …

Ciò detto, ma come si calcola una rotta? Ecco qui, per aspiranti navigatori

State navigando a vela su una barca di sette metri (foto a destra, Bocche di Bonifacio, in solitaria, di bolina, vento a 25 nodi. Quella sullo sfondo, al centro, navigava a motore! Ohibò!). Disponete di una piccola bussola da rilevamento, no … non elettronica, bensì una di quelle con lo specchietto ed il mirino  (foto a sinistra) per traguardare un punto cospicuo sulla costa e leggere sotto che angolo lo si vede rispetto al nord. Avete anche un orologio; una carta nautica che avete fissato con degli elastici su di una tavoletta poggiata ben ferma anche a barca sbandata come nella foto  sulle vostre ginocchia a mo’ di tavolo da carteggio ( di notte illuminando il tutto con una piccola pila frontale); due squadrette di plastica; un compasso; una matita nera; una temperamatite; una gomma da cancellare. Fissate il timone con due sagole.  Con la vostra piccola bussola traguardate due punti sulla costa e incrociando i due rilevamenti riuscite a segnare sulla carta il vostro “punto nave”, cioè avete individuato dove vi trovate. Dopo un calcolo complesso constate che la vostra rotta vera è per 274 gradi. La vostra velocità è di 5 nodi (5 miglia all’ora). Sulla carta nautica riscontrate che fra 5 miglia, su questa rotta, c’è uno scoglio. Voi mantenete costanti rotta e velocità, ma poco prima che passi un ‘ora, deviate la rotta ed evitate di naufragare su quello scoglio.

E la Concordia non era a una “barchetta a vela”, non era sbandata, i suoi motori funzionavano perfettamente; la nave disponeva di ogni più moderna strumentazione compresi alcuni GPS con cartografia incorporata, alcuni radar, ecoscandagli, sonar, etc.; la plancia di comando era perfettamente illuminata; il tavolo da carteggio è assai ampio; lo scenario entro il quale la nave era condotta era arcinoto; la zona entro la quale navigava era di poche miglia marine; il mare era calmissimo; la visibilità ottima; sicuramente a bordo il Comandante aveva alcuni aiutanti (secondo ufficiale, ufficiale di rotta, alcuni timonieri, etc.) ed inoltre disponeva anche delle dotazioni di cui è dotata la vostra barchetta a vela! Ecco perchè non è il caso di parlare di errore di rotta.

Si … ma come si fa a calcolare una rotta?? Cominciamo dall’ a- b – c .

Un oggetto che si muove sulla superficie terrestre, ad esempio una barchetta a vela giocattolo da noi trascinata su di una superficie sabbiosa, nello stesso tempo può essere da noi fatta ruotare su se stessa e cioè, pur procedendo, può essere posizionata in modo diverso e quindi, nel suo muoversi a contatto con la sabbia, può presentare come propria “parte anteriore” un suo alto di volta in volta diverso. Orbene, indipendentemente dalla posizione che avremo dato alla barchetta, ed in particolare alla sua prua, essa disegnerà comunque una traccia ben riconoscibile sulla sabbia: il suo percorso sulla terra, cioè rispetto alla terra. Tecnicamente, ci dirà quale è stata la sua “rotta vera”. Ora, immaginate che l’oggetto in questione sia una barchetta a vela vera di sette metri in navigazione sul mare. Indipendentemente dalle indicazioni della bussola (“rotta bussola”) o dalla “prora” cioè dalla posizione della “prua” della barca, la “rotta vera” (che è quella che ci interessa in quanto riportabile sulla carta nautica) sarà la traccia rappresentata dalla proiezione sul fondo del mare del percorso che la barca sta compiendo sulla sua superficie.

Detto questo, traguardando due punti riconoscibili sulla costa e riportando tali rilevamenti sulla carta nautica, riusciamo a stabilire il “punto nave” cioè ad individuare dove ci troviamo. Oppure, più semplicemente, in barca abbiamo un apparecchio GPS che ci dà la nostra posizione (ma non la nostra rotta, perché non avevamo i soldi per acquistare un GPS più moderno che ci avrebbe dato anche il valore in gradi della nostra rotta). In entrambi i casi, come facciamo a sapere verso dove stiamo andando? Direte voi: hai la bussola, leggila! Stai facendo rotta per 270 gradi bussola! Ci vuole tanto? E quindi, sulla carta, iniziando dal “punto nave”, traccia una riga a matita in direzione 270° e vedrai dove stai dirigendo la tua barchetta. .Eh, no … non basta. state un po’ a vedere. Infatti la rotta bussola non è la rotta vera …

Infatti, in ciascuna parte della terra esistono valori particolari di declinazione magnetica, cioè di scostamento di qualche grado del Nord Magnetico (quello che attrae l’ago della bussola) dal Nord Vero (quello della carta geografica). Questo scostamento varia due volte: una prima volta a secondo della regione della terra nella quale ci troviamo; una seconda volta varia nel tempo, cioè progredisce o regredisce nel tempo. Per questa ragione, ogni carta nautica indica la data alla quale è stata stampata, il valore dello scostamento (declinazione) a quella data e il valore della sua variazione annua nella zona di riferimento. Chiarito ciò, guardiamo la nostra bussola, la qual ci dice, ad esempio, che stiamo navigando per direzione 270 gradi rispetto al Nord Magnetico (rotta magnetica). Ma quella non è la nostra rotta vera! Infatti, in quella regione del mondo la carta nautica ci dice che esiste uno scostamento dell’ago della bussola di 5 gradi a destra (rispetto al nord geografico o nord vero) all’anno (e la carta è stata stampata un anno prima), il che vuol dire che il nord vero è 5 gradi a sinistra (verso sud ovest), e cioè che noi stiamo andando in realtà per rotta 265 gradi. Quindi sulla carta nautica non dovremmo segnare a matita la nostra rotta con una riga che va ai 270 gradi, bensì con una riga che va a 5 gradi a sud ovest, cioè verso i 265 gradi. Questa è la correzione dell’errore indotto dalla declinazione magnetica (prima correzione).

A questo punto, partendo dalla rotta bussola, con una prima correzione siamo arrivai ad una rotta un po’più vera. Ma non basta.

Infatti sulla nostra barca esistono masse ferrose disposte in modo casuale o asimmetrico, che deviano l’ago della bussola attraendolo verso di sé in modo diverso a secondo del grado di rotta che stiamo seguendo. Infatti se abbiamo una grossa ancora metallica esattamente a prua, l’ago della bussola sarà comunque un po’ disturbato e in una qualche misura, sarà “un po’” deviato verso prua. Ora, se la nostra prua è esattamente verso il Nord magnetico, l’effetto della deviazione magnetica non si avrà. Ma se la nostra prua non è esattamente sul Nord magnetico, bensì se la nostra prora (rotta) è per 270 gradi già corretta in 265, allora l’ancora metallica di prua avrà già trascinato l’ago della bussola un po’ più a sinistra, e quel “265” avrà già scontato questo influsso. Pertanto, prima di salpare, con barca legata ad un palo per la prua, facendo compierle un giro di 360 gradi attorno al palo mostrando sempre la prua al palo stesso, avremo stabilito per ogni grado di rotta quale è la correzione da applicare. Compilata questa “tabella di deviazione” siamo in grado di correggere la deviazione magnetica (seconda correzione). Questa tabella ci avrà detto, nell’esempio in esame, che per rotta bussola 270 gradi, già da noi corretto in 265 gradi, l’ago della bussola era stato deviato dall’ancora di prua di 3 gradi a sinistra. Pertanto per compensare, dovremo aggiungere 3 gradi a destra e risalire da 265 a 268 gradi. Quindi cancelliamo sulla carta la riga a matita che andava verso i 265 gradi e la sostituiamo con altra riga verso i 268.

Dopo questa seconda correzione, abbiamo ulteriormente migliorato la veridicità della nostra rotta. Ma ancora non basta.

Infatti, posto che la nostra rotta ormai quasi vera sia di 268 gradi, dobbiamo ora calcolare lo scarroccio (sempre presente in una navigazione a vela che non sia con il vento esattamente in poppa,e pari a circa 8-10 gradi) dovuto al vento (terza correzione), e la deriva, dovuta alle correnti (quarta ed ultima correzione).
Ora, se il vento provenisse da sud ovest (Libeccio) alla nostra rotta di 268 dobbiamo aggiungere gradi altri 10 per lo scarroccio ed arriviamo ad una rotta di 278 gradi. Dopo un certo periodo tuttavia, rifacendo il punto nave, ci accorgiamo che la nostra posizione è spostata verso sud rispetto al previsto, come se, ad esempio in un’ora, avessimo navigato per rotta 266 gradi bussola e non per 270. Ciò significa che abbiamo subito lo scarroccio di una corrente da nord di 4 nodi (4 miglia all’ora). Correggiamo quindi la rotta per un’ora del valore doppio e per un’ora navighiamo a 278 gradi bussola e poi ci rimettiamo su rotta bussola per 270 gradi bussola. Ma a questo punto sappiamo che la nostra rotta vera è di 274 gradi, cioè quei 278 gradi di cui sopra meno 4 gradi per la corrente.

 

Tracciamo una riga sulla carta con direzione 274 gradi e sapremo verso dove ci stiamo dirigendo: verso quello scoglio di cui si diceva prima e che sicuramente saremo in grado di evitare!

P.S.: la seconda volta che passai al traverso della piramide qui a fianco, di fronte alla baia di Pinarello (innevata dal guano dei gabbiani) sulla costa est della Corsica, dall’acqua emergevano, paralleli, due alberi in legno di un veliero affondato da poco a seguito di uno “scontro frontale”  con mare calmo : mare calmo, sì, altrimenti le onde lo avrebbero sbriciolato e certamente i due alberi non sarebbero più stati paralleli!  Succede anche questo.

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Banche: forti utili di breve periodo divorati da fortissime perdite a medio termine. Quasi scomparso il credito a famiglie e imprese

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 23 Gennaio, 2012 @ 8:37 am

Detto altrimenti: chi dobbiamo ringraziare?

Le banche avrebbero dovuto investire nell’economia vera il denaro raccolto presso i risparmiatori. Invece hanno investito nella finanza speculativa. In altre parole; le banche hanno “giocato al casinò”, tanto, anche se perdono, noi tutti, tramite gli Stati, copriamo le loro perdite con la ricapitalizzazione (aumenti di capitale “anche” a copertura perdite). Mica possiamo permetterci che falliscano, travolgerndo tutti i nostri risparmi e distruggendo uno strumento indisopensabile allo sviluppo economico … mica possiamo … “Forti” di ciò, le banche hanno acquistato titoli pubblici e titolo derivati (vedi il mio post del 4 gennaio) che davano ottimi rendimenti nel breve periodo ma rischiosissimi a medio termine. Nel fare questi investimenti si sono ben guardate dall’applicare le severe norme di cautela alle quali si attengono quando prestano denaro alle imprese “vere”. Dicevano che lo facevano per venire incontro alle esigenze degli Stati, dicevano …. In parte sarà stato anche vero, ma non si è trattato certo nè di beneficienza, nè di far guarire il malato, quanto piuttosto di dargli un antidolorifico momentaneo  facendoglielo pagare salato, cioè esigendo rendimenti alti, speculando sulla sua malattia: multa paucis (lingua latina), molti rendimenti con poco sforzo. Ma … dura minga (dialetto milanese) … infatti, come era prevedibile, il malato si è presto aggravato e le banche con lui. Ed ecco che il malato stesso, costretto a pagare comunque il proprio medico che a sua volta sarebbe fallito e come tale avrebbe causato danni gravissimi ai suoi molti clienti “minori” (i risparmiatori), emette altri titoli di debito pubblico ed altra carta moneta e la spirale diventa micidiale. Dal casinò al … al …. basta che leviate l’accento!

"In banca avevate chiesto chiesto un fido? Eccomi! "

Chi dobbiamo ringraziare per tutto ciò? Sicuramente anche i supermanager di banche e delle agenzie di rating. Ora le cose stanno cambiando. Infatti, per far vedere che hanno capito, le banche (cioè quelle stesse persone) stanno limando i loro stipendi o licenziando alcuni loro colleghi (ir)responsabili dell’accaduto, con decine di milioni di euro di buonuscita. Dice … sapete, si tratta di diritti acquisiti … Nel frattempo hanno appeso un cartello alla porta. “Non si fa credito a famiglie e imprese”

Su La Stampa, “Primo piano”, 15 gennaio 2012 pag. 16, si riporta che Giuseppe Mussari, Presidente dell’ABI, Associazione Bancaria Italiana, ha invitato per lettera le banche aderenti a moderare le retribuzioni dei top manager “in una logica di equa distribuzione e di sostenibilità complessiva delle misure imposte dalla congiuntura”…. invocando “sistemi di remunerazione equilibrati, in linea con le strategie e gli obiettivi di medio e lungo periodo e strettamente collegati con i risultati aziendali, con particolare riguardo al personale più rilevante ed ai c.c. risk takers” (assuntori di rischi, n.d.r.), …indirizzando le politiche retributive verso la moderazione … Riterrei opportuno le predette figure apicali partecipassero allo sforzo con il 4% della loro retribuzione fissa”.

L’Adige del 21 gennaio 2012, pagina 8, riporta che gli azionisti forti di una primaria banca italiana stanno per sottoporre a verifica il top management di livello immediatamente inferiore all’ Amministratore Delegato, rispetto alle loro scelte gestionali e risultati positivi e negativi maggiormente rilevanti. E’ già qualcosa. Infatti si parla di verificare i risultati di medio e lungo periodo, non più solo quelli a breve. Infatti anche recentemente quella stessa banca ha “premiato” un suo top manager con una buona uscita da capogiro per risultati realizzati nel breve periodo, senza considerare che, dopo un anno dalla sua uscita, i risultati a medio termine avrebbero potuto essere, come poi sono stati, catastrofici.

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Post di intervallo: veleggiare in inverno nel Garda Trentino

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 22 Gennaio, 2012 @ 5:43 pm

Il Vento del nord respinge la nebbia

Detto altrimenti: visto che non sta nevicando molto, tre post fa ho cominciato a parlarvi di bicicletta. Ora vi parlo della vela d’inverno

Vele rivane

 Il cielo è pulito, fa freddo.
Il Vento del nord respinge la nebbia.
Le palme e gli ulivi son scossi e muovon le foglie
qual ali che voglian migrare.

... gli ulivi ... muovon le foglie qual ali che voglian migrare

C’è Vento sul Lago da giorni.

Le cime nevose dei monti
dipingono l’aria di candidi sbuffi.

Nel porto un’orchestra.
Ascolta
tintinna di magico timpano
sartia d’acciaio
e insieme a folate impetuose
dà fiato ad un oboe solenne.
E l’onda, smorzata dal molo, applaude il concerto
lambendo gli scafi seduti in poltrona
nel proprio teatro di luci e di suoni.

... le cime nevose dei monti ...

In alto un gabbiano galleggia nel fiume sospeso.
Sull’acqua reali due cigni attendono il tempo.
Dal seno materno del porto si stacca una prora:
s’avanza invelata e scruta l’invito del Vento.
Dapprima procede più lenta
poi prende vigore sull’onda che s’apre e l’accoglie
nell’umido abbraccio d’amante in attesa.
Carena sussulta si slancia
respira lo stesso respiro del cielo
e all’acqua regala la forma.
Le creste dell’onde s’uniscono all’aere in spume rapite.
Lo scafo ormai vola: e mentre ti portan sue ali
Lo senti vibrare, gioire e chiederti: “Ancòra!”.

Ma devi tornare ...

 

Ma devi tornare
e volti la rotta in faccia alla furia che avverti più vera.
Non lotta con l’onda la prora che s’alza:
l’affronta, ricerca un’intesa, la trova, procede:
la senti che parla di te con l’acqua e col vento.

rl

 

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In Trentino, di tutto un po’ …

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 21 Gennaio, 2012 @ 1:03 pm

Detto altrimenti: di tutto nel blog … anzi, di tutto in un solo “post” Ovvero: recentemente ho pubblicato post abbastanza lunghi: ora voglio “fare media”. Ecco qui, quindi, due argomenti “trentini” importantissimi, in poche righe. D’altra parte, meno si scrive, più si è letti.

A) Il Governatore Lorenzo Dellai e il Ceto Medio

Il 28 dicembre scorso pubblicavo un post sulla necessità della sopravvivenza del ceto medio, come modello di crescita della fascia economica “di base” e come soggetto che garantisce il consumo e quindi la produzione. Sull’Adige di sabato 21 gennaio 2012, pag. 25, leggo che la Giunta provinciale sta per varare un piano per l’edilizia “un po’ più che popolare”, cioè per il ceto medio.

 

 

B) La gara per l’A 22 (L’Adige 1 gennaio 2012, pag. 8: rinvio di un anno? Magari!)

Nei miei precedenti post del 12 e 27 dicembre 2011 e 7 gennaio 2012 evidenziavo due proposte:
1. per la regolamentazione della mobilità d’ogni tipo lungo l’Asse del Brennero, impostare un unico sistema progettuale e gestionale a valenza euro regionale in funzione europea. Fatto ciò, pretendere che non sia messa a gara la gestione locale di una delle sue componenti strategiche (indispensabile e insostituibile): la gestione dell’A22. Ben altro quindi che “i conti ragionieristici romani!”. Ciò, inoltre, anche come eccezione europea in contropartita di altre eccezioni europee (che hanno riguardato la GB, vedi qui sotto al n. 2);
2. in subordine, escludere comunque partecipanti inglesi dalla gara, in quanto la GB rifiuta di farsi carico di “oneri, doveri e impegni europei” (trasparenza bancaria, contributo al fondo salva stati, etc.). Ubi commoda ibi incommoda …

Coraggio, lettori del blog, fatevi avanti con i vostri commenti: carne al fuoco non ne manca!

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INCONTRI – 6) MARIAPIA VELADIANO

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 20 Gennaio, 2012 @ 3:43 pm

Detto altrimenti: una nuova Trentina ad honorem, il suo romanzo: “La vita accanto”

Mariapia Veladiano

Malvinni, Veladiano, Reina

“Mariapia Veladiano da Vicenza”, teologa, già professoressa, da poco Preside in una scuola di Rovereto, scrittrice al suo primo romanzo è stata meritatamente assai corteggiata e contesa a Trento. Infatti:
o ai nostri gruppi privati di lettura e culturali è indicata da Camilla Pacher;
o ha formato oggetto di lettura e commento sul blog “Tra un libro e l’altro” di Mirna Moretti (www.trentoblog.it/mirnamoretti);
o il suo romanzo ha formato oggetto di una serata di discussione da parte del Circolo l’Accademia delle Muse presieduto da Cristina Endrizzi Garbini;
o “La vita accanto” ha suggerito un viaggio a Vicenza alla scoperta dei “luoghi di Rebecca”, sulla cui scia è stato redatto un album fotografico poi donato all’Autrice;
o l’Autrice è stata invitata Trento dalla Biblioteca Comunale, con l’organizzazione di Paolo Malvinni, per una riunione condotta da Nadia Reina;
o questo “post” avrebbe dovuto essere scritto da Mirna, quale titolare del blog letterario. Tuttavia, essendo lei impossibilitata a partecipare all’incontro, ha chiesto a me di sostituirla.

Biblioteca Civica di Trento, 19 gennaio 2012, ore 17,30. Sala degli affreschi, stracolma. Mariapia Veladiano entra. Scrivere ora del suo ingresso nella sala dopo averne ascoltato le parole …  parole che hanno richiamato alla mia memoria alcuni versi …

…Ella “se ‘n vien” sentendosi laudare
benignamente d’umiltà vestuta
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare …

… infatti, così, semplicemente, portatrice di un grande messaggio, Mariapia entra e si rapporta alle persone con assoluta naturalezza,  umanità e disponibilità. Prima della conferenza le rivolgo qualche domanda:

Buongiorno Signora, sono qui per il blog ….
Sì, l’ho visto, la ringrazio, mi ha segnalato, che dire …
Niente, siamo noi a doverLe molto. Mi permette qualche domanda? Lei è di Vicenza?
Si.
“La vita accanto” è il suo primo romanzo?
E’ il primo che pubblico.
E prima?
Ho sempre scritto. Ho collaborato con una rivista “Il Regno” di Bologna, con articoli di teologia, sulla Chiesa, su Chiesa-ambiente. Come narrativa ho svolto solo attività privata. Tuttavia, ad un certo momento, ho avvertito il bisogno di un ascolto.
E l’ascolto ora posso garantirLe che ce l’ha, e come! Lei è teologa?
Si.
Allora conosce Vito Mancuso? Sa, è stato qui a Trento pochi giorni fa, in occasione del suo libro “Io e Dio”.
Non l’ho seguito. Lui è un teologo in senso pieno, ha sviluppato un pensiero teologico. Io sono solo laureata in teologia. La mia formazione è teologica ma non ho mai elaborato un pensiero teologico. La teologia mi è servita per avere uno “sguardo dal basso sul mondo”, dalla parte dei più deboli … è importante …
Come Le è venuta l’ispirazione del romanzo?
Non si sa come accadano certe cose … ovvero, le storie arrivano addosso … ci investono … io credo che questa mi sia arrivata dalla mia esperienza di scuola, dai ragazzi i quali, nel tempo, mi hanno trasmesso le loro incertezze legate alla percezione del loro stesso essere, che la pseudocultura moderna impone adeguato a rigidi canoni sociali ed estetici dai quali è molto facile essere fuori. Infatti, basta non essere alti, magri, ricchi, non essere vestiti in un certo modo, non avere certi accessori, non essere abbastanza giovani, e si è fuori. I giovani oggi hanno questa grande paura, dell’esclusione dal canone. Volendo io raccontare una storia di esclusione ho scelto l’esclusione più stupida, quella legata all’aspetto fisico, quella che trascura la vera essenza della persona umana e non tiene conto della personalità di ognuno.
Rebecca è rimasta vittima di questa concezione della vita?
Quella di Rebecca è la storia di una vita possibile comunque, di una “vita salvata”. Ciò che salva la nostra vita è che essa sia originale e che qualcuno la riconosca come importante. Se abbiamo questa fortuna, se qualcuno la riconosce come tale siamo salvi, abbiamo la nostra felicità, anche piccola, ma nostra e fondamentale. Oggi invece, purtroppo, la felicità è assoluta (denaro, bellezza, giovinezza, successo, palcoscenico a disposizione etc.) oppure c’è infelicità, non c’è vita, il che è un inganno tremendo perché condanna la stragrande maggioranza di noi a non essere nessuno, mentre invece ognuno di noi è importante: questa è la nostra vita, la nostra unica vita …
Avevo una domanda da farLe, cioè se il romanzo è autobiografico. ma ora che L’ho conosciuta di persona, ora che vedo davanti a me una bella signora ed una signora bella … la risposta l’ho già: no.
Io dico sempre che sono autobiografiche tutte le emozioni e tutti i sentimenti che si sono vissuti o che altri ci hanno trasmesso. E poi una brutta percezione di noi stessi … chi di noi non l’ha mai avuta … è una sensazione molto diffusa … quindi posso attingere anche da qui.

Monte Berico

Grazie, La lascio al suo pubblico. Non prima di averLe fatto dono di questo piccolo album di fotografie da noi scattate a Vicenza, “Viaggio in Vicenza”, durante una visita ai “luoghi di Rebecca”. L’album è firmato anche da Cristina Endrizzi e da Mirna Moretti. Non siamo riusciti a raccogliere in tempo la firma di Camilla Pacher, l’amica che ci ha segnalato la Sua opera e che ora Le presento.
Non ho parole, grazie …
Grazie a Lei, Signora.

Nel corso del successivo ampio scambio di idee fra l’Autrice, la conduttrice della riunione Nadia Reina  ed il pubblico sono emersi ulteriori spunti. Ne riferisco alcuni, in forma sintetica per ragioni di spazio.

Si tratta di un romanzo-letteratura, una storia umana quindi universale, con la quale l’Autrice si è rivelata a se stessa. Ma … qual è il Suo pubblico?
E’ un pubblico molto diversificato. Molti vi si sono riconosciuti, ciascuno in una delle tante situazioni. I miei ragazzi poi navigando su internet, prima dell’uscita del libro hanno scoperto che lo avrei pubblicato. Hanno cercato di indovinare “come va a finire”. Di fronte alla mia ovvia indisponibilità ad anticipare loro la risposta, sapete cosa hanno detto, in successione?
o Rebecca diventa bella.
o Si suicida.
o Muore di suo.
In altre parole: per loro è inaccettabile essere “fuori” dai canoni. Sono quindi particolarmente lieta che il mio libro sia stato adottato in una scuola superiore …
Ma … Rebecca diventa bella?
Si, in quanto sente che la sua vita diventa “riconosciuta” e quindi “importante”. Anche nella vita lavorativa è bello “essere riconosciuti” per quello che si fa.
Lei parla del “bel mondo e bella gente”, non di “mondo bello e gente bella”.
Sì, sono concetti diversi. Oggi alla parola bellezza vengono collegati ”abbronzatura, altezza, magrezza, giovinezza, istituti di bellezza, centri del benessere, cure dimagranti. etc.”, mentre il bello è tutt’altro. Il bello è nella profondità dell’essere di ognuno di noi. I ragazzi d’oggi sono portati a combattere ciò che è non è “bello”, che è fuori canone; sono indotti a combattere per conquistarsi ciò che è previsto dal canone. Vedono il mondo diviso in due: chi ce la fa e chi no. E ciò è terrificante. Invece, dobbiamo essere vicini a chi, accanto a noi, sembra “non farcela”, dobbiamo “vederlo” e “riconoscerlo” come persona comunque importante. Anche nel lessico, io insisto con i miei ragazzi, non voglio la “lingua del mercato”: bello – brutto, grande – piccolo, si – no. Una lingua conosciuta poco è una lingua usata male e non esprime non ciò che si desidera dire, ma solo ciò che si riesce a dire. E spesso si è fraintesi. E’ la lingua delle guerre, della non-comunicazione. Una mia allieva ha scritto in un tema: “Una donna amata si sente bella”. Ho aggiunto, a fianco: “Ogni persona amata si sente bella”.
Viene tirato in ballo anche il ruolo della famiglia.
Sì, la famiglia è importante, ma da sola non ce la può fare. Mancano asili nido, gli orari scolastici e degli uffici non tengono conto delle esigenze familiari. Si dice “politiche per la famiglia”. Si dice, si parla … appunto …
Il romanzo è la sconfitta del male.
Si, Rebecca viene “riconosciuta” e quindi si salva, raggiunge la sua “piccola” felicità. Il bene trionfa.
Poche pagine, molti capitoli, corti, a diminuire …
Spesso il non detto parla più di ciò che viene detto. Gli Ebrei della prima generazione, quelli che hanno vissuto la Shoà non ne hanno quasi mai parlato. Gli Ebrei della seconda generazione, i loro figli, la conoscono alla perfezione.
Un libro nasce due volte, quando è scritto e quando viene letto. Questo è nato tre volte, cioè anche oggi, quando viene ri-letto, grazie ai Suoi interventi.
…
Questo libro mi ha cambiato la vita, grazie
…
In questo romanzo Lei ha affidato molto agli odori e ai profumi. A parte i “profumi del paesaggio”, cioè quelli che appartengono alla natura, ve ne sono altri che si sostituiscono alle parole. A proposito del “non detto”: Rebecca, a scuola, seduta nel primo banco, “sente l’odore” della curiosità dei compagni dietro di sé. E alla fine del libro l’esplosione di un profumo narra il ri-trovamento, da parte di Rebecca, di qualcosa di cui era stata privata.
Sì, è vero. Io stessa ho una grande sensibilità olfattiva. Molto importante è un particolare. Rebecca non conosceva l’odore della mamma che l’ha sempre allontanata da sé. Ma un giorno, quando si rompe la boccetta del profumo della mamma ormai morta, Rebecca può recuperarlo come ricordo di lei.

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BICI, PERCHE’?

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 20 Gennaio, 2012 @ 6:42 am

S. Leonardo in Val Passiria

Detto altrimenti: insomma, facciamo una pausa fra tante manovre, naufragi, spread, deficit, misure etc.., anche perchè ieri pomeriggio ho partecipato, presso la Biblioteca di Trento, all’incontro con Mariapia Veladiano la quale ci ha parlato del suo delicato e profondo romanzo  “La vita accanto”, che molti di noi hanno già letto, ma che, insieme all’Autrice, ieri abbiamo “riletto” riscoprendone i significati più veri. Ora, il privilegio di trarne un post spetterebbe alla mia amica Mirna Moretti sul suo blog letterario  www.trentoblog.it/mirnamoretti. Tuttavia Mirna non ha potuto essere presente alla riunione ed ha pregato me di sostituirla (io speriamo che me la cavo!). Per cui mi prendo la giornata di oggi per elaborare la ricchezza di concetti emersi  e per oggi ecco qui una  poesiola. Sulla bicletta, alla quale sto cominciando a pensare, visto che non nevica …  C’è ben qualche duro che pedala anche ora, ma io preferico attendere che l’aria scaldi un po’ ….

 

Bici, perchè?

Casa in S. Leonardo in Val Passiria - Foto Edoardo Pellegrini

Perché
in una chiesetta al Ghisallo
riposa sospesa
antica reliquia a pedali.

Perché
insieme a lei
tu scali la vetta
compagno soltanto a te stesso.

Perché
ti ha insegnato
ad alzare più spesso lo sguardo
a scrutare che cielo farà.

Perché
sempre incontri qualcuno
che non ha timore
di aprire la sua vita al vicino.

Perché
con il vento dei sogni
giocando
ritorni un poco bambino.

Perché
restituisce
ad un uomo affannato
profumi di suoni e colori.

Perché
in salita
ricorda ad ognuno
che volendo e insistendo si può.

E poi, … perché no?

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LUIGI E DANIELA SARDI: EL FILO’ CON CHITARRA (contiene un INSERTO SPECIALE sul naufragio della Concordia)

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 18 Gennaio, 2012 @ 7:25 pm

Luigi e Daniela all'ascolto

Carlo Fierens

 

 

 

 

 

 

 

 

Detto altrimenti: come due interviste (le nn. 4 e 5) si trasformano in filò

Personaggi ed interpreti:
Chitarrista classico Carlo Fierens: Carlo Fierens
L’ospite Luigi Sardi: Luigi Sardi
La moglie dell’ospite  Daniela Dalri: Daniela Dalri
Intervistatore e fotografo Riccardo: Riccardo

Concerto

Carlo ed io saliamo per una di quelle stradicciole …  da Trento sino a “Oben” Villazzano, Villazzano di sopra, luminosa frazione nobile della città. Ti accoglie un arco, quindi un prato verde e bianco d’erba e di ghiaccio e il rosso dei copi di una casa del ‘600, con adiacente cappella. Praticamente l’incipit dell’Inno al Trentino,  …. il bianco delle cime nevose, il rosso dei fiori, il verde delle coste selvose,  dolce festa di vari color… Dietro l’arco c’è la padrona di casa, Daniela, Presidente dell’Associazione Culturale Francesco Antonio Bonporti, fondata nel 2004. Uno sguardo alle ombre che dal Bondone calano sulla città, un altro all’albero di cachi ed al nocciolo visitato ogni mattina da uno scoiattolo residenziale ed entriamo in casa, dalle mura spesse un metro.

Francesco BonportiI Bonporti, primi suoi proprietari. Francesco, musicista, compositore, violinista, con l’aspirazione di diventare allievo di Arcangelo Corelli, a Roma. Aspirazione, si diceva, in quanto restò sacerdote a Trento. L’Associazione ne sviluppa le composizioni, oltre che ad ampliare la sua attività in anche in altri settori della cultura, innanzi tutto per i 50 soci di Villazzano, che qui si riuniscono due volte l’anno. Indi anche per i non soci. Il Conservatorio Musicale di Trento, il “Bonporti”, appunto.

 

Carlo appoggia la sua chitarra in un angolo e guarda estasiato questi autentici pezzi di storia. Luigi scende dal piano superiore. Questo blog si chiama “trentoblog”, quindi mi astengo dal presentare il mio ospite, se non dicendo, per i non Trentini, che Luigi è giornalista; storico; scrittore; comunicatore (ti mette generosamente a parte della sua memoria storica e della sua grande umanità); uomo stimato; pensionato ma non si vede; amico vero nel senso che ti dice ed esige la verità; pittore, nel senso che “dipinge con le parole”, per cui dopo, per chi come me deve scriverle le sue parole, è un gioco da bambini. Scaldiamo l’ambiente. Un po’ di legna nel caminetto. Un caffè? No grazie. Una buona bottiglia di nero. Carlo non beve, prima di suonare. Esegue la fuga in sol minore di Bach; la suonata n. 1 per chitarra di Carlos Guastavino (1850); il capriccio n. 7 di Luigi Legnani (1850). E’ subito prenotato per un concerto in favore dell’Associazione. Non occorre essere miliardari per godere di simili privilegi. Carlo, le sue dita accarezzano le corde con precisione. Con il respiro, il volto, il dondolio della testa accompagna le note, le sospinge dolcemente dalla chitarra verso di noi. Peccato che debba finire. Solo per questa sera, intendo!

Luigi

 

Il  fuoco …  per alimentarlo vi soffiamo sopra per mezzo di un antico tubo di ferro (sicuramente d’epoca!) una estremità del quale “a forchetta” per smuovere le braci … Ma la ricreazione è finita. Ora “lavoriamo”. Intervistare un giornalista? Sarebbe opera ardua, soprattutto con persone del suo calibro. Ma io ho il mio segreto. Sto zitto. Basta lasciarlo parlare, Luigi, ed inizia il filò, soprattutto in onore di Carlo, Trentino acquisito da poco. Sai, Carlo … s ’era a Marter, un paesino della Valsugana, anni 1946-1948. Nella stalla. In alto, un unico lume ad olio, tenuto fioco per risparmiare, molto pulito, non v’era traccia di mosche sulla sua boccia di vetro. Le ombre lunghe scalavano le pareti della stalla e vi restavano appese come vecchi pastrani scuri appesi a pioli di legno piantati nella fessura fra due pietre. Perloppiù erano storie di sciagure: raccolti andati a male, campi allagati e fieno marcito. Quasi un Malavoglia montano. Ci si consolava scaramanticamente in tal modo. Ad una cert’ora venivano offerte castagne bollite. Qualche bicchiere di vino o un sorso di grappa bianca distillata “in nero”. Quando era stato portato il latte al caseificio, comparivano anche sottili fette di formaggio. Molto sottili. Se poi era stato ucciso il maiale, allora erano pezzi di luganega cotta sugli ultimi calori della “fornesela” e cioè del fuoco che veniva acceso nella stalla per cucinare il pastone del maiale. Sì, si chianmava proprio così, fornesela.La stalla, residenza di tre mucche.

Giovanni Segantini - La stalla

Lì si riunivano nelle serate di autunno e di inverno – ed erano inverni che pioveva e nevicava, che ti credi, mica come oggi … -  qualche donna a sferruzzare, qualche bambino, gli anziani dei vicini masi (poderi, Carlo, qui si chiamano masi). Gente importante. Ne ricordo uno, Toni Bocher che salutava con un “Ben alzato!”, praticamente un “Ben fatto!” saluto di macabra origine, in quanto era l’approvazione che il boia Lang (quello di Cesare Battisti) soleva rivolgere ai suoi assistenti quando avevano alzato bene il morituro per avvicinarlo al cappio. Ma sai, si era perso il collegamento storico, era rimasta solo l’espressione lessicale. Tuttavia ancora oggi in Val di Sella, una valle che si diparte dalla Valsugana, la valle dei Degasperi per intendersi, v’è ancor oggi chi saluta in tal modo. Toni era stato ufficiale dell’esercito Austro-Ungarico, come molti del resto, qui da noi, tu che sei appena arrivato … ma molti fra i più vecchi hanno combattuto dall’altra parte.

Marter. Vi si arrivava per una strada bianca, fiancheggiata da alti pioppi. Un giorno si attendeva il passaggio di Alcide Degasperi. Prima passò un’auto Lancia Ardea. Sulla fiancata recava lo striscione de “Il Gazzettino”. Poi una camionetta dei carabinieri. Infine una grossa Fiat, l’auto di Alcide. Ricordo un episodio assai particolare: la gente, tutta la gente, s’inginocchiò al passaggio dello statista. L’episodio fu citato quando recentemente si parlò della sua possibile beatificazione.

 

Inginocchiarsi … amarcord … mi ricordo, s’era nel 1950 … quando fu portata a Trento la statua della Madonna Pellegrina fino nella chiesa dei frati Cappuccini, in cima alla via Grazioli. Tutta la città era illuminata, tutte le finestre addobbate a festa. Il corteo passò anche in Corso III Novembre, sulla quale s’affaccia Casa Fozzer, abitata al secondo piano da Ernesta Bittanti, la vedova di Cesare Battisti. Sai, ricordo bene tutto ciò che sto raccontando, perché anch’io ero nella processione. Avrei voluto essere anch’io uno degli angioletti con le ali attaccate sulla schiena che scortavano la statua. Niente da fare. Mi avevano affidato il ruolo di “addetto alla sicurezza” degli angioletti, con l’incarico, insieme ad altri colleghi, di tenere  riuniti gli eletti, con l’aiuto di una recinzione mobile,  un grosso cordone rosso. Pazienza. Ecco, ti dicevo, si passava sotto quella casa e proprio li venne dato l’alt alla processione. Un caso? Può darsi.  Un frate giovane e rubicondo intonò il “Noi vogliam Dio” incitando tutti a cantare più forte. Quelle finestre chiuse erano e tali rimasero, anche perché, all’interno, nonna Ernesta incitava tutti al silenzio e a non muoversi.

Cesare Battisti ed Ernesta Bittanti

Ernesta, la vedova del “diavolo” Cesare. Molti anni dopo, Flaminio Piccoli mi riferì che se la finestre si fossero aperte la folla avrebbe probabilmente gridato al miracolo e la DC avrebbe nominato Ernesta senatrice a vita. Così non fu. L’episodio è confermato in un importante inserto di otto pagine del quotidiano Alto Adige (l’ultimo che il giornale fece) di sabato 4 ottobre 1997, con l’incipit in prima pagina, a firma del nipote della Battisti, Marco, oltre ad altre importanti firme che voglio citare: Vincenzo Calò, Gaetano Artè, Walter Micheli, Umberto Gandini di Bolzano, Franco de Battaglia, Giovanni Faustini, Gaetano Salvanini, Fabio Barbieri (ch era il direttore del giornale) e modestamente anche Luigi Sardi.

Daniela interviene … Luigi, facciamo notte … Appunto, dico io, filò … e mi verso un secondo bicchiere di nero. Ora che ha già suonato, bene anche Carlo. E poi Luigi si deve ritirare a scrivere. lavora sempre l’uomo. Gli scatto qualche foto nel suo “studio estivo”, a piano terra, non riscaldato. Indi mi saluta e sale nello studio invernale. Io e Carlo ce ne andiamo.
Grazie Daniela, grazie Luigi, grazie Carlo. Anche da parte dei lettori del blog.

Le foto? Con alcune sono riuscito, con altre no … Luigi, le tue sono troppo “pesanti” e il programma non riesce a scaricarle. Vedrò di farmi aiutare da un esperto. 

INSERTO SPECIALE : IL NAUFRAGIO DELLA CONCORDIA

 Mi pare che nessuno, sino ad ora, abbia collegato la difficoltà dell’evacuazione della nave anche (“anche”, badate, non “solo”)  all’enorme numero di passeggeri ospitati, forse in ogni caso eccessivo rispetto ad un efficiente sistema del suo  abbandono, pur in presenza – come purtroppo non è stato – di un comandante serio, capace, onesto e nel pieno possesso delle sue facoltà mentali ed erotiche.

L’impressione che ne sto ricevendo è pari a  quella che da sempre ho quando immagino a cosa potrebbe accadere se avvenisse un terremoto mentre in una grande chiesa, affollata di persone, si celebra una funzione religiosa. Le uscite delle chiese, in genere, sono di dimensioni assolutamente insufficienti rispetto alle necessità di un rapido deflusso dei fedeli. Ma le grandi chiese sono monumenti secolari ed allora noi ce le teniamo care così come sono e ben volentieri, anche. Noi Italiani che di chiese ne abbiamo un vero patrimonio! Ma le navi da crociera, per favore … un po’ più di attenzione da parte del legislatore e quindi del progettista-costruttore circa il rapporto “numero di passeggeri – sistemi di evacuazione”  in caso di allarme proprio non guasterebbe. Che ne dite?

Il Titanic non ha insegnato nulla? Come non prevedere, infatti, che non è detto che le navi “affondino senza sbandare su di una murata” e che quindi occorre prevedere  sistemi che agevolino la calata a mare (alaggio) delle scialuppe  che si trovano “sopravvento”.?  Dice …  ma … Riccardo, in Italia siamo tutti Commissari Tecnici della Nazionale, al bar intendo … e anche tu … non sei un po’ troppo presuntutoso? Vuoi che non ci abbiano pensato? Eh no, dico io,  non  rinuncio a ragionare con la mia testa solo per evitare il rischio di “essere considerato male dagli altri”.

E poi, historia magistra vitae … (quando mai, purtroppo!) almeno così dovrebbe essere. Il Titanic: avvistato l’iceberg, il comandante commise un errore: diede ordine di virare, esponendo in tal modo l’intera fiancata allo sperone di ghiaccio. Se si fosse limitato a dare l’ “indietro tutta”, avrebbe sacrificato la prua ma i compartimentoi stagni “trasversali” della nave avrebbero evitato il naufragio. Nel caso della Concordia l’impatto è stato laterale, ma domando: esistevano compartimenti stagni? Sono stati isolati? Se i passeggeri dei ponti inferiori fossero stati fatti risalire, subito dopo – quanto meno – si sarebbero potuto chiudere le paratie entincendio che avrebbero impedito all’acqua di invadere i  ponti suoperiori  e la nave avrebbe goduto di un migliore galleggiamento.

Dalla TV si è visto che le pinne stabilizzatrici della nave erano state fatte uscire dallo scafo. Si tratta di pinne che sono attiavate per evitare il rollio in caso di mal tempo. Ma il mare era calmo. Ed allora? Direi che esse non sono state concausa del disastro, ma denotano disattenzione, in quanto rallentano la navigazione, aumentando inutilmente il consumo di combustibile. Sarà un dettaglio, ma tant’è, già che ci siamo …

Andrea Doria: nella nebbia procedeva “incontro” allo Stockolm ( e viceversa). A parte che entrambi le navi avevano il radar, anche solo con un corretto utilizzo dei segnali sonori avrebbero potuto “poggiare” cioè virare ambedue a babordo o ambedue a tribordo (cioè entrambe a destra o entrambe a sinistra), sfilando l’una di fianco all’altra, senza collidere. Invece una delle due sbagliò manovra. Solo una delle due, perchè se tutte e due avessero commesso lo stesso errore , la collisione sarebbe stata evitata. sarebbe bastato mettersi d’accordo.

Dico questo per affermare un concetto: l’errore umano può essere compreso e in una qualche misura accettato se avviene durante una forte tempesta, un incendio, una battaglia navale, in presenza di avarie ai motori o di guasti alla strumentazione. Non può essere nè accettato nè giustificato quando nessuna di queste condizioni si verifica, soprattutto se nel frattempo stiamo abbracciando belle ragazze (una bionda ed una mora, una a destra ed una a sinistra, a chi tocca per prima?) e stiamo bevendo drink alcolici nei saloni della prima classe.

A proposito di alcool. Nel post qui sopra avrete notato che Carlo, dovendo eseguire un brano alla chitarra di fronte ad un pubblico di ben tre amici, non ha voluto  sorseggiare nemmeno due dita di vino nero, prima dell’esecuzione. Che differenza!

 

 

 

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