DIZIONARIO DELLE COSE PERDUTE di Francesco Guccini

pubblicato da: Mirna - 4 Luglio, 2012 @ 7:17 pm

DIZIONARIO DELLE COSE PERDUTE

DI FRANCESCO GUCCINI

 

Lettura gradevole come un cesto di ciliegie da gustare in un angolo fresco del giardino o della casa. Un ricordo tira l’altro e Guccini, che ha vissuto la sua giovinezza nel tempo e nello spazio anche miei, e’ abile e sornione nel regalarci cose perdute.

 

Mi ha ridato il tempo di ripensare al tempo passato, non con il retorico accento nostalgico bensi’  con una ricerca archeologia di azioni e oggetti e luoghi che a molti sara’ dato di non conoscere.

 

Gia’ la copertina verde che riproduce il pacchetto dele nazionali mi riporta alla mia mamma fumatrice, ma immagini e sensazioni gia’ vissute arrivano pagina dopo pagina.

 

La macchinetta del flit che riesco a risentire tra le mani o il gioco dela pulce e I coperchini delle bibite raccolti con religioso rgore, perlopiu’ dai maschi …

 

Nell’Emilia di inverni nebbiosi e afose estati brulicavano allora moltissime sale da ballo e Guccini e’ spassosissimo nel raccontare come si svolgevano I riti degli inviti alle danze

 

E in inverno era il “prete” ad essere importantissimo: serviva a riscaldare I letti ghiacciati. Fatto di legno con spazio all’interno per contenere il braciere caldo si posizionava alcune ore prima di coricarsi e dava un piacere indescrivibile…

 

Si parla poco delle cose perdute, un po’ perche’ fa “vecchi” ripercorrrere anni  lontani e un po’ perche’ abbiamo sempre fretta di raggiungere nuovi pensieri, nuove emozioni  e tutto In modo veloce, in a fast way.

 

Guccini, come molti emiliani, ha qualcosa del gatto sornione che osserva, e metabolizza In maniera lenta e duratura gli accadimenti della vita in un panta rei che ci avvolge e ci identifica.

 

E sebbene la mia mamma non sia mai riuscita a farmi la “banana” con I miei capelli sottilissimi e drittissim,i ricordo invece la mia florida amichetta che la portava con il nastro cangiante pure! E se di lei dicevano sempre che era bellissima a me , magrissima, era riservata la  frase  “Com’e’ fine, pero’”.

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PRENDITI CURA DI LEI di Kiung-Sook Shin

pubblicato da: Mirna - 2 Luglio, 2012 @ 2:02 pm

 

Neri Pozza

 

Storia interessante e commovente questa di Park So-nyo  che a 69 anni si perde e scompare in una stazione della metropolitana di Seul. Il marito che era con lei se ne accorge troppo tardi, abituato com’era a lasciarla sempRe alcuni passi dietro di lui.

 

Interessante perche’ entriamo nel mondo contadino coreano dove ancora grande importanza hanno I riti per gli antenati da celebrare a scadenze stagionali. Come pulire le razze accanto al pozzo nel gelido inverno. O leggere di piatti particolari, desueti per noi ma partcolarmente curiosi.

 

E sopattutto commovente perche – e ci risiamo – si racconta e si analizza il rapporto madre-figli, moglie-marito e la vera essenza di una persona.

 

Racconto a piu’ voci: quelle dei figli che si sentono in colpa per non essere riusciti a contraccambiare l’amore assoluto che la madre ha dedicato loro. Il primogenito ripensa alle tenerezze e sacrifici materni e non sa darsi pace “Ora riflette sul passato. Quando mamma era piu’ giovane, la sua presenza lo aveva spinto a rafforzare la sua determinazione di uomo, di essere umano”

 

Perche’ si e’ cosi’ disattenti con le persone che amiamo e poi ci tormentiamo quando ormai queste non ci sono piu’ e non possiamo  far capire loro la nostra gratitudine e il nosto amore?

 

Anche la terzogentita, ormai scrittrice di successo, non sa darsi pace e invade Seul di volantini per ritrovarla. Qualcuno parla di una signora in sandali azzurri con ferite ai piedi che vagola per la citta’, ma Park So-nyo non si trova, come non era stata “trovata” – e forse soltanto da un amico segreto – da nessuno dei suoi familiari che non sono mai riusciti a prendersi cura di lei.

 

E lo stesso marito disattento ora si accorge della grandezza della moglie che , capisce, rappresentava la madre terra, le radici, la casa, cio’ che toccava , ricorda, diventava fertile. E  piange e si dispera di non aver mai camminato al suo fianco.

 

Storia intrisa di poesia dove la figura di questa donna forte, che non sa leggere, e che nasconde segreti rimarra’ nella memoria di noi lettori come un’altra icona dell’universo femminile.

 

Cosigliataci anche da Maria Pia Veladiano

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TUTTA UN’ALTRA VITA di Lionel Shriver

pubblicato da: Mirna - 26 Giugno, 2012 @ 7:03 pm

Uno dei più bei romanzi letti in questi ultimi tempi questo di Lionel Shriver che è una donna, nonostante il nome maschile, una giornalista e scrittrice vincitrice di numerosi premi.

Eppure il contenuto che ho raccontato “lettura facendo” a Stefania, qui in attesa di portare me e Mimilla a Borzonasca, non è allegro: parla tutto sommato di due persone che stanno molto male. Una ragazzina affetta dalla sindrome  DF, una patologia degenerativa che sembra colpire soltanto i bamibini  ebrei askenaziti e una cinquantenne colpita dal terribile mesotelioma causato dall’amianto.

Ma accanto a loro ci sono altre persone, alcune eccezionali, altre soltanto umane con le loro meschinità e fragilità.  “Un romanzo fuori dal comune” come scrive The New york Times  “capace di scuoterti e cambiarti nel profondo.”

Personaggio principale è Shepherd Armstrong Knackher, detto Shep, “costituzionalmente obbediente”, pragmatico, uomo tuttofare, ma con un sogno forte , quello di accumulare denaro per andare poi nella seconda metà della sua vita in un luogo, denominato  da lui e familiari  “Aldilà” dove finalmente il tempo senza impegni e la vita poco costosa gli permetteranno di inventare giorno dopo giorno il proprio tempo,  come facevano anni addietro   i  bambini durante  le loro  lunghe estati : “ampie distese di tempo privo di impegni che sconfinavano in orizzonti indistinti. …Tempo su cui improvvisare, da suonare come un sassofono.”

Shep ha venduto la sua attività lucrosa per tenere in banca i suoi 731.000 $  che gli permetteranno di andare presto a Pemba, un’isoletta di fronte a Zanzibar e dimenticare il meccanismo perverso dello stato americano dove le tasse, la mancata assistenza sanitaria, se non coperta da assicurazioni costose, sconfiggono migliaia di individui. E’ quello che “urla” il suo caro amico Jackson  dividendo i cittadini in Furbi e Fessi.

Ma appena  Shep decide di partire con la famiglia c’è la sconvolgente notizia della malattia della moglie Glynis: mesotelioma.

Capitolo dopo capitolo, leggiamo della vita di queste persone che combattono e  sperano; la malattia di Glynis tiene a bada il senso di perdita di Shep  per Pemba   Shep che riesce in ogni caso a tener d’occhio il suo conto che sta prosciugandosi velocemente per le cure e i farmaci della moglie.

Lui ama sua moglie, donna che sembra fatta di metallo come le sue sculture e che combatte la malattia, sperando di sconfiggerla, con rabbia vendicativa contro tutti. Il loro rapporto è straordinario e Shep riuscirà in un finale coraggioso  perchè  potrebbe essere verosimile –  portare a Pemba sia la moglie morente che il figlio che sembrava rinchiuso nella sua stanza tecnologica (come certi ragazzini giapponesi  detti haikumori  cioè vittime della magia cibernetica) , il padre ottantenne e qualcun altro le cui vicende sono forti e avvincenti.

Da leggere.

556 pagine che per me sono state eccezionali. La vita, la morte, l’amore, le meschinità, la generosità…insomma la Vita.

Edizioni Piemme

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LA LUNA E LA FIGLIA CAMBIATA di Maria Cannata

pubblicato da: Mirna - 21 Giugno, 2012 @ 10:59 am

Ancora una storia del rapporto madre-figlia, poco dopo aver letto e presentato il romanzo di Angelika Overth “Giorni vicini”. Questa di Maria Cannata, insegnante e Presidente del Circolo della rosa di Verona, ancora più forte e destabilizzante per la figlia.

Tutto ci viene raccontato mescolando avvenimenti, leggende regionali in una sorta di fiaba inquietante  e nello stesso tempo poetica.

Il linguaggio  spazia in modo sinuoso da frasi del dialetto siciliano a calligrammi che accompagnano i sentimenti a seconda della loro intensità.

Come nelle fiabe c’è una madre estranea e temibile  alla quale viene riportata la figlia dopo alcuni anni , una madre che appare come la strega cattiva di Hansel e Gretel, una madre grossa, divorante, dalla bocca-voragine dalla quale sembrano uscire soltanto delle grida e nessuna Parola.

Terrori ancestrali narratici  sia in molte fiabe come Pollicino e  nei miti greci.

Maria Cannata si riaggancia a leggende siciliane sulla Luna, su Rosamarina ed è prodiga ad  impreziosire qua e là frasi in dialetto siciliano, quello più ancestrale …  “Riticedda dilli mè vuredda” (Reticella delle mie viscere)  come esclama una mamma al figlioletto malato.

La piccola Bambina si ritrova in un ambiente cupo, forte di emozioni, diverso dal contesto borghese e tranquillo dove ha vissuto  e per farsi coraggio scrive a Lina, la sorellina bionda, ( o è un’altra se stessa?)  rimasta al Nord dalla Zie amorevoli che l’avevavo allevata con tenerezza e con Parole d’amore.

Ma questa madre che a volte si scinde da Madre Cattiva in Madre Buona (ricordiamo Melanie Klein e la percezione  di  Seno buono e cattivo che già i neonati provano quando sono allattati e quando sono staccati dal seno) non riesce a trovare le Parole per comunicare con la figlioletta che si sente  perduta. Perchè?

Le Parole che la Bimba  scrive per raccontare ciò che ha trovato su quest’isola misteriosa l’aiuteranno  ad attraversare la sofferenza come se dal mare “tavola di metallo grigia e immobile” dove “era come se il suo corpo si fosse disciolto tra le onde ed lei  stessa fosse diventata mare”, dove si sentiva avvolta da una “secunnina“(placenta) con enorme fatica raggiunge gli scogli ed infine la terra sotto gli occhi implacabili della Luna, figura muliebre archetipica.

Già dalla prima pagine sono stata spinta a proseguire la lettura per scoprire anch’io , insieme alla Bambina, il mistero della sua storia, e nello stesso tempo venivo incantata dalle parole folgoranti, colorate dei caligrammi che ondeggiavano a seconda dei momenti.

Se apro la mano

tutto

il mare

fugge

dalle mie dita

e

il gabbiano

è

libero.

La lettura viene rallentata e sembra respirare con l’emozione descritta.

Nel microcosmo che imprigiona la Bambina rivoluta  dalla Madre Doppia agiscono personaggi che ricordano, con iloro soprannomi, i Malavoglia di Verga.  Da Nicuzzo, il più piccolo bimbo del cortile, a Donna Fava perchè mastica sempre una fava, da Ariddu, il grillo, alla magica Cuntatura, la narratrice, un po’ sciamana un po’ depositaria della storia orale dell’isola.

Tutto si risolverà in spiegazioni logiche, ma la Bambina avrà a quel punto  attraversato con fatica e dolore un percorso irto di antri scuri, paludi, figure archetipiche e temibili come le “Donne de fora” che controllano la vita delle altre donne, dalla casa ai figli,   per poter raggiungere e comprendere   una Madre finalmente  accogliente.

L’introduzione della psicoanalista   Paola Erbice è interessantissima .

Premnio Essentia- Edizioni Gabrielli

 

Mi piacerebbe fare molte domanda e Maria Cannata: la scelta dello stile, il contenuto un po’ autobiografico ?  il rapporto con la terra di Sicilia…

spero, come promesso, di incontrarla a Trento  in autunno quando ricominceremo i nostri incontri di lettura all’Angolo- Papiro del Libri & Caffè.

 

 

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CORAL GLYNN di Peter Cameron

pubblicato da: Mirna - 17 Giugno, 2012 @ 7:19 pm

C’è un’atmosfera cupa e fredda in questa storia e pur trovandoci nella bella Inghilterra vengono sottolineate la casa di pietra , la foresta misteriosa, l’aria umida e il terreno fangoso.

Coral Glynn, strana creatura  e  se, come dice Cameron, in ogni suo personaggio c’è un tratto di sè, un’esperienza vissuta,  qui potremmo pensare  di essere di fronte  a  un momento  di spaesamento dello stesso autore ?

Ragazza sola, forse un po’ borderline , che sembra affrontare la vita di sghimbescio, talvolta attonita di fronte agli accadimenti, altre volte scegliendo la strada sbagliata.

Fa pena e rabbia, ti intenerisce per il suo essere orfana di affetti, per essere preda facile di prepotenti , ti fa rabbia per le scelte positive  che potrebbe fare  ma alle quali  rinuncia perchè non ha fiducia negli altri? O perchè si sente una vinta in partenza?

Devo dire che la lettura di questo romanzo, pur avvincente, mi ha lasciato perplessa per lo svolgimento dei fatti che sembrano talvolta staccati fra loro o meglio non avere un continuum strutturato.

Il finale  spiazzante  lascia infatti  a noi lettori di spiegare , con gli elementi in nostro possesso,  la conclusione.

Coral Glynn può avere agito in uno o in un altro determinato modo. Ma rimane una creatura misteriosa e forse dura come il corallo, Coral, e non così vulnerabile o patetica come all’inizio ci viene descritta.

Se nelle prime pagine si poteva intravvedere qualche somiglianza con la sfortunata Tess dei d’Urberville – ma non così onesta e pura – ,o un destino segnato e obbligatorio come in Ethan Frome – o addirittura la dolce Miss Brill di Katherine Mansfield, felice per la sua piccolissima vita ( e Coral è felice del foulard di seconda mano ricevuto dalla sua ex padrona) , presto ci accorgiamo di una persona dura, quasi pietrificata ella stessa come la casa dove è finita a fare l’infermiera per la madre del maggiore Hurt.

Rimane staccata dalla vita che le corre vicina come i colibrì impagliati che troneggiano nel salotto di casa Hurt. Come spiegare altrimenti il suo comportamento alla vista della bambina torturata per gioco nel bosco?

Il maggiore Clement Hurt, ferito di guerra, solo anch’egli, si sente attratto da Coral Glynn e non solo per le loro solitudini a confronto, ma per una sorta di “sollievo”, affinità” che egli prova verso la giovane infermiera e quando la madre, ormai malata terminale, muore lui le chiederà di sposarlo.

Lei, come un’altra da sè, vuole e non vuole, si perde in meandri di ricordi, di tristi esperienze e  non riesce a dare nulla, come se ogni suo azione fosse incastrata nel momento sbagliato.

La storia iniziata negli anni ’50 del secolo scorso potrebbe svilupparsi anche in un’altra epoca tanto ciò che viene raccontato sono soprattutto i moti dell’animo, i desideri reconditi, la difficoltà del vivere e dell’amare.

Edizione Adelphi

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L’ORA BLU di Franca Pellizzari

pubblicato da: Mirna - 13 Giugno, 2012 @ 7:35 am

                                                                          

Ultimo incontro all’Angolo-Papiro con un’ospite speciale: Franca Pellizzari, letterata, insegnante, sceneggiatrice nonchè  mamma  e …soprattutto in questo caso ….moglie di Beppe che è diventato l’ispiratore di una particolare e godibile  raccolta di racconti  che ci vengono presentati da Maria Teresa.

Noi del gruppo lettura abbiamo ascoltato con interesse e simpatia come è nato  il progetto  di Franca di voler dedicare  al marito per il suo  sessantesimo compleanno un filo di ricordi e  di avvenimenti che si snoda attraverso la loro vita.

 Leggerò  il suo libro a Borzonasca e ripenserò a questa coppia complice e simpatica che ha vivacizzato ancor più il nostro incontro al Libri & Caffè.

Lascio la parola a Maria Teresa che ha già letto i racconti di Franca Pellizzari:

 

L’ora blu, quell’ora dopo il tramonto in cui il cielo è già scuro, ma nelle foto appare di un blu intenso, quasi magico…I fotografi la conoscono benissimo… È anche il momento in cui il profumo dei fiori si coglie con la maggiore intensità.

La vera felicità è fatta di consapevolezza, proprio come l’ora blu. In quel momento di passaggio tra il giorno e la notte tutte le foto riescono magnificamente, ma chi non lo sa rischia di lasciare la macchina fotografica nella custodia e di perdere la sua occasione. 

È possibile creare tante storie diverse e ideare un legame, una sorta di nastro invisibile intessuto di amore, in virtù del quale in ognuna fa capolino una stessa persona, mai protagonista, mai in primo piano, ma sempre importante? Può sembrare incredibile, eppure è quello che accade nei racconti di Franca Pellizzari.

Questa originale impostazione è l’impronta comune alle vicende narrate ne “L’ora blu”. Ma i racconti spaziano in tempi e luoghi svariati ed accompagnano il lettore attraverso molteplici generi: thriller, fantasy, umorismo spesso esilarante ma sempre intelligente e raffinato, realismo con agganci concreti alle problematiche di attualità, speranze e sogni rivolti al futuro…

E diverse in ogni racconto sono anche le età della vita di quel personaggio che si affaccia in ogni storia, sempre con discrezione, a costituire ovunque una presenza positiva.

In “L’ora blu” tutto è un po’ speciale: gli angeli in Paradiso hanno qualche vizietto, un passato atroce si trasforma in una fiaba piena di magìa, il profumo di un bombolone risveglia chi da tempo ha un buco nero nell’anima, un gelato al pistacchio restituisce al legittimo proprietario il biglietto vincente della lotteria, le automobili hanno la loro notte magica, una Milano sbagliata regala la svolta fortunata di una vita… e molto, molto altro!

“L’ora blu”: una lettura appassionante e gradevolissima per gli intrecci delle storie, costruite sempre con sapiente regìa, in qualche caso addirittura con un andamento cinematografico che nulla toglie alla cifra letteraria del risultato. Una giusta dose di suspence avvince anche nei racconti non propriamente thriller. Efficacissime notazioni di ambienti, tipi umani, gesti e caratteri colorano la narrazione, sempre sostenuta da dialoghi brillanti, battute gustose, conclusioni a sorpresa.

Le scelte lessicali precise ma non pedanti e l’andamento fluido del periodare conferiscono ai racconti una fruibilità immediata, che però non ha nulla di prevedibile. Il lettore è continuamente sorpreso, divertito, spesso affascinato da similitudini, metafore ed altre espressioni tanto fantasiose quanto azzeccate.

Chi conosce l’autrice assicura di ritrovarla perfettamente nei suoi racconti, il cui registro linguistico contraddistingue Franca Pellizzari anche in una chiacchierata con gli amici! “

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NEBBIA ROSSA di Patricia Cornwell

pubblicato da: Mirna - 10 Giugno, 2012 @ 2:17 pm

Qualche volta ho bisogno di tuffarmi in un thriller dove gli accadimenti,  sensazionalmente  drammatici e quasi improbabili, sembrano lontani- e quindi emotivamente staccati - molto più che i tormenti dell’animo esistenziali o  di certi rapporti familiari conflittuali.

Ho letto tutto d’un fiato Nebbia rossa, edizioni Mondadori,  sebbene la prima metà – e parlo di 180 pagine – affrontava sotto forma di dialoghi un unico caso di omicidio. Ma che dialoghi!… tra la ormai famosa anatomopatologa Kay Scarpetta, il suo investigatore Marino  e una detenuta.

Patricia Cornwell è bravissima ad interessare il lettore senza ancor far succedere per un po’ niente di eclatante.

Ripensav0 al primo legal thriller “Anatomia di un omicidio”  di  Robert Traver ( diventato poi famoso con il film di Otto Preminger) dove la suspence saliva esclusivamente   durante il processo.

E così è in questo giallo che si svolge in poche giornate calde e afose  in Georgia quando Kay Scarpetta ormai sessantenne, ma sempre acuta e bravissima, viene  costretta con degli espedienti ad interessarsi ad avvelenamenti che avvengono in carcere. Uno fra tutti quello di una detenuta morta due ore prima dell’esecuzione capitale.

Certamente la trama è intricata perchè vecchi casi si collegano tra loro, personaggi importanti riemergono dal passato, ma con magistrale attenzione tutto si incastrerà perfettamente in un finale che riesce a  sorprendere il lettore.

Ci si affeziona ai detectives dei gialli, da Adamsberg, spalatore di nuvole della Vargas, all’ispettore Linley e  a tanti altri.

Kay Scarpetta è speciale: di origine italiana, ama cucinare piatti mediterranei, adora la nipote Lucy “maschiaccio” in grado di pilotare elicotteri ed entrare facilmente in ogni sito della rete Web, ama suo marito Benton che lavora per l’F.B.I. ed è sempre tollerante con il mastodontico e rozzo Marino da sempre innamorato di lei.

E lei com’è? Seria, efficace e nello stesso tempo vulnerabile. Ci spiega accuratamente tutto il suo lavoro e può farlo perchè la sua autrice  –  un suo alter ego  mescolato alla figura di Lucy-  è tra i fondatori del Virginia Insitute of Forensic Sciences ecc.

 Sa perfettamente  quello che scrive.E’ vincitrice di moltissimi premi.Vive tra New York e la Florida.

Visitate il suo sito www.patriciacornwell.com

ATTENZIONE: Domani 11 giugno, ore 17,30, all’angolo-papiro del Libri & Caffè ultimo incontro del gruppo di lettura con le proposte per l’estate e con una sorpresa:

l’autrice de “L’ora blu”,  un libro di racconti dedicati al marito.

 

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GIORNI VICINI di Angelika Overath

pubblicato da: Mirna - 5 Giugno, 2012 @ 4:33 pm

Certo che il rapporto madre e figlia è uno dei più sviscerati in letteratura .

E’ infatti il rapporto per eccellenza, quello che inizia dalla fecondazione che fa vivere  in simbiosi fisica per nove mesi due esseri e che continuerà poi  tutta la vita proprio con  il rispecchiarsi l’una nell’altra, visto lo stesso genere, in un crescendo di amore o  odio, tenerezza o rancori,  ammirazione o compatimento a seconda delle storia, dei caratteri di entrambe  o degli accadimenti. Ma sicuramente la Madre ha delle grandi responsabilità verso i figli, una delle quali è fornire gli strumenti per permettere  alle sue  creature di staccarsi.

Ah, io sono madre, ma non sono solo quella. Sono stata figlia, moglie, ma soprattutto sono persona e la mia vita ha proseguito attraverso un percorso di speranza e lavoro per raggiungere equilibrio, serenità e qualche risposta al miracolo Vita. Chissà quanti errori avrò fatto come madre, ma credo di aver seguito il buon senso della  mia linea femminile che ad un certo punto lasciava aprire il bozzolo per permettere alle figlie di scegliere e di “volare”da sole. (almeno lo spero…ma si sa che avrò ugualmente sbagliato qualcosa!)

Nel racconto di Angelika Overath non è stato così. L’amore di una madre per la figlia è estremo, totalizzante, claustrofobico.

 “La bambina era cresciuta avvolta nel potere amorevole della madre…la bambina era diventata la “casa” della madre

Questa madre che ha dovuto lasciare “la sua casa, il suo paese” nei Sudeti per trasferirsi in Germania , si è sempre sentita straniera e insicura. Solo un figlio avrebbe potuto darle un ruolo, una sicurezza, uno scopo, un radicamento. Si sposa soltanto per questo. E quando Johanna nasce tutto girerà intorno a lei che verrà allevata in modo da diventare forte per la madre.” Una figlia troppo delicata e sensibile o addirittura narcisista non le sarebbe servita a niente”. 

 Questo filo d’acciaio che lega madre e figlia durerà parecchio tempo finchè Johanna lascia la casa per un lavoro in un’altra città, ma  è ancora tenace  e Johanna se ne accorge, quando la madre muore.

“…la madre muore e la figlia vive, ma non ci aveva creduto davvero. Quella morte smentiva il loro tacito accordo…” All’ospedale, in rianimazione,  aveva respirato con lei, come se volesse “partorire” la madre, respirando.

Ed ora nell’appartamentino materno  non riesce a buttare via le sue cose che contengono  ancora tracce vitali dell’odore pallido e familiare della madre.

Inizia una notte durissima in cui i ricordi arrivano e travolgono Johanna. “Romanzo in una notte” (Roman in einer Tage) è infatti il sottotitolo.

Gli oggetti intorno a lei che si aggira vuota nelle poche stanze e che sono vissuti con la sua famiglia, una famiglia triste che talvolta piangeva in silenzio di nostalgia, – Sensucht - sono tutti presenti e trattengono i ricordi. Come i vari gatti di peluche ritti e ordinati sul grande divano di pelle marrone e tra i quali, ad un certo punto Johanna si ritrova, più o meno nella loro stessa posizione..

Alcuni  ricordi dolci che le sembrano “angoli ciechi di paradiso” nel ripensare al  nonno ciabattino che le faceva fare lavoretti insieme a lui.

Ma è la Madre che ha deciso il destino di tutti, la loro infelicità, una madre che ha timore dello spazio e che ha riempito le stanze di tanti mobili come se essi fossero un puntello per un sostegno più solido di quello che erano in grado di darsi vicendevolmente.

 Notte catartica dunque per Johanna quarantenne, in cui viene sviscerato questo intenso e quasi morboso rapporto materno per poterlo poi ridimensionare, forse capire, neutralizzare  spostandosi più indietro nel tempo,   ad un’immagine raccontata dalla nonna  quando ancora si trovava “al paese“, quando lavava le fasce e le camicine  della sua  figlioletta, la madre di Johanna,” nella fresca acqua che mormora sotto i salici, là dove lo Zwittau separa la Boemia dalla Moravia, nell’acqua in mezzo alle oche.” 

Che scrittura forte questa Angelika Overath, classe 1957, giornalista, saggista,  vincitrice di numerosi premi letterari. 

Keller Editore

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POEMETTI di Katherine Mansfield – DEDICATI A VALERIA

pubblicato da: Mirna - 4 Giugno, 2012 @ 8:40 am

 pubblicato da: admin – 11 settembre, 2010 @ 6:46 pm modifica

  Ricerco un vecchio post dove parlo di una poetessa che io amo molto, una persona dalla mente colorata, che amava la vita in tutti i suoi aspetti, dalla Natura , all’amore per gli altri e  all’arte. Una donna che si sentiva parte palpitante dell’intero universo.

E’ quello che io auguro a Valeria appena giunta tra noi.

 “Parliamo sempre di vita, della nostra vita che come ci consiglia Maria Teresa  si può vivere con più ottimismo.  Le piccole cose di cui parlava anche Gozzano, non necessariamente un “Loreto impagliato”, sono i puntelli strategici per tradurre lo spleen in una  “felicità bambina”.

Scelgo ancora una volta  Katherine Mansfield proprio per la sua ardente sete di vita e di felicità. Felicità che provava nei piccoli piaceri quotidiani, nell’amore, nell’amicizia e nell’abbandonarsi alla bellezza della natura.

“In riva al Mediterraneo c’era Villa Pauline, un cottage di quattro stanze” ci scrive John Middleton Murry, marito della Mansfield spiegando che entrambi vi abitarono  nel 1916. Ricorda che  si dedicarono una settimana intera alla poesia “Dopocena, sedendo insieme a una minuscola tavola da cucina, abbiamo scritto versi intorno a un tema che sceglievamo al momento”

In questi Poemetti  di Katherine Mansield troviamo anche i ricordi della lussurreggiante Nuova Zelanda, il suo amore per l’Amore, le sue immagini più colorate, la sua forza di veleggiare ad ogni costo verso la Felicità.

 

“Un golfo di silenzio ormai ci separa;

 Io su una sponda e tu all’opposta vivi,

 Non ti vedo nè ti odo, a stento so che ci sei…

A varcarlo forse c’è modo? Mai con la parola

O il senso. Così di pianto lo potremmo colmare.

 Ma ora voglio frantumarlo con un’altra risata.

La Mansfield nei suoi diari scrive che il dolore può essere vinto, a patto di non resistergli, concedendogli una parte di noi.

 “Tutto quanto accettiamo effettivamente dalla vita, subisce una trasformazione. In questo modo la sofferenza deve diventare l’Amore. Ecco il mistero. Ecco ciò che debbo fare. Devo passare da un amore personale a un amore più grande. Devo dare al mondo  tutto ciò che ho dato ad uno solo.”

Che sia questo il segreto delle felicità?

Scrive nei primi versi di “Villa Pauline”

Eppure, prima che egli venisse,

eri soltanto un nome:

quattro stanze nane, un cassettone

senza nemmeno un osso dentro,

ed ero sola!

Dalle vaste finestre

ora l’aperto intero

di sole e fiori e canto

a nascondersi viene,

ardente e sulle sedie ridente,

per afferrare d’improviso

la nostra felicità bambina“…


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TRENTO DA…LEGGERE

pubblicato da: Mirna - 31 Maggio, 2012 @ 12:44 pm

Gli incontri all’Angolo-Papiro del Libri & Caffè stanno per concludersi per poi riprendere il prossimo autunno.  Questo penultimo incontro è stato particolarmente  piacevole e vario.

Ospite Alvaro Torchio, l’autore di Marx & Angels investigatori e non solo. Ci siamo fatto spiegare la genesi dei suoi romanzi a quattro mani e in quali testi ha attinto gli aneddoti sulla vita dei due filosofi. Importante per gli aspetti della loro vita quotidiana i libri “Colloqui con Marx ed Engels”.

Il nostro gruppo-lettura sempre più affiatato ha fatto altre domande. Abbiamo scoperto anche che Alvaro Torchio ha scritto molte poesie, vincitrici spesso di concorsi nazionali. Ci ha regalato uno dei suoi libretti e sfogliando abbiamo letto versi che raccontano eventi minimi, trasalimenti infantili e naturalmente il lavoro della memoria. Torchio usa un linguaggio che si rifa alla metrica classica.

Gli chiedo quali sono  i suoi autori preferiti: dai contemporanei tra cui Luciano Erba (mio docente di letteratura francese) a Montale, naturalmente Leopardi e a Tasso le cui poesie sarebbero da rileggere e dalle quali persino Leopardi e D’annunzio hanno attinto.

E’ stimolante sapere che nel nostro gruppo non c’è soltanto l’amore per la lettura ma c’è un desiderio di scrittura autobiografica o poetica. Ne possiamo parlare, e in altre cirostanze confrontare anche i nostri versi.

Maria Grazia ci ha fatto leggere il suo raccontino Finis Terrae dove con un linguaggio onirico e immaginifico ci parla di  una navigazione verso un altrove sognato e del quale si sente la nostalgia. Immagini originali tra le quali una funesta civetta e una lucciola stanca  che tracciano simboli quasi esoterici.

Cristina, Riccardo ed io ci impegnamo a leggere alcune  nostre poesie in una delle future serate accademiche. Che ci sarà dentro i nostri versi? Emozioni, riflessioni, desiderio di condividere le nostre epifanie.

Tra un caffè e un’aranciata ognuno di noi presenta l’ultimo libro letto dall'”Accabadora” di Paolo al libro su Beethoven di Maria Bona, dall’ennesimo Murakami di Stefania “L’uccello che girava le viti del mondo” dove lei si lascia trascinare ondeggiando in un altro Pensiero un po’ diverso dal nostro  talvolta troppo razionale o pragmatico.

 

Cristina ci illustra un evento riminese alla quale ha partecipato come pianista:  letture di brani di poeti e scrittori come Mario Luzi,  Alda Merini, a Virginia Woolf,  Giorgio Bassani…commentati da brani musicali scelti e suonati da lei.

Belle queste orette pomeridiane a parlare di libri, di musica e di noi.

Per il prossimo ed ultimo incontro della saison è probabilissimo che Maria Teresa ci porti un’amica che ha scritto un libro di racconti…ma di questo parleremo insieme lunedì 11 giugno 2012.

 

 

 

 

 

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